Oct 22, 2009 10:55
Titolo: Non è una fanfiction
Fandom: Arashi
Rating: R
Pairing: sakuraiba
Disclaimer: purtroppo gli Arashi non mi appartengono, no.
Note: prima in assoluto su questo fandom. Abbiate pietà.
Ok.
Inspira, espira, inspira, espira.
Calma, Masaki, la calma è il segreto di tutto.
-Cazzo...
L’imprecazione fu abbastanza soft, in modo da non disturbare eventuali inquilini dei cubicoli adiacenti, ma il pugno che sferrò alla parete non lo era manco per nulla, per la tristezza della sua mano destra.
‘Ottimo Masaki. Davvero ottimo. Ora non solo ti fa male il cuore, ma anche la mano. Complimenti, sul serio.’
Si accovacciò in terra, reggendosi sui talloni e appoggiando la schiena al muro, cercando di non pensare al dolore che provava ma solo alla rabbia; sì, concentrarsi sull’odio che covava in quel momento sarebbe stato di certo meno doloroso. Concentrarsi su quanto avrebbe voluto spaccare la faccia da culo di Sakurai a suon di pugni,fino a farlo strisciare ai suoi piedi implorando il suo perdono… razza di stronzo. Doppiogiochista del cazzo. Traditore. Si concentrò sull’idea di prenderlo a ginocchiate fino a quando non sarebbe mai più stato in grado di scoparsi ‘Haruko-chan’ o chissà chi altro.
Rabbia. Rabbia e odio profondo.
Perché lo odiava, no? Lo disprezzava con tutto il suo io? Certamente.
Ed era a spaccargli il muso per quello che stava succedendo e che avrebbe potuto rovinare tutto non solo per lui, ma anche per Ohno, Nino e Jun? No.
Di fatto, era accovacciato all’interno di un cesso della sala di registrazione cercando di controllarsi, di non lasciare uscire quell’urlo, quel gemito di dolore che gli stava lacerando il petto, lo stomaco, ogni cosa di lui.
Intanto, il Masaki Esterno lo guardava scuotendo la testa in segno di disapprovazione, dicendogli che non era da lui deprimersi così, che doveva agire per il bene suo e degli Arashi, che lui tanto amava; invece il Masaki Interno mandava a fanculo quello esterno e diceva che era dannatamente giusto così: il primo... il primo uomo che si scopava, di cui si innamorava... ed era andata così. Che almeno gli fosse concesso di stare male, che cazzo.
Trattenne il fiato quando sentì bussare alla porta, metà mente a pregare che fosse Nino, Jun, CHIUNQUE tranne lui e l’altra metà impegnata a inventare una scusa plausibile per il suo comportamento.
-Aiba...
Mer-daaaaa. Due sillabe, il suo nome. Pronunciato dalla voce sbagliata, quella di Sho.
-Lasciami in pace almeno quando sono al cesso.
Disse cercando di fare una voce dura, cercando di puntellarla con dei paletti per impedirle di scivolare, di tremare e di suonare impastata di lacrime, dolore e autocommiserazione.
-Senti, affrontiamo questa cosa come due persone adulte, ti va?
Certo che non voleva. Voleva restare dentro quel cubicolo fino a quando non li avessero sbattuti fuori dalla sala di registrazione, voleva che si aprisse una voragine che lo inghiottisse lì, in quel punto, anche se era fisicamente impossibile. L’unica cosa certa era che NON VOLEVA uscire di lì e affrontare Sho, e il ricordo di una marea di sms per i quali non aveva mai ricevuto risposta... tuttavia lo fece lo stesso; tirò su col naso un paio di volte e si passò la manica della felpa sul volto per eliminare la traccia di eventuali lacrime scese a tradimento, e aprì la porta, cercando di assumere l’aria meno disperata possibile.
-Avevi detto che l’avresti lasciata, che non era niente. Che mi amavi.
No, no, no. Doveva essere una frase tagliente, crudele, piena di odio e disprezzo; doveva far sentire Sakurai una merda umana. Di certo non voleva che la voce gli uscisse così, come la voce di un bambino e cui si è rotto il giocattolo preferito. Così... umida... appiccicaticcia. Che schifo.
-E tu invece avevi detto che non ti saresti impegnato, che avevi capito.
Sospirò Sho con aria stanca. E lui non era per niente tagliente... era quasi... dolce, nel suo essere obiettivo e realista. Sempre così ragionevole. E poi era vero, gliel’aveva detto, durante quella prima scopata di tanto tempo prima, avvenuta per puro caso. E durante la seconda, e la terza... Solo che, a mano a mano che si andava avanti, quella frase suonava alle sue orecchie sempre più come una colossale bugia.
-Tutti quei messaggi.. e questo comportamento assurdo non sono AVER CAPITO.
Annuì silenzioso, certo che se avesse risposto a voce sarebbe esploso in un’altra delle sue scenate e decisamente no, non voleva farlo, soprattutto non davanti al diretto interessato.
Non piangere. Non piangere.
Sakurai sospirò prima di riprendere il suo monologo. -Lo so che in questo periodo ti ho trattato male, sono stato ingiusto e... ok, ok sono stato uno stronzo. Però non dovevi davvero reagire così. Sono cose che succedono, e soprattutto era chiaro che sarebbe andata così, Aiba. Era nei patti.
Ma quanto lo odiava? Se si fosse comportato davvero da stronzo sarebbe stato tutto molto più facile; e invece no, era molto più difficile se vedeva nei suoi occhi tutta quella preoccupazione, quella confusione. Se era così fottutamente ragionevole nel parlare era difficile.
-Allora perché hai detto che mi amavi?
Ok. Chiaro per una volta. Anche se forse era un po’ tardi, avrebbe potuto chiederlo prima. Avrebbe DOVUTO chiederlo prima. Solo che non voleva scoprirsi, non voleva far capire all’altro che tutto stava diventando lentamente un qualcosa di più; a quel punto, invece, poteva dire quello che voleva, si era scoperto fin troppo.
Ricevette come risposta solo il silenzio, il tocco esitante di una mano che gli sfiorava i capelli, la guancia... come un adulto che consola un bambino. A ricordargli quante volte quella mano gli aveva scostato dal volto i capelli bagnati di sudore in mezzo a lenzuola aggrovigliate.
Fece un passo, uno solo, per trovarsi esattamente davanti al suo volto. E in quel momento ritornò quella vocina appiccicosa che tanto odiava.
-Solo... solo un’ultima volta? - sussurrò posando cauto le labbra su quelle dell’altro, tenendo gli occhi aperti; e non aveva certo bisogno di vedersi in uno specchio per ritenersi semplicemente ributtante per quella scintilla di amore, dolore e ‘scopami ti prego’ che sapeva di avere negli occhi.
Inizialmente fu terribile, come baciare una statua, un poster di idol a grandezza naturale.
Sho avrebbe potuto prenderlo a pugni, scostarsi in malo modo dicendogli che, come sempre, non capiva un cazzo. Avrebbe potuto spiegargli una buona volta cosa significava Aver Capito.
Tuttavia dopo un po’ sentì la sua lingua accarezzargli le labbra e ricambiare il suo bacio, insinuandosi nella sua bocca lentamente; le mani poggiarsi sui suoi fianchi con delicatezza per avvicinarlo a sé.
Avrebbe potuto prenderlo a calci.
Avrebbe DOVUTO, in effetti.
Ma in quell’istante, decise, non gli importava proprio nulla, mentre arretrava nel cubicolo trascinandosi Sakurai dietro, il bacio più impetuoso e il tocco delle mani che si faceva più frenetico, spiegazzando e stropicciando i vestiti.
Il Masaki Esterno alzò le mani in segno di resa. Quando la gente non voleva ragionare non c’era proprio nulla da fare.
Sho avanzò nel cubicolo, le mani artigliate alla cintura dei pantaloni di Masaki, spingendolo fino a far aderire al sua schiena alle piastrelle del bagno, le labbra incollate alle sue mentre sentiva le mani dell’altro vagare alla cieca sul suo corpo.
Non era un bacio dolce, quello scontro tra lingue e denti che graffiavano le labbra tra ansiti soffocati, le gambe aggrovigliate e l’erezione di Masaki che premeva contro la sua coscia. Non era un bacio d’amore (se lo ripeteva da secoli fino alla nausea, ogni volta che lo baciava), era solo uno sfogo di quel desiderio che aveva fatto sì che i suoi pantaloni diventassero improvvisamente scomodi e il suo respiro affannato; desiderio che stava ammazzando i suoi neuroni, mentre lo sentiva rispondere a ogni suo movimento, adattarsi perfettamente a ogni cosa che faceva con piccoli versi che restavano sospesi nella sua gola, mentre intrecciava le gambe alle sue come a implorargli di essere preso, pronto a fare qualsiasi cosa gli avesse chiesto.
Non pensarci. Non pensare ad Haruko, al fatto che avevi deciso di sceglierne uno. Non pensare al fatto che Aiba si attaccherà di nuovo.
Si staccò dal bacio per premergli la bocca contro il collo per lasciare quello che sarebbe stato un succhiotto che non sarebbe scomparso prima di una settimana; a ogni premere dei denti, a ogni tocco più accentuato, sentiva Masaki emettere quei suoi soliti versi ingolati; e le sue mani sbottonarono e strattonarono con rapidità i pantaloni del compagno, e le mani di Masaki gli abbassarono senza grazia la zip dei pantaloni liberandolo dalla prigione dei boxer in qualche modo. O forse fu il contrario, non ne era tanto sicuro.
Non che un simile dettaglio gli importasse, non mentre voltava Masaki a faccia verso il muro senza incontrare la benchè minima resistenza, mentre strattonava i suoi pantaloni fino a esporre la parte di corpo che gli interessava.
Non c’era bisogno di pensare: era solo un corpo, un corpo che lo stava chiamando e che sapeva per istinto adattarsi al suo mentre si spingeva contro di lui, l’erezione che sfregava contro la curva soda delle natiche.
La fretta era troppa e i mezzi erano troppo pochi.
Un po’ di sputo, un dito simbolico, e una bella preghiere ai bei tempi andati. E via.
Penetrò dentro di lui, una mano che gli stringeva la vita e l’altra che si sosteneva al muro, i denti stringevano le labbra in una morsa mentre sentiva Masaki contrarsi attorno a lui, gemere muovendo le dita in modo inconsulto, come se cercasse un appiglio alle piastrelle del bagno. Aiba chiamava il suo nome a voce bassa, un braccio posato sugli occhi, mentre lui spingeva al suo interno. Poche sillabe soffocate, ripetute come un mantra mentre affondava dentro il compagno, una mano sul suo ventre e i muscoli tesi.
Cercò di convincersi che fu solo un gesto di desiderio, quello di spostare la mano dal muro e mettergliela davanti alla bocca, iniziando un gioco di lingua e dita. Fu un gesto di desiderio, non un disperato tentativo di farlo stare zitto.
Zitto, cazzo.
Non dire il mio nome.
Silenzio, mentre spingeva in quell’antro caldo, sempre più veloce, in uno sfregare scomposto di pelle e vestiti, in un misto di piacere e dolore; dolore che risultava ai suoi occhi marginale, mentre inseguiva il suo orgasmo.
Caldo, quando si riversò al suo interno, mentre Masaki si contraeva e gli veniva incontra un’ultima volta, prima di gemere contro la barriera della sua mano.
Si scostò di colpo, come se d’un tratto fosse svanita quella bolla di lussuria improvvisa dentro i bagni. Armeggiò goffamente con un po’ carta igienica e con la zip, riassestandosi un po’, cercando di calmare il respiro, e anche Aiba faceva lo stesso, anche lui abbastanza silenzioso che il silenzio era assordante. Zip su, maglia messa bene, sperare che i segni non si vedano e che il dolore non impedisca di sedersi o di camminare decentemente e via dicendo.
Incrociò quasi per sbaglio lo sguardo dell’altro, una smorfia di dolore appena accennata, sguardo basso e labbra strette. Oziosamente, cercò di ricordarsi chi avesse detto che dopo il coito ogni animale era triste. Non gli veniva in mente, ci pensò freneticamente, quasi disperato, mentre si sistemava la camicia, per ignorare il respiro tremante di Aiba.
È stata solo colpa tua. Sei TU che me l’hai chiesto.
Vai con le buone intenzioni. D’altronde erano pur sempre compagni, doveva cercare di fare qualcosa, si ripeteva, o davvero gli Arashi sarebbero andati a puttane, senza Aiba-chan. Si sporse verso Aiba e gli abbassò la testa fino a farla posare sulla spalla in una sorta di abbraccio, fino a quando le stretta delle mani si fece più lieve e il respiro si fu acquietato abbastanza da far pensare che non fosse successo nulla, che tutto fosse tornato normale, di staccarsi e uscire dai bagni senza dire nulla.
Decise di tralasciare le prove, per quel giorno, e di tornarsene direttamente a casa. Riida non era così sveglio, ma Jun e Nino lo erano abbastanza,e avrebbero capito perché nemmeno Aiba si sarebbe ripresentato alle prove quel giorno, e non avrebbero fatto domande a riguardo.
Non avrebbe dovuto dare spiegazioni a nessuno, era una consolazione.
Spegnere il cervello, in casi come quello, piaceva anche a lui: era un buon modo per non pensare e per non sentirsi in colpa per una scopata gratuita. E considerare quello che era appena successo come una scopata gratuita era un altro modo per farsi ancora meno problemi.
Se la vita fosse stata una fan fiction, sarebbe stata di certo molto più semplice, tutto già deciso da altri. Avrebbe assunto la parte del cattivo senza farsi troppi problemi, anzi sarebbe stato felice del suo ruolo di bastardo doppiogiochista.
Si concesse un sospiro tremante mentre si asciugava una lacrima solitaria.
Non era una fan fiction, e spense il cervello mentre scendeva verso il parcheggio.
r: r,
pair: sakuraiba,
music: arashi,
ff: italian