Titolo: Can I really love you with all my heart? {Tegoshi Yuya - Ai Nante}
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: R
Avvertenze: Slash, AU!
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: [...]Yabu si allontanò senza rispondere ed entrò in stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Il più piccolo chinò lo sguardo sul polso che Yabu gli aveva afferrato e vide i segni delle sue dita sulla pelle chiara.
Note: Scritta e per la tabella della
corte_miracoli con il prompt “Lei che passa come la bellezza più profana.”
Note2: In questo universo alternativo Yabu ha 25 anni, mentre Kei e Hikaru ne hanno 21.
WordCount: 2231 @
fiumidiparole *°*
Era pomeriggio quando Kei rientrò a casa. Stanco per la giornata all'università, Kei voleva solo farsi una doccia e decidere che cosa mangiare per cena.
Yabu non ci sarebbe stato, era ad una cena di lavoro con altri dirigenti dell'azienda per cui lavorava, quindi, dopo tanto tempo, sarebbe stato da solo.
Da quando era andato a vivere con Yabu, poche mesi prima, pensava che le cose sarebbero state difficili perché non era abituato a vivere con altre persone.
Prima di incontrarlo stava in un minuscolo monolocale, mentre adesso, dato che si era trasferito a casa di Yabu, si ritrovava a vivere in un appartamento troppo grande per due persone, a pochi passi dalla vivace Shijuku.
Kabuki-cho, il quartiere dove vivevano, era pieno di vita e, non solo era vicino al lavoro di Yabu, che lavorava come dirigente in una grande impresa pubblicitaria, ma era anche vicino alla sua università, cosa che lo aveva notevolmente avvantaggiato dato che ormai era in procinto di laurearsi.
Era abbastanza soddisfatto della sua vita universitaria: aveva dato tutti gli esami in tempo e, se aveva fatto bene i suoi calcoli, il voto di laurea avrebbe dovuto essere decisamente alto.
Cercando di smettere di pensare allo studio che comunque lo distruggeva, Inoo andò in camera da letto, si spogliò e poi, con i mano una tuta e una felpa da casa, si diresse in bagno per la meritata doccia.
Le lezioni quel pomeriggio erano state sfiancanti e a momenti non riusciva nemmeno a ricordarsi come si chiamava.
Rimase sotto il getto dell'acqua calda per minuti interi, poi lo stomaco iniziò a reclamare cibo. Era da prima di pranzo che non mangiava qualcosa e la voglia di cucinarsi il solito ramen precotto era veramente minima.
Indeciso se uscire o meno data la stanchezza, valutò le sue possibilità. Poteva farsi una passeggiata di due minuti al primo sushi bar a Shijuku e cercare di sconfiggere la stanchezza, oppure vegetare sul divano, aspettare che Yabu tornasse e costringerlo a portarlo da qualche parte con qualche moina.
Il suo stomaco brontolò rumorosamente, così appoggiò la prima opzione, infilò dei jeans puliti, una felpa e uscì di nuovo.
**
Yabu Kota, manager capo a solo 25 anni, uscì dal ristorante dove si era incontrato con i suoi capi e colleghi di lavoro per una piccola pausa.
L'alcol iniziava a farsi sentire e necessitava di prendere un po' d'aria da solo, per fumarsi una sigaretta. Si appoggiò al muro del palazzo vicino e prese il telefono.
Kei, il fidanzato, doveva essere rientrato da poco dall'università e forse stava mangiando.
Gli mandò una mail per dirgli che la cosa sarebbe andata per le lunghe e si accese la sigaretta.
Aspettò una risposta che non arrivò e si accigliò. Kei era sempre abbastanza rapido nel rispondere alle mail, a meno che non fosse in facoltà a studiare o a seguire delle lezioni.
E di lezioni in quel momento non ce ne stavano.
Provò a chiamarlo una, due, tre volte. Alla quarta il ragazzo gli rispose.
Sentì il frastuono di sottofondo e strinse in un pugno la mano libera, senza pensarci.
« Kei - chan? » chiese in un sibilo « Dove ti trovi? Dovresti essere a casa. Perché non mi hai avvisato che uscivi? »
L'altro ridacchiò e Yabu se lo immaginò con la sua solita smorfia svagata. Si addolcì per un secondo, prima di ricordarsi che era fuori casa, che abitavano a Kabuki-cho, dove la vita notturna era travolgente quasi quella di Shibuya.
« Sono al sushi bar vicino casa. Non avevo voglia di cucinarmi qualcosa e non sapevo quando saresti tornato. Così mi sono lavato e sono uscito. Non ti ho avvisato perché non volevo disturbarti mentre lavoravi. Scusami. »
Yabu prese un profondo respiro, socchiuse gli occhi e il suo volto si distese, tornando a quello sorridente che lo caratterizzava.
« A casa ne riparliamo. Ora torna a casa. E' pericoloso uscire di sera da soli, lo sai. »
« Ma ho iniziato ora a mangiare. Ho fame. » si lamentò l'altro « Ti prometto che appena ho finito torno di fretta a casa. Te lo giuro. »
Yabu rimase un attimo in silenzio, poi annuì.
« Appena torni mandami una mail. Così sono più tranquillo. »
« Va bene Yabucchi. » il più grande poteva immaginarselo, mentre gli sorrideva « Te lo prometto. »
Yabu chiuse la conversazione, lievemente irritato. Odiava non avere il controllo e non sopportava che Kei uscisse da solo, specialmente di notte.
Kei era bello. Di una bellezza particolare, che ti conquista lentamente. Era sempre su un mondo che non era il loro e questo lo aveva affascinato fin da subito. Il fisico alto, snello, il volto circondato dai capelli lunghi e il sorriso sempre sulle labbra, avevano fatto il resto.
Parlarci era stato quasi una rivelazione. Era intelligente, ma altrettanto disinteressato della realtà che lo circondava.
Era particolare e proprio di quella particolarità Yabu si era innamorato. Lo amava così tanto che credeva d'impazzire.
Una bellezza profana, un corpo che sapeva far eccitare anche senza fare assolutamente niente, privo di una castità o di una purezza. Lo guardava dormire e gli sembrava di non potersi controllare.
Lo vedeva uscire dalla doccia e allora gli si avventava addosso, come un animale. Kei lo lasciava fare, lasciandosi andare a sua volta, eliminando i freni inibitori e diventando ancora meno razionale.
E, proprio come lui si era accorto di tutte quelle caratteristiche e qualità, aveva paura che anche qualcun'altro si soffermasse su di lui, pensando cose che non avrebbero dovuto passare per la loro mente.
Aveva paura che Kei lo abbandonasse, che un altro uomo lo rapisse.
Non avrebbe sopportato una vita senza Kei. Erano entrambi giovani, immaturi forse, ma Yabu era convinto che fosse proprio lui quella metà che lo completava.
Aspettò altri dieci minuti, fumò un'altra sigaretta, poi rientrò nervosamente nel ristorante.
Si calmò solo quando, dopo almeno altri venti minuti, il suo cellulare squillò e lesse la mail di Kei, dove lo avvisava che era appena rientrato e andava a dormire.
Rilassatosi, si godette a sua volta la serata.
**
La sera dopo fu Yabu a cucinare qualcosa. Kei non era ancora tornato ed era in ritardo. Iniziò a camminare per il salotto, senza fermarsi un solo minuto.
Quando Kei rientrò lo vide che parlava al telefono e rideva. Parlava di università con qualcuno, ma come potesse avere la certezza che non avesse iniziato appositamente quella conversazione?
Rimase fermo in mezzo al salotto, osservando Kei che faceva scivolare lo zaino a terra, che si toglieva le scarpe e appendeva il giacchetto ai ganci. Lo osservò ridere di nuovo, salutarlo brevemente con una mano, per poi entrare nella stanza che aveva adibito come studio.
Passava le ore in quella stanza, ma a Yabu non interessava in quel momento. Lo vide uscire con in mano un rotolo, lo vide stenderlo sul tavolo al suo fianco e parlare di un progetto, tamburellando la superficie con le sue dita lunghe.
Yabu aspettò qualche altro minuto e finalmente il fidanzato chiuse la telefonata, per poi gettarsi sul più grande come se fosse normale.
Kei lo abbracciò, baciandolo, ma l'altro non ricambiò. Lo fissò negli occhi.
« Dove sei stato? » domandò glaciale.
« Per la strada c'era un banchetto di takoyaki. Io e Yaotome - kun ci siamo fermati per una decina di minuti, poi l'ho accompagnato alla stazione. »
« Era lui al telefono? Se vi siete viste dieci minuti fa, che senso chiamarti? »
« Mi ha chiamato perché ho preso per sbaglio le bozze della sua parte di progetto. E' un mio collega di università, niente di che. Ah! Sta per arrivare. » esclamò dandogli le spalle per andare in camera.
« Perché? » domandò Yabu afferrandolo per un polso e trascinandolo di nuovo davanti a lui.
« Gli servono entro oggi per sistemare le bozze. Domani abbiamo una revisione e il progetto è molto importante, ne va della mia tesi. Lo so che non ti piace avere estranei per casa, ma sarà solo per due minuti. Gli do i fascicoli e va via. »
Yabu si allontanò senza rispondere ed entrò in stanza, sbattendosi la porta alle spalle. Il più piccolo chinò lo sguardo sul polso che Yabu gli aveva afferrato e vide i segni delle sue dita sulla pelle chiara.
Fissò di nuovo la porta chiusa. Non era da Yabu un comportamento del genere e proprio non lo capiva.
Rimase fermo, seduto sul divano, ad osservare i segni diventare quasi violacei quando suonarono alla porta.
Sobbalzò e si affrettò ad aprire. Sulla soglia c'era Hikaru, che lo salutò calorosamente come al solito. Si tolse le scarpe e seguì il padrone di casa in salotto, dove c'erano dei fascicoli rilegati e un libro.
« Mi dispiace averti preso la roba. » mormorò Kei « Mi sono distratto e ho preso tutto. »
« Tranquillo, nemmeno io me ne ero accorto. » gettò un'occhiata al tavolo « Questo è il punto a cui sei arrivato per la revisione di domani? » domandò.
Si chinarono entrambi sul rotolo e Hikaru si appoggiò sulla spalla del compagno di progetto.
« Sì, sono a buon punto. Stasera devo solo definire alcune linee, sistemare un paio di misure e regolare la scala di quest'ala dell'edificio. Domani presto vado a stampare. Anzi, se mi mandi per mail le tue bozze prima delle sette del mattino, stampo tutto insieme. »
Hikaru annuì, poi si stiracchiò e gli batté un paio di volte la mano sulla spalla, ridendo.
« Ah! Speriamo vada tutto bene domani. » si lamentò tornando indietro per infilarsi di nuovo le scarpe « Ora vado. Se corro riesco anche a prendere il prossimo treno. A domani Inocchi. »
« A domani Hikaru - kun. » lo salutò.
Kei aspettò che prendesse l'ascensore e poi richiuse la porta. Sobbalzò voltandosi. Yabu era di fronte a lui, che lo scrutava, freddamente.
Indietreggiò istintivamente e si ritrovò con la schiena contro la porta d'ingresso. Il più grande sbatté le mani ai lati della sua testa e Kei sobbalzò, nuovamente.
« Era lui Yaotome - kun? » sussurrò piano all'orecchio di Kei.
L'altro si limitò ad annuire.
« Ti ha chiamato Inocchi? » domandò di nuovo, per ottenere solo un nuovo accenno positivo con la testa « E perché »
« …lo conosco da anni. E' un mio amico. Dalle scuole superiori. » rispose Kei con voce flebile, trovando a malapena il coraggio di guardarlo.
Yabu rimase a fissarlo per un minuto intero, mentre Kei aveva di nuovo chinato la testa, terrorizzato. Poi alzò lentamente una mano e gli diede uno schiaffo. Il più piccolo sbatté violentemente contro il muro del corridoio e poi scivolò a terra, tossendo e portandosi una mano al volto, osservando il sangue sulle sue dita.
Il più grande ignorò i suoi singhiozzi e lo afferrò per i capelli, alzandolo di nuovo in piedi e lo trascinò in salotto, gettandolo sul divano.
Non sopportava l'idea che un altro uomo parlasse in maniera tanta confidenziale al suo Kei - chan. Ogni volta che qualcun'altro soffermava gli occhi su di lui, sembrava che volesse mangiarselo con gli occhi e quel contatto così vicino... quell'Inocchi lasciato cadere con così tanta confidenza rischiava di renderlo pazzo.
Di nuovo la sua mano calò sul volto del ragazzo e questa volta Kei cercò di difendersi, ma senza successo.
Gli stava parlando, ma quanto di quello che gli stava dicendo corrispondeva al vero?
Collega di università... Compagno di progetto... Tesi... Amico d'infanzia...
Avrebbe davvero voluto credergli, ma qualcosa non lo convinceva. Qualcosa nello sguardo di Yaotome, il suo essersi appoggiato alla spalla di Kei, come lo aveva saluto.
Mentre Yabu si era distratto un secondo, preso da chissà quali pensieri, Kei ne approfittò per scivolare giù dal divano, cercando di scappare. Yabu lo afferrò nuovamente per un braccio e lo sbattè con la schiena a terra, montagli a cavalcioni e bloccandolo con il suo peso.
Kei lo fissò, con il volto tumefatto e il sangue che gli colava dalla bocca, mentre una smorfia dolorante aveva presto il posto al suo solito sorriso svagato.
Yabu si chinò su di lui, baciandolo nonostante il sangue e poi gli accarezzò il volto, delicatamente, asciugandogli le lacrime.
« Mi dispiace. » sussurrò piano « Non volevo. Non lo farò più te lo prometto. Io... quando quello ti ha chiamato Inocchi, quando ti ha toccato... non ci ho visto più lo giuro. »
Kei si limitò ad annuire e si alzò in piedi, ignorando la mano di Yabu, tesa per aiutarlo. Si diresse in bagno, per disinfettarsi le ferite e rimase in silenzio quando si offrì Yabu ad aiutarlo.
Rimase in silenzio sul bordo della doccia mentre il più grande gli passava un po' di cotone sul labbro e sullo zigomo, per poi storcere leggermente la bocca quando ci applicò il cerotto.
« Vado nel mio studio. Devo finire il progetto per domani. » sussurrò solo.
Yabu annuì, lo prese di nuovo fra le sue braccia, baciandogli il collo e accarezzandolo. Kei rimase fermo, socchiudendo gli occhi.
« Io intanto vado a letto. »
« Certo. Ma non aspettarmi sveglio. Devo lavorare molto. »
Senza aggiungere altro si chiuse la porta alle spalle del piccolo studio, girando due o tre volte la chiave nella serrata.
Nel buio della stanza, illuminata solo dai led a lampeggio alternato del computer o degli hard disk. Si lasciò cadere a terra, piangendo silenziosamente per non farsi sentire da Yabu.
Rimase a terra per un po', poi accese la luce e il computer. Scaricò la bozza di Hikaru, e si mise a lavorare per il giorno dopo.
Fine