Titolo: Se tu non ci sei allora in questo mondo non c'è niente da vedere {Akanishi Jun - Season}
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: NC-17
Avvertenze: Slash, AU! Death!Fic
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Lo sguardo del ragazzo era affascinante. L'unica che cosa Yabu pensava guardandolo, era a come sarebbe stato vederlo nudo nel proprio letto.
Note: Scritta per il COW-T2 di
maridichallenge con il prompt “spaccio” e per la
corte_miracoli “Qui nessuno sa niente di me.”
Note 2: In questa storia Yabu ha 24 anni, mentre Kei ne ha 22.
WordCount: 2547 @
fiumidiparole *°*
2012, Tokyo
Yabu spingeva con forza dentro il corpo di Kei. Si sentiva finalmente vivo, pieno di energie, mentre intorno a lui il mondo ruotava, senza fermarsi. Ma Yabu stava dentro Kei, sopra di lui, lo toccava, lo baciava, lo scopava.
Ed era tutto quello di cui aveva mai avuto bisogno. Kei gli sorrideva e lui si scioglieva davanti a lui perché non poteva fare altro.
Kei gli parlava e non riusciva a fare a meno di ascoltarlo, Kei rimaneva in silenzio e l'unica cosa che Yabu poteva fare, era stare a guardarlo.
Yabu si strinse a lui, mentre le unghie del più piccolo lo graffiavano e si artigliavano sulla sua schiena, facendolo quasi sanguinare. Ansimava, perso nei propri gemiti, con la bocca incollata su quella dell'altro, mentre i loro respiri si mescolavano, rendendoli ancora più uniti.
Le braccia di Yabu iniziavano a tremare per la stanchezza. Da quante ore andava avanti? Da quanto tempo era chiuso in quella stanza, dove l'unico odore che si sentiva era quello del sesso che si consumava fra quelle lenzuola e il sudore dei loro corpi?
Non lo sapeva e non lo voleva immaginare.
Era appagato, nonostante tutto ciò che lo circondava gli sembrava privo di ogni ragione. Ma gli bastava chinare lo sguardo per vedere l'unica cosa di cui aveva veramente bisogno e, ogni volta che lo faceva, Kei gli sorrideva e allora tutto il resto passava improvvisamente in secondo piano.
Gli venne dentro, con un gesto più deciso e profondo e gli parve di sentire il corpo di Kei tendersi sotto il suo, stringersi ancora di più. Il volto dell'altro si fossilizzò un attimo in una contorta smorfia di piacere e poi entrambi si accasciarono sul letto.
Yabu chiuse gli occhi, trovando a mala pena la forza di coprirsi. Si addormentò con il corpo di Kei premuto contro il suo.
**
2008, Tokyo
Era strano come a Yabu Kota il mondo sembrasse solo un misero ammasso di persone che vagano senza alcuna meta durante l'intero arco della loro vita.
Gli piaceva osserva le persone. A volte si fermava ad Ueno o a Shinjuku e osservava, senza fare altro.
Guardare le sfumature di ogni persona, i movimenti, i gesti. La felicità, la rabbia, il nervosismo.
Da un lato disprezzava tutte quelle sfaccettature umane, perché sono proprio quelle che impediscono all'uomo di perseguire i propri obiettivi.
Dall'altro lato però, ne era anche affascinato. Yabu non si era mai considerato un tipo sentimentale, ma nemmeno il classico robot che ragiona solo con la razionalità.
Gli era capitato, raramente, di lasciarsi guidare dall'istinto e dalle emozioni e ricordava bene che nessuna di quelle volte era finita bene.
Preferiva ponderare, scegliere, valutare e solo alla fine, dopo un'attenta analisi, scegliere la strada o la risposta.
Era in quel modo che aveva scelto di frequentare l'università di psicologia. Gli piacevano le persone, gli piaceva sviscerare ogni più profonda lacerazione umana, ne era quasi drogato. In quel periodo poi, c'era una forte richiesta di assunzioni da parte delle autorità sanitarie e, si è sempre saputo che i medici guadagnano abbastanza.
Yabu non era viziato, né capriccioso.
Era figlio di due imprenditori, ma questo non lo aveva reso un moccioso arrogante, convinto che tutto gli fosse dovuto. Aveva studiato nelle scuole migliori, era vero. Era andato in vacanza in posti esotici, era vero anche quello. Indossava abiti di marca e la sua stanza era tecnologica, ma tutto quello se lo era guadagnato.
Né a scuola, né al suo lavoro part - time, qualcuno gli aveva regalato qualcosa. Era così che i suoi genitori lo avevano cresciuto ed era in quel modo che sarebbe andato avanti.
Il suo sguardo fu attirato dal rumore di un gruppo di ragazzini. Yabu si voltò a guardarli.
Erano in quattro e indossavano tutti la divisa delle scuole superiori, probabilmente, a giudicare dall'assenza di stemmi e dalla semplicità della divisa, una scuola pubblica. I ragazzi si strattonavano e urlavano e Yabu rimase a guardarli, fino a che uno di loro non si voltò verso di lui.
Yabu sentì il fiato spezzarglisi nella gola. Il ragazzo era bello, troppo per essere un semplice essere umano.
Aveva il taglio degli occhi leggermene piegato verso il basso, le sopracciglia alte e un sorriso malizioso sulle labbra. Era slanciato e magro, troppo magro giudicò a primo colpo Yabu.
Il ragazzo non smise di fissarlo e per un secondo il più grande si sentì sotto pressione. Difficilmente gli capitava di non riuscire a sostenere lo sguardo di qualcuno, ma forzò sé stesso per non scivolare via.
Lo sguardo del ragazzo era affascinante. L'unica che cosa Yabu pensava guardandolo, era a come sarebbe stato vederlo nudo nel proprio letto. Non riusciva a pensare ad altro, mentre il ragazzo si avvicinava e si muoveva verso di lui.
Il giovane si fermò davanti a lui, senza dire nulla. Il sorriso si fece leggermente più ampio e Yabu sentì la mano dello sconosciuto sfiorargli la spalla. Cercò di impedire al proprio corpo di desiderare altri contatti.
Il ragazzo gli infilò un biglietto da visita dentro il taschino della giacca, accostando la bocca al suo orecchio.
« Mi trovi qua, dato che mi desideri tanto. »
Era solo un sussurro roco, basso, ma terribilmente erotico. Rimase in silenzio e osservò il ragazzo che si allontanava.
**
2012, Tokyo
Yabu sistemò la cocaina sul tavolo, dividendola in due strisce quasi uguali. Kei, ancora nudo nel suo letto, lo fissava, agitando pigramente le gambe e attendendo che il più grande finisse di sistemare la droga.
« Ci hai dato dentro, vero Ko - chan? » ridacchiò svagato l'altro ad un certo punto.
Si alzò sulle ginocchia, rimanendo nudo e fece aderire il proprio petto alla schiena del più grande, circondandogli la vita con le gambe.
Gli baciò lievemente il collo, mordendolo o leccandolo, mentre le sue dita si muovevano lentamente, di nuovo, verso l'erezione del più grande. Lo stuzzicò, ci giocherellò per qualche secondo prima di sentire di nuovo le mani di Yabu su di lui.
Gemette ricadendo con la schiena sul letto.
Da quanto tempo andavano avanti in quel modo? Non si vedevano per giorni, forse settimane e poi all'improvviso Yabu entrava come un tornado a casa sua, si chiudevano dentro quella stanza per giorni, solo con la cocaina che Kei spacciava per sopravvivere a fargli da compagnia.
Stava bene, anche se non avrebbe voluto. Si sentiva amato, anche se l'amore di Yabu era sempre stato contorto.
Lui era solo qualcuno di passaggio, non il fidanzato. Lui era solo una cosa che Yabu possedeva, non una persona.
Yabu arrivava, lo privava di tutto e poi se ne andava, per tornare quando voleva lui.
Kei lo aveva sempre saputo, ma aveva accettato. Perché Yabu era più forte di qualunque droga lui avesse mai provato.
Avrebbe potuto vivere senza cocaina, lontano da quel misero appartamento. Con fatica, ma ci sarebbe riuscito.
La sua vita senza Yabu non avrebbe avuto alcun senso.
Si lasciò andare di nuovo fra le sue braccia, ignorando la droga ancora sul tavolino. Non avevano bisogno di quella per poter stare insieme, per quanto gli permetteva di liberarsi di tutto ciò che li opprimeva.
Si lasciò andare, senza pensare ad altro.
**
2008, Tokyo
Yabu aveva cercato di lottare contro sé stesso, aveva provato a dimenticare quel ragazzino che con solo uno sguardo gli aveva fatto venire i brividi, ma non ci era riuscito.
Si era diretto al luogo dell'indirizzo e vide l'ingresso di un host club.
Entrò e presentò il biglietto che il ragazzo gli aveva dato. Lo accompagnarono in una stanza adiacente, più privata, dove vide il giovane di quella mattina al tavolo con un uomo, di parecchi anni più vecchio di lui. Stavano flirtando e non riuscì a trattenere uno spasmo di nervosismo.
Kei lo notò e, per la seconda volta in quella giornata, fissò i suoi occhi su di lui. Yabu si sentì improvvisamente nudo e fece per andarsene, ma l'altro lo fermò.
Si alzò e gli andò vicino, osservandolo ancora.
« Non sei cambiato da questa mattina. » lo prese in giro, sfiorandogli lievemente il collo con le dita.
Yabu si scostò, leggermente irritato, ma l'altro parve non accorgersene. Fece un gesto con una mano e i ragazzi prima accompagnarono fuori il vecchio. Kei si diresse verso il tavolo e attese che Yabu facesse lo stesso.
Parlare con Kei, il nome del ragazzo, era semplice, estremamente semplice, nonché piacevole.
Conversarono del più e del meno, le cose personali lasciate categoricamente fuori. Yabu avrebbe desiderato ardentemente chiedergli se aveva intenzione di passare il resto della notte con lui, ma qualcosa glielo impediva.
Eppure ogni gesto di Kei era limpido. Lo voleva anche lui e si divertiva a giocare al gatto e al topo.
Yabu era il topo e Kei il gatto, intrappolato fra le sue mani, dal suo sguardo e dal suo corpo.
Stava attendendo una proposta e Yabu non riusciva, d'altro canto, a resistere ancora a quella voglia lacerante che gli stava annebbiando il cervello.
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2012, Tokyo
Di nuovo Yabu ebbe la stessa impressione di tanti anni prima. Vedeva Kei, gli parlava e sentiva che si stava aspettando qualcosa, ma in quel caso non riusciva proprio ad immaginare che cosa.
Su di quello erano sempre stati chiari. Solo sesso e droga.
Si divertivano, si vedevano, senza impegni. Quando volevano, quanto volevano. Niente restrizioni di alcun tipo. Eppure in quel momento il modo di guardarlo di Kei era diverso, quasi... supplichevole.
Gli ricordò la prima volta che avevano litigato, quando Yabu aveva cercato di scavare a fondo dentro di lui, di leggergli i pensieri, di anticipare le sue mosse e Kei lo aveva liquidato con un semplice “Qui nessuno sa nulla di me. Tu meno degli altri.”
Aveva sempre odiato il secondo lavoro di Kei, anche se alla fine anche lui era stato preso dal vortice della cocaina.
Odiava vederlo mentre spacciava, aspettare che finisse le sue consegne, che portasse i soldi a chissà chi.
Odiava vedere come altra gente cercasse di approcciarsi a lui, odiava osservare Kei che si prostituiva in un host club.
Eppure non aveva mai fatto nulla per impedirglielo, ed era sempre rimasto in un angolo a guardare.
Aveva iniziato a drogarsi anche lui, più che altro perché desiderava continuare a toccare Kei e sapeva che quella era l'unica maniera.
Lo aveva guardato e aveva capito che Kei non sarebbe mai più uscito da quel giro, perché ormai la sua vita era legata a quella della cocaina.
Era stata quella sua prima sconfitta, Yabu lo sapeva.
Ora aveva di nuovo Kei fra le braccia, che sospirava e gemeva, che aspettava qualcosa. Qualcosa che Yabu non era in grado di dargli.
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2010, Tokyo
Yabu non si era mai considerato tipo da innamorarsi. Non gli piaceva la sensazione che gli dava, quel vago torpore che gli annebbiava i sensi, il sentirsi legato a qualcuno.
Non gli era mai piaciuto, quindi aveva sempre cercato di evitare e di approfondire qualcuno relazione pericolosa.
Si divertiva, faceva sesso. Ma non si era mai innamorato.
Eppure con Kei era stato diverso. Alla fine era successo e lui per amore, pur di stargli vicino, aveva iniziato a distruggere la sua vita.
Lentamente.
Si avvicinava a lui il tempo necessario per stordirsi, poi per settimane stava lontano, permettendo al suo corpo di riprendersi, di disintossicarsi, sia dalla droga che da Kei.
Lo amava. Lo amava e non riusciva a dirglielo perché non poteva permettersi quella vita, perché non poteva continuare a guardare Kei che si drogava senza fare nulla.
Eppure Kei non avrebbe ammesso intromissioni nella sua vita, era sempre stato molto chiaro su quel punto.
“Smetto quando voglio smettere.”
Ecco cosa gli diceva sempre. E, in due anni, non aveva mai smesso. Magari Kei non considerava Yabu una buona occasione per smettere.
Magari preferiva quei loro incontri sporadici. Magari lo vedeva solo come qualcuno che se lo portava ripetutamente a letto, ora dopo ora, ignorando la stanchezza e la fatica.
Avrebbe voluto parlargli, ma non sapeva se fosse stato in grado di sostenere un rifiuto del genere.
Aveva già subito una sconfitta a causa di Kei e non intendeva subirne una seconda.
**
2012, Tokyo
Si svegliò che era di nuovo tardi. Kei si guardò intorno e vide che era da solo.
Di nuovo, per l'ennesima volta, da solo. Yabu aveva avuto quello che voleva, si era lavato e vestito ed era tornato chissà dove.
Kei non gli aveva mai chiesto nulla della sua vita. Non gli importava e poi sapeva che l'altro non gli avrebbe risposto.
A quel punto, ad un muto silenzio, preferiva i gemiti di piacere.
Si alzò faticosamente e osservò il tavolo. Le due strisce erano ancora là, intatte. Kei le guardò per un periodo imprecisato e poi andò a lavarsi.
Tornò nella stanza, si gettò di nuovo nel futon e prese il telefono, mandando una mail a Yabu.
Se lui avesse lasciato quella vita, Yabu sarebbe stato al suo fianco? Lo avrebbe finalmente visto come un ragazzo, come qualcuno che lo amava e non come qualcuno da portarsi a letto?
Nell'attesa di una risposta da parte di Yabu, Kei si alzò di nuovo in piedi e sistemò casa. Nonostante la voglia iniziasse a farsi sentire, rimise a posto la droga, infilandola in un cassetto con il doppio fondo.
Lavò i piatti, fece una lavatrice, stese i panni. Pulì per terra, poi spolverò tutta casa.
Fece qualunque cosa pur di tenersi occupato, pur di non pensare alla droga nel cassetto, pur di non pensare a quanto diamine ci stesse mettendo Yabu a rispondergli.
Eppure la domanda era abbastanza semplice. Se avesse lasciato quella vita, avrebbe potuto amarlo?
Bussarono alla porta. Sorpreso andò ad aprire e davanti a lui vide Yabu, che ansimava.
« Ero ancora nel quartiere. » si giustificò l'altro arrossendo « Ho letto il tuo messaggio e sono tornato qua. »
« Entra. »
Yabu si guardò intorno. Gettò uno sguardo alla stanza da letto e vide che era tutto in ordine. La droga era sparita e l'intero appartamento era pulito.
Iniziarono a parlare, di nuovo. Come al loro primo incontro di quattro anni. Parlarono, fino a che non misero a nudo i loro cuori.
**
2013, Tokyo
Yabu aveva sempre saputo, in una piccola parte del suo cuore, che ciò che Kei gli aveva promesso era solo una grande menzogna.
Eppure aveva voluto crederci, perché lo necessitava. Necessitava di sentirgli dire quelle parole, perché aveva iniziato a vivere solo per lui.
Quando gli aveva promesso che sarebbero stati insieme per sempre, gli pendeva letteralmente dalle labbra.
Quelle parole erano aria e non si può vivere senza aria.
Aveva osservato completamente stravolto il corpo di Kei sul divano, morto. Sul tavolo della cocaina.
Overdose. Collasso cardiaco.
Così aveva catalogato un medico legale quella morte.
Ma Yabu sapeva che non era così perché sapeva con chi lavorava Kei prima di lasciare quella vita e sapeva che erano persone che non avrebbe perdonato, che li avrebbero seguiti, che avrebbero chiesto il conto.
E quello alla fine era stato il loro prezzo. Se loro non potevano avere Kei, allora Kei sarebbe morto.
Niente di più semplice che far assumere a qualcuno che non prendeva più droghe che una piccola dose per endovena.
Kei doveva essere morto nel giro di poco tempo.
E osservava, adesso, il corpo di Kei all'obitorio.
Sempre quel sorriso vagamente malizioso, quel sopracciglio alzato. Quello sguardo, nonostante gli occhi chiusi, che gli sembravano dire qualcosa.
“Andrà tutto bene. Stai tranquillo. Staremo insieme per sempre.”
Quello gli ripeteva sempre, ogni sera, prima di dormire. Ma Yabu sapeva che lo diceva più per sé stesso, anche se non glielo aveva fatto capire.
Adesso, osservando il corpo di Kei su una barella di acciaio, si chiese cosa avrebbe fatto.
Aveva perso Kei.
Come si può respirare se non hai aria per farlo?
Fine.