Titolo: Our dead soul
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Takaki Yuya x Chinen Yuri, Arioka Daiki x Yamada Ryosuke ; Yabu Kota x Inoo Kei
Rating: R
Avvertenze: Slash, 'verse yakuza (vai a *
questo* link per tutte le informazioni del caso)
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Quella notte pioveva forte e le gocce si schiantavano quasi con violenza contro la superficie liscia della finestra, ma al ragazzo non importava poi così tanto alla fine.
Note: Scritta per la
500themes_ita con il prompt “84. Come hai sofferto per la tua sanità”, per il COW-T3 di
maridichallenge con il prompt “Pelle”, per la
diecielode con il prompt “Time won’t ever steal my soul” e per la
camera_oscura con *
questa* foto come prompt
WordCount: 4923
fiumidiparole **
Quella notte pioveva forte e le gocce si schiantavano quasi con violenza contro la superficie liscia della finestra, ma al ragazzo non importava poi così tanto alla fine. Appoggiò la fronte contro il vetro gelido e si chiese perché avesse lasciato la felpa del pigiama sul letto poco prima, quando aveva deciso di alzarsi, ma si sentiva troppo stanco anche solo per pensare di alzarsi e tornare in camera a prenderla.
Nel silenzio notturno della casa sentiva solo il respiro lento e profondo del fidanzato, ormai addormentato da qualche ora e lui non aveva intenzione di svegliarlo, rubargli quei piccoli attimi di tranquillità che riusciva a ritagliarsi in quella vita.
Il più piccolo sospirò socchiudendo gli occhi. Inizia a sentire la stanchezza, non il sonno, quello ormai era solo una pallida utopia che sapeva di non poter più raggiungere tranquillamente.
L’ultima volta che aveva dormito più o meno decentemente, aveva circa otto anni, prima di finire in quel giro di violenza, sentendola attaccata alla propria pelle come se fosse una pellicola che ricopriva tutto il suo corpo.
E lui non voleva pensare a quella patina di sudicio e sporco che ormai lo ricopriva, voleva pensare a come riuscisse a sentirsi puro quando sentiva le mani del fidanzato sfiorarlo con una delicatezza che stonava, per quanto anormale era, voleva sentire il tocco bruciante delle sue labbra contro il proprio petto, voleva imprimere dentro di è l’odore pungente della sua pelle, desiderando solo ricordarsi di quello ogni volta che andava a lavoro.
Pensare al più grande mentre veniva scopato lo aiutava a tirare avanti. Ricordarsi come dopo ogni loro amplesso lo sentisse sussurrargli che lo amava lo aiutava a sopravvivere, come se avesse un’ancora attaccata alle caviglie e che giorno dopo giorno lo portava a fondo, mentre lui gli stringeva le mani, per tirarlo invece a galla.
Viveva ormai da troppo anni in quel continuo tira e molla e per quanto cercasse di non farglielo notare, di non fargli pesare quella vita di schiavitù a cui erano condannati, per quando cercasse di fingere che tutto andasse bene, sentiva di non riuscire più a mantenere intatta quella maschera che portava con lui da quasi quattro anni.
Era stancante fingere delle emozioni che non provava, specialmente quando iniziava ad essere convinto di non saperle più provare determinate emozioni, nonostante si sentisse riempire il cuore di gioia quando sussurrava a sua volta di amarlo.
Aveva paura di non essere abbastanza, di non riuscire al cento per cento, di non impegnarsi a dovere in quella relazione e per quanto quelle fossero paranoie assolutamente fuori luogo, il suo ragazzo gli avrebbe sicuramente detto che era un folle, ogni tanto si sentiva realmente fuori posto.
Si sentiva fuori posto nella loro stessa casa, si sentiva fuori posto quando si stringeva, quando facevano sesso insieme, che non era più sesso, ma un bisogno reciproco di sentirsi amati, indipendentemente da tutto il resto. Si sentiva fuori luogo in quel posto dove si respirava aria di normalità, una normalità che lui non aveva mai conosciuto e che, un po’ lo sapeva bene, non avrebbe mai raggiunto.
Ogni tanto si trovava a pensare che sarebbe stato meglio morire piuttosto che finire in quel posto. Morire e non svegliarsi più, non soffrire, smettere di rendersi conto di essere solo carne da macello.
Strinse le mani sul braccio, infilando le unghie nella pelle, già marchiata da troppe cicatrici per poter essere ignorare facilmente. Avrebbe voluto distruggere quel corpo che un troppi desideravano, distruggere ogni singola cellula che lo componeva, osservare il proprio sangue macchiare il pavimento e poi accasciarsi e morire.
Ma non sarebbe stato onesto e lo sapeva. Non lo meritava il fidanzato, non si meritava una crudeltà simile. Non lo avrebbe condannato agli stessi sensi di colpa che già lo avevano colto in passato, non lo avrebbe segnato a vita.
Non lui, per lo meno.
Sospirò di nuovo, socchiudendo ancora gli occhi. Sentì dei passi dietro di lui e vide il ragazzo raggiungerlo per posargli poi una coperta sulle spalle e lui gli sorrise, stringendovisi all’interno.
« Grazie. »
« Ryo - chan, perché non viene a letto? Fa freddo anche se ci avviciniamo all’estate. »
Il più piccolo annuì, alzandosi in piedi.
« Non riuscivo a dormire e non volevo disturbarti. »
L’altro lo strinse a sé, baciandolo dolcemente e accarezzandogli la guancia con il dorso della mano.
« Tu non mi disturbi mai Ryo. Ti amo. »
Ryosuke sentiva gli occhi lucidi e ringraziò l’oscurità che coprì quel suo senso di debolezza.
« Anche io Daiki. » si strinse a lui, sentendosi subito più al caldo e al sicuro « Anche io ti amo Daiki. » ripeté ancora socchiudendo gli occhi e beandosi di quella sensazione di normalità e di amore.
Perché ormai c’era solo quello di importante. Lentamente, tutto il resto aveva perso tutto il suo colore.
**
Daiki sussultò, tornando improvvisamente con i piedi per terra. Erano settimane che non gli capitava di imbambolarsi a fissare il nulla, ricordando ormai un passato che non sarebbe mai diventato un futuro. Piegò il capo, scusando con il commesso che lo aveva chiamato, preoccupato, e poi si affrettò verso le casse.
Effettivamente sotto casa sua c’era un conbini e fino a poco prima andava là a fare la spesa quotidiana, ma da un po’ preferiva perdere tutto il tempo libero che aveva, cercando di stare il meno possibile in quella casa che gli ricordava troppe cose allo stesso momento.
Più stava lontano da quei pochi metri quadrati che gli appartenevano davvero, più sentiva che sarebbe riuscito a sopravvivere.
Le orecchie si riempirono ben presto delle chiacchiere inutili delle signore più anziane pazientemente in fila alle casse, mentre si lamentavano di quanto era vivace la figlia di tal vicino o come il marito di quella che abitava all’ultimo piano si divertiva in svariati modi con la commessa del conbini del quartiere accanto.
Insomma, non che a lui interessassero quelle cose, eppure si ritrovò ad ascoltarle, mentre le loro parole venivano intervallate dal suono della cassa quando, lentamente, il commessa ci passava sopra la spesa di qualcun altro.
Fu a quel punto che iniziò a guardarsi intorno, tentando di disintossicarsi da quelle voci, troppo concitate perché lui ci facesse davvero attenzione. Osservò le altre persone impegnate a fare le spesa, con molta meno convinzione di quella che ci metteva lui tanta era la voglia di rimanere dentro quel conbini e notò che nel reparto surgelati si trovava una faccia conosciuta.
Assottigliò gli occhi, osservandolo ancora, frugando nei rimasugli dei suoi ricordi e della sua memoria, quel poco che era riuscito a salvare qualche anno prima e quell’ancora meno che sopravviveva da qualche settimana a quella parte.
Il ragazzo era annoiato, sembrava stanco e debilitato. Il colorito della pelle era troppo pallido e qualcosa gli diceva che quello sguardo arreso non era lo stesso che conosceva lui, o che almeno, credeva di ricordare.
Si avvicinò di un passo, osservandolo meglio, prima che le voci delle vecchiette sovrastassero nuovamente i suoi stessi pensieri, facendolo di nuovo tornare con i piedi nel mondo reale. Pagò distrattamente, uscendo poi dal conbini, accendendosi una sigaretta.
L’altro ragazzo uscì poco dopo e fu a quel punto che ricordò perfettamente chi fosse, fu a quel punto che un moto di rabbia ingiusta gli strinse il petto, stritolando nelle sue lunghe dita quel cuore che ormai non aveva quasi più una goccia di sangue da versare.
Fu tentato di seguirlo, prima di ricordarsi perché si sentisse così solo, perché non volesse tornare a casa, perché non riuscisse nemmeno a dormire la notte per quanto era agitato e arrabbiato.
La vendetta non porta a nulla di buono, lo sapeva bene. Lo sapeva quando si era ritrovato in quel capannone, lo sapeva quando aveva intrapreso quella relazione e scoperto ogni retroscena, lo sapeva anche quando aveva visto il cadavere della persona che amava, riverso in terra.
Lo sapeva anche quando aveva notato quel sorriso che stonava terribilmente con tutto il resto del contesto, quel sorriso che lo aveva fatto piangere più di ogni altra cosa al mondo. Quel sorriso che non era giusto fosse apparso solo in quel momento, quel sorriso che lui, nonostante tutti i suoi sforzi, non era mai riuscito a vederlo così maledettamente sincero fino a quel punto.
La vendetta non porta altro che alla sofferenza, lo sapeva. In un gioco di potere dove tutti sono vittime e carnefici allo stesso tempo, non aveva senso perdere tempo nel rovinare la vita a chi l’ha già rovinata con le sue stesse mani.
Ognuno di loro era già un sopravvissuto di un passato che era stato troppo duro con loro.
Strinse le mani a pugno, continuando ad osservare il ragazzo, fino a che non si bruciò con la sigaretta. Gemette a voce alta, lanciando a terra il mozzicone e fu a quel punto che il ragazzino si voltò verso di lui, preoccupato dai lamenti.
Si avvicinò lentamente, fissandolo sempre con quello sguardo poco interessato al mondo che lo circondava, eppure non smetteva di guardarlo, squadrarlo, come se anche lui sentisse qualcosa smuoversi nella sua mente.
« Arioka - kun? » domandò poi con voce bassa.
« Uh. Chinen? » chiese il più grande a su volta, non sapendo se sperare o meno di essersi confuso.
« Sì. Sono io. Ah! » sembrò illuminarsi un po’ « Meno male. Io… » si morse un labbro « Io pensavo che tu fossi morto. »
« Beh! » esclamò Arioka « Ho saputo che sei stato comprato da Takaki, quindi anche io pensavo che non te la passassi bene. » lo squadrò « E… beh, forse non ho sbagliato così tanto. Ma ti dà da mangiare almeno? » domandò chiedendo a sé stesso perché fosse così preoccupato per lui.
Avrebbe dovuto ignorarlo, dargli le spalle, scappare il più lontano possibile e dimenticarlo, perché solo dimenticare lui e tutto il male che aveva causato lo avrebbe fatto sopravvivere.
Non avrebbe voluto dargli la colpa di cose che non aveva fatto, ma così come aveva pensato Ryosuke era la cosa più semplice. Era facile credere che Chinen fosse il male peggiore del mondo, che fosse solo colpa sua se lui, Ryosuke e un’altra ventina di ragazzini si trovavano in quella situazione.
Era facile pensare che fosse lui la causa, dimenticando che, alla fin fine, non era poi così diverso da loro. Solo perché aveva un cliente fisso, tutto il giorno, tutti i giorni e che ci abitasse insieme, non lo rendeva più o meno colpevole di loro.
Arioka schioccò la lingua, irritato dal proprio conflitto interiore e lasciò perdere. Non avrebbe permesso al tempo, alla rabbia e alla vendetta di rubare la sua anima.
« Non ho fame ultimamente. » scosse le spalle « E poi Yuya adesso lavora a Sendai. Se ne è andato, non lo sapevi? »
Arioka allargò gli occhi, stupito da quella notizia.
« Non ci hanno detto nulla. Comunque Yuya non passava così tanto tempo da noi. » alzò i nuovo le spalle « Come mai se n’è andato? »
« E che ne so. » replicò acido Yuri, con un sorrisetto sarcastico ad illuminargli il volto scavato « Magari ha avuto una promozione, decidendo all’improvviso di andarsene mollando tutti e tutto qua a Tokyo. »
« Oh. » si grattò nervosamente un orecchio « Io ora devo andare. Beh… ci vediamo, ok? »
« Uh. Sì, io… non vengo molto spesso in questo quartiere, ma… Kabuki - cho non è così lontano. Ci possiamo vedere anche là, che ne dici? »
Daiki si chiese perché Yuri avesse voglia di vederlo di nuovo e perché avesse quella faccia terribilmente depressa. Yuya era fuori dai giochi no? Avrebbe dovuto essere libero, ovvio, se prima di andarsene lo yakuza non lo avesse venduto a qualcun altro o messo in qualche bordello, esattamente come aveva messo lui quando era arrivato al capannone.
« Sì… certo… perché no? » commentò a mezza voce.
E fu quando vide il mezzo sorrisetto un po’ sollevato di Yuri che Arioka sentì come se, in qualche modo che nemmeno lui conosceva, avesse tradito Ryosuke.
**
Yabu stava rientrando a casa quando scese dalla macchina e osservò lo stradone principale che portava verso Shinuku quando vide Yuri arrivare con un paio di buste della spesa. Si avvicinò velocemente a lui e si morse un labbro quando lo vide sussultare, perché non lo aveva visto arrivare.
« Scusami. Io… mi hai spaventato. »
« Colpa mia. » commentò il più grande, con tono stanco « Dammi le buste, devono pesare molto. »
« Mh. Non tanto in realtà. » replicò Yuri porgendogli ugualmente le buste della spesa.
« Dove sei andato a fare la spesa? » domandò lo yakuza, sinceramente incuriosito « Il conbini non era più vicino? »
« Verso Shinjuku. » commentò indifferente il ragazzino alzando le spalle « Ieri ho visto alcune promozioni e oggi sono tornato per prenderle. »
« Tenti di risparmiare? Non c’è ne è bisogno, tranquillo. » tentò di sdrammatizzare Yabu.
« No è che… cambiare aria fa un po’ bene, no? » rispose con fatica « Se non sto a Kabuki-cho riesco a non pensare a Yuya. E’ un bene, no? »
Kota si limitò ad annuire, lentamente, senza trovare le forze o la voglia di rispondergli.
« Andiamo a casa, Kei ci starà aspettando per cucinare la cena. »
Yuri stava mangiando distrattamente del ramen, mentre Kota tentava disperatamente di fare conversazione, poco aiutato dal fidanzato che invece era tutto preso dal programma serale di giochi che guardavano ogni giorno.
« Yuri, ma quello non è l’idol che piace a te? » domandò all’improvviso Kei con la bocca piena e indicando con le bacchette la televisione.
Il diretto interessato alzò lo sguardo verso lo schermo e osservando il suo idol preferito correre con un cestello sulle spalle cercando di acchiappare dei palloni.
« S-Sì. » ammise un po’ imbarazzato quando lo vide inciampare e cadere sui materassi al lato del tappeto mobile « Guardi anche te questo programma? »
« Io e Ko lo guardiamo sempre! Fanno ridere, no? Ultimamente però tu mangi sempre tardi e da solo quindi è per questo che non lo hai visto! »
« Ah. Uhm. Scusami. »
« Yuri mangia quando vuole mangiare. Kei non lo obbliga mica. » rispose il più grande parlando improvvisamente in terza persona, con tono infantile.
Chinen abbozzò un sorriso, chinando gi occhi e concentrandosi sulla ciotola di ramen. Di solito anche lui e Yuya guardavano quel programma e sentendo le risate di Yuya, il più piccolo era convinto che fosse davvero felice di stare con lui, era convinto che ci fosse solo lui, non che giorno dopo giorno si chiudesse in una stanza con un altro ragazzo, torturandolo così come aveva torturato lui.
Si era convinto davvero che alla fin fine non ci potesse essere nulla di così tremendamente sbagliato in quella relazione che stava diventando troppo malsana. Si era convinto di essere riuscito a cambiare Yuya, di essere riuscito a farlo diventare un'altra persona, di essere abbastanza bravo e importante affinché i suoi demoni del passato lo lasciassero stare.
Ci aveva creduto davvero, in quei momenti di perfetta quotidianità, quando stare con lui era solo un piacevole momento che riusciva a cancellare ogni momento di sofferenza, ogni cicatrice, ogni pianto soffocato in un cuscino. Ci aveva creduto davvero, quando el loro letto Yuya lo sfiorava con una delicatezza tale da sentirsi quasi male per quanto riusciva ad essere felice e ricordarsi della forza con la quale aveva creduto in lui e in quella relazione che insieme stavano costruendo lo facev tornare a soffrire perché si sentiva un perfetto idiota.
Nemmeno stupido o altro, sono idiota. Idiota perché aveva affidato la sua vita a lui e vedere con quale facilità lo avesse manipolato, gli avesse mostrato una faccia che palesemente non era mai esistita, vedere con quale facilità lui aveva creduto ad ogni sua parole lo faceva solo stare male.
Purtroppo ogni cosa che lo circondava glielo ricordava.
Anche uno stupido programma televisivo gli ricordava quegli attimi effimeri eppure così incredibilmente felici che non era riuscito a tenersi stretto.
E tutto quello gli faceva male, come se dal suo cuore già esangue continuassero imperterrite ad uscire piccole gocce di sangue, una dopo l'altra, lente ma costanti, allargando minuto dopo minuto una ferita che ormai avrebbe dovuto già essere cicatrizzata.
Yuri si morse un labbro, rimestando il cucchiaio nella ciotola, pensieroso e poi gettò una rapida occhiata a Kei, ancora concentrato sulla televisione.
« Beh, magari domani dopo scuola potremo andare a fare un giro per Kabuki-cho, che ne dici Kei? Andiamo a fare la spesa insieme, ti va? »
Yabu rimase concentrato sulla sua cena, stupito e speranzoso riguardo quel cambiamento improvviso del comportamento di Yuri. Nascose un sorriso dietro il fazzoletto, fingendo di pulirsi la bocca e sperando che il fidanzato si mostrasse un po' collaborativo, sapendo quanto gli piacesse passare il tempo con Yuri.
Infatti Kei spostò immediatamente l'attenzione su Yuri, sorridendogli come un bambino davanti all'albero di Natale.
« Sì! Voglio fare la spesa con Yuri! Portiamo il carrello fino a casa e facciamo la spesa grande, che ne dici? E poi cuciniamo un sacco di cose e quando torna Ko-chan facciamo un pigiama party! Che ne dici Ko? Possiamo? Possiamo? » chiese poi voltandosi verso il fidanzato.
Kota, preso alla sprovvista, annuì energicamente.
« Certo. Guardiamo anime e drama tutta la notte. » promise.
Il sorriso del più piccolo si allargò ancora di più e batté le mani, prima di buttargli le braccia al collo e abbracciarlo con forza. Yuri sorrise, cercando di contenere l'amarezza che sentiva salirgli dal cuore fino alla gola e continuò a mangiare, tentando di focalizzarsi solo sul giorno dopo.
**
La mattina successiva effettivamente Yuri non aveva molta voglia di andare a scuola, cosa che gli accadeva praticamente sempre da quando lo yakuza se ne era andato. E passeggiando per il quartiere si rese conto di quanto fosse ridicolo tutto quello, considerando quanto avesse dovuto pregare solo per farlo iscrivere e per fargli accettare il fatto che lui non sarebbe vissuto per sempre alla sua ombra.
Pensare a tutti quegli sforzi gettati al vento lo mandava ancora più giù di morale, ma quando era a lezione la sua mente vagava altrove, durante i test non riusciva a concentrarsi e anche a casa quando tentava di studiare sui libri di scuola sentiva la testa scoppiargli dopo appena un'ora e quindi finiva sempre per abbandonare quello che stava facendo.
Si sedette ad un tavolo all'aperto di un bar, tentando di ignorare gli sguardi delle persone che passeggiavano per la strada e lo indicavano, sussurrando quasi con timore e spavento il nome di Yuya. Perfino alcuni suoi shatei preferivano non guardarlo, spaventati da chissà quale punizione il più grande avrebbe comunque potuto infliggergli da Sendai.
Dopo la prima e unica volta in cui dei subalterni di Yuya avevano provato a metterci le mani addosso quando il più grande era via per lavoro con Kota, erano tutti morti, chi sul posto, chi poi in nelle cliniche della famiglia.
Da quel momento nessuno di loro si era più avvicinato a lui. Gli unici yakuza che si avvicinavano a lui erano Kota e Akira, un suo shatei, abbastanza sfacciato e disinteressato dal suo corpo da parlargli quando era per strada.
All'improvviso notò la figura di Arioka avvicinarsi lungo la strada, guardandosi intorno con fare spaesato. Lo vide a sua volta e, sorridendo sollevato, si avvicinò a passo svelto a lui, inchinando poi leggermente.
« Chinen, speravo di trovarti! » lo salutò sorridendogli « Ho provato a chiedere a qualcuno per strada dove stavi, ma nessuno mi ha risposto. Sono tutti così a Kabuki-cho? » domandò poi.
Yuri esibì un sorriso di circostanza e annuì, indicandogli la sedia.
« Sì, almeno quando chiedi di me. Comunque, sono felice di vederti. Avevo pensato di chiedere di te a Kota. »
Il più piccolo vide l'espressione dell'altro cambiare per una frazione di secondo, ma non chiese nulla. Ne aveva abbastanza, dopo Ryosuke, dei problemi che si creavano fra gli yakuza e le loro puttane.
« Beh, ti ho anticipato. Sai, ci ho pensato al fatto di vederci dopo che me l'hai proposto ieri e mi faceva piacere vedermi con qualcuno che... sai, non fosse del mio giro. »
Yuri annuì di nuovo, più per circostanza che per altro e tornò a sorseggiare un po' della sua Coca-Cola.
Rimasero un po' in silenzio entrambi, non sapendo nessuno dei due che cosa dirsi in quella circostanza. Non erano amici, anzi, al capannone si erano parlati sì e no una manciata di volte e Yuri ricordava bene come il più grande gli avesse fatto intendere fin da subito come funzionavano le cose là dentro una volta che si era stati venduti alla yakuza.
Ma lui non si era perso d'anime e anche quando era stato comprato aveva cercato di lottare con tutte le sue forze, nonostante ricordasse spesso l'ultima volta che aveva visto Arioka, portato via da due shatei come se fosse stato un pezzo di carne da portare alla vendita.
E forse, giudicò il più piccolo, tutti loro non erano altro che quello. Carne da vendere, chi fosse l'acquirente alla fine non importava nessuno, probabilmente nemmeno loro che erano i diretti interessati.
« Dove abiti? » chiese però per spezzare il ghiaccio.
Da quando Yuya era andato via, il silenzio e la solitudine che tanto aveva amato, gli sembravano pesanti come macigni.
« Alla periferia di Shinjuku, poco lontano da qua. Ci sono i love hotel della yakuza e noi stiamo tutti in un palazzo poco distante. Tu invece? Dove stai? »
Yuri si voltò, indicando la fine della strada, dove si innalzava un palazzo abbastanza moderno, a cinque piani.
« All'ultimo piano di quel palazzo. E' casa di Yuya. » mormorò piano, reprimendo quelle che sembravano vere e proprie lacrime.
Prese un profondo respiro, approfittando del fatto che Arioka non lo stesse guardando.
« Wow. Deve essere proprio una bella casa. »
« Abbastanza grande sì. Ma quando devi pulirla tutti i giorni inizi ad odiarla. » ridacchiò, mordendosi l'interno della guancia.
« E anche se non c'è Takaki ti lascia rimanere là? » chiese il più grande, curioso.
« Mh. Sì, ma adesso abito con Kota e il suo fidanzato. Giusto per cambiare un po' aria, poi fra un po' ci tornerò. »
« Capito. » lo squadrò per una manciata di secondi « Quella non è la divisa della scuola di Kabuki-cho? Takaki ti fa andare a scuola? »
« Uhm... beh... l'ho implorato. Ormai era tanti anni che stavo con lui, non aveva più senso tentare la fuga, tanto mi avrebbe comunque ritrovato. » rispose con tono amaro.
« Oh beh, quello è normale. Ti trovano tutti alla fine. » commentò con la stessa voce il più grande.
« Hai provato a scappare? »
« No, io no. Sono abbastanza remissivo. Ma altri ci hanno provato e quando sono tornati se ne sono pentiti amaramente. »
Yuri non fece altre domande, era sinceramente poco desideroso di sapere che cosa gli era successo e come erano stati puniti. A volte aveva ancora gli incubi per quello gli faceva Yuya, aggiungerci le sofferenze altrui decisamente non aveva senso.
« Vi fanno uscire dal quartiere? Yuya a me lo aveva impedito. Chissà che cosa si aspettava che facessi. »
« Ah, noi possiamo solo venire qua a Kabuki-cho. Non possiamo lasciare gli isolati intorno al nostro condominio, oppure veniamo puniti. Però abbiamo l'intera giornata libera, lavoriamo solo la sera e la notte. »
« Detto così sembra un contratto di lavoro. » lo prese in giro Yuri.
« Beh, tecnicamente è così no? Molti di quelli come me, quelli che finiscono nei bordelli intendo, limitano la propria visione a quello che gli accade. Certo, essere costretti a prostituirsi non è piacevole e anche io i primi tempi desideravo solo morire, però poi mi sono detto che non era giusto. Bisogna vederlo come un lavoro, è l'unico modo che hai per sopravvivere e mantenere la propria sanità. »
Arioka socchiuse gli occhi, ripensando a come Ryosuke non era riuscito a farlo, come si fosse fatto soffocare dagli eventi, distruggendo la propria vita e mandando in fumo come se fosse stato solo un cumulo di legni secchi. Ryosuke portava troppi pesi sulle sue fragili spalle e aveva deciso di buttare tutte le sue sofferenze su Yuri e a volte Arioka si scopriva ad odiarlo per questo.
Non si era fidati di lui, di loro, del loro amore, non si era fidato del fatto di poter fare a metà delle sue preoccupazioni, scaricarle un po' addosso a lui, perché era giusto che fosse così. Invece aveva preferito tenerlo fuori dalla sua testa, dalla sua mente, dalla sua vita e si era vendicato a modo suo.
E aveva trovato la morte.
Anche se Arioka non poteva saperlo, anche Yuri pensava a Ryosuke. Ripensava al discorso che Kota gli aveva fatto quella mattina al cimitero, davanti alla tomba del ragazzo, ripensava al fatto che anche Ryosuke non era altro che una vittima che si era trasformato in carnefice solo perché non riusciva più a sopportare il peso di quella vita costantemente violentata, nell'animo e nel corpo.
Non riusciva ad odiarlo. Provava solo pena e tristezza per quell'anima che difficilmente avrebbe trovato pace. Avrebbe voluto averlo davanti ancora per un solo istante, stringerlo a sé e dirgli che sarebbe andato tutto bene. Che poteva continuare a fargli del male se proprio lo faceva stare meglio, ma che non lo avrebbe aiutato.
Forse si sarebbe salvato, forse Kota non sarebbe stato costretto ad ucciderlo e non sarebbe stato costretto a portare sul cuore il peso di quella morte che non era riuscito ad evitare.
Rimase in silenzio per degli attimi che sembravano infiniti quando finalmente Arioka si alzò in piedi e Yuri lo vide frugasi nelle tasche, tirando fuori degli spiccioli.
« Ho ancora dei gettoni di qualche mese fa per la sala giochi. » disse indicando il negozio a qualche metro da loro, dove si trovavano altri ragazzi della scuola del più piccolo « Che ne dici se dimentichiamo un po' tutto questo giocando un po'? »
Yuri annuì, considerandolo un'ottima idea. Magari giocare gli avrebbe schiarito un po' la mente, permettendogli così di tentare, almeno un po', di andare avanti, per non gettare a sua volta la propria vita al vento.
Quando Arioka decise di tornare a casa sua per pranzo Yuri sentiva già un po' meglio. Mentre giocavano avevano continuato a parlare del più e del meno, scoprendo che avevano in comune un po' di interessi, ripromettendosi che si sarebbero rivisti ancora.
A quel punto, poco desideroso di stare da solo adesso che aveva ritrovato un minimo di buon umore, Yuri chiamò Kei, dicendogli che era uscito prima da scuola e che potevano andare subito a fare la spesa per il pigiama party della serata, riuscendo a farsi strappare la promessa che gli avrebbe offerto un gelato appena lo avesse raggiunto.
Forse, se si fosse impegnato un po', magari sarebbe riuscito a ricostruire di nuovo quella maschera che aveva portato con Yuya per tanti anni e che lo aveva salvato.
**
Quella sera, dopo che sia Kei che Kota si erano addormentati, Yuri si sedette di nuovo sul divano, scansando le ciotole di pop-corn, le buste di patatine e le bottiglie di Coca-Cola e di birra semi vuote per fumare una sigaretta.
Gli vibrò il telefono e, incuriosito, si chiese chi potesse mandargli una mail a quell'ora. Con un po' di sorpresa vide che era di Okamoto, un suo compagno di scuola abbastanza timido e ogni volta che andava a scuola si chiedeva sempre come facesse a sopravvivere là dentro.
La mail era abbastanza corta, niente di particolare. Gli chiedeva qualcosa sulle sue condizioni di salute, preoccupato dalle sue assenze e poi se potevano fare insieme un progetto per il professore di storia e Giappone antico.
Un po' incuriosito Yuri gli rispose che si era solo sentito male a causa della febbre e che avrebbe fatto volentieri il progetto con lui e che con molte probabilità si sarebbe visti il giorno dopo a scuola per vedere come iniziare a fare il progetto.
Quando tornò immerso nel silenzio, con il cellulare ancora in mano, Yuri si morse un labbro, dicendosi che quello che stava per fare lo avrebbe fatto solo stare male, eppure era più forte di lui.
Necessitava di sentire la sua voce, perché era troppo stanco di vivere in dei ricordi che erano ancora troppo vividi nella sua mente.
Compose il numero di Yuya e ascoltò la sua voce registrata nella segreteria telefonica, poi attese qualche secondo.
« Scusa se ti disturbo. Tanto non ascolterai mai questo messaggio, vero? Quindi posso parlare tranquillamente. In questi giorni mi sono fatto un nuovo amico, forse lo conosci. E' Arioka, lavora nei tuoi bordelli a Shinjuku. E' simpatico, sai? Andiamo d'accordo e oggi siamo andati alla sala giochi. Con Kei poi ho fatto la spesa e stasera abbiamo fatto un pigiama party nel salotto. Kei si è ingozzato di gelato e di cioccolata insieme ai pop-corn con le patatine mentre guardava gli anime e poi si è addormentato come un bambino. Kota lo ha portato a letto poco fa e adesso stanno dormendo. Mi mancavi e quindi... boh, ho pensato di chiamare la segreteria telefonica. Scusa ancora. Devo sembrarti uno scemo. » sussurrò cercando di fermare le lacrime e di reprimere i singhiozzi « Mi manchi Yuya. Perché non torni? Per favore. Mi manchi. » singhiozzò alla fine chiudendo il telefono.
Strinse le ginocchia al petto e affondò il viso fra le gambe, cercando di regolarizzare il respiro e di non farsi sentire da Kota.
Doveva solo sforzarsi un po' di più. Solo un po' di altri sforzi e forse, un giorno, sarebbe riuscito a relegare Yuya in un angolo nella sua mente, in modo tale da non permettergli più di farlo soffrire.
Doveva solo sforzarsi un po' di più.
Nulla di più. Poi sarebbe tutto finito. Poi avrebbe ritrovato la sua pace e la sua libertà, anche se non sarebbero state mai pace e libertà vere e proprie.
Aveva trovato la sua libertà quando Yuya era accanto a lui come fidanzato e adesso che era da solo si sentiva incatenato.
Ma andava bene così.
Doveva solo sforzarsi un po' di più.
Poi tutto sarebbe finalmente finito.