[Percy Jackson e gli dei dell'Olimpo] You are the only light I ever saw (parte 1)

Feb 06, 2014 00:43

Titolo: You are the only light I ever saw
Fandom: Percy Jackson e gli dei dell’olimpo
Pairing: Gareth Mahe (OC) x Nico Di Angelo
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, su tutta la seconda saga
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Nico di Angelo entrò dentro al fast-food messicano “Taco del Diablo” a passo svelto. Erano passate le dieci di sera e si era svegliato poco prima con una fame che sembrava divorarlo dall’interno.
Note: Scritta per il COW-T4 con il prompt “Until we bleed - Lykke Li” e per la 500themes-ita con il prompt “443. Attaccato da un sogno.”
Note 2:
* Piatto formato da tortillas, pollo, peperoni, verdure, crema al latte, salsa rossa al pomdoro, chili
** Piatto formato da tre tacos misti
*** Piatto formato da involtini, carne con formaggio, peperoncino jalapeno
WordCount: 13.307 fiumidiparole

Nico di Angelo entrò dentro al fast-food messicano “Taco del Diablo” a passo svelto.
Erano passate le dieci di sera e si era svegliato poco prima con una fame che sembrava divorarlo dall’interno.
Appurato che tutti i suoi ristoranti a domicilio preferiti avevano già smesso di fare le consegne, l’unica opzione ragionevole che gli era rimasta era quella di uscire di casa (e no, cucinare non era tra le “opzioni ragionevoli”). Aveva quindi afferrato giacchetto e portafoglio e, appena chiuso il portone del condominio alle spalle, si era infilato nel primo fast-food che aveva trovato.
A Nico piaceva la cucina messicana.
A dir la verità, gli piaceva qualunque cucina che non implicasse la sua presenza diretta dietro i fornelli.
Il ragazzo raggiunse il bancone, tenendosi in disparte per non intralciare la fila, osservando i menù e le offerte presenti. Si morse il labbro. Avrebbe mangiato la cassa con tutto il cassiere tanta era la fame aveva.
Si mise finalmente in fila e avrebbe desiderato che andassero più veloci. Che fast-food era se mancava la parte del “fast”?
« Buonasera e benvenuto dal “Taco del Diablo”! » lo accolse finalmente il commesso, quando Nico lo raggiunse.
Il ragazzo borbottò un saluto, tenendo gli occhi fissi sul tabellone.
« Umh… volevo un menù enchiladas in salsa roja* con una Coca-Cola, un tritacos** e… umh… un pajaritos***. » ordinò chinando finalmente gli occhi sul commesso.
Nico lo riconobbe.
Lo aveva già intravisto là, nelle due o tre volte che gli era capitato di mangiare da loro. Il commesso gli stava parlando, ma lui non riusciva a metabolizzare ciò che gli stava dicendo.
Era un tipo strano, che tentava sempre di attaccare bottone con lui e Nico non comprendeva il perché, quindi aveva deciso di ignorarlo.
Il giovane sembrava uscito dall’annuario scolastico dei giocatori di football di un college. Era alto, molto più alto di Nico, con i ciuffi di capelli biondi che gli sbucavano da sotto quel ridicolo cappello arancione e nero e gli occhi dello stesso azzurro del cielo (erano così chiari che quasi gli sembrava potesse specchiarcisi). Era magro, ma muscoloso, come se avesse fatto sport per tanti anni, il classico bravo ragazzo di una famiglia numerosa che era sempre gentile e buono con tutti.
E continuava a sorridergli. Gli sorrideva sempre. Con quel sorriso di chi sa di avere già la vittoria in pugno. Nico fece scorrere lo sguardo sul ragazzo, in posa davanti a lui, appoggiato sul bancone come se stesse flirtando con qualcuno.
Il figlio di Ade si guardò intorno, cercando la persona alla quale stava sorridendo. Ma lui era l’ultimo della fila e le sue enchiladas stavano tardando ad arrivare.
Distolse lo sguardo, a disagio e imbarazzato, prendendo il portafoglio e decidendosi a pagare. Ma l’altro non demorse.
Prese le banconote, sorridendogli, rivelando due file di denti bianchi stile modello televisivo.
« Sai, ti ho già visto qua, qualche volta. » riprese il cassiere, osservandolo.
Nico non lo fissò, ma incrociò le braccia al petto. Osservare i menù sopra di lui era molto più interessante.
Mugolò una risposta, ma qualcosa gli disse che al giovane importava solo fare conversazione. Il perché, per Nico, continuava a rimanere un mistero.
Forse era un lavoro noioso quello e parlare con i clienti lo aiutava a superare le ore di lavoro.
« Abiti qua vicino? » chiese appoggiando sul vassoio « Sai, io fra poco finisco il turno. Potrei accompagnarti a casa. »
Nico lo fissò ad occhi lievemente sbarrati, la bocca dischiusa.
« Scusami? »
« Ah, ma allora sai parlare! » il ragazzo appoggiò il vassoio davanti a lui « Volevo solo sentirti parlare un po’ di più. »
Nico rimase per qualche secondo senza parole e quindi il commesso ne approfittò per sporgersi un po’ di più verso di lui, sorridendogli ancora. Gli occhi, sotto la visiera del cappello, brillavano di una luce da vincente.
« Sappi però che il mio invito è sempre valido. Stacco solo fra mezz’ora. »
« No grazie. So tornare a casa da solo. » borbottò Nico afferrando il vassoio, seccato, e dirigendosi verso un tavolo, il più lontano possibile dalla cassa e fuori dalla vista del mortale.
Eppure (fu più forte di lui), prima di entrare nella sala adiacente, si voltò un’ultima volta per guardare verso il cassiere.
Gareth (sì, aveva ceduto ancora e aveva sbirciato sul cartellino appuntato sul petto) lo stava fissando ancora. Quando si rese conto che si era fermato per guardare lui, sorrise di nuovo e agitò la mano. Nico arrossì e si voltò immediatamente, entrando finalmente della stanza. Borbottando contro l’inutilità dei mortali si sedette, iniziando a mangiare.
A volte erano proprio incomprensibili. Difficilmente Nico mai li avrebbe compresi fino in fondo.

Qualche giorno dopo, Nico si svegliò presto per i suoi standard. Era solo pomeriggio inoltrato. Negli ultimi due giorni era rimasto sveglio ininterrottamente, senza concedersi nemmeno un secondo di riposo per via di una missione al campo mezzosangue.
Quando vi aveva rimesso piede sentì l’aria tranquilla invaderlo completamente e lo aveva trovato un po’ rilassante. Si stava bene là, in riva al lago, in pace e in tranquillità.
Nico aveva provato a viverci tutto l’anno, come altri suo conoscenti, ma non c’era riuscito. Non riusciva ad integrarsi con loro oppure non si sforzava abbastanza di fare amicizia.
C’era sempre qualcosa, qualcosa che non andava mai bene. Stava con loro, si allenava e ci stava anche volentieri a volte, eppure… non ci riusciva.
Sapeva perché non andava e sapeva anche che abbandonare il Campo Mezzosangue per andare a vivere in un appartamento da solo a New York non era la scelta più coraggiosa da fare, ma Nico non aveva bisogno di dimostrare niente a nessuno.
Si guardò intorno e poi cercò di raggiungere velocemente l’alloggio di Chirone. Per quel poco che aveva capito doveva fare da ambasciatore nell’Oltretomba per conto del Campo su non sapeva bene qualche questione.
Stava aggirando la casa di Atena quando era andato a sbattere contro qualcuno che usciva di soppiatto da una stanza. Alzati gli occhi, si era ritrovato di fronte Percy.
Nico osservò prima Percy e poi la stanza.
Non osava mettere in dubbio che fosse quella di Annabeth. Qualcosa dentro di lui punse, un po’ come il sottile dolore che uno sente quando si fa un’iniezione.
Non era niente di che, ma era un dolore che c’era, sempre presente. Lo scostò senza troppe cerimonie.
« Ehi Nico! Che ci fai qua? » gli aveva chiesto sorridendogli il più grande, battendogli una mano sulla spalla.
« Devo andare da Chirone. » aveva mugolato « E sono in ritardo. Ciao. »
Si era liquidato da solo, senza pensarci troppo.
Meno tempo stava con Percy, meglio era per tutti. Decisamente, aveva fatto bene a lasciare il Campo.
Ripensando a Percy, Nico entrò nella sua solita caffetteria. Il sobborgo in cui viveva, Bushwick a Brooklin, era un concentrato di negozi dai più disparati. Potevi trovare tranquillamente un buco di negozio che vendeva roba esoterica messicana e accanto un ristorante di cucina tipica finlandese e poco più in là una boutique di vestiti francesi.
Nico avrebbe potuto tranquillamente andare ad abitare a Bensonhurst, dove era presente una grande comunità di italo-americani, ma la sola idea lo intristiva, ricordandogli la vita che aveva prima di entrare nell’Hotel Casinò Lotus, quando abitava a Venezia con sua madre e sua sorella.
E poi a lui piacevano gli ispanici. Quindi alla fine, la scelta era stata quasi scontata.
Si sedette in un tavolo in fondo, ordinando un doppio cappuccino.
Forse avrebbe dovuto mangiare.
Era dalla cena al fast-food messicano che non mangiava nulla, sia per mancanza di fame, che per mancanza di tempo.
Sua sorella Hazel gli diceva sempre che avrebbe dovuto mantenere uno stile di vita regolare, dormire di notte e mangiare almeno tre volte al giorno. Ma Nico non ce la faceva.
Era più forte di lui. Gli piaceva vivere la notte, girare la città quando era buio, osservarla in ogni suo istante. Mangiare non era una priorità. Era magro (forse troppo, ma a lui non importava) ma non così tanto da cascare in terra.
Mangio sì, ripeteva sempre ad Hazel, quando ho fame mangio!
Sbuffando affondò il viso nel cappuccino, cercando di escludere dalla sua mente ogni pensiero negativo.
Aveva davanti a sé tutta la sera e la notte per riposarsi prima di tornare al Campo Mezzosangue. Socchiuse gli occhi. Forse sarebbe rientrato a casa a dormire. Di nuovo.
« Ehi! Ma tu sei il ragazzo del fast-food? »
Nico udì solo una voce, ma non si mosse. L’odore del cappuccino era troppo buono per mettersi ad ascoltare le conversazioni degli altri.
« Bello Addormentato! Stai dormendo dentro alla tazza? »
Il ragazzo schiuse un occhio, osservando davanti a sé. Seduto davanti a lui c’era Gareth, che sorrideva. Nico sussultò, facendo scivolare indietro la sedia, rovesciando il cappuccino.
« Cosa… ah, diamine! » sibilò poi irritato tentando di tamponare con dei fazzoletti la cascata che scivolava oltre il tavolo.
Lanciò un’occhiataccia all’intruso, sperando che se ne andasse.
Ma che diamine voleva da lui?
Stava per intimargli di andarsene quando Gareth scoppiò improvvisamente a ridere, abbandonandosi sullo schienale della sedia dietro di sé.
« Cosa… ridi? » mormorò perplesso.
Decisamente. Mortali. Un mondo a parte.
Gareth continuò a ridere senza riuscire a respirare, indicandosi di tanto in tanto la bocca. Riuscì a fermarsi un secondo, asciugandosi gli occhi e di nuovo si indicando la faccia.
« Hai… i baffi… la schiuma… » ansimò, prima di scoppiare nuovamente a ridere.
Nico rimase immobile un istante prima di comprendere. Afferrò un fazzoletto, asciugandosi la bocca, imbarazzato. Distolse lo sguardo, fissando a terra.
L’altro fermò la cameriera che era arrivata in suo soccorso con delle spugne assorbenti, chiedendogli che cosa potesse portargli.
« Un cappuccino doppio al caramello, una porzione di pancake con lo sciroppo d’acero e… un altro di quello che aveva preso lui. Grazie. » gli allungò una banconota da venti dollari « Puoi tenerti il resto. » commentò poi sorridendogli.
Nico borbottò, frugandosi nelle tasche dei jeans alla ricerca degli spiccioli.
« Non ne ho bisogno, grazie. Anche se è colpa tua se mi è caduto il cappuccino. »
« Mia? » l’altro gli rivolse di nuovo un sorriso smagliante « Stavi dormendo ed è colpa mia? »
« Non… » si interruppe sbuffando, senza guardarlo.
Nico non era bravo ad interagire con le persone, tanto più se queste erano vive. C’era un motivo se non frequentava quasi nessuno.
I due cappuccini arrivarono quasi subito e Nico affondò di nuovo l’imbarazzo nella propria tazza, premurandosi, questa volta, di non avere baffi sul viso.
« Fai degli orari veramente buffi. » iniziò Gareth « Le persone normali fanno colazione la mattina, no? » commentò poi, infilandosi in bocca un enorme pezzo di pancake.
Nel guardarlo, lo stomaco di Nico fece una capriola. E non per l’emozione, ma per il disgusto. Solo a sentire l’odore dolce del pancake gli veniva la nausea.
Gli scoccò un’occhiataccia.
« Stai facendo colazione davanti a me. Nemmeno tu sei tanto “normale” o sbaglio? » lo apostrofò.
« Ma io sono giustificato. Ho finito il mio turno di lavoro circa quindici minuti fa. Ah, e per la precisione, non sono “tu”, ma Gareth. »
« Beh, ho lavorato anche io. » bevve un sorso di cappuccino « Mi chiamo Nico e no. Non te lo dico che lavoro faccio. » lo anticipò socchiudendo gli occhi per un attimo.
L’altro chiuse la bocca, imbronciandosi, e Nico lo guardò ancora. Aveva molti più capelli di quello che si era immaginato, con ogni ciuffo sparato in una direzione diversa, probabilmente a causa del cappellino che indossava a lavoro, dando così l’impressione che si fosse appena alzato dal letto dopo una lunga dormita.
Alla luce naturale del sole che tramontava, i suoi occhi sembravano ancora più chiari.
Indossava una maglietta larga e consumata, con la scritta “Aerosmith” che troneggiava sul petto (Nico si chiese chi fossero), e, scivolando un po’ più giù, vide che portava un paio di pantaloni di pelle e una catena come cintura.
Nico finì di bere il cappuccino in silenzio, meditando, mentre Gareth continuava a mangiare affamato. Non incontrava un ragazzo che meritava l’appellativo di “carino” da… beh, da quando aveva conosciuto Nathaniel. O meglio, era anche passato un bel po’ di tempo dall’ultima volta che aveva parlato con un mortale. Un mortale giovane. Soprattutto vivo.
Gareth abbandonò le posate nel piatto vuoto, bevendo un lungo sorso del proprio cappuccino, lasciandosi poi andare ad un vero e proprio gemito di soddisfazione. Rimase ad occhi chiusi un paio di secondi e poi li piantò di nuovo in quelli neri di Nico.
« Allora, per quella proposta di accompagnarti a casa? »
Il figlio di Ade roteò gli occhi e sbuffò di nuovo, incrociando le braccia al petto, osservandolo di soppiatto attraverso la frangia spettinata.
« No. Ti ho già detto che so tornare a casa da solo. »
L’altro scosse le spalle, arricciando di nuovo le labbra in un verso infantile di disapprovazione e Nico lo fissò più intensamente.
« Cos’è, mi stai pedinando per caso? »
« Ehi, pensi di essere l’unico abitante del quartiere? » replicò Gareth divertito.
« Quindi ti siedi al tavolo di tutti i tuoi clienti del fast-food? » chiese ancora, sospettoso e perplesso allo stesso tempo.
« No. Solo di quelli particolarmente belli. Come te. »
Il semidio sentì come se il volto gli dovesse andare a fuoco da un momento all’altro.
« Scusami? » boccheggiò.
Il più piccolo fece un cenno con la mano, come a dire di lasciar perdere e si sporse ancora di più verso di lui, adesso quasi steso sul tavolo, mentre lo osservava dal basso verso l’alto.
« Ora io vado a fare un salto ad una libreria a Sunset Part, vuoi venire con me? »
Gli occhi di Nico quasi si spalancarono per la sorpresa.
Senza ombra di dubbio, a quel ragazzo doveva mancare qualche rotella.
« Emh. No. No grazie. Io.. ho da fare. » replicò senza parole.
Si alzò in piedi, abbandonando sul tavolo tre dollari per il proprio cappuccino e si avviò a grandi passi verso l’uscita del locale.
Mentre stava aprendo la porta sentì un brivido corrergli lungo la colonna vertebrale.
Si voltò di scatto, ma Gareth era tutto concentrato nel mandare un messaggio dal cellulare, la schiena appoggiata al muro.
Vicino al tavolo dove erano seduti, Nico poteva intravedere l’alone di uno spirito vagante che andava formandosi e alzò un sopracciglio.
Non se ne era accorto fino a quel momento, anche se negli ultimi quindici anni gli era capitato più che spesso. Ormai era talmente abituato alla loro presenza, che casa sua ne era praticamente infestata. Ma al ragazzo non davano mai fastidio, probabilmente perché era il figlio di Ade, il boss in persona.
Per lo stesso motivo li attirava a sé in maniera istintiva e naturale, ma, prima di andarsene a casa a dormire si chiese perché quello appena apparso sembrava fissare insistentemente Gareth.
Appurato che lo spirito non sembrava animato da cattive intenzioni, Nico scosse le spalle, sbadigliò, e andò via.

Il loro incontro successivo avvenne in tarda nottata. Nico stava camminando lungo una strada pedonale che costeggiava il fiume Houdson. Sentiva l’aria fredda dell’oceano grattagli la faccia, ma, in fondo, stava bene. Aveva le mani infilate in tasca e una sciarpa stretta intorno al collo, nonostante fosse già inizio estate.
Camminava lentamente.
Doveva darci un taglio, soprattutto perché andare vicino ad un qualunque corso d’acqua (dallo stagno all’oceano, indiscriminatamente), lo faceva sempre pensare a Percy, lasciandogli un retrogusto amare in bocca.
Lo aveva amato quasi fino a sanguinare e Nico sapeva per esperienza che certe ferite non si possono rimarginare, nemmeno con il tempo.
Percy era un po’ sullo stesso piano di Bianca. Seppur in maniera diversa, aveva amato anche lei.
Poi sua sorella lo aveva abbandonato, lasciandolo cadere in un pozzo senza fine, permettendogli di distruggersi in mille pezzi.
E per quanto Nico ci avesse provato (e solo il fiume Stige lo sapeva quanto avesse provato) non era riuscito ad andare del tutto oltre.
Si chiese in chi l’anima di sua sorella avesse scelto di reincarnarsi. Dopo il loro ultimo incontro, non era più stato in grado di ritrovarla e aveva quindi supporto che avesse deciso di raggiungere i Campi Elisi e di bere le acque del fiume Lete. Erano passati più di dieci anni ormai.
Alla fine, la sua parte razionale si era semplicemente arresa e aveva smesso di cercarla.
Sospirò, sedendosi su una panchina in riva al fiume.
Gettò la testa al’indietro, osservando il cielo stellato.
Dalla tasca dei jeans tirò fuori un pacchetto di sigarette malconcio. Ne prese una, portandosela fra le labbra e accendendola con un gesto rapido.
Aveva iniziato a fumare all’età di quattordici anni, dopo essere stato prigioniero nel Tartaro. Lo aiutava, i primi tempi, a distendere i nervi nelle notti in cui raggiungere l’alba gli sembrava impossibile.
All’epoca dormiva da solo nel grande tempio dedicato ai figli di Ade e gli sembrava di essere costantemente in fuga da sé stesso. Quando inspirava una lunga boccata di fumo lo sentiva bruciargli la gola, mentre la nicotina iniziava a scorrergli nelle vene, calmandolo. Erano state tante le nottate popolate da incubi e da mostri terribili, quando era continuamente attaccato dai sogni, senza via di fuga.
Poi era diventato un vizio. Certo, aveva ancora qualche nottata difficile, ma era molto raro.
Aveva affrontato i propri demoni e li aveva esorcizzati. Ne era uscito vincitore.
Nico sbatté le palpebre un paio di volte, ritornando al presente.
Spense il mozzicone di sigaretta ormai arrivato quasi alle dita, contro la suola delle scarpe e la gettò nel cestino più vicino. Si alzò in piedi, stiracchiandosi.
Era già qualche giorno che non lavorava, se non qualche impiccio con dei mortali che lo avevano scambiato per un medium e gli chiedevano di mettersi in contatto con i loro defunti per chiedergli qualcosa.
Lui ci rimediava qualche soldo e loro, la maggior parte delle volte, se ne andavano via abbastanza soddisfatti.
Tornò verso casa, continuando a guardarsi intorno. Gli piaceva la notte. Era rilassante. C’era il buio, c’era il silenzio, c’era tutto quello che a lui piaceva di più.
Quando raggiunse Knickerboker Avenue, la via dove abitava, si fermò al distributore automatico per comprarsi un pacchetto di sigarette nuovo e poi si bloccò poco lontano dalle scale del suo condominio.
Semi sdraiato sui gradini, vide Gareth.
Superando quasi subito la fase dello stupore per entrare in quella dell’irritazione, lo raggiunse a lunghi passi e si piazzò davanti a lui.
« Cosa ci fai qua? » ringhiò.
« Mi pare ovvio. Ti aspettavo. » gettò uno sguardo al polso « Certo che è proprio tardi. Ti pare l’ora di tornare a casa? »
« Io… torno a casa quando mi pare e piace e adesso smettila di starmi dietro e sparisci. Immediatamente. » sputò alla fine.
Gareth si alzò in piedi, spolverandosi i pantaloni di pelle. Nico lo guardò ancora. Non capiva il perché.
Quella notte Gareth indossava una felpa pesante con dei disegni di tatuaggio della Santa Muerte messicana e dei pantaloni che giudicare attillati era un eufemismo.
Distolse lo sguardo, imbarazzato.
« Non mi va. Per dire la verità ho voglia di andare a bere qualcosa. Con te. »
« Assolutamente no. » salì le scale, scostandolo malamente, prendendo le chiavi di casa « Anzi, vattene. »
Gareth si voltò verso di lui e Nico sapeva che lo stava fissando anche se non poteva vederlo. Riusciva a sentire il suo sguardo sulla schiena e non sapeva perché sentiva quella vaga sensazione di disagio misto ad aspettativa quando lo vedeva.
« Mh. Facciamo un patto. Tu vieni a bere una birra con me e io poi ti lascio stare. Che ne dici? »
Nico si voltò verso di lui di scatto.
« Mi lasci in pace? Davvero? Dov’è il trucco? » chiese sospettoso.
« Nessun trucco. Allora, che ne dici? »
Il semidio scese di nuovo le scale, piazzandosi davanti a lui.
« Allora, dove andiamo? » chiese.

Il pub dove Gareth lo aveva trascinato era praticamente una bettola. Si entrava da un anonimo ingresso che sembrava quello di un condominio e poi avevano fatto due rampe di scale che scendevano verso lo scantinato.
Nico era quasi sicuro che quel posto fosse più che illegale, ma con la prospettiva di non avere più rotture di scatole era rimasto in silenzio.
Si sedettero in un tavolo in un angolo e Gareth ordinò due boccali di birra.
« Non ne bevo così tanta. Io sono astemio. » borbottò storcendo il naso, spingendo la propria parte verso Gareth.
Vide un guizzo di divertimento brillare negli occhi chiari del ragazzo, ma non ne comprese il motivo.
« Ma dai. E’ questo il divertimento. Non ti sei mai ubriacato in vita tua? » domandò ridendo, riportando il boccale nella sua posizione originaria.
« …no. E allora? C’è qualche problema? » chiese sulla difensiva.
Gareth rise ancora di più, poi appoggiò il gomito sul tavolo, lasciando scivolare la testa sul palmo aperto, fissandolo.
« No. Anzi, è più che perfetto così. » mormorò con un sorrisetto strano.
Nico sospirò. Prese il proprio boccale con entrambe le mani, bevendo un lungo sorso. Lo riappoggiò sul tavolo, con un verso schifato.
« Che schifo, è amara! » si lamentò.
Gareth lo imitò.
« Dici? A me piace. »
Il figlio di Ade sbuffò, bevendo ancora, senza nascondere il proprio disgusto. Gareth si avvicinò a lui con la sedia, quasi sfiorandogli la spalla.
« Oggi a lavoro abbiamo finito tutte le riserve di tortillas. Da noi vengono in tanti a chiederceli. Dicono che sono buoni. »
Si fermò un secondo, aspettando qualche replica da parte di Nico che non arrivò, ma non si perse d’animo.
Continuò a parlare, ma Nico era troppo concentrato sulla sua birra per ascoltarlo realmente. Iniziava a girargli la testa, anche se non aveva nemmeno raggiunto metà boccale.
I rumori intorno a lui iniziavano ad ovattarsi e anche il vociare degli altri clienti iniziava a farsi più sopportabile.
Si sentiva quasi più leggero. E anche la birra iniziava a sembrargli più gustosa. Non tanto, ma quasi accettabile.
Bevve ancora, superando la metà. La voce di Gareth gli penetrò nelle orecchie all’improvviso e istintivamente fece ricadere la testa su una spalla, vicino al viso del ragazzo. Riusciva a sentire il suo odore di dopobarba forte che gli penetrava nelle narici, inebriandolo.
« …lo sai che da noi i nachos sono fatti tutti a mano? » chiese all’improvviso Gareth.
Nico rimase un secondo immobile per quella stupidaggine, poi scoppiò improvvisamente a ridere e dovette appoggiare di nuovo il boccale sul tavolo, appoggiandosi a lui per non cadere a terra dalle risate.
A Nico non capitava spesso di ridere così forte. Non era una persona triste, né difficile da accontentare. Si divertiva, a modo suo. Da solo. Quindi non aveva molte occasioni per scoppiare a ridere.
Si sentiva la testa così leggera che gli sembrava quasi di galleggiare. Si asciugò gli occhi dalle lacrime, continuando a ridere.
« Ehi, ci sono riuscito allora? »
« Mh? » commentò Nico bevendo ancora la birra « A fare cosa? »
« A farti ridere. Pensavo che tu avessi una paresi facciale azionata sul “Sono incazzato con il mondo, lasciatemi in pace”. »
Nico ridacchiò ancora.
« Che idiota. Solo perché mi piace stare per conto mio devo passare per quello incazzato? » domandò quasi offeso « Io in realtà sono in pace con me stesso e con il mondo. Tranne quando mi ritrovo chiuso dentro una giara da due giganti psicopatici che pensano di essere delle ballerine. »
Nico sospirò con fare teatrale, ignorando la faccia perplessa di Gareth.
« Diamine, sei veramente ubriaco per dire queste cose. » commentò con gli occhi spalancati.
« Non sono ubriaco! » esclamò a voce alta « E comunque è tutto vero! Sono stato in una giara per sei giorni e potevo mangiare solo un seme di melograno al giorno se volevo sopravvivere! »
« Emh… sì. Va bene Nico. » gli allontanò da davanti la birra « Forse è meglio se andiamo a casa, che ne dici? »
« Dammi la mia birra! Avevi detto che se venivo a bere con te poi mi avresti lasciato in pace, no? Beh, mio caro Gareth “Dai Capelli Splendenti”, non ho ancora finito. »
« Cosa…? “Capelli Splendenti”? » sospirò, lasciandosi poi ricadere contro lo schienale della sedia, divertito « Allora va bene, continua pure a bere. »

Nico sentiva tutto il suo corpo improvvisamente pesante mentre, stretto ad un braccio di Gareth, saliva faticosamente le scale del pub.
Finalmente all’aria quasi gelida della notte si aggrappò alla ringhiera del palazzo, inspirando a pieni polmoni. Si sentiva un po’ meglio.
Almeno il perenne giramento di testa che lo aveva colpito poco prima di finire la birra stava passando. Il mondo si era finalmente fermato e lui riusciva a stare dritto sui propri piedi.
Gareth si avvicinò a lui, allacciandogli al collo la sciarpa che Nico aveva abbandonato sul tavolo poco prima.
« Su, ti riaccompagno a casa. » esclamò poi avvicinandosi a lui, circondandogli la vita con un braccio e tirandolo contro di sé.
« Avevi detto che mi avresti lasciato in pace! » si lamentò Nico tentando di scostarsi, senza riuscirci e non poté fare che abbandonarsi contro il suo braccio, sbuffando.
« Si certo. Ma pensi davvero che io possa abbandonarti in mezzo ad una strada quando a meno di cinque chilometri da qua c’è la base di un cartello della droga messicano? » chiese.
Nico sospirò. Non si sentiva molto bene effettivamente. Forse una passeggiata (in compagnia di qualcuno che avrebbe potuto sorreggerlo nel caso gli fosse venuto in mente di vomitare dentro un cespuglio) lo avrebbe aiutato a riprendersi.
« Posso camminare da solo, comunque. » borbottò riuscendo a divincolarsi, iniziando ad incamminarsi.
Il figlio di Ade non era sicuro che fosse tutto merito della propria forza. Forse Gareth lo aveva lasciato andare. Ma pensare di essere più forte di lui andava bene lo stesso. Gli piaceva come idea.
« Va bene, va bene. Però se rischi di cadere a terra posso prenderti? » chiese il ragazzo, raggiungendolo.
Nico si fermò a pensarci, osservando il cielo. Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro. Gareth era caldo. Sì, ci poteva stare. Era un buon compromesso. Anche perché l’alternativa (il cemento duro e gelido del marciapiede) non era migliore.
Annuì, mugolando qualcosa.
Camminarono, l’uno accanto all’altro, mentre Gareth aveva ripreso a parlare del più e del meno. Nico si stava lentamente riprendendo. Il senso di appannamento dell’udito e della vista stava passando. Ogni tanto inciampava nei suoi stessi piedi e Gareth si affrettava ad afferrarlo per il giacchetto, riportandolo eretto.
Nico continuò a non dire nulla. Adesso che l’effetto della birra iniziava a lasciare solo un vago retrogusto di sapore amaro nella bocca, insieme ad una strana sensazione di allegria perenne.
Di tanto in tanto ridacchiava in maniera pacata alle frasi di Gareth. Chissà, se le cose fossero andate diversamente (entrambi mortali e lui che aveva una vita normale) magari sarebbero anche potuti diventare conoscenti.
Ma lui era il figlio di Ade. Non poteva permettersi nulla di più. Non voleva rischiare di scottarsi (di nuovo), né di essere preso per pazzo.
Quando finalmente raggiunsero casa sua, Nico salì lentamente le scale, osservando con attenzione i propri piedi, uno dietro l’altro. Prese le chiavi di casa e dopo tre o quattro tentativi falliti di infilare la chiave nella serratura, Gareth apparve al suo fianco.
« Ti aiuto io, aspetta. »
Nico annuì e lasciò cadere le chiavi fra le sue mani. Salì le scale, raggiungendo il terzo piano del palazzo e anche là permise a Gareth di aiutarlo.
Aveva improvvisamente sonno. Desiderava solo lasciarsi cadere nel letto e dormire, fino alla sera del giorno dopo.
Entrò in casa e ignorò il fischio sorpreso del ragazzo.
Nico aveva trovato quell’appartamento per un prezzo stracciato. Nessuno nel quartiere voleva vivere là. Dicevano che era maledetto, infestato dai fantasmi di chi era stato ucciso quasi dieci anni prima. Gli avevano raccontato di un terribile omicidio in cui un’intera famiglia borghese di sei persone era stata massacrata durante una notte senza luna. Il mattino dopo, quando la polizia era arrivata, avevano trovato i cadaveri a pezzi sparsi per tutta casa.
Nico aveva alzato un sopracciglio di fronte a quella storia e aveva immediatamente visto un modo per vivere in una casa dignitosa a poco prezzo.
Effettivamente in quella casa c’era stato qualcuno di molesto, pieno di rabbia e rancore, ma Nico lo aveva velocemente spedito nell’Ade, liberando ed esorcizzando l’appartamento e firmato il contratto di affitto.
La casa era enorme per una sola persona. Aveva tre stanze da letto matrimoniali, due bagni, un salotto, una cucina e due stanzini a scomparto nel muro.
Ma era arredata con poco. Nico non aveva speso molto per comprare mobili. Aveva recuperato un divano e due poltrone e un tavolino per il salotto, due mobiletti lungo il corridoio per abbandonarci la roba quando rientrava. La cucina aveva solo il minimo indispensabile e un tavolo con tre sedie.
Solo una delle tre stanze da letto era arredata, la propria. Aveva comprato un letto matrimoniale, due lampade per i comodini e nell’armadio si trovavano pochi vestiti.
Per il resto, la casa era completamente vuota.
Si voltò verso Gareth.
« Ok, puoi andartene. Non aspettarti un caffè come ringraziamento. Non ne ho. » borbottò reprimendo uno sbadiglio.
Si sentì afferrare per le braccia e girare e quando si fermò si ritrovò davanti a Gareth, troppo vicino a lui per poter dire qualcosa di senso compiuto.
Poi il mondo smise letteralmente di muoversi. Gareth si era avvicinato così tanto che lo stava baciando.
Nico sentiva le sue labbra morbide contro le proprie e la sua lingua che si scontrava contro la propria bocca chiusa. Si allontanò di qualche centimetro, troppo inebetito per poter parlare.
Gareth sorrideva. Ed era un sorriso che lo stava confondendo, più di quanto non lo fosse già di suo a causa della birra. Il sorriso di chi ha vinto tutto e sa di avere il mondo nel palmo della mano.
Il ragazzo aveva immaginato in milioni di modi il suo primo bacio, ma di certo non se lo aspettava in quella maniera.
Quando era un po’ più piccolo si era figurato sé stesso e un ragazzo (che casualmente fino a poco tempo prima aveva il volto di Percy) al Campo Mezzosangue, dopo gli allenamenti dopo aver sistemato le armi, che si baciavano contro un muro mentre lui gli diceva di amarlo e che lo avrebbe protetto per sempre.
Oppure mentre camminavano per la strada e si davano un bacio, con naturalezza.
O anche… beh, i modi in cui se lo immaginato erano tanti.
Ma di certo quello non rientrava nelle sue fantasticherie. Uno sconosciuto lo aveva appena baciato nel salotto di casa sua mentre non era del tutto in possesso delle proprie facoltà mentali.
Avrebbe voluto scostarlo, cacciarlo via, ma la verità era che quelle labbra gli erano piaciute. Forse fu per questo che quando Gareth si avvicinò di nuovo per baciarlo, non lo allontanò, ma ricambiò il bacio.
Sentiva la sua lingua contro la propria e Nico tentava di imitare i suoi movimenti. Si sentiva goffo e inutile.
Aveva venticinque anni e si comportava come una femminuccia. Tentò di fingere di avere più esperienza di quella che aveva e si sporse in avanti, mordendogli debolmente un labbro, baciandolo e spingendo la sua lingua in avanti, sfiorando quella di Gareth.
Lo sentì accennare un sorriso fra i baci e quando Nico sentì le sue mani scivolargli sotto la maglietta dovette mordersi la lingua quasi a sangue per non sussultare dallo stupore.
Gli fece scivolare via il cappotto, lasciandolo ricadere a terra, sfiorandogli le spalle con le dita, tastando la sua pelle, baciandolo lungo la linea degli zigomi, baciandogli poi il collo.
Le mani di Gareth si strinsero con forza sui suoi fianchi, quasi facendogli male. Sentiva il suo respiro accelerato nel proprio orecchio e nel sentire il suo corpo premuto contro il proprio Nico si eccitò, tentando di domare quella sensazione di disagio che cominciava a camminargli in punta di piedi sotto pelle.
Si abbandonò alle sue mani, permettendogli di spingerlo lentamente contro il divano dietro di loro. Gareth lo tirò sopra di sé, allargando le gambe per permettergli di rimanere in equilibrio, riprendendo a baciarlo.
Il semidio sentì di quella bocca contro di sé, contro il proprio collo e gemette piano mordendosi le labbra quando sentì i suoi denti spingersi nella propria carne, mordendolo e baciandolo allo stesso tempo. Nico strinse le dita contro le sue spalle, appoggiando il viso contro la sua spalla, piegandolo da un lato per permettergli di avere pieno accesso a tutta la propria pelle.
Gli piaceva sentire i suoi denti dentro la pelle, che lo mordeva e che lo baciava. Gli sembrava un animale che stava marcando una proprietà. E a Nico, in fondo in fondo, non gli dispiaceva poi così tanto sentirsi desiderato.
Gemette contro la sua bocca, muovendosi su di lui, strusciando la propria erezione con quella già dura di Gareth e dovette serrare gli occhi per il disappunto quando l’altro lo allontanò da sé. Con gli occhi annebbiati dall’eccitazione, Nico si fece guidare in ogni movimento.
Il più piccolo si sedette contro lo schienale, permettendo a Nico di sedersi ancora sopra di lui. I movimenti di Gareth furono talmente rapidi che il semidio sentì un brivido di freddo prima di capire che era rimasto senza maglietta.
Il disagio aumentò leggermente. Non si era mai piaciuto così tanto Nico, e si chiese perché Gareth continuava a guardarlo in quel modo, come si pregusta una preda.
« Non mi guardare a lungo. » borbottò Nico chinandosi su di lui « Non mi piace. »
Gli afferrò il viso fra le mani, baciandolo quasi violentemente, per distrarlo dal suo corpo secco, bianco, pieno di cicatrici. Inarcò la schiena quando l’altro riprese ad accarezzargli la schiena, prima che si scostasse ancora.
« Sei… bellissimo. » ansimò sulle sue labbra Gareth « La cosa più eccitante… che mi sia mai capitata in vita mia. »
Nico sentiva la testa girargli ancora e tentennò un secondo. Gareth lo confondeva e lo turbava così tanto che non riuscì a fare altro che la cosa più incosciente che avesse mai fatto in vita.
Strinse con forza le dita sui lembi della felpa di Gareth, spogliandolo a sua volta. Nico si sentì mancare il fiato. Il petto di Gareth era asciutto e muscoloso, leggermente abbronzato. I pettorali e gli addominali non erano scolpiti, ma passandoci la mano sopra quasi con timidezza poteva sentire i suoi muscoli tesi sotto i polpastrelli.
Si chinò ancora sulla sua bocca e sul suo collo, mordendolo anche lui. Voleva lasciargli un marchio, il segno che… beh, c’era stato anche lui.
Si concentrò sui suoi capezzoli, succhiandone uno, facendoci passare la lingua intorno, mordicchiandolo e stringendo fra le dita il secondo, fino a che non sentì un altro gemito sfuggire dalle labbra di Gareth.
Abbozzò un sorriso, senza fermarsi. Per l’Ade, come gli piaceva quella voce roca che gemeva il suo nome!
Sentiva la mano di Gareth stringersi sulla sua spalla, prima di risalire in una lenta tortura verso la sua testa, passargli fra i capelli, stringendo poi le sue ciocche nere fra le dita, quasi con forza. Nico scese lungo i pettorali, baciando ogni singolo centimetro di quella pelle bollente leggermente abbronzata che quasi stonava contro il suo pallore mortale.
Le sue dita si mosse quasi automaticamente sulla catena dei suoi pantaloni, slacciandola e facendola ricadere a terra con un rumore sordo. Si puntellò sulle ginocchia, ritornando eretto e osservando il ragazzo negli occhi.
Gareth ansimava leggermente e aveva una mano sulla sua spalla e l’altra sul suo fianco. Nico si sentiva tirare da due parti. Dalla paura e dalla voglia. Sentiva la testa vuota, ma quando si chinò ancora su di lui per baciarlo, sapeva di aver preso una decisione.
Avrebbe dato sé stesso a Gareth, qualunque fossero state le conseguenze.
Nico sentì le grandi e calde mani di Gareth sulla schiena, che lo graffiavano lievemente. Il più piccolo lo tirò contro di sé e lo sentì percorrere con la lingua e con le dita ogni più piccola linea di ogni cicatrice, come se le avesse già memorizzate.
Sentì le sue mani slacciargli i jeans neri, tirandoglieli leggermente più in basso, sfiorandogli con le mani l’erezione dura, ancora coperta dai boxer. Nico si aggrappò alle sue spalle, inarcando la schiena.
Poi le sue dita si allontanarono e sentì le sue braccia stringerlo a sé. Si sentì alzare e poi spingere di nuovo con la schiena premuta contro il divano e quando si rese conto di cosa stava succedendo Nico vide solo Gareth in ginocchia a terra, in mezzo alle sue gambe divaricate.
Il più grande allora si abbandonò completamente alle sue attenzioni. Sentì i muscoli delle spalle distendersi, mentre quelli dell’addome e delle gambe contrarsi ad ogni singolo movimento dei polpastrelli di Gareth su di lui.
Gli tolse completamente i boxer e i jeans con un movimento fluido e rapido e per la prima volta gemette il suo nome quando Nico si sentì stringere l’erezione fra le dita calde di Gareth. Spinse il bacino in avanti, mordendosi un labbro.
Gareth si mosse leggermente, chinando la testa, posando dei baci sul suo inguine, fino a risalire lentamente verso la punta, continuando a muovere con la stessa lentezza la mano su di lui, fino a che non si decise di prenderlo in bocca.
Nico gemette, sentendo ogni fibra del suo corpo vibrare dentro la quella bocca. Serrò gli occhi, portandosi una mano alla bocca per contenersi, senza riuscirci.
Gareth muoveva la bocca e la lingua allo stesso tempo, lo succhiava e lo mordicchiava e Nico non riusciva a fare altro che a muoversi sempre di più dentro di lui, stringendogli i capelli biondi fra le dita, tirandolo ancora di più a sé.
Fu quasi con un verso misto a goduria e frustrazione che sbarrò gli occhi quando Gareth si alzò in piedi. Nico lo guardò contrariato e solo in quel momento, quando lo inquadrò completamente nudo nella sua figura intera, notò dei tatuaggi.
Uno probabilmente era un nome, che gli prendeva l’intero fianco sinistra e sull’avambraccio destro che terminava dietro la spalla c’era qualcosa di simile ad un teschio. Nico lo guardò ancora e ancora, non riuscendone ad avere abbastanza. Perciò si alzò in piedi, afferrò per un polso il ragazzo e lo trascinò nella sua camera da letto.
Lo tirò contro di sé baciandolo, cadendo all’indietro sul letto. Gareth aveva ripreso ad ansimare mentre i loro corpi e le loro erezioni si strusciavano l’uno contro l’altro. Nico sentì di nuovo la lingua dell’altro sul suo inguine, sulla sua erezione, in un vortice del quale non riusciva a comprendere a fondo ciò che stava facendo realmente.
Gareth infilò lentamente un dito dentro la sua bocca e Nico tentò di imitare ciò che l’altro aveva appena fatto su di lui. Glielo leccò leggermente, iniziando a succhiarlo, chiudendo la bocca su di lui, per poi aprirla ancora e ancora quando le dita dentro la bocca passarono da due a tre.
Dio, se gli piaceva avere quelle dita in bocca e la mano di Gareth mentre lo toccava!
Poi Gareth le tolse senza preavviso, scendendo lungo il suo petto e Nico tentò di rilassare i suoi muscoli come aveva fatto prima. Ci riuscì solo in parte. Quando sentì un dito iniziare ad infilare dentro di lui, Nico storse la bocca, infastidito.
Ma non avrebbe mai detto a Gareth che era la sua prima volta, quindi tentò di abituarsi e in fretta.
Gareth spinse lentamente il dito dentro fino ad arrivare alla nocca. Nico prese un profondo respiro, tentando di eliminare quella sensazione di disagio. Gareth dovette accorgersene, infatti si chinò su di lui, riprendendo a leccargli e succhiargli la punta dell’erezione.
Andò un po’ meglio. Adesso il fastidio stava per essere soffocato di nuovo dal piacere di potersi spingere fino in fondo a quella bocca bollente.
Gareth continuò a prepararlo, muovendo avanti e indietro le dita, che erano aumentate, più e più volte, osservando il volto di Nico, cercando di comprenderne le sfumature e solo quando Nico si rese conto che era vicino al venire dentro la sua bocca e che desiderava solo sentirlo dentro di sé, Nico lo scostò.
« Muoviti… » ansimò serrando gli occhi.
Anche solo sentirlo ansimare contro di lui, contro il proprio corpo, la propria pelle, lo eccitava.
Gareth non se lo fece ripetere due volte. Si allungò per chiudere la luce sul comodino, permettendo di essere illuminati solo dalle luci che venivano dalla luna e dalla strada.
Fece passare le braccia sotto le ginocchia di Nico, spingendole verso il suo petto e appoggiò la punta della propria erezione contro l’apertura del ragazzo, iniziando a spingersi debolmente dentro di lui.
Nico era abituato al dolore. Doveva solo prenderlo come un allenamento. Come quando per sbaglio si feriva in una addestramento con la spada. Doveva solo aspettare. Concentrarsi su altro. Permettere al proprio corpo di abituarsi a quella sensazione invadente che gli faceva bruciare ogni singola cellulare, bruciandogli ogni sinapsi del sistema nervoso.
Con Gareth del tutto dentro di lui, Nico fece la stessa cosa. Prese più volte fiato, stringendo così tanto le mani sulle sue spalle che probabilmente lo stava facendo sanguinare.
Sentì una mano del più piccolo di nuovo sulla sua erezione, mentre iniziava a sfilarsi e a rientrare lentamente dentro di lui.
Andava un po’ meglio.
Bruciava tutto. Ma era un bruciore sopportabile. Prese a baciarlo per distrarsi. Lo baciò affamato e Gareth rispose con altrettanta fame a quel bacio. Nico lo desiderava così tanto che pensava si sarebbe potuto spezzare a metà.
Più forti erano le spinte di Gareth dentro di lui, più Nico voleva che si intensificassero. Più i suoi gemiti si alzavano, più Nico voleva che non la smettesse mai di gemere il suo nome.
La mano di Gareth si muoveva sempre più velocemente sopra di lui e il più grande aveva smesso di vergognarsi e adesso ansimava e gemeva il suo nome nell’orecchio, sentendo la stessa passione e lo stesso desiderio nel mondo in cui l’altro lo chiamava
Inarcò la schiena, si spinse contro di lui in un ultimo istintivo movimento e poi venne nella sua mano con un gemito strozzato. Si abbandonò alle sue braccia, sfinito e continuando a muoversi contro di lui. Lo voleva del tutto Nico.
Completamente.
Si alzò sui gomiti, stringendosi a lui e allora Gareth si lasciò ricadere all’indietro, seduto sul materasso, con Nico seduto sopra di lui che gli cingeva la vita con le gambe.
Nico poteva quasi vederlo del tutto, debolmente illuminato dal lampione. Lo desiderava. E allora lo accontentò. Si mosse ancora di più.
Quando lo sentì venire ogni suono fu attutito dall’ansito di Gareth, quasi animale mentre affondava i suoi denti nella pelle chiara del collo.
Nico rimase abbracciato a lui per un tempo che gli parve indefinito. I loro petti si scontravano a causa dei respiri affannati e quasi all’improvviso Nico sentì tutta la stanchezza piombargli addosso come un mattone.
Non riuscì a dire nulla.
Senza nemmeno rendersene conto si abbandonò contro il suo petto con il viso nascosto nell’incavo del suo collo e si addormentò.

Il mattino dopo Nico si svegliò, sentendo ogni muscolo indolenzito. Rotolò con difficoltà al centro del letto, mugolando per il risveglio. Tentò di stiracchiarsi, mettendo a fuoco tutto ciò che era successo la notte prima.
Rimase coperto per metà dalle coperte, parte delle lenzuola attorcigliate intorno ai suoi piedi, osservando il soffitto.
Aveva bevuto un po’. Tanto.
Si sentì arrossire le guance. Non si pentiva di aver fatto sesso con Gareth, anzi.
Gli era piaciuto e non provava nemmeno un briciolo di rimorso. La sua era stata una scelta consapevole. L’alcol gli aveva solo dato una spinta in più, liberandolo della sua timidezza e permettendogli di fare tutto ciò che voleva fare.
Si passò una mano nell’incavo del collo, sentendo un livido che andava formandosi. Gli faceva male, come tutti gli altri graffi e gli altri lividi, ma era una dolore piacevole. Lo riportava con la mente alla notte prima e ciò che ricordava era tutto fuorché fastidioso.
Spostò la testa al suo fianco. Gareth se ne doveva essere andato prima del risveglio o direttamente quando era lui era crollato addormentato contro di lui.
Quella sì, era l’unica cosa di cui si vergognava un po’. Si immaginava mentre Gareth lo prendeva in braccio e lo metteva nel letto, coprendolo con il piumino.
Sospirò ancora. Chissà cosa ne pensava Gareth. Probabilmente era stata solo una scopata casuale con un tizio che considerava “carino”.
Anche se quando era sopra di lui e aveva visto gli occhi pieni di passione di Gareth e aveva sentito la sua voce definirlo bellissimo ed eccitante si era sentito al settimo cielo. Il mortale era stato il primo ragazzo a dirgli certe cose e a mostrare così tanto interesse per lui.
Ma probabilmente quell’interesse era già scemato. Aveva ottenuto quello che voleva, quindi Nico era solo un capitolo chiuso nella sua vita di avventure.
Nico non aveva molta esperienza (anzi, le sue esperienze in ambito sessuale e sentimentale erano praticamente nulle, prossime allo zero e al nulla cosmico e tutte abbastanza catastrofiche), ma sapeva riconoscere una persona abituata a divertirsi da una che, come lui, preferiva rimanere da solo.
Prese una sigaretta, fumandola lentamente.
Era pomeriggio inoltrato e avrebbe dovuto mangiare qualcosa. Iniziava a sentire fame.
Si alzò in piedi, infilandosi un paio di boxer presi da sopra la sedia dei panni lavati e abbandonati a sé stessi fuori dall’armadio, meditando in quale bar andare. Non stava proprio morendo di fame, quindi poteva concedersi una doccia veloce.
Fumando entrò nel bagno, accorgendosi solo in quel momento che l’acqua stava scorrendo. Si avvicinò a grandi passi, aprendo con forza la porta della doccia. Rimase immobile quando vide Gareth.
Nico, senza volerlo, si fermò a guardarlo. Osservò i lividi sul collo di Gareth e pensò che, nonostante tutto, stavano bene sulla pelle abbronzata del ragazzo. Aveva dei graffi sulle spalle e altri segni di morsi sul petto e sugli addominali.
Finalmente riusciva a vedere per bene i tatuaggi del ragazzo. Sul fianco la scritta era il nome di una certa Eleonor. Sul braccio il teschio era ancora più vivido, un tatuaggio di quelli vecchio stile, tutti colorati e definiti, e sembrava stretto in una mano. Il disegno continuava dietro le spalle, ma Nico non poteva vederlo.
Si concentrò un secondo su un nome. Chi poteva essere quell’Eleonor? Una vecchia fidanzata? La madre? Una sorella? Perché si era tatuato il suo nome? Perché era così importante per lui. Serrò in maniera impercettibile le labbra, irritandosi.
« Uh? Ciao Nico. Ben svegliato. Ah, sono andato a fare un po’ di spesa, così ho preparato la colazione. Certo, pensavo che ti saresti svegliato prima, ma… » Gareth si interruppe, osservando Nico.
Gli sventolò la mano di fronte agli occhi.
« Nico? Tutto ok? » domandò perplesso.
« Emh… sì. Tutto ok. Io… pensavo che tu fossi andato via. » mormorò riportandosi alla bocca la sigaretta.
« Preferivi che me ne fossi già andato? » domandò schietto Gareth, fissandolo.
« No. Cioè, sì. Non lo so. Sono confuso. »
L’altro sospirò, come se stesse cercando di far capire un concetto semplicissimo ad un bambino con dei problemi. Nico si irritò ancora di più.
« Nico, tu mi piaci. Stanotte fare sesso con te è stata la cosa più bella di questo mondo. »
Nico annuì buttando il mozzicone di sigaretta nel lavandino. Era pensieroso. Non comprendeva Gareth. Era rimasto là solo per poter continuare a scoparselo?
« Perfetto. » Nico si scostò la frangia da davanti agli occhi, spingendo poi indietro Gareth ed entrando nella doccia accanto a lui « Spostati, devo lavarmi anche io. »
« Certo principino. » rise Gareth mettendosi in un angolo e riprendendo a lavarsi i capelli.
Nico gli diede le spalle, continuando a rimuginare sulle parole di Gareth. Sussultò quando il più piccolo si avvicinò a lui, sfiorandogli ancora la schiena. Nico si irrigidì. Adesso che era lucido, non trovava più così attraente il fatto che lui gli guardasse la pelle piena di cicatrici. Si voltò, osservandolo.
« Non guardarmi. Non mi piace. » gli intimò.
L’altro sbarrò gli occhi, poi sorrise.
« Beh, anche non volessi guardarti, adesso sei qua nudo sotto la doccia no? Sarebbe una tortura non farlo. »
« Allora torturati. Non mi piacciono quelle cicatrici. E non mi piace che tu le guardi. »
Gareth si imbronciò di nuovo, dandogli le spalle. Nico si ritrovò davanti il resto del tatuaggio. La mano che stringeva il testa era la Morte in persona, una fedele rappresentazione del Dio Tanato, della divinità che Nico aveva incontrato solo una volta.
Il tatuaggio arrivava oltre le scapole, occupando tutta la parte destra dei dorsali. Nico schioccò la lingua, immergendosi ancora di più nei propri pensieri.
Gli diede le spalle a sua volta, fissando il muro davanti a lui. Fu il primo ad uscire dalla doccia, indossando rapidamente un accappatoio, afferrando poi un asciugamano, iniziando a passarlo sui capelli.
Tornò in camera vestendosi con i suoi soliti jeans e una maglietta nera senza nessuna scritta. Infilò l’anello con il teschio al dito (quando se lo era tolto la sera prima?) e superò senza dire nulla Gareth che entrava a sua volta per riprendere i suoi vestiti.
Nico fece per andare a prendere il cappotto abbandonato su un mobile all’ingresso, quando vide la tavola imbandita.
Sotto la doccia, per colpa della propria pelle (e di Gareth, ma vabbè) gli era passata improvvisamente tutta la fame. Voleva solo passeggiare per le vie del quartiere, fumare e andare un po’ nell’Oltretomba. Aveva bisogno di tranquillizzarsi, di fare ordine e chiarezza fra i suoi pensieri. Soprattutto, aveva bisogno di dimenticare il tatuaggio di Tanato sulla spalla di Gareth. C’era qualcosa che continuava a muoversi nel suo cervello, come se tante piccole rotelle avessero improvvisamente iniziato a girare senza sosta. Non voleva pensarci.
Gareth era un semplice mortale. Avevano fatto sesso. E come fanno i mortali, le loro strade si sarebbero divise. Punto. Nulla di più.
Eppure andarsene così senza nemmeno assaggiare qualcosa era giusto? Sarebbe stato scortese? Gareth si sarebbe offeso? In fondo doveva aver speso un sacco di soldi e passato un po’ di tempo per cucinare tutta quella roba.
Rimase immobile per qualche secondo di troppo, il tempo necessario per permettere al ragazzo di raggiungerlo e sedersi al suo tavolo. Gareth rimase un secondo in silenzio, poi alzò la testa, sorridendogli.
« Non mangi nulla? Non sapevo cosa preferivi mangiare, così ho preso un po’ di tutto. »
Nico spostò la sua attenzione alla tavola. C’erano muffin, cupcake, pancake, caffè, cappuccino, biscotti e perfino del tè. Da un lato, anche un paio di panini e dei cornetti salati, vicini a delle uova strapazzate e a del bacon.
Nico si irritò, senza nessun motivo apparente. Gli sembrava un comportamento stupido e infantile, nonché un’inutile spreco di denaro. Tutto quello gli sembrava fuori dal mondo.
Dove mai si era visto il compagno di una notte di sesso svegliarsi prima di lui, andare a fare la spesa e preparargli la colazione? Nico non era una grande esperto del mondo, ma era abbastanza sicuro che non funzionasse così.
Si sedette lo stesso al tavolo, scostando seccato la sedia, sedendosi davanti a lui. Gareth lo guardò, senza capire.
« Devi aver speso una fortuna. Mi bastava un cappuccino. » brontolò Nico.
« Ho fatto ciò che mi andava. Oppure ti dà fastidio anche questo? »
Nico avrebbe voluto ignorare il tono sarcastico di Gareth, ma non ci riuscì. Si ammutolì ancora di più, prendendo un po’ di uova e un panino al prosciutto, versandosi una tazza di caffè.
Mangiò in silenzio. Gareth non si preoccupò di parlare.
Era un silenzio a cui non era abituato Nico e, inaspettatamente, non gli piaceva.
« Come mai hai quel tatuaggio? Quello con la Morte, intendo. » chiese all’improvviso senza distogliere la sua attenzione dal piatto con le uova, mangiandole lentamente, distruggendole con la forchetta.
Non aveva fame Nico, ma tentò di sforzarsi di mangiare qualcosa.
Gareth lo fissò, stupito da quella domanda. Scosse le spalle.
« Non c’è un motivo. Stavo studiando su un libro di arte greca e ho trovato questa statua. Mi piaceva, quindi l’ho tatuata. » lo fissò « Come mai? »
« Nulla. E’ che mi è sembrato un tatuaggio… insolito. » rispose Nico ponderando ogni parola per non far trapelare il suo disagio e, purtroppo, la sua curiosità.
Tornò in silenzio. Sulla punta della lingua sentiva un’altra domanda spingere mentre urlava di essere detta a voce alta, ma Nico serrò le labbra.
Non erano affari suoi. Probabilmente Gareth sarebbe scomparso dalla sua vita da lì ad una manciata di minuti quindi era anche inutile fare certi pensieri o permettersi di avere altri dubbi senza senso nella sua testa.
Erano due persone adulte e consenzienti che avevano fatto sesso e che stavamo facendo colazione alle sei di pomeriggio.
Certo era, che avrebbe continuato ad andare al fast-food anche se lui fosse stato di turno. Non era così stupido da rinunciare alla cucina messicana solo per via di Gareth.
Udì Gareth sospirare. Alzò gli occhi su di lui e lo vide passarsi le mani sul volto, per poi avere i suoi occhi piantati addosso.
« Senti Nico, io… non so, forse tu hai frainteso qualcosa, ma… »
« Non ho frainteso nulla Gareth. » lo interruppe Nico « Abbiamo fatto sesso, punto. Ora tu sei libero di tornare alla tua vita e io alla mia. Suppongo che non abbiamo più nient’altro da spartire, no? » si alzò in piedi, dirigendosi di nuovo verso l’ingresso « Starò via per un po’, ho del lavoro da fare questa notte. Hai tutto il tempo per fare quello che vuoi nel frattempo. Torna pure a dormire se preferisci. Sopra allo stipite della porta d’ingresso c’è la copia della chiave. Ricorda di dare due giri alla serratura prima di andartene. »
E senza aggiungere altro, infilò le scarpe e se ne andò via.

Nico non vide Gareth per tre settimane.
Era tornato a mangiare al fast-food dove lavorava minimo una volta a settimana, ma non era riuscito ad incrociarlo.
O aveva sbagliato il turno oppure semplicemente si nascondeva da lui, ma in quel caso Nico non ne vide l’utilità.
Mica avevano litigato. Aveva solo espresso a voce alta i pensieri di Gareth.
Scosse le spalle, aspettando che la commessa infilasse la sua ordinazione dentro la busta per l’asporto. Di solito rimaneva a mangiare là, nella sala principale, nella speranza di vedere Gareth, ma quella sera era stanco e irritato. Era passato per il locale solo per una stupida e infantile voglia di vederlo, ma visto che non c’era, non vedeva motivo per rimanere fuori casa.
Scosse le spalle, uscendo dal locale con in mano la busta del cibo. Rientrò in casa un po’ affamato.
Aveva passato l’intera settimana nell’Oltretomba, vagando senza sosta per cercare informazioni per una missione per suo padre.
Aveva recuperato oggetti e poi era rientrato a casa.
Cupo rientrò nell’appartamento, sbattendosi la porta alle spalle. Entrò in cucina, abbandonando il cibo sul tavolo per andare a lanciare il giacchetto in salotto.
Fu lì che si bloccò. Impegnato a guardare qualcosa su un piccolo schermo, semi sdraiato sul divano, c’era Gareth, che scattò immediatamente seduto quando lo vide sulla soglia della stanza. Si tolse le cuffie dalle orecchie osservandolo come qualcuno che sta per essere sgridato.
Nico assottigliò gli occhi, tirandosi indietro la frangia.
« Che ci fai qua? » sibilò.
« Io… emh, ecco, lo so che mi avevi detto che era tutto chiuso e finito, ma sai… io te l’ho detto anche sotto la doccia. Mi piace stare con te Nico. Senti, perché noi non… »
Nico lo interruppe, avvicinandosi a lui a grandi passi. Lo spinse contro il divano, montandogli sopra e baciandolo. Lo tirò a sé, infilando le mani fra i suoi capelli e Nico si sentì un po’ meglio quando Gareth ricambiò quel bacio, passandogli le mani sulla schiena, stringendole sulle natiche.
Il semidio si allontanò leggermente, ansimando contro la bocca di Gareth e osservò le sue labbra. Erano belle, così belle che credeva di morire ogni volta che le baciava.
« Sei tornato per questo, vero? Le persone normali non tornerebbero da me per nient’altro. » mugolò riprendendo a baciarlo.
Gareth si irrigidì sotto di lui, diventando improvvisamente meno impetuoso, stringendo debolmente le mani sulla sua maglietta. Lo fissò, uno sguardo che Nico non riuscì a decifrare e si chiese perché sembrasse improvvisamente così triste.
Fu tentato di chiamarlo, solo per sentire la propria voce pronunciare il suo nome, ma si fermò. Scosse leggermente la testa, tentando di scacciare quell’idea completamente folle dalla propria mente e si chinò di nuovo contro di lui.
« Toccami. » si limitò a dire al suo orecchio.
Gareth perse la testa. Da quel momento in poi, nella testa di Gareth vorticavano solo i gemiti di Nico mentre ansimava il suo nome.

challenge: 500themes ita, pairing: mahe x di angelo, fandom: percy jackson, challenge: cow-t4

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