[Hey! Say! JUMP] For handing you a heart worth breaking (Parte 2)

Dec 30, 2012 23:27

Parte 1



Yuri rimase in silenzio durante tutto il tragitto.

Gli piaceva vederlo preoccupato per lui, per quanto continuasse a chiedersi se il suo non fosse piuttosto senso di colpa.

E sarebbe andato a casa sua. Almeno qualcosa l’avrebbe ottenuta.

Si era domandato spesso come vivesse, e con che tipo di famiglia. O meglio, si chiedeva che genere di famiglia soprassedesse sul fatto che il figlio tornasse a casa tutti i giorni ricoperto di lividi, ma non aveva mai osato chiedere nulla direttamente a Yuya.

Continuarono a camminare, e quando Takaki si fermò di fronte al portone di un palazzo alquanto anonimo tirando fuori le chiavi, si rese conto del fatto che non abitavano poi così lontani.

Quel pensiero, non sapeva perché, lo fece sorridere.

Presero l’ascensore fino al quinto piano, e una volta arrivati di fronte alla porta il più grande si voltò verso di lui.

Forse se l’era solo immaginato, ma gli parve d’averlo visto arrossire.

“Non ti aspettare niente di che. Non è nemmeno troppo in ordine, ieri non ho avuto il tempo di sistemare” spiegò, e prima ancora che Yuri potesse porsi delle domande su quella frase aprì la porta, richiudendogliela dietro quando entrambi furono nell’ingresso.

Yuri si tolse le scarpe, guardandosi intorno con gli occhi sbarrati e raggiungendo il salotto.

Non era grandissima, ma nemmeno eccessivamente piccola.

Il salotto era un tutt’uno con la cucina, e su di esso davano soltanto due porte, una delle quali vicina all’unica finestra della stanza.

Si accorse subito che c’era qualcosa che non tornava in quell’appartamento.

“C’è qualcuno in casa?” gli domandò, alzando un sopracciglio, sentendo già di conoscere la risposta a quella domanda.

“No, io... sto da solo” gli rispose sbrigativamente, prima di andare verso una delle due porte, evidentemente il bagno. “Siediti, vado a prendere qualcosa per le ferite.”

Yuri fece come gli aveva detto, e prese posto sul divano.

Diede uno sguardo in giro per la stanza. Per quanto l’appartamento potesse essere bello, e non in disordine come il più grande aveva preventivato, lo trovava alquanto impersonale.

Non c’erano foto sulle pareti, pochi libri sugli scaffali e niente che gli facesse realmente pensare a Yuya.

Quest’ultimo tornò pochi minuti dopo, si mise in ginocchio di fronte a lui e prese a medicare i tagli sul viso, ridendo di lui quando lo vide stringere i denti per il bruciore del disinfettante.

“Dai, non fa così male. Passa quasi subito” gli disse, cominciando tuttavia ad usare più delicatezza.

Una volta finito Yuri lo ringraziò, prima di rimettersi in piedi ed iniziare a camminare per la stanza, privo di una meta.

“Come mai abiti da solo?” gli chiese allora, certo di quanto il più grande fosse poco propenso a rispondere a quella domanda, ma non potendo fare a meno di porgliela comunque.

Takaki si morse un labbro, scrollando le spalle.

“Prima stavo con i miei nonni. Ma loro abitano molto lontano dalla scuola, più di un’ora di treno, per cui quando ho compiuto diciotto anni mi hanno preso quest’appartamento. Quando riesco ad organizzarmi con le faccende di casa non è così male” spiegò, e  Yuri non poté fare a meno di notare come quella spiegazione non rispondesse del tutto alla sua domanda. “Vuoi qualcosa?” gli chiese poi, come rendendosi improvvisamente conto del fatto di avere un ospite.

Il più piccolo gli sorrise imbarazzato, scuotendo la testa, e Takaki allora si sedette sul divano, facendogli cenno di metterglisi accanto.

“Mi dispiace per quello che è successo, Yuri. Tu non c’entravi niente, non avrebbe dovuto...” sospirò, passandosi le mani davanti al viso. “È solo colpa mia. Avrei dovuto chiedere un trasferimento due anni fa quando è cominciato tutto. Non avevo previsto che ci andasse di mezzo qualcun altro” mormorò, lo sguardo perso nel vuoto, preso da chissà quali pensieri.

Il più piccolo si morse un labbro, piegando un ginocchio sul divano e voltandosi verso di lui, incerto.

“Yuya... ti prego, raccontami che cosa è successo” gli chiese, in un sussurro. “Non è possibile che ce l’abbiano così tanto con te, io... io non riesco ad immaginarti fare una cosa tanto grave da meritare tutto questo.”

Il più grande sorrise, triste, prima di annuire.

“In effetti, non è che io abbia fatto qualcosa” cominciò, mettendosi più comodo sul divano, ancora senza guardarlo negli occhi. Sospirò, come se ormai si fosse arreso alla verità e al non potersi più nascondere dietro ai propri silenzi. “Hikaru e Kei hanno smesso di essermi amici e hanno cominciato a trattarmi in quel modo due anni fa. Esattamente pochi giorni dopo la morte di mia madre” spiegò, deglutendo.

Yuri spalancò gli occhi, se possibile ancora più confuso di quanto non lo fosse stato fino a quel momento.

“Ma cosa... mi dispiace non lo sapevo, io...” corrugò la fronte. “Che cosa c’entra questo?”

“Fammi finire” gli chiese Yuya. “È... è stato mio padre ad ucciderla” mormorò, così piano che Yuri lo sentì a malapena.

Si sentì gelare il sangue nelle vene.

Perché non lo era mai venuto a sapere?

Forse ricordava i genitori parlare di qualcosa di simile, ma nella sua mente non aveva mai fatto il collegamento, non aveva mai pensato che Yuya...

Gli si mise più vicino, sfidando il proprio coraggio e posandogli una mano sulla gamba.

“Yuu...” mormorò, sospirando, mentre il più grande ancora evitava il suo sguardo.

“Ne ho sentite tante, davvero. Ho dovuto affrontare tutti li sguardi accusatori e tutti i pettegolezzi che hanno cominciato a girare. Molti hanno smesso di rivolgermi la parola, come se avessero paura di me, come se il colpevole fossi io, ma Hikaru e Kei” si morse un labbro, prima di continuare. “Quando è successo dissi loro soltanto che mia madre era morta, per cui quando si venne a sapere che in realtà era stato mio padre ad ucciderla, credo che si siano sentiti traditi. Hanno fomentato i pettegolezzi, hanno creduto ad altri e in breve siamo arrivati a questo punto” concluse, sperando le spalle. “È da due anni che cerco di far capire a loro e a tutti gli altri che mi hanno tolto il saluto che io non sono mio padre, che lui è in prigione dove dovrebbe stare e che con lui non ho più niente a che fare. Ma una volta che ci si convince di qualcosa, penso che sia davvero difficile cambiare idea.”

Yuri si sentiva vicino alle lacrime.

Vedeva lo sguardo di Yuya, sentiva il dolore nel suo tono di voce, e non riusciva nemmeno lontanamente ad immaginare come si dovesse essere sentito allora, come ancora continuasse a sentirsi.

E ce l’aveva ancora più a morte con Hikaru e con suo fratello per quello che avevano fatto.

“Avrebbero dovuto starti vicino” mormorò. “Avrebbero dovuto starti vicino e non l’hanno fatto.”

Yuya scrollò le spalle, come rassegnato.

“Non importa. Quel periodo non ha avuto molto senso per me, e loro ne fanno parte, e sono uno strascico che ancora si fa sentire. Tutto qui.” avvicinò una mano al suo viso, tentennando mentre lo accarezzava. “Tu invece non avresti dovuto farne parte, Yuri. Ti avevo detto che non sarebbe andata a finire bene, e non mi hai voluto dare retta.”

Il più piccolo scosse la testa, serio.

“Non mi sto lamentando, infatti. Sono io che ho scelto di farli diventare affari miei, Yuya. Quello è mio fratello, per quanto in questo momento mi dispiaccia doverlo ammettere, e non ho intenzione di lasciarlo continuare in questo modo. E se anche non posso far niente per fermarlo, almeno voglio poterci provare.”

“Perché lo fai?”

Yuri sentiva di non poter più sfuggire a quella domanda.

Poco prima Yuya gli aveva dato la propria sincerità, e sentiva di dovergliela a sua volta, in qualche modo.

Si protese verso di lui, incapace di dirgli qualsiasi cosa, fino a che le loro labbra non si sfiorarono.

Non si mosse più di così, non ne ebbe il coraggio.

Gli parve di sentire il più grande sospirare, e stava quasi per ritrarsi quando invece sentì la sua bocca premersi con maggior decisione contro la propria, approfondendo quel bacio appena accennato, ricambiandolo, portando le braccia dietro la sua schiena per spingerlo ad avvicinarsi ancora.

Quando si separarono Yuri lo vide imbarazzarsi, ma gli sorrideva comunque.

“È la tua risposta?” domandò Yuya, tornando ad accarezzargli lentamente il viso, come se non riuscisse a farne a meno.

Annuì, convinto.

“Sì. È questa la mia risposta, io...” si morse un labbro, di nuovo senza riuscire ad andare avanti.

Riprese a baciarlo, con più foga di quella usata in precedenza, continuando a spingersi verso di lui fino a che non fu Yuya a fare presa sui suoi fianchi, tirandolo sopra di sé.

Yuri gli mise le ginocchia ai lati delle gambe, sostenendosi con le mani del più grande dietro la schiena, oltre la camicia, che cominciavano una lenta carezza verso l’alto.

“Yu...” mormorò il più grande, allontanandosi. “Yuri, forse non dovremmo...”

Il più piccolo non si scompose eccessivamente per quel suo dubbio, e si limitò a scrollare le spalle.

“Sì invece” gli disse, scendendo a baciarlo sul collo e spostando le mani sui bottoni della camicia, slacciandoli velocemente, lasciatosi prendere dall’urgenza del momento.

Yuya si lasciò andare al tocco delle sue mani sul petto, lungo lo sterno e fino ad oltre l’ombelico, mentre cercava di mantenere la concentrazione necessaria a spogliare anche lui dalla camicia, lasciandola poi ricadere sul pavimento.

Fu a quel punto che si fermò, bloccandogli i polsi in una mano e sorridendogli, scoccandogli un veloce bacio sulle labbra.

“Aspetta” gli disse, alzandosi e tirandolo verso l’altra porta del salotto, quella della camera da letto.

Yuri non perse tempo a guardarsi troppo intorno, decidendo che avrebbe avuto il tempo per farlo più tardi, e si andò subito a sedere sul materasso mentre il più grande si metteva davanti a lui, cominciando a slacciare la cintura ed i pantaloni, senza mai smettere di guardarlo negli occhi.

“Yuri, hai mai...” gli chiese improvvisamente, comprendendo da sé la risposta grazie all’improvviso imbarazzo del più piccolo.

Gli sorrise invece, cercando di metterlo il più a suo agio possibile, e posandogli delicatamente una mano sul petto per costringerlo con la schiena contro il materasso, scendendo su di lui con la bocca e prendendo a baciarlo su ogni punto di pelle che trovasse, piano, giocando con la lingua e un velo di denti, scoprendo dall’intensità dei suoi gemiti cosa gli piacesse e cosa invece no.

Yuri era nervoso, e non poco, ma non dubitava affatto di quanto stava per fare.

Aveva immaginato più volte quel momento da quando si era reso conto di essere innamorato di Yuya.

L’aveva immaginato come qualcosa di impossibile, di destinato a rimanere unicamente una fantasia, e ora che stava accadendo davvero non avrebbe lasciato che la paura o l’ansia avessero la meglio su di lui.

Se lo voleva godere quel suo desiderio che veniva esaudito.

Sentì il più grande togliergli anche gli ultimi vestiti rimasti, e alzò lo sguardo per vederlo fare altrettanto.

Poi chiuse gli occhi e si lasciò andare unicamente alle sensazioni.

Aveva la bocca e le mani di Yuya ovunque, e si muoveva così velocemente da confonderlo.

Cercò senza successo di trattenere un gemito più forte degli altri quando si spostò sulla sua erezione, avvolgendola con le labbra, mentre le mani si spostavano contro la sua apertura.

Erano tutte sensazioni che non aveva mai provato, completamente nuove, ma Yuri sentiva che ci si sarebbe potuto facilmente abituare.

Quando il primo dito scivolò dentro di lui fece una smorfia di fastidio, cercando di abituarsi alla svelta a quell’intrusione per permettergli di andare avanti.

Yuya alzò lo sguardo, preoccupato, e gli sorrise brevemente come per tranquillizzarlo prima di scendere con la bocca all’altezza delle proprie dita, iniziando a prepararlo insieme con la lingua per alleviare il dolore ed il fastidio.

Yuri non sapeva letteralmente cosa fare.

Cercava di spingersi contro di lui, anche quando diventava più invasivo, anche quando cominciò a sentire davvero male, ma era una sorta di dolore che non riusciva a comprendere, che in un certo senso gli piaceva, che non riusciva a fargli desiderare che smettesse.

Quando Yuya lo ritenne pronto si risollevò su di lui, lasciando che schiudesse maggiormente le gambe per sistemarvisi in mezzo e sorridendogli, passandogli una mano sul viso.

“Sei sicuro, Yu?” mormorò, chinandosi ancora per baciarlo.

Il più piccolo annuì, non fidandosi del proprio tono di voce, e spinse il bacino contro i suoi fianchi.

Quando Yuya iniziò a penetrarlo strinse forte gli occhi, mordendosi la lingua fino a quando non sentì il sapore del proprio sangue in bocca.

Più volte il più grande gli chiese se volesse smettere, e più volte fece cenno di no con la testa, deciso ad andare avanti, deciso a sopportare anche quel dolore così acuto pur di sentirlo dentro di sé, pur di sentirlo così vicino.

Quando l’ebbe penetrato del tutto, rimase fermo svariati minuti, accarezzandolo e baciandolo e parlandogli, cercando in qualsiasi modo di distrarlo.

Quando poi riprese a muoversi fu cauto, forse anche troppo, e Yuri non impiegò che poche spinte per abituarsi a quella presenza dentro di lui, per abituarsi a quella sensazione di calore così intensa, vicina a niente che avesse mai sperimentato in vita sua.

Man mano che Yuya si muoveva più velocemente e più a fondo, il dolore passava in secondo piano rispetto al piacere che stava provando; inarcò la schiena per andare incontro ai suoi movimenti, allacciando le gambe ai suoi fianchi, gemendo il suo nome a voce alta, volendo che lo sentisse quanto gli stesse piacendo.

Quando poi il più grande avvolse una mano intorno alla sua erezione, prendendo a masturbarlo velocemente, Yuri sapeva di non poter più durare troppo a lungo.

Quando raggiunse l’orgasmo artigliò le braccia di Yuya, conficcandovi le unghie e reclinando la testa all’indietro, urlando il suo nome e venendo sulla sua mano.

Riaprì gli occhi in tempo per vederlo sorridergli, un sorriso così felice che non ricordava di avergli mai visto in viso, prima di tornare a muoversi con urgenza, assai più di quella avuta prima.

Venne dopo poche altre spinte, e Yuri lo sentì svuotarsi dentro di lui, e anche quella rientrava nel novero delle sensazioni che gli piacevano, così come quella di sentirlo accasciarglisi accanto, così come quando lo tirò verso di sé e lo spinse con la testa contro il proprio petto, alzato e abbassato velocemente dal ritmo irregolare del suo respiro.

Yuri chiuse gli occhi, inspirando l’odore della pelle di Yuya che si mescolava al proprio, e poi sospirò, godendosi quella improvvisa calma e quell’improvviso silenzio, come se nelle ultime settimane non avesse avuto la possibilità di riposare davvero e di sentirsi così sereno.

Ne era valsa la pena, era valsa la pena di tutto.

Le ferite che gli aveva lasciato Hikaru quella mattina non facevano male, non più.

Aveva Yuya, era tutto quello che poteva chiedere, e ora ancor più di prima non importava che cosa potesse accadergli, non importava cosa Kei potesse dirgli o fargli.

Aveva la sua fetta di felicità e l’avrebbe difesa a qualsiasi costo, così come a qualsiasi costo avrebbe difeso Yuya.

***

Yuri sapeva che Kei aveva notato perfettamente come il rapporto fra lui e Yuya fosse cambiato.

Non poteva non essersene accorto, né lui del resto aveva fatto niente per nasconderlo.

Quando Hikaru l’aveva picchiato la prima volta, quasi due settimane prima, Kei aveva guardato i segni sul suo viso senza battere ciglio.

Di tutto quello che era successo negli ultimi mesi, quello forse era stato ciò che aveva ferito Yuri più di tutto il resto.

Aveva sperato che l’essere suo fratello potesse significare qualcosa, aveva sperato che non arrivasse a giustificare Hikaru per quello che aveva fatto. Aveva sperato che non fosse stata una sua idea di cui poi si sarebbe lavato le mani, ma evidentemente si era sbagliato.

Era schierato dalla parte di Yuya e meritava il suo stesso trattamento.

A lui, in fondo, stava bene così.

Non aveva più niente a che vedere con lui, gli dava fastidio persino il pensiero di ritrovarlo sotto il suo stesso tetto tutte le sere.

Quello non era suo fratello, non lo era più, e non l’avrebbe considerato tale.

Yuya dal canto suo continuava a ripetergli giorno dopo giorno di lasciarlo perdere, quando poi le sue stesse azioni lo tradivano.

Yuri passava pomeriggi interi a casa sua, e al più grande la cosa sembrava fare più che piacere.

Gli aveva detto quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che si fosse sentito così bene, e altrettanto bene si era sentito Yuri di fronte a quelle parole.

All’uscita da scuola, quel giorno, Yuri stava aspettando Yuya seduto sugli spalti del campetto da baseball.

Il più grande sarebbe uscito solo un’ora dopo, e lui si stava già preparando ad annoiarsi quando in lontananza vide arrivare Kei insieme ad Hikaru.

Sapeva che avrebbe dovuto avere paura, ma per quanto anche potesse averne non volle alzarsi e andarsene.

Non avrebbe avuto senso, in fondo.

Non poteva scappare e non voleva farlo.

“Aspetti il tuo fidanzatino?” gli urlò Hikaru quando fu abbastanza vicino da farsi sentire, coprendo poi la distanza con pochi passi, andandogli alle spalle e afferrandolo per la collottola, costringendolo ad alzarsi.

“Sì, aspetto Yuya” rispose, alzando un sopracciglio, cercando per quanto poteva di ignorare Yaotome, concentrandosi unicamente su Kei.

Quest’ultimo gli si avvicinò lentamente, nessuna traccia di scherno sul viso.

“Ti sei messo in qualcosa di più grande di te, Yuri.” gli disse, estremamente serio. “Non m’importa che tu sia mio fratello o meno, se hai deciso di mischiarti con quella feccia..”

“Feccia?” lo interruppe il più piccolo, sbarrando gli occhi. “Voi due, con tutto quello che gli fate, con il modo in cui lo state trattando da tutto questo tempo, con il modo in cui avete rifiutato di aiutarlo quando aveva bisogno di voi...” si morse un labbro, cercando di controllarsi. “A me la feccia sembrate voi. E anche della peggior specie.”

In quel momento Kei gli lanciò uno sguardo che gli parve essere... triste, in un certo senso.

Alzò gli occhi in direzione di Hikaru poi, facendogli un cenno con il capo.

Yuri comprese e annuì in sua direzione.

“Le tue mani sono sempre più pulite di quelle degli altri, non è vero onii-chan?”

Ma Kei non gli rispose, e lui non ebbe più la possibilità di dirgli altro.

I pugni di Hikaru facevano male, ma non male quanto gli occhi di suo fratello fissi su di lui, non quanto la sua totale indifferenza, quanto il suo silenzio.

Per Yuri, Kei non era più stato un fratello da quando aveva scoperto come fossero andate le cose con Yuya.

E per Kei evidentemente, il sentimento era del tutto reciproco.

***

“Non lo fare. Per favore, ti sto implorando Yuya, non farlo.”

Il più grande si morse un labbro, alzando lo sguardo su di lui.

Posò i vestiti sulla poltrona della sua stanza, sedendosi accanto a lui sul letto e stringendolo contro di sé.

“È l’unico modo, Yuri. Ne abbiamo già parlato decine di volte, ed è l’unica soluzione che abbiamo. Che ho” mormorò, baciandolo sulla fronte e stringendolo ancora più forte, come se ancora non fosse pronto a lasciarlo andare.

E non lo era, in effetti.

Nemmeno Yuri lo era, e un po’ lo odiava per la decisione che aveva preso, perché non riusciva ad affrontarla.

Era da giorni che Yuya gli ripeteva che il suo non era un abbandono e che non lo stava lasciando, ma il più piccolo non riusciva a fare a meno di sentirsi così, e non riusciva a fare a meno di pensare di essere inadeguato, di aver fatto qualcosa di sbagliato.

Razionalmente comprendeva che così non fosse, ma non c’era ragione che potesse averla vinta sul senso di vuoto che gli aveva provocato Yuya quando gli aveva detto che avrebbe lasciato Tokyo.

“Tornerò a trovarti. E quando finirai la scuola, se ancora...” gli sorrise timidamente. “Se ancora mi vorrai, allora ti verrò a prendere e rimarremo insieme per sempre. È una promessa la mia Yuri, e sai bene quanto mi costi dovermene andare quando ho resistito così a lungo, ma...” fissò un punto nel vuoto, lasciandolo andare. “Preferisco allontanarmi da te che vederti star male a causa mia.”

Yuri tacque, sentendo le lacrime cominciare a scorrergli sul viso.

Non si curò nemmeno di asciugarle tanto vi aveva fatto il callo negli ultimi giorni al pianto.

Lo capiva, lo capiva per cosa lo stesse facendo.

E per quanto potesse avergli detto che non importava, che non gli interessava di venire picchiato e vessato, sapeva che probabilmente al posto suo avrebbe fatto la stessa identica cosa.

Occorreva che sapesse sacrificare qualcosa se davvero lo amava, e quel sacrificio era la prova d’amore più grande che Yuya potesse dargli.

Per quanto odiasse che l’unica soluzione potesse essere quella, una piccola parte di sé si era fatta piacere il modo in cui il più grande aveva cura di lui.

Takaki tornò a fare i bagagli e lui continuò a guardarlo, come se ogni cosa che metteva in valigia fosse una parte di sé che se ne andava, e continuò a piangere, nella continua speranza di sentirsi sempre un po’ meglio.

Una volta sistemate le proprie cose Yuya sbuffò, lanciando uno sguardo intorno alla stanza.

“Fatto” disse, torturandosi il palmo della mano con le unghie. “Kyoto non è così lontana, no? I miei zii mi daranno una mano a sistemarmi, e una volta fatto tutto mi potrò organizzare per venire a Tokyo quando potrò” si morse un labbro, tentennando. “Ma per qualsiasi cosa, tu chiamami. Per qualsiasi problema, o anche solo se avessi voglia di parlarmi, o di vedermi... io correrò subito da te, lo sai vero?”

Yuri alzò lo sguardo, finalmente sorridendogli per quel suo modo così pratico di parlare, contraddetto dal tono di voce incerto.

“Gliela stai dando vinta, Yuya?”

“No” rispose, questa volta con sicurezza. “Sto dimostrando loro che io possiedo ancora qualcosa per cui valga la pena sacrificare tutto ciò che ho.”

Yuri lo guardò a lungo negli occhi, trattenendo il fiato.

Il giorno dopo sarebbe stato orribile. Così come quello successivo e quello dopo ancora. Lo attendeva un domani solitario, un domani in cui non avrebbe più potuto fare affidamento sulla presenza di Yuya costantemente accanto a sé.

Ma quei giorni sarebbero passati, Yuya gliel’aveva promesso.

Si alzò in piedi, andando verso di lui e abbracciandolo.

Posò le labbra sulle sue senza la minima intenzione di separarsi, conscio di quanta pratica gli ci volesse per non perdere familiarità con il suo sapore.

“Ti amo, Yuri. Non ti lascerò mai da solo, te lo prometto.”

“E io ti credo” mormorò il più piccolo, questa volta senza sentire la necessità di piangere. “E ti amo anch’io. Davvero.”

Non importava quanto c’era da sacrificare e quanto c’era da soffrire.

Alla fine, avevano vinto loro.

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