Titolo: While burning their lies and burning my dream
Fandom: Hey!Say!Jump
Pairing: Yabu Kota x Inoo Kei ; Takaki Yuya x Nakajima Yuto ; Nakajima Yuto x Yamada Ryosuke
Rating: NC17 (Per i temi trattati)
Avvertenze: Slash, Shota (non descrittivo), Violence, AU! ('verse yakuza. vai a *
questo* link per ulteriori informazioni)
Disclaimer: I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati e i fatti narrati sono frutto della mia fantasia. La storia non è scritta con scopo di lucro.
Riassunto: Gli era già capitato di percorrere quella strada, lo aveva fatto decine di volte per raggiungere la tomba di sua madre, morta prematuramente.
Note: Scritta per la
think_angst con il prompt “Prostituzione!AU” e per la
500themes_ita con il prompt “444. Accarezzato da un incubo”
Note 2: Allora, dobbiamo spiegare un secondo un paio di cose. Questa storia è, diciamo, il "prologo" di una storia che
vogue91 ha scritto per il
bigbangitalia, di cui io poi, per la stessa challenge, ci ho scritto un seguito. In realtà la storia di
vogue91 si rifà ad una mia one shot (
questa, per la precisione xD). Tutto questo per dire che questa storia si può leggere tranquillamente leggendo la prima one shot che ho scritto, anche se manca uno dei personaggi principali della shot.
WordCount: 9011
fiumidiparole **
Kota camminò lungo il piccolo sentiero, circondato da lapidi, mazzi di fiori, silenzio e odore di incenso.
Gli era già capitato di percorrere quella strada, lo aveva fatto decine di volte per raggiungere la tomba di sua madre, morta prematuramente.
Ma quel giorno non era là per lei, né fra le mani stringeva dei fiori. Camminava con passo lento e strascicato, come se stesse portando sulle spalle un macigno troppo grande per le sue spalle.
Superò lentamente la tomba della madre, promettendo più a sé stesso che alla sua memoria che sarebbe ritornato ad accendere almeno l’incenso. Socchiuse gli occhi.
Ad ogni passo si sentiva sempre più debole, come se quella strada gli risucchiasse via le forze, mentre dentro di sé emozioni e sensazioni che non aveva voglia di rivivere, si mescolavano in maniera sgradevole.
Era stanco Kota di sentirsi in colpa, stanco di ritrovarsi di fronte a quella che sembrava essere perennemente la scelta sbagliata.
Avrebbe voluto non vedere quella tomba che invece intravedeva, che sembrava spiccare con forza sulle altre, così lucida, così nuova, così fresca.
Avrebbe voluto tornare indietro, far finta di nulla, perché aver pagato per il buco nella terra e un pezzo di pietra non lo ricopriva di nessuna responsabilità.
Ma non si fermò. Continuò a camminare, perché Kota non era mai scappato e non era sua intenzione iniziare in quel momento. Non lo aveva fatto quando era entrato nella yakuza, quando si era ritrovato davanti Yuya, quando aveva iniziato a lavorare. Non era mai scappato, perché era sempre stato troppo onesto per farlo.
Si fermò, finalmente, inspiegabilmente affannato, nonostante la camminata lenta. Si sentiva in colpa, nei confronti di tutti quelli che lo circondavano.
Kota aveva ventisette anni, lavorava nella yakuza da nove anni ormai e si disse che a certe cose avrebbe dovuto esserci abituato.
Ma così non era. Non ci si abituava mai, si diceva, a tragedie come quella.
Perché la vita dell’ennesimo adolescente era stata spezzata e lui non era stato in grado di fare nulla. Lo aveva quasi cresciuto e poi quel piccolo ragazzo era impazzito e Kota non era stato capace di prevedere le sue mosse, perché… non lo sapeva.
Ma osservando quella lapide provava solo tanta rabbia e pietà. Così come avevano distrutto lui, lui era riuscito a distruggere qualcun altro.
Occhio per occhio, dente per dente, diceva il detto.
Kota sfiorò la lapide bianca con le dita, raggiungendo finalmente le scritte, risaltate dal nero con il quale erano state incise.
Yamada Ryosuke, riposa finalmente in pace, nonostante tutto.
**
Kota si sentiva a disagio. Continuava ad osservare continuamente l’ora, era là già da mezza giornata, ma di quello che sarebbe diventato il suo aniki, nemmeno l’ombra. Il ragazzino si guardava intorno, sentendo il sudore continuare a scivolargli lungo la schiena.
Non faceva altro che chiedersi se Kei stesse bene o meno, se sua madre l’avrebbe sopportato almeno per quell’ultima giornata. Aveva i nervi a pezzi ormai. In casa la situazione era già diventata insostenibile, nonostante Kei rimanesse rinchiuso nella sua stanza per tutto il tempo.
Il ragazzino si agitò di nuovo sulla sedia. L’uomo con cui aveva un appuntamento era in ritardo e quando gli squillò il telefono sussultò. Era una mail di Kei. Si rilassò, rispondendogli che lo avrebbe chiamato durante la pausa dal lavoro.
In realtà nessuno sapeva che era stato licenziato dal ristorante di ramen in cui lavorava perché si era addormentato durante l’orario di lavoro. Nessuno sapeva che di notte si spaccava la schiena trasportando scatole come magazziniere, così come nessuno sapeva che stava per entrare a far parte della più grande famiglia di mafiosi che gestiva la vita oscura ed illegale della capitale.
All’improvviso, nel locale praticamente buio nonostante l’ora di punta, entrò un ragazzo. Doveva avere solo due o tre anni più di lui, giudicò strizzando gli occhi per osservarlo meglio.
Indossava un completo nero e gli occhiali da sole, mentre il rumore dei tacchi dei mocassini che portava ai piedi, rimbombava come una promessa di morte. Si sedette davanti a lui e Kota non ebbe bisogno di vederlo senza occhiali per sapere che lo stava fissando.
Yabu era rimasto senza altre vie di uscita. Le spese mediche di Kei erano più di quanto potesse mai permettersi e aveva giurato a sé stesso e al fidanzato che avrebbe fatto di tutto per farlo guarire e per fargli dimenticare quelle ore infernali che continuavano a torturarlo.
Ma la compassione e la buona volontà non pagano le bollette, quello il ragazzo lo aveva scoperto prestissimo. Per quanto lavorasse, per quanto non dormisse o sudasse, i soldi non bastavano, così come non bastavano quelli del prestito e per lui ormai l’unica possibilità di uscirne vivo era di darsi alla criminalità organizzata.
Il ragazzo lo stava ancora fissando, prima di annuire.
« Così saresti tu il moccioso nuovo? » domandò piano accendendosi una sigaretta.
Kota storse il naso all’odore acre del fumo. Aveva perso il vizio mesi prima e non era sua intenzione riprenderlo.
« Mi chiamo Yabu Kota e ho diciotto anni. Il capo degli shatei mi ha già confermato che la settimana prossima ci sarà la cerimonia d’ingresso per i nuovi membri e che oggi avrei incontrato l’aniki che mi avrebbe addestrato. E’ lei? »
L’altro rimase un secondo immobile, prima di scoppiare a ridere.
« Hai intenzione di usare questo schifoso linguaggio formale con me ancora per molto, moccioso? Sono un aniki, non un professore della tua bella università per secchioni. »
Kota si morse la lingua e chinò gli occhi.
« Mi chiamo Yuya ed è tutto quello che devi sapere. La settimana prossima inizierai la tua nuova vita, sarà il caso che dimentichi tutte le buone maniera che mammina ti ha insegnato perché al massimo ti ci puoi pulire il culo. »
Il più piccolo annuì. Andava bene così, continuò a ripetere dentro la sua testa, come un mantra che non stava facendo effetto.
Yuya gli diede una pacca sulla spalla, alzandosi, lanciandogli poi le chiavi di un appartamento e un foglio ripiegato.
« Quella è la tua nuova casa. Puoi portarci anche la tua fidanzatina d’America e amoreggiare con lei in privato se vuoi. » lo prese in giro.
E fu a quel punto che Kota scattò in piedi, afferrando Yuya per un polso. Era intenzionato a dargli un pugno a quel maledetto, ma si ritrovò spinto contro il muro e con il braccio tirato dietro la schiena nel giro di una manciata di secondi. Sentì il respiro denso e viscido dell’uomo dietro di lui all’altezza dell’orecchio.
« Ti conviene mantenere il sangue freddo, oppure la principessa potrebbe vedersela male. Dopotutto, sappiamo perfettamente dove abiti, ricordi? »
« Non toccategli un solo capelli. Altrimenti… » ringhiò Kota.
« Altrimenti cosa? » sussurrò ancora, tirando ancora di più il braccio, tanto che il più piccolo gemette di dolore « Sei qua davanti a me proprio perché non sei in grado di prenderti cura di lui. Quindi ti conviene solo rimanere in silenzio e accettare qualche battutina su di lui, compreso? »
Kota si morse un labbro a sangue, socchiudendo gli occhi, prima di annuire lentamente. Yuya lo lasciò e schioccò la lingua. Poi rise ancora, battendogli di nuovo la mano sulla spalla.
« Certo che sei pieno di energie, vero? Ah, ci voleva proprio qualcuno così per alleggerire l’atmosfera quando lavoro. » riprese fiato « Su, non hai un trasloco da iniziare? » domandò a voce alta mentre lasciava il locale.
Il più piccolo si lasciò ricadere di nuovo sulla sedia, facendo scivolare la testa sul tavolo.
Sospirò, serrando gli occhi e reprimendo le lacrime.
**
Erano passati circa tre mesi da quando Kota era diventato uno shatei di Yuya. Non era molto a suo agio nel maneggiare pistole o armi, né riusciva ad essere particolarmente aggressivo e minaccioso.
Fino a quel momento gli era andata bene dato che andava in giro quasi esclusivamente con Yuya, che incuteva abbastanza terrore quanto tre persone messe insieme. Eppure, quando finiva il loro lavoro, Kota ci chiacchierava abbastanza volentieri. Certo, i pensieri e le idee del più grande cercavano in imporsi prepotentemente su Kota, ma il ragazzo era sempre abbastanza bravo a far credere a Yuya di avere ragione.
Yuya invece, a dispetto delle apparenze, aveva notato molte cose di Kota. Certo, il più piccolo non si sbilanciava mai troppo sulla sua vita, su quello che faceva prima di entrare nella yakuza, né tanto meno parlava del suo fidanzato.
L’unica cosa che Kota faceva volentieri quando stava con lui, era mangiare. Yuya aveva soldi a palate ed essendo poi l’aniki tendeva quasi sempre a pagare lui il conto dei vari pranzi e cene che passavano fuori casa.
Kota, avendo subito capito l’antifona, ogni volta che uscivano, mangiava come se non ci fosse stato un domani e quello che non riusciva a mangiare, se lo faceva imbustare. Certo, il ragazzino non glielo aveva mai detto apertamente, ma una volta aveva scoperto lo shatei lungo la strada di casa e lo aveva visto con in mano le buste del ristorante dove avevano mangiato.
Si era sempre chiesto il perché di quell’attaccamento morboso al cibo, dato che aveva un buono stipendio, non altissimo, ma nemmeno quello di un commesso al conbini, che poteva permettergli ben più di un pranzo o una cena adeguati.
Quella sera Kota era sdraiato sul pavimento, mentre Kei dormiva sul divano. Lo osservò con un sorriso quasi dolce, per accarezzargli poi la guancia.
Osservò il tavolo, con le scatole di cibo vuote e una ciotola di riso abbandonati a sé stessi. Kota si passò una mano sullo stomaco, gettando indietro la testa, ignorando i morsi della fame.
Poi si girò di nuovo verso la televisione, guardandola a volume bassissimo. Non c’era niente di interessante e sbuffò, annoiato.
Stava quasi per addormentarsi con la testa sul divano quando sentì il campanello suonare ripetutamente. Scattò immediatamente in piedi, scapicollandosi per arrivare alla porta il più velocemente possibile.
Aprì la porta, pronto ad inveire contro chiunque fosse, quando si morse la lingua.
« Yuya! » sibilò a voce bassa, voltandosi per vedere se Kei stesse dormendo ancora e lo vide agitarsi sotto le coperte.
« Ehi, mica è così tardi, sono appena le dieci. » esclamò l’altro a voce alta « Ho portato un po’ di cibo e qualcosa da bere. Mica avevi intenzione di fare le cose sconce proprio ora, vero? » lo stuzzicò il più grande spostandolo dall’ingresso e entrando direttamente in cucina.
Gettò un occhio verso il salotto, che fungeva anche da stanza da letto, bastava semplicemente aprire il divano letto su cui Kei era sdraiato fino a pochi minuti prima. Il ragazzino, di cui sapeva solo nome ed età, era seduto con la coperta caduta sulle gambe e lo fissava con sguardo assonnato e perplesso.
Kota arrivò di corsa, frapponendosi fra il salotto e la cucina.
« Yuya, che ci fai qua? » ansimò.
« Ho portato qualcosa da mangiare. Avrai fame, no? » domandò poi osservando lo shatei.
« …Sì! No… aspetta! » esclamò di nuovo afferrandolo per un braccio e trascinandolo di nuovo nel corridoio « Kei non sa nulla. » ammise.
« Cosa? » gridò l’altro « Sei scemo? » aggiunse ad un tono decisamente più basso « Kami, sei uno yakuza, non un pescivendolo, non sono cose che si nascondono tanto facilmente, lo sai vero? »
« Sì, ma… » il ragazzino non riuscì a finire la frase, che sentì le buste che aveva portato Yuya fare rumore.
Si affacciò in cucina, osservando Kei che, senza guardarsi intorno, stava tirando fuori dalla busta delle scatole di alluminio e dall’odore il fidanzato giudicò che fosse cibo cinese.
« Cos’è Yuya? » domandò esasperato Kota.
« Te l’ho detto. A casa mi stavo annoiando e ho portato qualcosa da mangiare, non sapevo che stavate per fare sesso! »
« Non… » il più piccolo lasciò di nuovo la frase a metà, senza avere le forze per replicare e si diresse di nuovo in cucina.
Kei stava ancora togliendo le scatole dalle buste quando Kota si avvicinò lentamente a lui, circondandogli la vita con un braccio e sorridendogli e né a Yabu, né a Yuya sfuggì il sussulto spaventato di Kei.
« Il mio capo ha portato qualcosa da mangiare. » si limitò a dirgli.
« Mi piace il cibo cinese. » sussurrò annuendo con voce flebile, senza scostarsi i capelli dal volto e rimanendo con la testa piegata.
« Lo so. » sussurrò al suo orecchio. « Lo vuoi mangiare adesso o lo tieni per domani a pranzo? »
Kei si morse un labbro.
« Ho un po’ di fame. » ammise fissandolo solo per un secondo.
« Non… ti è bastata la cena? » chiese Kota inghiottendo a vuoto.
« Sì, ma… ho ancora fame. Mi dispiace. »
Kota si allungò alle sue spalle, afferrando dal cassetto un paio di bacchette pulite.
« Di che cosa ti dispiace? Su, ora siediti sul divano e mangia tutto quello che vuoi, l’importante è che tu sia sazio. » si affannò Kota, a disagio.
Kei annuì, stringendo fra le mani un bicchiere d’acqua, una porzione di riso al curry e le bacchette. Poi si sedette di nuovo sul divano, dandogli la schiena e riprendendo a guardare il drama che aveva interrotto prima di addormentarsi.
« Accosto un po’ la porta, va bene Kei? Così non ti diamo fastidio. »
Ma l’altro parve non averlo sentito e così Kota chiuse lentamente la porta.
« Sei sempre così? » chiese Yuya, sedendosi ad una sedia.
« Così come? » domandò stancamente l’altro, afferrando una bottiglia di birra.
« Così… schifosamente preoccupato per i suoi bisogni. »
Kota lo guardò, accennando un sorriso ironico, iniziando a bere.
« Si vede che non ti sei mai innamorato. » si limitò a dire, scuotendo la testa.
Yuya lo fissò, agitandosi sulla sedia come se fosse in difetto di qualcosa. Bevve un lungo sorso di birra.
« Beh, io almeno ho lo stomaco pieno. » borbottò.
« Se lui va a letto sazio e senza nessun scatto di nervi, io sono la persona più felice del mondo. » ringhiò Kota, fissandolo di traverso « Nessuno ha chiesto la tua carità. »
« Non è carità stupido idiota! » esplose Yuya a voce alta.
Kota scattò in piedi, zittendolo. Si accostò alla porta, tendendo l’orecchio e poi aprì la porta, osservando Kei accucciato sotto le coperte che singhiozzava.
« Kei-chan. » chiamò a voce bassa sedendosi accanto a lui « Kei-chan, sono io. Kota. » sussurrò ancora appoggiandogli lievemente le mani sulle spalle, ma il ragazzino urlò e scalciò le coperte, continuando a piangere.
« Vai via. Vai via, sei come tutti gli altri, come quelli là. » urlò agitandosi fra le sue braccia, cercando di difendersi in ogni maniera possibile.
« Kei-chan, ascoltami. » sussurrò « Sono Kota, il tuo Ko-chan. Come potrei mai farti del male? » continuò stringendolo fra le sue braccia e cullandolo lentamente « Su, adesso fai il bravo e smetti di piangere. Non c’è nessuno che vuole farti del male qua, sei al sicuro. » continuò a dirgli e a Yuya non sfuggì la nota di terrore nella sua voce.
Doveva esserci abituato, ma non ancora così tanto da tenere il tono fermo e di renderlo il più rassicurante possibile.
Gli vide gli occhi lucidi e il labbro stretto fra i denti, mentre stringeva il più piccolo a sé,cercando di calmare quello che sembrava in tutto e per tutto una bestia braccata. Vide il ragazzo borbottare qualcosa, gettare la testa all’indietro e socchiudere gli occhi. Lo yakuza temeva che sarebbe scoppiato a piangere anche lui da un momento all’altro, ma quando Kota lo fissò il suo sguardo era incredibilmente fermo e deciso.
« Nella credenza dietro di te ci sono delle pillole. » gli disse e Yuya si voltò, rapido, porgendogli una manciata di secondi dopo la scatola richiesta.
Kota alzò leggermente a sedere Kei, continuando a cingere con forza la vita del ragazzo, senza farlo allontanare troppo da lui.
« Su Kei-chan. C’è la medicina, così ti calmi. E dopo guardiamo un drama, mangiando tutto il cibo buono che ci ha portato Yuya, ok? » mormorò « Su Kei. Conta fino a dieci con me. » iniziò a contare, scandendo lentamente ogni numero e solo quando pronunciato il quinto il ragazzino prese a ripeterli a sua volta.
Si calmò, lentamente. Kei sbatté gli occhi, ancora pieni di lacrime e poi ingoiò avidamente le due pasticche che il fidanzato aveva in mano.
« Sono stanco di avere paura. » mormorò fra i singhiozzi.
« Vedrai, presto passerà tutto. » lo tranquillizzò ricambiando l’abbraccio « Vedrai che presto passerà tutto, te lo prometto. »
Yuya si mise in disparte, capendo anche da solo che quello era un momento in cui non doveva rientrare, sentendosi quasi in colpa per aver urlato in quel modo. Ma che cosa ne poteva sapere lui che Kei aveva dei problemi di quel genere?
Kota gli aveva solo detto che era spaventato dalle persone, senza mai scendere nei particolari. Yuya sistemò le pasticche di nuovo al loro posto, notando questa volta quanto gli scaffali fossero pieni di medicine dai nomi strani, diversi dai soliti medicinali contro la tosse e l’influenza.
Osservò il prezzo di alcuni di loro e solo in quel momento capì come mai Kota non riuscisse mai a mangiare o a comprare qualcosa che non fosse strettamente necessario, limitandosi a dare tutto ciò che aveva a Kei.
No, Kota aveva ragione. Yuya non avrebbe mai compreso, perché non era mai stato innamorato, non di quell’amore struggente che ti spinge a sacrificare qualunque cosa che hai per la persona amata.
No, Yuya non si era mai innamorato. Non amava nessuno, nemmeno sé stesso, quindi come poteva amare qualcun altro?
Dopo una manciata di minuti, Kei e Kota lo raggiunsero. Yuya tentò di fingersi a suo agio e Kei ridacchiò di lui, senza mai osservarlo in viso. Il ragazzino era abbastanza attraente, giudicò lo yakuza, sicuramente avrebbe avuto molti clienti se fosse stato “nel giro”.
Aveva i capelli abbastanza riccioli per essere giapponese, lunghi oltre le spalle e lo sguardo perso nel vuoto, nonostante indossasse gli occhiali. La pelle sembrava liscia e delicata, così come un po’ tutto il suo portamento, simile a quello delle fate perse nei boschi.
Kota doveva aver intuito qualcosa, perché gli pestò brutalmente un piede e Yuya trasalì, tornando con i piedi per terra.
« Mi chiamò Inoo Kei. » mormorò con voce infantile il ragazzino « Mi dispiace per la scenata, io… »
« S-Scenata? » esclamò Yuya interrompendolo, il cui tentativo di fingersi estraneo a tutto aveva iniziato a far ridere anche Kota « Io stavo leggendo le notizie sportive sul telefono, non mi sono accorto di nulla. » borbottò arrossendo e distogliendo lo sguardo, incrociando poi le braccia al petto.
« Comunque sia, lui è Takaki Yuya, il mio… capo. »
Kei annuì, continuando a fissarsi intorno, poi si sedette al tavolo, fissando le altre scatole di cibo.
« Hai ancora fame? » domandò Kota perplesso, specie dall’annuire intimorito di Kei «Ma come mai hai così tanta fame? Oggi non hai pranzato? Eppure ti avevo lasciato il riso. » commentò più a sé stesso, senza aspettarsi realmente una risposta.
« Il riso… lo hai mangiato te a cena. » ammise « Oggi non ho mangiato nulla. »
A Kota sfuggirono le bacchette dalle dita, fissandolo esterrefatto.
« Kei, lo sai che devi mangiare. Sei ancora in convalescenza, i lividi e le ferite non sono ancora guarite per bene. Io mangio talmente tanto a pranzo che a cena non ho veramente fame. » mentì con un sorriso.
« Mh. Ma è da quando ci siamo trasferiti che non mangi mai, nemmeno a colazione. » borbottò Kei iniziando ad attaccare della soba e a bere una lattina di coca-cola.
« Sono a dieta. » scherzò Kota, voltandosi poi verso Yuya « Vero che a pranzo mangio sempre? »
« …uh… sì, certo. Mangia talmente tanto che un giorno di questi manderà in fallimento l’azienda. »
« Davvero? » domandò Kei con gli occhi che brillavano per l’emozione.
« S-Sì. » confermò di nuovo Yuya, a disagio, accendendosi una sigaretta.
« Vedi? » concluse Kota sorridendogli « Su, adesso mangia. E non farmi stare più in pensiero, va bene? » lo rimproverò dandogli un bacio su una guancia, per poi sedersi e continuare a bere la birra.
Tutti e tre parlarono del più e del meno per molte ore e per la prima volta dopo tanti anni, Yuya si sentì finalmente bene.
**
Kota non avrebbe mai smesso di insultare mentalmente Yuya. Il più grande sapeva quanta poco propensione avesse per quel tipo di lavoro, ma sembrava davvero che non gliene fregasse nulla.
Poteva rimanere in ufficio a sistemare i conti o a tenere i contatti con altre aziende, rimaneva il fatto che era bravo con il lavoro d’ufficio.
Il fatto che Yuya gli avesse rigirato i “contatti con aziende” con un bordello della famiglia, non cambiava. Lo odiava.
Davanti all’ingresso prese un profondo respiro. Era là semplicemente per i registri contabili di quel mese, nulla di più. Non doveva guardare nessuno, parlare con nessuno che non fosse il capo di quel lurido posto. Doveva prendere i registri e poi andarsene.
Aprì la porta dirigendosi verso il piano superiore. Non riuscì ad arrivare in cima alla rampa di scale che fu investito da un piccolo tornado, un ragazzino di sì e no otto anni che correva, o scappava, lungo i corridoi.
Dietro di lui spuntarono due buttafuori, che acchiapparono con estrema facilità il ragazzino, trascinandolo di nuovo, sotto le sue accese proteste, al piano superiore.
Kota decise che non si sarebbe infilato in quel problema. Doveva recuperare i registri e nulla più.
Si fermò davanti ad una porta, quella del capo. Su di questa spiccava una bella targa dorata, con su scritto Nakajima Yuto.
Armandosi di tutto il coraggio che possedeva, Kota bussò, attendendo il permesso di entrare. Ricevuto, si ritrovò dentro una stanza abbastanza spartana, dove si trovava solo una scrivania posta vicino all’unica finestra, un paio di librerie e delle sedie.
Seduto sull’enorme sedia in pelle, si trovava il famoso Yuto e vicino a lui, con un labbro sanguinante e un occhio pesto, c’era il bambino di pochi minuti prima.
« Chi sei? » domandò bruscamente Yuto, osservandolo dall’alto in basso.
Kota osservò la cicatrice che attraversava completamente l’occhio destro del suo aniki, chiedendosi gli poteva avergli lasciato quella ferita, così lugubre e inquietante che rendeva la sua figura ancora più terrificante.
Eppure Yuto era alto più o meno quanto lui, altrettanto secco e indossava, seppur più costosi, gli stessi abiti eleganti che ormai avevano anni e anni sulle spalle.
« Yabu Kota. Il nuovo shatei di Yuya, sono qua per… »
« Sì sì! » lo interruppe agitando svogliatamente la mano alzandosi in piedi e gettando malamente il ragazzino sulla poltrona che, nonostante lo sguardo torvo e spaventato allo stesso tempo, non si mosse di un millimetro.
Yuto camminò lentamente fino ad arrivare a lui, per poi puntargli, nel giro di un paio di secondi, la canna di una pistola al petto. Kota costrinse il proprio corpo a non fuggire, nonostante l’istinto fosse elevato.
Doveva solo fingersi più spavaldo e meno terrorizzato di quello che realmente era. Yuya ci riusciva ogni giorno, continuò a dirsi prima che una seconda voce nel suo cervello gli ricordasse che Yuya non fingeva spavalderia, semplicemente non aveva paura di morire.
Ancor meno rassicurato, Kota accennò un sorriso.
« Non sono qua per giocare, ma per prendere i registri contabili. E Yuya ti manda a dire che adesso che è lui a capo del giro ti puoi dimenticare i tuoi giochetti con le entrate e le uscite e con le puttane. » indicò con un sguardo il ragazzo « O con i bambini. » continuò allusivo.
Kota sentì la pistola caricarsi, ma continuò a non muoversi, mentre di sé malediva il suo aniki in ogni lingua che riusciva a ricordare. Non erano tante, ma le invettive che conosceva erano molte.
Poi udì lo scatto, ma nessun proiettile trafiggerlo. Inghiottì a vuoto, osservando il petto bagnato d’acqua. Poi Yuto spruzzò di nuovo dalla pistola.
« Ehi, sono pochi gli shatei che non implorano di avere salva la vita. Hai anche snocciolato per filo e per segno tutte le belle parole del nostro castissimo aniki. »
« Non mi interessa quello che fa Yuya nel tempo libero, né chi si porta a letto. Io devo solo fare il mio lavoro. E adesso, se permetti, mi servono quei registri contabili. » disse ancora, allungando una mano.
**
Quando uscì dal palazzo, dovette camminare per qualche centinaio di metri per raggiungere la macchina parcheggiata e si voltò solo quando si rese conto di essere seguito.
Dietro di lui, non tanto mimetico a dire la verità, si trovava il ragazzino di prima. Kota lo fissò, malamente nascosto dietro una pianta non tanto più alta di lui, che lo fissava sempre con lo sguardo che aveva lanciato a Yuto.
Lo yakuza si disse che doveva dargli le spalle e andarsene, ignorarlo, perché gli avrebbe fatto passare dei guai.
Eppure fu più forte di lui e gli si avvicinò, sorridendogli.
« Ciao. Io sono Kota, tu come ti chiami? » domandò.
« Ryosuke. Ma quello là mi chiama Ryo e basta. » mormorò il bambino chinando gli occhi.
« Parli di Yuto? »
Il bambino non rispose, scuotendo le spalle, mordendosi poi un labbro, nervoso. Kota si guardò intorno, sospirando ancora, dicendosi che doveva andarsene, senza però riuscirci.
« Senti, io sto andando a fare merenda. Vuoi venire con me? »
Ryosuke si guardò intorno, senza perdere quello sguardo spaventato e allora Kota gli allungò una mano, continuando a sorridergli.
« Dai, se è il caso poi a Yuto gli parlo io, non preoccuparti. »
« Davvero? »
« Davvero davvero, parola di scout. » lo rassicurò il più grande.
Il bambino allora accennò il primo sorriso e afferrò la sua mano e Kota la trovò incredibilmente piccola e gli si strinse il cuore nel saperlo chiuso in un bordello in balia di alcuni psicopatici che di lui facevano quello che volevano.
Dentro al primo bar che trovarono, Kota osservava Ryosuke che mangiava avidamente un panino e che beveva un succo di frutta.
Di più non poteva permettersi Kota, ma andava bene così. Sapeva che farsi coinvolgere troppo da Ryosuke era un male, che non doveva proprio mischiarcisi perché poi Yuto gliel’avrebbe fatta pagare, ma era stato più forte di lui.
Il sorriso di Ryosuke, considerò Kota, lo rendeva ancora più carino. Quando si salutarono, lo yakuza si disse che i bambini non avrebbe mai dovuto smettere di sorridere e che il mondo in cui vivevano, era veramente un mondo schifoso.
**
Era passato un mese e Kota ormai si era più o meno abituato ai ritmi di quel lavoro, anche se non riusciva ancora a mettere piede dentro al “capannone” per troppo tempo.
Il capannone era un luogo che puzzava di morte e di sangue e la prima volta che ci aveva messo piede aveva vomitato dopo dieci minuti, suscitando le risate di Yuya. In quel posto ci finivamo i bambini che i genitori abbandonavano alla yakuza per risarcire debiti o i trovatelli che venivano rapiti dalla strada. In quell’enorme stanzone si decideva la loro vita.
I più fortunati, secondo Kota, morivano dopo una breve visita medica e i loro organi erano venduti al mercato nero. I meno fortunati erano invece venduti come schiavi sessuali ai ricchi, a quelli che potevano permettersi di giocare con la vita e la morte delle persone.
Anche quella giornata era uscito dopo meno di un’ora da quel luogo infernale e Yuya lo aveva raggiunto in macchina. Kota si rigirava fra le dita una sigaretta e la osservava rapito.
Aveva smesso di fumare quando aveva iniziato a studiare per l’esame d’ingresso alla Todai, circa un anno e mezzo prima. Ne aveva scroccate una o due nel cantiere in cui lavorava di notte, ma non aveva ripreso il vizio perché non poteva permetterselo.
A dir la verità non poteva permetterselo nemmeno in quel momento, ma forse uno strappo alla regola poteva sempre farlo.
L’accese nell’esatto momento in cui Yuya entrò in macchina, dalla parte del passeggero e lo fissò con un sopracciglio alzato.
« Fumi? »
« Fumavo. » rispose con un sorrisetto Kota aspirando un paio di boccate « Poi ho smesso perché non avevo soldi. Usavo tutti gli stipendi per pagare le spese dell’ospedale di Kei. » borbottò a denti stretti, quasi vergognandosi di rivelargli la sua condizione finanziaria.
Yuya lo imitò, accendendosi a sua volta una sigaretta, appoggiando il piede sul cruscotto della macchina.
« Yuya! » lo riprese il più piccolo sbuffando « E’ l’unica macchina che ho, dai! »
« Kami, sei veramente un damerino con un palo nel culo. » si lamentò lo yakuza tirando comunque giù il piede « Al limite te ne do una io in prestito. Ne ho tre di macchine. »
Kota roteò gli occhi, sbuffando a sua volta, ignorandolo. Era la cosa migliore da fare, aveva scoperto in quei quattro mesi, che quando Yuya iniziava a blaterare sui suoi soldi o sulla sua vita, era sempre meglio ignorarlo.
« Senti Kota, a me non piace farmi gli affari degli altri, ma oggi ho parlato con Yuto. »
Il ragazzino si irrigidì, senza voltarsi a guardarlo.
« Mh. E quel pazzo che cosa voleva da te? »
« Mi ha fatto capire fra le righe che tu sei interessato a Yamada. Senti, io lo conosco, so che è tragico, bla bla e bla, ma qua nessuno è felice, ok? E Ryosuke è suo, non ci puoi fare nulla. Lo ha comprato, fattene una ragione. »
« Lo so, ma… » esclamò Kota voltandosi verso di lui.
« Niente “ma”. Qui non facciamo beneficenza, mettitelo in testa il prima possibile e sopravvivrai più a lungo, fidati. E poi non metterti mai contro Yuto. Lui è peggio di molte altre persone qua dentro. Non ha scrupoli e non li avrebbe nel caso dovesse farti comprendere con le “buone maniere” quanto stai rischiando. »
« Cosa… intendi? »
Yuya sbuffò, spazientito, passandosi una mano sul volto.
« Qual è il tuo unico punto debole? Non hai una famiglia, senza offesa, non hai beni di proprietà, non hai nulla. Se non Kei. »
L’altro sbarrò gli occhi.
« Pensavo che all’interno della famiglia non si facessero scherzi simili. » mormorò senza voce.
« Non sarebbero rivendicazioni ufficiali, ovviamente. Ma non sono rare le persone scomparse, ecco. »
« Se qualcuno dovesse toccare Kei… »
« Se non vuoi che ti tocchino il tuo amatissimo Kei, allora non fare nulla per farli arrabbiare. Sono potenti e tu sei solo uno shatei alle prime armi. Potrai fare come vuoi te solo quando sarai qualcuno. »
Kota gettò il mozzicone di sigaretta fuori dal finestrino, irritato, afferrandone immediatamente una seconda.
« Ryosuke è piccolo. Ha quanto? Otto anni? Non è giusto! »
« Nulla è giusto Kota. Non all’interno della yakuza. » concluse Yuya, distogliendo lo sguardo e facendo ben intendere che il discorso era chiuso.
**
Quel pomeriggio Kota era apparso a casa sua con Kei così come un padre molla il figlio piccolo a casa di amici.
Kei era rimasto per qualche secondo sulla soglia di casa, con il giacchetto di jeans più grande della sua taglia e a tracolla la borsa che probabilmente usava per andare a scuola, in più il cappello di lana era tirato quasi fino agli occhiali e la parte inferiore del volto era nascosta dalla sciarpa, lasciando scoperti solo la parte degli occhi.
« Io torno a lavoro. » disse frettolosamente Kota, prima di voltarsi verso il fidanzato, ancora sulla soglia « Kei-chan, che cosa hai? »
« Nulla. » borbottò il più piccolo « E’ che non mi piace… passare la serata senza di te. » ammise.
« Amore mio, non torno tanto tardi. » lo consolò abbracciandolo, stringendolo a sé con forza, come se non volesse staccarsi « Finisco il lavoro il più in fretta che posso, te lo giuro e poi torno. Dopo possiamo guardarci insieme la nuova puntata del drama che stiamo guardando, che ne dici? »
« Promesso? »
« Promesso. » sussurrò sorridendogli « Ora vai, vedrai che con Yuya starai benissimo. »
Si voltò verso Yuya.
« Allora Yuya… »
« Sì, lo so mamma. Niente caramelle e dolci dopo cena, devo fargli mangiare le verdure e la carne altrimenti deperisce e niente bibite gassate altrimenti si sente male. Mi ci hai spaccato la testa per tutto il giorno. Ora, per favore, vuoi prendere il tuo culo da damerino del cazzo e sparire dal mio appartamento? » sibilò esasperato.
« Ok. Ciao Kei-chan. » sussurrò dandogli un veloce bacio, scostando la sciarpa.
Kei arrossì, sorridendo, e salutandolo agitando la mano come una principessa innamorata, osservando imbambolato la porta che si chiudeva.
Yuya, improvvisamente a disagio, si voltò verso Kei. Non era abituato ad avere persone intorno, né tanto meno a fare da baby sitter ad un quasi diciottenne. A dir la verità, solo su una cosa Kota era stato abbastanza chiaro. Non doveva mai alzare la voce, altrimenti… beh, sapeva bene a che cosa andava incontro. E il fatto di avere comunque le medicine di Kei, non lo rassicurava per niente.
« Kei, che cosa vuoi fare? »
Il ragazzino si dondolò da un piede all’altro, stringendo le mani sulle bretelle dello zaino, mordendosi un labbro, più a disagio di Yuya.
« Non sono abituato a stare senza Ko-chan. » balbettò.
« Lo so, ma Kota non voleva che tu stessi da solo a casa la sera, quindi sei qua con me. Ora, c’è qualcosa che vuoi fare prima di cena? »
« Ho fame. » rispose, senza comunque spostarsi o togliersi i vestiti di dosso.
« Va bene. » Yuya entrò velocemente dentro alla cucina, osservando desolato il frigo e la credenza vuoti.
Non era abituato Yuya a mangiare a casa, a nessun pasto, quindi faceva raramente la spesa e Kota gli aveva affidato quel pacchetto solo un paio d’ore prima.
« Andiamo a comprare qualcosa, che ne dici? Facciamo merenda. »
« Kota ha detto niente dolci prima di cena. » si lamentò Kei, quasi timoroso di un qualunque rimprovero del fidanzato.
« Infatti all’ora di cena mancano ancora tre ore. Hai tutto il tempo per digerire, no? »
Kei parve pensarci su, prima di accennare un sorriso.
« E’ vero. Kota non ha detto niente dolci per merenda. »
« Esatto, vedo che iniziamo a capirci. » rise Yuya « Su, ora togliti la borsa e lasciala qua a casa, il conbini è sotto casa. »
« Ti dà fastidio se la porto dietro? »
« Uhm. No, ovvio che no. Andiamo dai. » gli diede una leggera pacca sulla spalla e poi uscirono dall’appartamento.
**
Dopo un’ora Yuya e Kei erano seduti in maniera scomposta sul divano, a guardare i drama che il più piccolo aveva portato racchiusi dentro l’hard disk che custodiva gelosamente.
Avevano ognuno una vaschetta di gelato sullo stomaco dai gusti diversi e mangiava con il cucchiaio direttamente dalla ciotola.
Il gelato era l’unica cosa che mangiava Yuya quando stava a casa. Non gli piaceva cucinare e poi non lo sapeva fare. L’ultima volta che ci aveva provato, più o meno due anni prima, aveva rischiato di morire avvelenato.
Da quel momento, aveva rinunciato. Aveva abbastanza soldi per mantenere tutti i suoi vizi, quindi, perché non farlo?
« Da quanto stai con Kota? » domandò all’improvviso Yuya, tenendo fissi gli occhi sul televisore.
Sentì Kei irrigidirsi al suo fianco e lo vide con la coda dell’occhio mordersi un labbro.
« Da poco. » mormorò « Il prossimo aprile sono tre anni. » continuò « Ci siamo messi insieme poco dopo la mia cerimonia d’ingresso, anche se ci conoscevamo già da un anno, ma Kota è sempre stato un tipo all’antica, voleva fare le con calma. »
Yuya si chiese cosa avesse potuto spingere un tipo così “all’antica” ad entrare dentro la yakuza, condannando sé stesso ad una intera vita nell’illegalità.
« Vabè. Tre anni non sono così pochi. »
Kei scosse le spalle, continuando a mangiare gelato.
« Io voglio stare per sempre con Ko. Ko è come il Principe azzurro. Quando è arrivato da me mi ha salvato e tutto è diventato luminoso. » accennò un sorriso imbarazzato « Ma Ko non ha né gli occhi azzurri e nemmeno i capelli biondi delle favole. Andrà bene ugualmente? » domandò poi alzando gli occhi grandi verso Yuya.
L’interpellato, preso alla sprovvista, annuì con foga.
« C-Certo che va bene ugualmente! Chi ha deciso che i principi devono essere tutti biondi con gli occhi azzurri? »
« Infatti, è quello che mi chiedevo anche io. » concordò Kei svagato, osservando rapito lo schermo del televisore « Questo è il mio drama preferito. Io e Ko lo guardiamo spesso, piace molto anche a lui. »
Yuya annuì, dubitando fortemente della sua ultima affermazione. Poteva conoscere lo shatei da poco tempo, ma di sicuro aveva compreso che Kota avrebbe detto o fatto qualunque cosa pur di rendere il fidanzato felice, anche guardare a ripetizione un drama horror, cosa di cui Kota aveva assoluto terrore.
Sospirò. Nel suo mondo non aveva mai conosciuto o visto un legame così forte e duraturo. Non ci aveva mai creduto, anche perché i suoi genitori non erano mai stati un esempio di famiglia amorevole.
Kei continuò a mangiare gelato, perso nel suo mondo, e Yuya era sicuro che non stesse guardando realmente la televisione.
« Come mai non hai finito le scuole? » domandò all’improvviso Yuya.
Kei si irrigidì di nuovo, dondolandosi lentamente avanti e indietro.
« Ci sono stati dei problemi. Molti problemi. C’erano delle persone cattive che… non si sono comportati bene. E c’era Kota che piangeva. E Kota che urlava alla mia famiglia. E Kota che va tante ore a lavoro, lasciandomi nella sua stanza. » snocciolò Kei, seguendo un filo logico solo nella sua mente.
« Va bene, va bene. » si agitò Yuya « Non mi interessa, ok? Tranquillo. »
« Mh. Davvero? Perché Ko dice sempre che le persone cattive sono ovunque e non vuole che io stia troppo con le persone, perché poi loro si interessano a me e fanno domande e toccano e poi… »
« Kei! » lo chiamò Yuya afferrandolo per le spalle « Kei, stai tranquillo. Va tutto bene, nessuno vuole farti del male, puoi fidarti di me. »
Il ragazzo alzò gli occhi su di lui, osservandolo spaurito.
« Davvero? » ripeté con voce flebile.
« Davvero. Finché ci siamo io e Kota, nessuno ti può fare del male. »
L’alto annuì, mordendosi un labbro, distogliendo lo sguardo e fissando altrove, rapito.
« Ho ancora fame Yuya. » esclamò poi cambiando nuovamente discorso.
« Finisciti il gelato. »
« Non mi va il gelato. Ho voglia di pizza. Yuya, mi compri una pizza? »
« Possiamo ordinarla. » rispose lentamente.
« E’ buona la pizza. Ko la prende spesso. »
« Va bene, va bene, ma non diciamolo a Kota, altrimenti poi si arrabbia, ok? »
Kei ridacchiò, con una risata infantile, da bambino piccolo. Yuya si alzò, cercando di tenere a bada il disagio.
L’amico dimostrava diciotto anni, ma in quel momento, quanti anni aveva effettivamente la sua mente?
**
Kota si guardò intorno, fumando. Gettò la cicca a terra appena arrivò al e poi finalmente, da dietro l’angolo, vide arrivare il piccolo Yamada.
Per quanto le parole di Yuya lo avevano scosso, non avrebbe lasciato quel bambino, terribilmente accarezzato da centinaia di incubi, al suo destino. Per quanto era nelle sue possibilità, gli avrebbe dato qualche ricordo felice.
Sorrideva e questo rese Kota un po’ più felice.
« Kota, scusa il ritardo. Yuto non voleva addormentarsi. » sbuffò come se fosse una cosa perfettamente normale, mentre il più grande sentiva i brividi di disgusto attraversargli la schiena.
« Nessun problema. Fra poco è ora di fare merenda, lo vuoi un gelato? » domandò sorridendogli.
« Sì, mi piace il gelato. »
I due si sedette ad un tavolo dentro una gelateria e Kota osservò il bambino ridere e mangiare felice il suo gelato.
« Ryo, come… sei finito con Yuto? » domandò piano.
Il ragazzino storse le labbra.
« Ci sono nato. » scosse le spalle « Mia madre era stata comprata da loro, io sono solo il figlio di un cliente. Non so chi sia. Non so nemmeno chi sia madre, dicono che sia morta pochi giorni dopo la mia nascita. Yuto mi ha lasciato vivere nel bordello, ogni tanto c’erano le altre ragazze che si prendevano cura di me. Poi… » si interruppe per qualche secondo, titubante « Poi Yuto mi ha comprato. Ho una stanza al bordello, tutta mia. A volte dormo a casa sua però. E non è bello. » borbottò concludendo la sua storia.
Kota sentì gli occhi lucidi. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa pur di liberarlo da quella tortura, da quell’incubo perenne che stava vivendo, ma non poteva fare nulla.
Non solo perché poi Yuto se la sarebbe rifatta su Kei, ma anche perché non aveva i mezzi necessari per far sparire Yamada e affidarlo ad una famiglia seria, che gli volesse bene, che lo facesse sentire amato, permettendogli di vivere una vita migliore di quella che stava vivendo in quel momento.
Yuya non lo avrebbe mai aiutato. Lo sapeva e, in fondo, non poteva fargliene una colpa per quello. Per lui era tutto lavoro.
E, forse, la sua visione della vita, per essere uno yakuza, non era nemmeno così sbagliata.
**
Yuya si lasciò ricadere sul materasso con il fiatone. Non ricordava bene come aveva iniziato ad andare a letto con Yuto, ma sapeva con assoluta certezza che le scopate con il suo aniki fossero le migliori che aveva provato fino a quel momento.
Non gli mancavano le donne, gli piaceva fare sesso con loro, ma con uomo era una cosa che superava qualunque altra. Yuto poi era focoso. Non si accontentava di una sveltiva, voleva le cose fatte per bene e permetteva a Yuya di sfogare su di lui le sue perversioni, gli permetteva di graffiarlo e di tagliarlo, di prenderlo come veniva, senza preoccuparsi troppo per il suo corpo.
E a Yuya piaceva poter vedere il sangue scarlatto che scivolava lungo la pelle di Yuto, perché così gli sembrava di poterlo sporcare un po’, di poter avere lui il coltello dalla parte del manico, gli permetteva di sentirsi meglio, di scacciare il peso che portava addosso fin da quando era nato.
Yuto si coprì con il lenzuolo, voltandosi verso Yuya, ancora nudo.
« E’ stato interessante aniki. » ansimò voltando la testa verso di lui.
« Lo pensavo anche io. » l’altro aprì gli occhi, osservando Yuya.
A Yuto piaceva Yuya. Sessualmente parlando. Per qualcosa di più serio probabilmente lo avrebbe ucciso. I loro caratteri erano decisamente incompatibili.
« Mi hai fatto venire in questo love hotel solo per fare sesso? » domandò poi, alzandosi a sedere per prendere una sigaretta dal comodino.
Yuya storse il naso.
« Volevo parlare del mio nuovo shatei, Kota. »
« Ah, quel ragazzino che si diverte a toccare le mie cose? » domandò quasi casualmente il più grande, interrompendolo.
« Kota non si è ancora abituato a tutto questo. Lui viene da una famiglia per bene, una di quelle vere. Lascia correre Yuto. » si limitò a dire Yuya, iniziando a preoccuparsi per la piega che stava prendendo quella conversazione.
« Ieri pomeriggio è uscito con il mio Ryosuke. Chissà cosa succederebbe se io toccassi le sue cose. » si voltò verso Yuya come se fino a quel momento non avesse aperto bocca e sorrise.
« Yuto, gli ha solo offerto la merenda. Lui non è interessato a Ryosuke in quel senso. Non ne ha bisogno. » borbottò Yuya « E’ un bambino Kami. » represse un verso di disgusto che però non sfuggì a Yuto, che si fece immediatamente più vicino al ragazzo, sfiorandogli le braccia, martoriate da cicatrici e non ancora tatuate.
« I bambino sono carini Yuya. Sai, non credere di essere molto più forte di tanti altri, Yuya. Solo perché nessuno dei tuoi shatei è abbastanza grande da ricordarsi di quegli anni… » mormorò allusivo.
Il più piccolo si ritrasse, nascondendo sotto le mani le cicatrici che lo portavano costantemente indietro negli anni, ricordandogli quello che aveva subito, quello che altri aniki gli facevano.
« Se non fossi stato una loro proprietà Yuya, ci avrei fatto un pensierino anche io su di te. Così piccolo e indifeso, nelle loro mani. Ti piaceva vero Yuya? Ti piaceva farti scopare da loro tutte le sere? » sussurrò mellifluo, leccandogli il collo e mordendoglielo.
« Sono solo voci. Non è mai successo nulla quando sono entrato nella famiglia. » replicò Yuya, tentando inutilmente di tenere fermo il suo tono di voce, cercando di nascondere quanto in realtà quei ricordi e quelle voci fossero reali e tangibili.
L’altro ridacchiò, mettendosi velocemente in mezzo alle sue gambe, sopra di lui.
« Pensa a come ti rispetterebbero di meno i tuoi shatei nel sapere che in realtà il loro grande e forte aniki non era altro che la puttanella di quattro uomini. » rise « Dovevi essere bello con tutte le tue cicatrici, la tua aria spaventata, chiuso tutto il giorno in quella stanza, sapendo che prima o poi sarebbero rientrati. »
Yuya lo scostò con un gesto violento, alzandosi dal letto e iniziando a rivestirsi.
« Sono solo voci. » ripeté con la voce che gli tremava, senza trovare il coraggio di guardare il più grande.
La sua risata gli penetrò nelle orecchie.
« Ricorda a Kota che deve stare lontano dalle mie cose. O la sua piccola fidanzata potrebbe pagarne le conseguenze. »
Yuya si voltò di scatto, ma si morse la lingua. Yuto stava andando a caso, non aveva nessuna prova dell’esistenza di Kei.
Ma ciò che lo preoccupava maggiormente era che l’altro avesse occhi e orecchie in tutta Kabuki-cho. Se solo avesse voluto, lo avrebbe scoperto nel giro di una manciata di minuti. E allora sì che sarebbe stato arduo risolvere quel problema.
Yuya infilò le scarpe e, senza aggiungere altro, andò via.
**
Yuto rientrò in casa e subito notò la mancanza di qualcuno. Si guardò intorno e vide che non c’era traccia del piccolo Ryosuke. Sbuffò, innervosito.
Era sicuramente con quel piantagrane di Kota. Era stato abbastanza chiaro con il bambino quando era uscito per vedersi con Yuya. Non doveva uscire di casa oppure l’avrebbe pagata cara.
Ma a quanto sembrava, Kota gli piaceva così tanto da trovare il coraggio di sfidare la sua rabbia, senza pensare a quanto spaventosa sarebbe stata.
Afferrò il telefono. Un paio di chiamate risolsero l’intera questione. Si lasciò cadere sulla poltrona, mentre sulle labbra si apriva un sorriso maligno.
Kota abitava con il suo ragazzo, tale Inoo Kei.
Bene. Su di lui allora si sarebbe abbattuta la sua vendetta.
**
Kota era stato molto chiaro con Kei quando erano andati ad abitare insieme, in quel nuovo quartiere che, il ragazzo non aveva trovato il coraggio di dirglielo, gli sembrava molto più inquietante di quello tranquillo e confortevole dove abitava Kota.
E il ragazzo di certo non se lo era fatto ripetere due volte. Usciva lo stretto necessario e si chiudeva sempre con due mandate dentro casa, proprio per evitare spiacevoli incontri. La casa d’altronde era molto piccolo.
Il corridoio di fronte all’ingresso era lungo si e no tre metri e l’unica porta che c’era era quella del bagno e del piccolo stanzino.
Sulla sinistra c’era subito la cucina, separata dal salotto - stanza da letto da una porta scorrevole, anche quella con una serratura. L’aveva montata Kota subito dopo il loro arrivo, perché la prima notte Kei non faceva altro che guardarla, temendo che qualcuno potesse entrare nel sonno.
Quel giorno stava aspettando Yuya. Era in cucina, a fare un cruciverba, e aveva gettato uno sguardo all’orologio quando aveva sentito il campanello suonare. Yuya era in anticipo. Un po’ troppo considerando che aveva appena chiuso la telefonata con lui e che la ci volevano almeno dieci minuti per arrivare da lui.
Sospettoso, poteva essere sempre Kota che era tornato a casa prima dal lavoro, si avvicinò all’ingresso. La porta non aveva la catenella per osservare chi si trovava dall’altro lato e si morse un labbro.
« Chi è? » domandò stringendo le dita sulla sciarpa.
« Yuto. Sono un collega di Kota. Posso entrare? »
« Kota mi ha detto di non far entrare nessuno. Mi dispiace. Potete tornare più tardi. » cercò di dirgli, mentre sentiva il cuore battergli velocemente nel petto.
Udì l’altro ridacchiare. E quella risata non gli piacque per niente. Gli ricordava cose brutte, che lui non voleva ricordare. Inghiottì rumorosamente, quando all’improvviso sentì un violento corpo contro la porta e Kei sussultò, scivolando all’indietro, lungo il corridoio.
« Apri questa porta oppure ti giuro che la sfondo a calci, moccioso. » ringhiò l’uomo e Kei trattenne a stento un singhiozzo.
Si alzò in piedi, cercando di raggiungere il salotto, con l’idea di chiudercisi dentro, tentando di ignorare anche i violenti colpi che stavano facendo cedere lentamente la porta dai loro cardini.
Aveva appena fatto in tempo a chiudersi dentro la stanza da letto quando udì la porta cedere. Kei si rintanò dietro il divano, stringendo tra le mani un coltello che aveva preso dalla cucina.
« Piccola Kei-chan! » chiamò a voce alta Yuto.
Kei trattenne un secondo singhiozzo, portandosi le mani alle orecchie. Non gli piaceva essere chiamato in quel modo. Lui era un maschio. Un maschio, non una femmina. Solo loro lo avevano chiamato “piccola”, “puttanella” e in altre maniere. Non voleva ricordare. Aveva faticato per impedire a sé stesso di ritornare a quelle ore terribili, a quei momenti che avevano distrutto la sua vita.
« Piccola Kei-chan, ti sei nascosta nel salotto? » domandò poi dando un colpo alla porta e la presa sul manico del coltello di Kei si fece ancora più forte.
Yuto diede un secondo colpo alla porta che iniziò ad incrinarsi, quando sentì la voce del suo amico.
« Yuya! » esclamò lo sconosciuto « Sei qua anche tu allora? Vedi, ho trovato la fidanzata di Kota. Ora devo solo punirla, perché sai, il tuo shatei non imparato molto dai tuoi avvertimenti. »
« Lascia fuori Kei da tutto questo. Il tuo problema è con me e con Kota, non con lui. »
« Oh Yuya. Ho saputo tutto. So perché Kota è diventato uno yakuza. Sai, la sua piccola fidanzata è stata toccata dal molte altre persone e… oh, forse ci sei affezionata perché ti ricorda te da piccolo? »
Yuya sbiancò. Non aveva decisamente voglia di sapere tutti i segreti di Kota e Kei, non quando il più grande si era fatta premura nel tenerglieli nascosti.
« Non è così. Kei… è solo un amico. » si limitò a dire.
Yuto scosse le spalle, indifferente alle parole dell’amico e si voltò di nuovo verso la debole porta che separava le due stanza. Kei non udì nulla, solo un unico colpo di pistola e poi l’ombra di Yuto, forse, che si accasciava a terra.
Udì un sospiro, forse quello di Yuya. Si lasciò sfuggire un singhiozzo e si avvicinò alla porta, facendo scattare la serratura, tenendo fermo il coltello davanti a sé, pronto a colpire chiunque ci fosse dietro quella porta.
Quando il divisore si aprì, terrorizzato, spinse la lama in avanti. Yuya, veloce e attento, fece in tempo a schivare il colpo e a disarmarlo, dandogli un colpo sui polsi.
Kei si ritrasse verso l’indietro, frapponendo fra lui e l’amico il kotatsu.
« Kei, sono Yuya. Stai tranquillo. » sussurrò Yuya chiudendosi la porta alle spalle, per impedire a Kei di vedere il cadavere di Yuto.
« Che cosa succede Yuya? » domandò singhiozzando « Che cos’è questa storia della yakuza e tutto il resto? Chi era quello là? »
« Kota è uno di noi. E’ diventato un mio shatei per… permetterti di avere una vita migliore. »
« E quello là chi è? » domandò ancora, indicando con un cenno oltre le sue spalle.
« Lui… » Yuya sospirò « Una persona che voleva farti del male. E come ti ho promesso, finché ci saremo io o Kota, nessuno ti farà più del male. » allungò una mano « Ora vieni, andiamo a casa mia, poi avvisiamo Kota, ok? »
Il ragazzo annuì, afferrando titubante la mano dell’amico. Yuya la strinse nella sua e premurandosi di fargli dare sempre le spalle al cadavere, lo portò via.
**
Kota sentiva di meritarsela quella punizione. Ma avrebbe preferito che a farne le spese fosse stato lui in prima persona e non Yamada.
Yuya aveva usato il ragazzino solo per dargli una lezione, una di quelle lezioni che difficilmente avrebbe dimenticato. Preso il controllo degli affari di Yuto, l’aniki si era premurato quasi immediatamente di sbattere Ryosuke in una stanza, iniziando a farlo prostituire.
« Yuya, tutto questo è pazzesco. » esplose dentro la stanza dell’aniki « Ryosuke non ha colpa. Ha già sofferto abbastanza, tu non puoi… »
« Io ti avevo avvertito Kota. Ti avevo detto di stargli alla larga. Hai causato più danni di un tifone, cazzo. »
« Dovresti punire me, non lui. Questo non è giusto. »
« Avrai la sua sorte sulla coscienza. C’è punizione peggiore di questa per una persona come te? » domandò solo Yuya uscendo dalla stanza e lasciandolo solo.
**
Kota rimase fermo di fronte alla stanza di Yamada per una manciata di minuti. Poi si decise ad entrare.
Si sforzò di sorridere quando il bambino gli corse incontro, abbracciandolo. Kota lo scostò da sé, facendolo sedere sul letto, porgendogli dei daifuku alla fragola che al bambino piacevano tanto.
« Ryo, non possiamo più vederci. » esordì « Io… sai, ho combinato dei guai e adesso sono in punizione. » si limitò a dirgli.
« Perché hanno ucciso Yuto? » il bambino scosse le spalle « A me va bene. Lo odiavo. »
« Sì ma… ci saranno altre persone adesso. Non solo lui. »
Yamada scosse ancora le spalle.
« Lo sapevo che sarebbe finita così. Prima o poi sarei diventato troppo grande per Yuto e allora… » guardò altrove « Meglio questo che la morte. »
Kota avrebbe voluto portarlo altrove. Avrebbe voluto prendere Kei, quel bambino e scappare il più lontano possibile, permettergli di crescere, per dargli una vita migliore. Ma si limitò a mordersi un labbro a sangue. Aveva creato troppi danni.
« Mi dispiace. »
« Non ci vedremo mai più? » domandò il bambino.
« Forse quando sarai più grande. »
Kota tentò di sorridergli e Ryosuke si alzò sulle ginocchia, baciandogli una guancia.
« I tuoi dolci erano molto buoni Ko-chan. » poi si sedette di nuovo sul letto « Allora è una promessa. Ci vedremo quando sarò più grande? » domandò alzando un mignolo verso lamano del più grande.
« Certo. E’ una promessa. » sussurrò con voce rotta Kota, incrociando il suo mignolo con quello del bambino.
Poi si alzò in piedi e se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle.
**
In quel momento, fermo davanti alla tomba di Ryosuke, si chiese dove e per quanto avesse sbagliato. Si chiese se per lui, in fondo, non fosse stato meglio morire quando aveva otto anni, quando aveva ancora delle speranze che non si potevano infrangere.
Invece Ryosuke era morto per mano sua, in un capannone, mentre cercava di difendere una delle persone che ormai considerava parte della sua famiglia.
Scosse la testa, trattenendo le lacrime, sfiorando la lapide di Yamada.
Quella era un’altra storia a cui in quel momento non aveva voglia di pensare.
E Yuya aveva avuto ragione quel giorno.
Avrebbe avuto per sempre sulla coscienza la vita e la morte di Yamada. Non se lo sarebbe mai perdonato.
E si sarebbe sempre odiato per non avergli dato qualcosa di meglio che una tomba e una lapide.