!fanfic [Hunger Games]: Don't Look Back in Anger - Parte Prima

Nov 28, 2014 22:55

Titolo: Don’t look back in anger
Fandom: The Hunger Games
Capitolo: 1 di 2.
Personaggi: Gale Hawthorne, Annie Cresta, Johanna Mason
Conteggio Parole: 3403 (fdp)
Rating: Giallo
Genere: Triste
Avvertimenti: Pazzia, traumi post-guerra
Riassunto: La Paylor decide di trasferire Gale a lavorare in un altro distretto, al fine di aiutarlo a uscire dalla sua “temporanea crisi”. Che l’unica persona in grado di aiutarlo veramente sia una sopravvissuta all’Arena ridotta alla pazzia, non è un buon segno.
Note: 1. Per questa storia mi sono ispirata alle canzoni Bittersweet Symphony, Don’t look back in anger and Stay with me degli Oasis, Against all Odds di Phil Collins e Only Hope dei Switchfoot.
2. Scritta per la seconda settimana del WRPG di @ maridichallenge, con i prompt Fulmine, Oceano e Natura. Forza team Busters’ Gauntlet!
Eventuali note/allegati vari: Ho deciso di scrivere questa storia al presente e in prima persona, il che mi capita veramente di rado. (faccina terrorizzata)
Questa fanfiction doveva partecipare al contest “One, Two, Three” della mia cara Aethelflaed su EFP forum, ma alla fine la mia pigrizia (/lo studio/il mondo) mi ha vinta e non sono riuscita a finirla in tempo. L È una Gale/Annie/Finnick, e ciò potrebbe turbarvi, anche perché qui la presenza di Finnick non è facile da definire.
La storia prende piede dopo la fine di Mockingjay e si colloca prima dell’epilogo.

Don’t look back in anger.
-Parte Prima-

Scivola dentro l’occhio della tua mente
Non sai che potresti trovare un luogo migliore dove giocare

Sono passati molti anni da quando provavo a destreggiarmi nella foresta oltre la recinzione del Distretto 12, eppure ogni strada che percorro mi sembra uno dei sentieri di quel bosco che conosco così bene. Mentre compio un passo dopo l’altro le mie orecchie si tendono e i miei sensi sono all’erta come se mi trovassi di nuovo dentro quel bosco per la prima volta, alla ricerca disperata di selvaggina e con il timore di essere scovato da qualche predatore. M’immagino orsi in agguato dietro i corridoi, felini nascosti dietro i bidoni della spazzatura.
Eppure, questo modo di vedere le cose, il sentimento ritrovato di spossatezza, timore e insicurezza che provavo quando a tredici anni sono andato per la prima volta da solo oltre la recinzione, è di gran lunga la cosa migliore che mi può capitare, date tutte le percezioni, i ricordi e gli incubi che potrebbero rincorrermi da sveglio. Avvertire casa - quella foresta a me così familiare, l’unico posto in cui potermi sentire me stesso e sfogare la mia rabbia - quando cammino è rassicurante, ed è l’unica cosa che mi rimane di quel luogo che una volta sentivo come l’unico mio.
Avere con me qualcosa della foresta e di Katniss mi dà quella sicurezza di cui ho bisogno.
La rivoluzione è avvenuta, la mia famiglia è interamente viva e abita in un buon distretto, senza più doversi preoccupare della fame o di Capitol, e io ho un lavoro prestigioso al fianco del Presidente. Dovrei essere felice. Soddisfatto.
Pensavo che la mia rabbia si fosse sfogata con la rivoluzione, e invece mi ritrovo ancora ad aver voglia di urlare, solo che non c’è più nessun bosco dove io possa farlo. A volte mi chiedo se siamo diventati come Capitol: se per criticare i ribelli non dovrei nascondermi in mezzo ad una foresta, trovando un luogo in cui nessuno mi possa sentire.
Vivo nel secondo distretto, quello che di solito durante la visione dei Giochi tutti nel dodici odiavano perché era da lì che venivano i Tributi più forti, già allenati, che entro un giorno dall’inizio già avevano formato una squadra per sopprimere più velocemente i più deboli.
Io lo detestai ancor di più quando toccò a Katniss andare nell’Arena, e continuai a considerarlo come nemico anche durante la guerra, perché era il distretto alleato con Capitol City. Ora ci abito, e le risate e le vite dei miei fratelli vengono accolte qui, nel 2, e non più tra le catapecchie, le botteghe o il Prato di casa nostra. È così strano.
È strano perché un anno fa ho combattuto e portato a morte certa molti degli abitanti dello stesso distretto in cui ora vivo. Perché gli aerei che hanno distrutto il dodici e fatto bruciare vivi gli abitanti del mio distretto provenivano da qui.
No, non è strano; è crudele.

Dici che non sei mai stato
Tutte le cose che hai visto
Spariranno lentamente

Mi occupo della riorganizzazione e della ricostruzione del distretto. Praticamente sono il rappresentante per eccezione del presidente Paylor. Più che altro mi limito a vagare per le case e i punti di lavoro, controllando che vada tutto come deve. Appena posso dò una mano, perché starmene in disparte mentre qualcun altro si dà da fare è qualcosa a cui non sono mai stato abituato, e all’idea di trovarmici avvezzo ora mi dà il voltastomaco.
Anche se ogni volta che incontro gli occhi di qualcuno di qui ho sempre paura d’aver intrappolato suo fratello o suo padre nell’Osso, la gente del due ha finito per piacermi. Non solo hanno deciso di ribellarsi a Capitol dopo il discorso di Katniss - e nonostante la nostra incursione -, ma stanno reagendo bene alla ricostruzione e ai sacrifici. Il Distretto 2 è lontano dal tornare a essere il preferito di Capitol, anche se continua a produrre i metalli preziosi che sono fonte del benessere di Panem. Senza il lavoro del due, l’intera nazione sarebbe ridotta a una specie di grande Distretto 13, con il cibo razionato per età e peso e regole da compiere al minuto. La Paylor e i ribelli che hanno avuto per un po’ base nel tredici non avrebbero problemi a riabituarsi a qualcosa del genere, ma passato un po’ di tempo gli abitanti degli altri distretti ne uscirebbero esasperati e quelli di Capitol morirebbero uno dopo l’altro per lo shock emotivo. Già è stato difficile contenere lo sfarzo della nuova Capitol City gestita dai ribelli. Il presidente Paylor non è una sciocca e sa che un conto è dare risorse in quantità ridotta ma giusta ai distretti perché si faccia una vita dignitosa e nessuno possa morire di fame o essere denutrito, e un altro conto è esasperare le masse con le regole del tredici dopo una sofferta ma soddisfacente vittoria contro la tirannia.
“Ehi, Gale!” Un minatore si fa largo tra la piccola folla raggruppata vicino a quello che una volta si chiamava Osso, e che ora la popolazione ha rinominato Osso Buco. Tuta macchiata, stivali ricoperti di fango, unghie marroni, segni di terra sulle guance e tra i capelli: in lui rivedo me stesso, Thom, mio padre e tutti i minatori che ho sempre visto andare e venire per le vie del mio distretto. Se il Distretto 2 fosse specializzato nell’estrazione di carbone come il Distretto 12 anziché nel costruire edifici e armi, non ci sarebbe mai stata nessuna differenza tra i due.
“Jack, ehi.”
“Come andiamo, ragazzo?” Mi si avvicina. “Caccia grossa, stasera? Ho promesso a mia moglie un fagiano, per stanotte. Sai, alle restrizioni ci si abitua, ma per adesso si fa ancora un po’ di fatica a dire di no a un bel pezzo di carne fresca.”
Le vecchie abitudini sono dure a morire; e anche se qui nel due tutto sembra fatto di lamiera, ci sono comunque delle alture con della vegetazione e su cui gli uccelli migratori e quelli da bosco sembrano felici di passare spesso.
“Direi che va bene. Non devo svegliarmi presto, domani.”
“Ah, questi eroi di guerra e i loro privilegi!” Dice lui, e accompagna la frase con un occhiolino. Jack mi piace. È uno dei pochi a chiamarmi per nome e senza il titolo di soldato. Inoltre, da due mesi a questa parte è il mio compagno di caccia, e non si disprezza mai un discreto compagno di caccia, anche se di cinquant’anni suonati.
Quella sera stessa andiamo su un colle non distante dal mio appartamento. Jack arranca dietro di me, abituato alla zona ma non al dover prestare attenzione a dove mettere i piedi per non fare rumore e spaventare le bestie. In due ore siamo di ritorno a casa e con quattro bei fagiani tra le mani. Non ho mai conosciuto preda più facile del fagiano, quindi non posso dire che sia stato difficile.

Quindi comincio la rivoluzione dal mio letto
Perché hai detto che il cervello mi è andato alla testa
Esci, l’estate è in fiore

Quando il telefono suona ed io mi districo dall’abbraccio di mia sorella, neanche mi rendo conto della gravità della situazione.
“Soldato Hawthorne?” La voce del presidente mi risveglia completamente. Posy si lamenta nel sonno e si stiracchia tra le mie dita, mentre io rispondo.
“Presidente Paylor!”
Un attimo di silenzio. “Gale… Sarei venuta io stessa nel Distretto 2, se avessi potuto. Il comandante Gweneth mi ha riferito notizie preoccupanti che ti riguardano.”
In appena un quarto d’ora vengo sollevato dall’incarico di ambasciatore nel secondo distretto, come anche dalle apparse in televisione.
“Ho saputo della caccia,” mi viene detto. “E anche che non dormi decentemente da quasi un anno.”
Il punto di tutto quanto è che per il mio stesso bene sarò spedito lontano, in un altro distretto, a svolgere un altro lavoro.
“È temporaneo.” Mi assicura la Paylor. Ed io, che ho imparato a fidarmi della sua voce, vorrei crederle.
Il pomeriggio stesso mi presento a fare rapporto al comandante Gweneth. Quando mi chiede se ho mai avuto complici per la caccia di frodo, gli dico che per costruire delle trappole c’è bisogno di un solo uomo.
Avevo creduto che Gweneth sarebbe stato contento di buttarmi fuori dal distretto, e invece ciò che mi dà è una mano sulla spalla e uno sguardo ricco di preoccupazione.
“Capita a tutti, lo sai. Cerca di metterti in riga presto, Hawthorne.”
Di solito i ribelli tollerano ben poco chi non è in riga, specie gli ex pezzi grossi del tredici, ma a quanto pare il soldato Hawthorne si è meritato un trattamento speciale, o per lo meno una punizione data senza disonore.
Che fossi solo un ragazzo arrogante, sporco, molto arrabbiato e che ha usato il dono d’avere una naturale predisposizione per creare trappole per uccidere persone innocenti tra cui dei bambini di Capitol e una dolce figurina che considerava come sua sorella, non importa a nessuno, o forse nessuno se n’è accorto.
Il punto è che, al contrario di Katniss, io mi sono subito ben adattato al Distretto 13 dei ribelli e alle sue regole. Certo, il mio primo capitano era lei, e avrei cento volte ancora voltato le spalle alla Coin per seguire la mia compagna di caccia in una missione suicida verso Capitol, ma non potevo dire che i panni da soldato del tredici mi stessero così stretti come lo erano a Catnip o a Johanna. Mi piaceva progettare trappole e bombe con Betee, mi piaceva stare al fianco della Coin e obbedire ai suoi ordini; più di tutto, sentivo un grosso debito di gratitudine verso il distretto che aveva accolto i sopravvissuti del mio. Certo, c’era il cibo razionato e un’esagerata rigidità rimpinzita di burocrazia, ma almeno non era Capitol, e soprattutto mi aveva offerto un’opportunità, quella che desideravo disperatamente da così tanto tempo.
Contrariamente a quello che ci avevano sempre fatto credere, contrariamente a quello che Catnip si rifiutava di credere, la ribellione era possibile.
Non so se fossi più grato alla Coin per quello o per aver dato una casa e del cibo alla mia gente.

Stai in piedi vicino al fuoco
Togliti quell’espressione dal volto
Tu non brucerai mai il mio cuore

Preparo le valigie, dico a mia madre cos’è successo, rassicuro la mia famiglia e il tempo passa. Mi viene dato l’ordine di prendere il treno della mattina e di scendere alla stazione seguente.
…il quarto?
Gli ultimi giorni sono una tortura, perché sento d’aver perso tutta la fiducia e la faccia tosta che sentivo subito dopo aver ricevuto la notizia del mio trasferimento.
Il Distretto 4 è attaccato al due, e forse dovrei essere contento di andare a vivere in un luogo così vicino alla mia famiglia, ma non so che pensare del mio esilio. Quali saranno i miei compiti? Cosa vogliono che io faccia?
Quando lascio casa mia per dirigermi verso la stazione dei treni, mi trascino dietro il mio bagaglio e così i miei pensieri.
La maggior parte del tempo che mi era rimasto da passare nel Distretto 2 l’ho impiegato a girovagare nel bosco in cui in questi mesi mi sono ritrovato a cacciare con Jack. Trovarmi in mezzo alla natura è l’unica cosa capace di calmarmi.
Improvvisamente mi torna in mente la prima volta che ho conosciuto Catnip. È sempre stata minuta, ma a undici anni lo era sembrata ancora di più, chinata verso le mie trappole di conigli dall’altra parte della recinzione del dodici. Pensarmi a quattordici anni mi risulta difficile, ora come ora, ma ho così tanti ricordi legati a Katniss e al Giacimento che mi è facile immaginare come potessi essere da come ricordo la mia immagine riflessa negli occhi della mia compagna di caccia.
Decido di mandare una lettera a Thom, per spiegargli l’accaduto. Thom è una delle pochissime persone del mio distretto con cui mi mantengo in contatto. È un amico di cui mi fido ciecamente, è stato il compagno di miniera che mi ha aiutato a portare via dal Prato chi potevamo prima che arrivassero gli hovercraft.
Nel Distretto 13 - mi ci era voluto diverso tempo - mi ero reso conto che a Katniss non sarei mai bastato perché solo Peeta capiva esattamente cosa significasse combattere nei Giochi e sopravvivere, così come per lei ero insostituibile proprio perché solo noi due avevamo condiviso il bosco e la caccia. Ricordo ancora di quando, nei settantacinquesimi Hunger Games, li avevo visti sullo schermo uscire dalla grotta e andare a caccia. Avevo provato un divertimento che sapeva di vendetta, nel vedere le espressioni scocciate di Catnip mentre avanzavano a ridosso del fiume. Peeta non era abituato ad avere un passo silenzioso. Ero io il suo compagno di caccia.
A quel tempo provavo continuamente una rabbia quasi cieca. Mi assaliva ogni giorno. Era sempre al mio fianco quando pensavo a Panem, alla nostra situazione. Katniss al macello, a passare il tempo a cercare di sopravvivere e a baciare il fornaio, io al Distretto 12, nel nero della miniera, a occuparmi delle nostre famiglie. Nessuna speranza di ribellione.
Quando salgo sul treno, non c’è nulla più che un soldato e un vagone pieno di provviste ad attendermi.
Parlo con il soldato. Dice di chiamarsi Seth. Non mi dà il suo cognome e non glielo chiedo. Sono sorpreso di scoprire che un militare mi dia subito tanta confidenza senza tanto accennare neppure al saluto, ma mi fa piacere. Al Giacimento non esistevano cognomi e ciò forse mi manca.
“Anche tu sei stato mandato via?” Gli chiedo.
“Io? Oh, no. Ma ho una ragazza al quattro.” Mi fa l’occhiolino. “La vengo a trovare ogni volta che arriva il carico di provviste. Non è molto comodo ma le relazioni a distanza hanno i loro vantaggi.”
“E sarebbero?”
“Tanto sesso.” E ride.
Dopo la guerra ho avuto anch’io le mie avventure. Non mi arrischio a chiamarle compagne, perché non sono durate più di qualche settimana. Di solito si allontanavano stanche di essere svegliate di colpo dai miei incubi, o perché io stesso mi distanziavo da loro non facendole entrare nella mia sfera privata.
Sono sempre stato discretamente bravo con le ragazze, ma mai con le relazioni. E dopo Katniss, sinceramente non ho nessuna voglia di provare a costruirmene un’altra. Un compagno di caccia non è assolutamente paragonabile a una ragazza qualsiasi, e finora non ne ho mai trovate che fossero anche veterani di guerra. Ideologicamente, cerco qualcuno che possa capirmi, ma senza voglia di avere nessuno con cui parlare seriamente di quello che è successo.
Sento solo che ogni evento negativo della mia vita si è abbattuto sul mio organismo come un fulmine: colpi improvvisi, con seguente fragore successivo.
Mi manca Betee. Ma rivederlo mi ricorderebbe in modo troppo vivido le nostre trappole e la mia colpa in quello che è successo a Prim. Quindi è meglio che lui non mi contatti, e io continuo a non avere nessuna intenzione di alzare la cornetta del telefono. Il tempo dell’azione forse è terminato, e comunque non saprei per cosa mettermi in moto, attualmente. La mia famiglia è ben nutrita, Panem è stata liberata. A chi servo?

E quindi Sally può aspettare
Lei sa che è troppo tardi
Mentre noi andiamo avanti

Mentre riesco a non prestare attenzione a quello che mi sta dicendo il mio compagno di viaggio, il paesaggio sfuma dal mio finestrino trasformandosi in un nuovo panorama.
Una selva di tetti soleggiati, capanne di paglia, strade, Pubblicità, cemento… e laggiù, sullo sfondo, il sedimento del cielo era scivolato in un luogo dove tutta la sofferenza contenuta nelle parole "Io sono" si dissolveva nella pace blu.
Poi Seth l’ha detto. "L’oceano." (1)
Il mio viso si avvicina autonomamente al finestrino, fino a che il naso quasi tocca il vetro. È del tutto diverso da qualsiasi spettacolo della natura ch’io abbia mai visto. È enorme, è possente.
Penso alla mia natura, alle distese di erba in cui ero abituato a cacciare. L'umidità data dal fiume sembrava essere capace di dare da bere a tutta la vallata e anche alle lontane colline, mentre qui da quello che scorgo la sabbia sembra essere ovunque. C'è qualcosa di selvaggio e sconosciuto, in quello che sto vedendo. Per un attimo, provo il cocente desiderio di toccare con i piedi e con le mani quella strana sostanza. Certo, so bene cosa sia la sabbia e a cosa possa essere simile, ma l'avevo sempre vista attraverso uno schermo, mai dal vivo.
Prendo il mio sacco militare. Sono il secondo a scendere dal treno, dopo Seth, che mi ha sorpassato per andare ad abbracciare una ragazza piccola e bionda che esprime euforia da tutti i pori.
Quando i miei piedi toccano il binario, sento qualcuno dire: “Ben arrivato, bellezza.” È una voce chiara, arrogante e ironica: so già a chi appartiene.
Mi volto; Johanna Mason mi guarda sogghignando. Ha ancora i capelli piuttosto corti, ma sembra stare molto meglio dall’ultima volta che l’ho vista.
“Ciao, Johanna.”
“Bene bene, a che dobbiamo questa visita improvvisa? Problemi in paradiso? Mi vuoi forse dare ad intendere che la Presidente Paylor ha deciso di tenerti al guinzaglio come un bravo cagnolino? Pensavo che il laccio fosse abbastanza largo, e che ti piacesse.” Butta fuori lei, tutto d’un fiato, pungente e diretta come la ricordavo. Johanna è sempre fedele a se stessa. “E invece eccoti qui, a cuccia e in punizione. Povero piccolo.”
Mentre parla, mi scorta ondeggiando verso l’uscita della stazione.
“Diciamo che i vecchi vizi sono difficili da lasciare dietro alle spalle, e che mi sono fatto beccare. Come stai?”
“Oh, io bene.”
“Devo dire che mi sembra strano trovarti qui al Distretto 4.”
E mi sembra fuori luogo per più di una ragione. La prima, è che ho sempre pensato che Johanna alla prima occasione se ne sarebbe tornata al sette, tra i suoi abeti e le sue asce, e la seconda riguarda la fobia lasciatale dalla tortura inflittale a Capitol. Tutti nel tredici avevano saputo che il soldato Mason aveva fallito la prova per via della pioggia battente.
Non so se sia giusto dare confidenza a Johanna. Lei è territorio di Katniss, in un certo senso, e una parte di me ha paura che questa ragazza morda.
La Vincitrice mi riserva un altro ghigno. “Sono qui per Annie e il suo bambino. Non mi è rimasto nessuno dalle mie parti, e poi non vedo perché tornare al sette se qui come balia ho il cibo gratis.”
Annie Cresta. Il nome mi dice qualcosa, ma non lo associo subito alla figurina che ci aspetta davanti alla stazione.
Ha i capelli d’un rosso intenso, e tra le mani tiene un bambino. Un soldato le è al fianco.
“Puoi andare, puoi andare.” Urla Johanna a quest’ultimo. “Cos’è, sorpreso che Annie la pazza sia stata così capace di starsene tranquilla e ferma per tutto il tempo? Sono stata via solo cinque minuti, cristo santo!”
L’occhio mi ricade sul bambino. Riconosco quella giovane donna. È la moglie di Finnick, una Vincitrice, quella che dopo aver vinto gli Hunger Games ha perso la ragione. Eppure sembra piuttosto quieta nel suo vestito verde chiaro.
Johanna e Annie mi portano con loro per le vie del Distretto. Il quattro si occupa di pesce, e le reti sembrano essere ovunque. Sono appese alle case, abbandonate per la strada polverosa, collegano come ragnatele finestre di vicini.
Come sempre mi accade quando mi ritrovo a passeggiare per un Distretto ancora intatto, mi tornano in mente le bombe incendiarie lanciate dagli hovercraft sul dodici e la desolazione di rovine e corpi che ho ritrovato tornando sul posto con la troupe e Katniss. Ho rivisto il mio distretto solo una volta dopo la sua distruzione, e penso che non ci rimetterò piede per un bel po’. Ora ci vive Catnip, probabilmente con Peeta, e anche se muoio dalla voglia di rivederla ho come l’impressione che un contatto forzato mi sarebbe letale. Non posso imporle la mia presenza, non ora che Prim popola i miei sogni come i suoi.
“Dove mi state portando?” Chiedo a Johanna. Non mi arrischio a parlare ad Annie. Non ancora. Ma lei mi fa un piccolo sorriso.
“A casa nostra. No, non ti preoccupare, il tuo alloggio non è lì, però è poco distante. A quanto pare la Paylor ha intenzione di fare in modo che tu controlli noi e noi controlliamo te.” Dice Johanna, ghignando nella sua direzione - di nuovo.
“È tutto vero?” Finisco per chiedere. Non può essere davvero il mio nuovo incarico. Sta scherzando.
Basta poco per convincermi del tutto di quella che mi sembra una stramba teoria. Al mio arrivo, sulla mia branda c’è una lettera della Paylor.
Quando chiudo gli occhi sogno di Primrose Everdeen, e delle due bombe che si sono abbattute nel punto in cui è morta. La prima per provocare feriti - tutti bambini -, la seconda per colpire i soccorritori.
Nei miei sogni il corpo di Prim brucia a lungo, e le mie bombe si scagliano su di lei come una raffica di fulmini.

1 = Una selva di tetti soleggiati, superstrade, cellette per pendolari, Pubblicità, cemento… e laggiù, sullo sfondo, il sedimento del cielo era scivolato in un luogo dove tutta la sofferenza contenuta nelle parole “Io sono” si dissolveva nella pace blu.
Poi l’ha detto. “L’oceano.” è una citazione presa da Cloud Atlas, pg 403. (Sonmi 451)

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