[Hunger Games] La notte in cui sei stato spezzato

Jul 25, 2013 12:45

Titolo: La notte in cui sei stato spezzato
Fandom: Hunger Games
Pairing: Finnick Odair
Rating: NC17
Avvertenze: Slash, Non!Con
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Quando era a Capitol City, Finnick sapeva più o meno bene quello che sarebbe accaduto, così come succedeva abbastanza spesso.
Veniva prelevato dal suo appartamento, vestiti e truccato dal suo team di preparatori e poi veniva spinto in macchina, quasi sequestrato.
Note: Scritta per la 500themes-ita con il prompt “155. Notte senza fine” e per il COW-T 3.5 di maridichallenge con il prompt “Ritorno”.
WordCount: 3014 fiumidiparole

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Quando era a Capitol City, Finnick sapeva più o meno bene quello che sarebbe accaduto, così come succedeva abbastanza spesso.
Veniva prelevato dal suo appartamento, vestiti e truccato dal suo team di preparatori e poi veniva spinto in macchina, quasi sequestrato.
Finnick osservava quasi sempre lo scenario che scorreva veloce oltre dal finestrino. Lo skyline della capitale era maestoso, come sempre.
Era eccentrico, come sempre.
Era, purtroppo, affascinante, come sempre, perché lui era sempre stato povero e quella ricchezza, insieme alla promessa di avere abbastanza cibo per sfamare a vita la sua famglia, era stata l’unica vera motivazione che l’aveva spinto a vincere i 60simi Hunger Games.
Quando aveva vinto, aveva scoperto però che la vita non sarebbe stata così semplice. Era bello Finnick, troppo bello per essere lasciato stare.
E il presidente Snow aveva deciso che quella bellezza non poteva essere sprecata. Era una bellezza maledetta, seducente, che doveva essere piegata, spezzata, comprata dal miglior offerente.
Era così si svolgevano le sue giornate a Capitol City. In mezzo a mille e mille donne che desideravano il suo corpo e il cuore, che si muovevano seducenti intorno a lui, sfoggiando look che lui trovava quasi pietosi.
Come la città, anche le donne riuscivano ad essere eccessive.
Non c’era nulla di normale in loro.
Erano truccate e ritoccate fino a raggiungere livelli che lui considerava quasi ridicole.
O grottesche.
Le parrucche di ogni colore o forma possibile, tatuaggi e trucchi sulla pelle che non significavano nulla, vestiti strampalati, scarpe che Finnick non riusciva a capire come potevano essere utili.
Ed era nel palazzo davanti al quale si fermava ogni sera la macchina che Finnick entrava, sapendo bene a quale destino andava incontro. Sapeva bene che per lui, quando si fermava là davanti, non c’era più salvezza.
Quelle che non avevano niente da nascondere, quelle che non avevano segreti importanti con cui comprare il suo corpo, si muovevano felici nel salone principale, dove mangiavano, parlavano, scherzavano tutti insieme prima dell’asta.
Come se si conoscessero da anni, come se fossero amici, come se non stessero solo osservando un pezzo di carne che va al macello.
All’asta poi, rigorosamente segreta, partecipavano anche quelle che invece sì, avevano tutto da nascondere. Erano quasi sempre quelle che lo compravano, che avevano abbastanza soldi per permettersi quella notte di follie con lui, erano quelle che aprivano le loro bocche dipinte e ritoccate per parlargli di cose intime, che nessuno a Capitol conosceva.
Dopo raggiungeva le stanze ai piani superiori e lì passava la notte con la donna che l’aveva comprato.
Quando arrivava la mattina, dopo una lunga nottata in cui desiderava solo scappare, correre via il più lontano possibile, arrivava il momento più bello di tutti.
Raggiungeva il bagno e si faceva una lunga doccia per eliminare i profumi, gli odori, il sudore del sesso dalla sua pelle.
Evitava sempre di guardarsi allo specchio però. Perché si odiava.
Si odiava terribilmente.
Avrebbe voluto prendere uno specchio, spaccarlo e poi sfregiarsi tutto il viso, tutto il corpo, riempirsi di cicatrici sanguinolente e, perché no, anche morire.
A quel punto tutto sarebbe finito. Capitol City sarebbe stata solo un ricordo lontano, lontanissimo, che galleggiava in un mondo etereo a cui lui non apparteneva più.
Eppure non lo faceva mai. C’era la sua famiglia a cui fare ritorno.
Una famiglia che non aveva nessuna colpa, che non meritava di morire perché lui era troppo egoista.
Quella sera invece tutto era diverso. La macchina invece di fermarsi di fronte al solito eccessivo e appariscente palazzo, prosegue dritta, come se fosse il solito percorso normale che fa quasi ogni sera.
Continua la sua corsa, e mentre si guarda intorno, Finnick inizia a sentire una leggera ansi crescergli sotto pelle, scorrergli nelle vene, facendolo rabbrividire.
Non gli piacevano le cose improvvise. Quando accadeva, era sicuramente una cosa negativa, una cosa che non doveva accadere, una cosa che si sarebbe rivoltata contro di lui, facendogli desiderare la morte con ancora più intensità.
Si fermarono davanti ad un palazzo quasi nascosto dagli altri palazzi circostanti, che lo coprivano con la loro inutilità.
Inghiottì a vuoto, chiedendosi che cosa gli sarebbe accaduto da lì a poco e prese un profondo respito.
Quando la macchina si fermò, la portiera si aprì da sola e un gruppo di Pacificatori lo spinse poco gentilmente dentro il palazzo, stando ben attenti a non farsi vedere da nessuno, come se stessero per fare qualcosa di illegale.
Fu spintonato dentro una stanza circolare, circondato da specchi. A terra, alle pareti, sul soffitto. Finnick vedeva solo sé stesso, in più e più copie, talmente tante quasi fargli venire il mal di testa.
Rimase immobile al centro della pedana, tentando di comprendere che cosa fare. Era ancora fermo e con un respiro quasi impercettibile, quando una voce che conosceva bene. Era il presidente Snow.
« Oggi il nostro gentile ospite, Finnick Odair, parteciperà ad un’asta segreta molto particolare. Da bravo gentiluomo, signor Odair, è pregato di eseguire ogni richiesta le venga fatta, per evitare conseguenze spiacevoli per tutti. »
Poi il microfono si era spento e tutto era ritornato nel silenzio più assordante. Finnick inghiottì ancora, osservandosi intorno per la prima volta realmente spaventato. Qualunque cosa gli sarebbe accaduta, era una punizione.
Non sapeva che cosa aveva fatto, ma sapeva bene quali erano le conseguenze. Immaginava già i corpi dilaniati e morti della sua famiglia, di Madge.
No, non poteva permettersi di perderle, non dopo tutto il dolore e le umiliazioni che aveva subito fino a quel momento.
Un’altra voce iniziò a parlare, distogliendolo dai suoi pensieri.
Doveva spogliarsi, in maniera lenta e sensuale, e Finnick obbedì, con la lentezza che gli era stata richiesta. Camicia, pantalone, boxer, rimase nudo al centro della stanza specchiata, mentre sentiva il sudore scivolare lungo la colonna vertebrale.
Il secondo ordine fu un po’ più particolare. Probabilmente era il fulcro di tutta la serata, di quell’asta segreta di cui Finnick non riusciva a capirne il senso.
Si sedette a terra, tenendo le gambe larga e le ginocchia piegate. Finnick socchiuse gli occhi, chiedendosi quando mai tutto quel lungo ed eterno incubo avrebbe avuto fine.
Allungò una mano, spingendola in mezzo alle gambe, sfiorandosi lentamente l’erezione, muovendo le dita cercando un modo disperato per eccitarsi.
Se non ci fosse riuscito, la sua vita o quella della sua famiglia, sarebbe finita. Serrò gli occhi con più forza e mosse la mano, più forte.
Finse un gemito, giusto per dare più credibilità all’intera grottesca faccenda quando su uno degli specchi intorno a lui, quelli sulle pareti, apparvero dei numeri. Via via che i numeri apparivano sugli specchi, Finnick non impiegò molto per comprendere che quelli erano i soldi che, chiunque si trovasse là dietro, era intenzionato a spendere per farsi portare a letto da lui.
Gemette di nuovo, muovendo la mano più veloce e i numeri schizzarono alle stesse e Finnick non era sicuro di poter raggiungere indenne la mattina dopo.
Dopo poco, l’asta si concluse e la voce lo istruì di nuovo, ordinando di raggiungere il terzo piano, l’unica stanza presente.
Lentamente si rivestì, raggiungendo la stanza indicata con la consapevolezza di avere una sentenza di morte sulla testa, che pesava su di lui più del solito.
Davanti alla stanza di nuovo prese un profondo respiro. Si chiuse la porta alle spalle, venendo accolto da una semi oscurità che gli impediva di osservarsi intorno, di comprendere chi lo aveva appena comprato.
« Vieni avanti. »
Fu in quel momento che Finnick sentì il sangue gelarglisi nelle vene.
Era un uomo. Un uomo grande a giudicare dal timbro della voce. Inghiottì, sentendo di nuovo quella paura che lo aveva colto poco prima presentarsi di nuovo, prepotentemente dentro di lui.
Avrebbe voluto scappare, perché quello era un compito a cui non era abituato, eppure i suoi piedi e le sue gambe rifiutarono di muovere, di rispondere agli ordini del suo cervello.
Rimase immobile, il respiro pesante, il cervello vuoto.
« Vieni avanti. » ripeté di nuovo la voce, più perentoria, facendolo sussultare.
Mosse faticosamente un piede avanti all’altro, raggiungendo un piccolo fascio luminoso che proveniva dall’esterno.
L’uomo davanti a lui continuò a rimanere nell’ombra, muovendosi intorno a lui come se non lo avesse visto fino a poco secondo prima, mentre si masturbava davanti ad un pubblico che non vedeva.
In quel momento desiderò intensamente avere avuto il coraggio di essersi sfregiato. Tutto sarebbe stato più semplice almeno.
« Spogliati di nuovo e raggiungi quel letto là. »
Finnick intravide a malapena il dito del cliente che indicava la sua destra, ma fece come gli era stato ordinato.
Si sedette sul bordo del letto, nudo, mentre ogni centimetro della sua pelle tremava per la paura.
L’ombra si avvicinò a lui e fu in quel momento, in quella frazione di secondo mentre il suo volto era illuminato dalla luce che lo vide.
Il sorriso di un folle, di un pazzo che non avrebbe guardato in faccia a nessuno pur di fare con lui quello che voleva.
La mano dell’uomo si avvicinò al suo volto, stringendosi sul mento, muovendogli la faccia per vederlo meglio e poi lo afferrò per i capelli, tirandolo di nuovo in piedi, vicino a lui. Finnick poteva sentire l’odore dell’alcol penetrargli nelle narici.
« Spogliami e vedi di essere convincente. » furono le uniche parole che disse l’uomo, con un tono che non accettava rifiuti in risposta.
Finnick annuì lentamente e con le mani che ancora gli tremavano iniziò allentandogli la cravatta, facendola cadere a terra, fra i loro piedi. Le mani sfiorarono le spalle con un movimento quasi causale, prima di stringersi sulla camicia, iniziando a slacciare i bottoni.
Le dita gli tremavano e ad un certo punto non riuscì a sfilare un bottone dall’asola e si morse un labbro, mentre sentiva il cliente sbuffare infastidito.
Il colpo che gli arrivò in pieno volto non lo vide nemmeno arrivare. Si ritrovò solo a terra, con un dolore lancinante che si irradiava lungo tutta la faccia, togliendogli quasi il fiato. Sentiva del sangue scivolare dal naso, la bocca piena di un sapore amaro e ferroso e scoprì di essersi morso la guancia nel colpo.
Trattenne un singhiozzo e dei gemiti di dolore. Le lacrime spingevano sul bordo degli occhi per uscire, ma riuscì a fermarsi. Si rialzò di nuovo, mettendosi di nuovo davanti a lui, il labbro inferiore stretto fra i denti, le mani che continuavano a tremare, ma continuò a slacciargli la camicia.
La fece scivolare oltre le sue spalle, sfiorandole con delicatezza, scendendo poi di nuovo sul petto, toccando i capezzoli con i polpastrelli.
Socchiuse gli occhi, anche se farlo gli fece arrivare una fitta di dolore alla tempia. Doveva solo calmarsi. Riprendere in mano la situazione, volgerla a suo favore. Se si fosse fatto vedere interessato a lui, seducente, magari non avrebbe sofferto troppo.
Le mani si strinsero sulla cintura, slacciandola e lasciandola cadere ancora a terra. Sbottonò il pantalone, tirando via anche i boxer. Tentò di non guardare l’erezione dura a pochi centimetri dalla sua pancia, ma l’uomo lo afferrò di nuovo per i capelli, tirandolo più stretto a sé.
La punta spingeva nel suo stomaco e l’odore di alcol lo atterrì per qualche secondo.
« Muoviti e fai quello per cui sei stato comprato. » sussurrò sulle sue labbra l’uomo, prima di premere la propria bocca contro la sua.
Finnick represse un conato di vomito e mosse la lingua contro la sua, stringendo le mani sui suoi fianchi. Tremava e non riusciva a smettere di farlo.
Poi il cliente strinse la mano che aveva fra i capelli e lo spinse bruscamente in ginocchio a terra, con la mano libera strinse la base dell’erezione, tirando poi in avanti la sua testa, infilando la punta nella sua bocca.
Di nuovo Finnick lottò contro il proprio stomaco, tentando di estraniare la propria mente, tentando di fingere di essere altrove. Era solo la punta. Poteva andare bene nonostante l’odore nauseante di alcol e sudore e il sapore dello sperma che inumidiva già la pelle.
Andava tutto bene. Tutto sarebbe finito presto. Sarebbe tornato dalla sua famiglia, ritornato nel suo Distretto e avrebbe vissuto lontano da Capitol City.
Doveva solo ripeterselo all’infinito, fino al mattino e avrebbe potuto crederci davvero.
Ma sapeva che non sarebbe finito tutto là. L’erezione si spinse fino in fondo, quasi toccandogli la gola e Finnick iniziò a tossire. Aveva bisogno di aria, ma l’uomo tenne ferma la sua testa contro di lui, muovendosi avanti e indietro.
Si aggrappò ai suoi fianchi, stringendo con tutta la forza che aveva in corpo tentando di rimanere dritto, mentre di nuovo i conati di vomito si facevano spazio nella sua gola. Sentiva le guance umide e si chiese quando aveva iniziato a piangere.
Gli faceva male la gola e non respirava. Più tentava di divincolarsi in cerca di aria, più l’erezione di muoveva in profondità e fu in quel momento che qualcosa di caldo e bollente, di aspro e salato scivolò nella sua bocca.
Il gemito dell’uomo fu più roco degli altri mentre gli veniva sulla lingua e Finnick rimase immobile, senza sapere più che cosa doveva fare. L’uomo tirò via l’erezione, senza però lasciargli la testa.
Finnick prese un profondo respiro, mentre lo sperma gli scivolava lungo le labbra e il volto. Tentò di sputare tutto, ma il cliente gli chiuse la bocca con forza. I loro occhi si incrociarono e con le lacrime che scivolavano sempre più velocemente lungo il volto ingoiò lo sperma.
No. Non poteva farcela. Nemmeno se si ripeteva che tutto sarebbe finito presto.
Quella notte sarebbe stata una notte senza fine, una lunghissima notte che non avrebbe mai più dimenticato. E Finnick sapeva bene che il divertimento per l’uomo era appena iniziato.
Lo afferrò di nuovo per i capelli, trascinandolo sul letto, spingendolo violentemente contro la testiera le letto. Dal cassetto accanto al letto prese delle manette, legandolo al ferro battuto approfittando del suo disorientamento.
Il ragazzo le osservò confuso, le immagini distorte dalla botta alla testa e solo quando riuscì a mettere a fuoco la stanza intorno a sé comprese che cosa era successo.
Ora era ufficiale. Non aveva nessuna via di fuga.
L’uomo stringeva fra le mani quello che aveva tutta l’aria di un vibratore e si sistemò in mezzo alle sue gambe spalancate. Finnick scosse la testa, incapace di pronunciare una sola parola e quando sentì la punta appoggiarsi contro di lui, serrò gli occhi.
Non riuscì a pensare a nulla che il dolore atroce percorse tutto il suo corpo. Fu talmente forte che non riuscì a trattenere un grido, facendo sussultare il petto, scosso dai singhiozzi. La scarica di dolore arrivò direttamente al cervello, aiutato dal dolore alla faccia dello schiaffo di poco prima.
No. Non sarebbe uscito vivo da quella stanza, adesso ne era più che sicuro.
Il vibratore si muoveva dentro di lui, troppo velocemente perché riuscisse a fare qualcosa, troppo dolorosamente perché riuscisse a rimanere con gli occhi aperti. Il fiato era pesante, spezzato dai singhiozzi e la sua mente era solo piena dei gemiti dell’uomo che si masturbava su di lui.
Venne di nuovo sul suo corpo, sporcandolo, umiliandolo sempre di più.
Ma la parte peggiore venne dopo. Quando il cliente tolse il vibratore, spingendosi violentemente dentro di lui con la sua erezione di nuovo dura. Si muoveva dentro di lui, quasi come se il desiderio di quell’uomo fosse solo quello di fargli male, di spezzarlo, di umiliarlo.
Era quello che desiderava da lui? Era quello, solo quello che voleva?
Un pezzo di carne umana, di carne fresca da ferire con il coltello, voleva solo vedere il sangue scivolare lungo la sua pelle, tagliarlo come se fosse solo un oggetto.
Ecco, per la prima volta si era sentito un oggetto sessuale.
Un buco con della carne intorno da poter violentare, minuto dopo minuto, ora dopo ora. Si era sentito spezzato, distrutto in ogni maniera possibile.
Da quante ore si trovava là dentro?
Finnick non avrebbe saputo dirlo con esattezza, perché aveva perso i sensi un paio di volte a causa del dolore ed era stato risvegliato puntualmente da schiaffi violenti.
Non vedeva la luce del sole filtrare dalle tende pesanti. Forse era ancora notte. Forse quella notte davvero non avrebbe mai avuto fine.
Quando finalmente sentì lo scatto delle manette, le sue braccia avevano perso sensibilità. Ricaddero pesantemente accanto a lui, senza vita, esattamente come lui. Ansimava per lo sforzo e per il dolore e ormai aveva smesso di piangere da parecchie ore.
Si lasciò ricadere su un fianco, sentendosi un sacco vuoto, un corpo svuotato da ogni emozione, sensazione. Si sentiva perfino privato della sua anima.
Rimase immobile a lungo, senza energie e quando la porta si aprì di scatto sussultò, sentendo di nuovo le lacrime contro gli occhi, il terrore di vedere di nuovo quell’uomo stampato sul suo volto.
Si calmò solo quando vide Madge e si chiese perché fosse là.
L’anziana donna che gli aveva fatto quasi da madre, che lo aveva salvato dentro l’Arena gattonò sul letto, stringendolo forte fra le sue braccia, incurante dello sporco, del sudore e dello sperma appiccicato su ogni centimetro della sua pelle.
« Mi dispiace. » sussurrò piano al suo orecchio, cullandolo dolcemente « Mi dispiace. E’ tutta colpa che non ti ho protetto a dovere. »
Finnick scosse piano la testa. No, non era colpa di Madge. Era solo colpa sua. Colpa della sua bellezza, colpa della sua vittoria.
Alzò lentamente le braccia, stringendole intorno alla sua vita, affondando il viso nel suo petto caldo e rassicurante.
Pianse. Finnick non avrebbe saputo dire per quanto tempo, forse per quante ore rimase stretto alla donna, sfogando tutta la sua rabbia e la sua frustrazione.
Dopo molto tempo la donna si allontanò da lui, asciugandogli il viso, tirandogli indietro i ciuffi di capelli appiccicati al suo volto.
« Andiamo a lavarci. Stasera torni al Distretto. » sussurrò ancora piano, tirandolo delicatamente verso il bagno.
Finnick rimase immobile sulla soglia del bagno, osservando Madge che riempiva la vasca di acqua tiepida. Aveva l’intero corpo intorpidito, dolorosamente.
Alcune ferite sanguinavano ancora e da altre parte i lividi cominciavano a formarsi. Non riusciva a muovere bene parte del viso, il labbro spaccato dai numerosi schiaffi e dai pugni.
Madge l’aiutò ad entrare nella vasca e gli passò piano la spugna su tutto il corpo, lavandolo, pulendo da tutto lo sporco, come se volesse cancellare quelle ore, come se volesse di nuovo renderlo puro.
Finnick si lasciò andare contro la sua mano amorevole, stanco.
Però alla fine ci era riuscito. Era sopravvissuto.
Oramai sapeva di poter sopravvivere per tutto il resto della sua vita. Lentamente, come tutto il resto, anche quella notte un giorno sarebbe diventato solo un lontano ricordo.

challenge: 500themes ita, fandom: hunger games, pg: finnick odair, challenge: cow-t3.5

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