Solo per Capriccio

Jul 20, 2011 01:02

Titolo: Solo per Capriccio
Autore:  reine_duvet
Fandom: the Borgias
Personaggi: Juan Borgia, principe Alfonso d'Aragona
Citati Sancha d'Aragona, Jofré Borgia, Lucrezia Borgia, Cesare Borgia
Genere: commedia, introspettivo, erotico (ma anche poco poco sul no)
Rating: R/Arancione/16+
Avvertimenti: slash, non per stomaci delicati, what if?
Conteggio parole: 2.000 circa
Note: parte dei dialoghi sono presi dalla puntata originale, la 1x06, sottotitolata in italiano. Il lavoro è stato fatto da subsfactory.it:)
Riguardando un po' in giro ho visto che del meraviglioso principe e del superbo Augustus Prew si trova poco. Dato che la scena del viaggio a Napoli mi era rimasta impressa mi sono chiesta: e se fosse lui a sedurre Juan invece di Sancha? E' nato questo waht if. Una delle cose che mi piacciono de "I Borgia" è il linguaggio diretto e le scene a volte ruvide -ho cercato di riportare questo nello scritto senza abbandonarmi a lirismi.
Non mi convince troppo ma ehi, what's done is done. Il titolo è cacca ma non ho trovato di meglio.


-Perdonatemi, Gonfaloniere Borgia, se imbocco mio padre mentre parliamo.-
Era alla destra del principe Alfonso, decisamente poco concentrato sulla conversazione.
No, non solo per la voce vagamente sgradevole del principe.
-Gli rimangono ben pochi piaceri.-
Quell’inflessione fastidiosa era l’ultimo dei suoi pensieri.
-Ma ama il suo pollo!-
Era piuttosto la mano dell’altro casualmente appoggiata sulla sua coscia e le natiche del principe a contatto con la sua gamba, senza pudore alcuno, a distrarlo.
-Che coincidenza.-, provò a sorridere, ritrovandosi a fissare le dita dell’altro affondare nella stoffa dei pantaloni mentre questo si chinava sul padre per avvicinargli il cucchiaio alla bocca.
-Il pollo è… il preferito di mio fratello Jofré.-
Doveva imporsi un contegno in quanto Gonfaloniere, in quella sala ghermita di gente dalla parlata strana, stanco per la cavalcata e con una missione di cui francamente non gl’importava molto.
Organizzare un matrimonio, lui, Juan Borgia!
-Allora forse mia sorella potrà imboccarlo.-, esclamò garrulo il principe voltandosi verso di lui mentre il re sputava il pollo e Sancha annuiva divertita.
E quella benedetta mano non accennava ad andarsene, non era scomodo per il principe rimanere in quella posizione?
-Ha già tredici anni, presto sarà un uomo.-
Tutto quello aveva l’aria di essere un pericoloso gioco di potere.
Certo, il principe stava cercando di irretirlo -non poteva farlo la principessa? Dopotutto lui voleva bene al piccolo Jofré, doveva assicurarsi che sua moglie fosse…
Quando la mano del principe Alfonso sfiorò la sua virilità sussultò visibilmente.
-Sono davvero benedetta allora con questa unione.-
-Lo siete.-, esalò Juan cercando di mantenere un contegno, il controllo della propria voce.
Stavano cercando di fargli perdere il controllo, chissà, forse per fargli rivelare informazioni importanti… tutto quello gli piaceva -ed era strano, sì.
La mano ben definita del principe che non cessava di sfiorarlo e questo lo guardava dalla spalla, quasi beffardo, sfidandolo a reagire.
Ecco, quella era una sfida.
-E vostro fratello, Gonfaloniere.-, la sorella sembrava intenzionata ad ignorare l’estremità del principe suo fratello affondata tra le sue gambe, -E’ illegittimo come me?-
Ecco una buona domanda con cui impegnarsi; cercò di non farsi distrarre dalle dita affusolate che gli tamburellavano sulle carni mentre riportava alla mente con fierezza l’opera del Santo Padre.
-Suo padre ha emesso una bolla papale per legittimare tutti i suoi figli.-, era una cosa di cui andare fieri, il nome Borgia, il Papa.
Re Ferrante, il vegliardo così vicino a loro, come riusciva a non vedere quello che il figlio stava facendo?
Non si vergognava dell’… immoralità…
-E così i bastardi sono sistemati, giusto?-, il principe Alfonso si chinò ancora sul re, pulendogli la bocca con un fazzoletto lindo e premendo ancora, indugiando con l’indice sull’inguine.
-Non apprezziamo quel termine.-
Juan aveva sempre odiato l’essere considerato un bastardo -però apprezzava molto le cure così inusuali del principe che gli facevano scorrere dei brividi lungo la schiena -contegno, doveva mantenere un contegno.
I suoi uomini lo stavano osservando dall’altro tavolo e loro non potevano indovinare cosa stesse accadendo sotto i piatti ricchi e la tovaglia intessuta con fili d’oro.
Si sporse per prendere un calice e nel farlo la mano del principe si raccolse a coppa su di lui.
-Vostra Altezza.-, esalò prima di concentrarsi sul liquido rubino, sul gusto che gli inondava la bocca, sui riflessi scarlatti sull’oro, sulla pigra carezza che stava ricevendo…
-Perché no? A me non ha mai dato fastidio.-, Sancha represse un sorriso concedendo un’occhiata oltre al fratello e Juan comprese -lei lo sapeva!
-Ho scoperto che permette una certa libertà.-, continuò calcando bene sull’ultimo termine e sorridendo maliziosa.
-Lasciatemi solo dire che…-
Sembrava un complotto, i due fratelli impegnati a smontarlo pezzo per pezzo -per fargli vuotare il sacco? Per fargli dire la verità -quale verità? Juan era forte, non avrebbe mai fatto trasparire le vere intenzioni di suo padre.
-Che i suoi diritti di successione sono assicurati secondo la legge.-
E se la stava cavando egregiamente nonostante le attenzioni del principe e quel due paio di occhi maliziosi che indugiavano sotto il tavolo.
-Se il mio promesso ha preso anche solo un po’ dal vigore di suo fratello...-, iniziò Sancha mentre il principe Alfonso lasciava scivolare la mano sulla gamba, un tocco lascivo che non cessava di essere terribilmente sbagliato e terribilmente piacevole.
-Sposeresti questo Borgia qui, vero cara sorella?-, il principe si lasciò scivolare sedendosi sulle gambe di Juan e lui si sentì all’improvviso molto più a disagio, osservato dagli altri nobili a tavola e dai suoi uomini.
Guardandolo di sottecchi ammiccò, attendendo la risposta di Sancha.
-Sono la tua sorella bastarda, Alfonso. Devo sposare chiunque mi sia detto di sposare.-
Juan sentì a malapena quella risposta, tutta la sua attenzione sembrava essersi concentrata sul giovane principe, sul suo peso, sulla morbidezza delle sue carni così diverse da quelle di una donna.
-Sono certo che vostro fratello diverrà un uomo della vostra levatura, Gonfaloniere.-, il modo in cui la sua voce pronunciava il suo titolo, vagamente sprezzate nel suo tono acuto riportò Juan alla realtà.
-Si accompagna a molti benefici.-, ed iniziò ad ondeggiare nell’elencarli, provocando una leggera frizione che fece rivalutare a Juan molte cose, compreso il suo ricorrere ai bordelli maschili solo in caso di estrema, estrema necessità.
-Il nome dei Borgia, la prodezza dei Borgia…-
-Mi è stato detto sia rimarchevole.-, lo interruppe la sorella, -Dentro e fuori dal letto nuziale.-
Il principe Alfonso si sistemò meglio, rendendo pressante la sua posizione, -Ma soprattutto, la protezione del Papa di Roma per il nostro povero, assediato regno di Napoli.-
Saltò giù tornando al suo posto e guardando con uno strano sguardo il padre, -Abbiamo nemici che si avvicinano velocemente, Gonfaloniere.-
Tornò a concentrare gli occhi su Juan, quegli occhi strani e scuri che lo stavano prendendo in giro, sfidandolo anche mentre le sue parole erano di una serietà disarmante.
-Bastava il nome di mio padre a terrorizzarli. Forse il nome di vostro padre farà lo stesso?-
Juan si sentì in dovere di riprendersi, anche solo per non dar vinta a quel moccioso quella loro piccola sfida -perché era questo, no? Una sfida, un gioco -mortale, poteva scommetterlo.
-Mi sono state affidate tutte le battaglie di mio padre.-
Si era sudato il titolo di Gonfaloniere, il Protettore della Città Eterna, l’immortale…
-Ahahah!-, la risata sguaiata del principe, sgradevole, così disgustosa! interruppe tutti i suoi pensieri di gloria e la sorella lo seguì con appena uno sbuffo aggraziato.
-Non siete spaventata, cara sorella?-, chiese strusciando il palmo sul ginocchio di Juan e la risposta arrivò, divertita.
-Temo… temo… temo…-
-Forse dopo aver mangiato, Gonfaloniere.-, di nuovo quell’inflessione strana, quella parlata strascicata, -Potrei farvi fare il giro del palazzo reale?-
Juan si ritrovò combattuto tra il negare, alzarsi ed andarsene e l’annuire.
Non aveva forza di parlare, gli sarebbe uscito solo un rantolo piuttosto rivelatore.
-Mio padre aveva un modo per trattare con i suoi nemici. Potrebbe rivelarsi istruttivo.-, chinandosi indietro il principe gli appoggiò la schiena alla spalla, -Per il futuro…-

* Marciume. Nell’aria di quella stanza grottesca aleggiava putridume, fetore di morte.
Come pupazzi degli uomini erano seduti al grande tavolo vicino alla finestra, lividi, le teste cucite e gli insetti che ronzavano attorno alle loro teste, alla pelle esposta.
-Vostro padre li ha fatti imbalsamare?-, eppure Juan non li trovava pericolosi.
Erano morti, innocui, indifesi.
L’aria, quella sì. Penetrava nei polmoni, irritava occhi e lingua, sentiva il retrogusto nel deglutire.
Anche il principe Alfonso lo era, pericoloso ed intossicante, camminava lento tracciando un’ombra lunga sulle pareti, vivo e sorridente.
-Esatto.-, rispose questo con un ghigno accarezzando una di quelle teste, sistemando i radi capelli di un pupazzo umano.
-Arguto.-, Juan non poteva che complimentarsi con re Ferrante, il suo genio.
Nessuno uscito da quella stanza si sarebbe mai sognato di tradirlo, lui stesso oppresso da quell’odore di morte stava riconsiderando parecchio la possibilità di dare Jofré in sposo a Sancha.
-All’epoca la sua… reputazione.-, con un risolino il principe fece un passo più lungo, avvicinandosi a lui, -Lo precedeva.-
-Anche la vostra.-, lo rassicurò Juan sentendosi un completo idiota.
-Davvero?-, il principe ridacchiò ancora, -Dovrei esserne onorato? Nel caso di mio padre ispirava terrore.-
Era sempre più vicino, un passo alla volta, lento come il suo parlare fastidioso, sembrava immune al puzzo di putridume in quella sala.
Juan si appoggiò al tavolo, cercando di respirare con la bocca e gli sfuggì un ansimo, la gola che bruciava.
-Io cosa ispiro Juan Borgia?-, mai aveva sentito il proprio nome pronunciato con più scherno.
Deglutì, cercando di alleviare la gola, cercando di trovare una via di fuga: ormai il principe Alfonso lo aveva raggiunto, era ad un passo da lui, appena chinato e sorridente, come se aspettasse solo un suo passo falso per imbalsamarlo come gli altri uomini.
-Ditemelo.-, con le stesse dita con cui lo aveva accarezzato, senza pudore, gli tracciò gli zigomi, la mascella, sfiorandogli le labbra.
-Ditemelo.-, ripeté avvicinandosi e stringendogli il viso tra le mani, avvicinandolo.
Le sue unghie gli graffiavano la pelle, sembrava volere tutta l’attenzione su di sé, a dispetto della stanza, dell’aria, dei gusci di uomo.
-Ispirate…-, soffiò Juan e si sentì stordito, così vicino al principe, ai tocchi audaci di prima.
Non riuscì a continuare, soffocato dalle labbra dell’altro, dai denti che lo incitavano, che gli ordinavano di rispondere.
Si ritrovò ad incontrare il tavolo con la schiena, lui, il Gonfaloniere che si lasciava piegare da un attacco, che si lasciava mettere all’angolo, assaltato, lasciando all’altro il comando, facendosi sottomettere da quelle labbra sottili piegate in un sorriso, il fiato dolce di crema, la lingua che lo reclamavano.
Si trattenne -era pur sempre un principe quello che aveva davanti, non certo una prostituta…
-Cosa?-, Alfonso s’inarcò appena, facendogli sentire quanto volesse proseguire quell’attacco, quanto i suoi occhi lo bramassero, quanto lo volessero.
Rispose Juan, lo strinse a sua volta, solo due strati di velluto a separarli.
-Questo.-

* Non era importante l’aria soffocante, gli ansimi sporchi che riempivano le pareti incrostate di muffa, l’atmosfera così satura da farlo a malapena respirare.
No, in effetti solo una piccola, minuscola parte di Juan era concentrata sul fuori in quel momento -così piccola da essere dimenticata.
Perché era dentro il principe Alfonso, perso nel ritmo che conosceva bene, nel caldo quasi asfissiante mentre gli stringeva i fianchi e lo sentiva gemere -dolore, piacere, era impossibile distinguerli.
Con il viso sul tavolo e l’espressione contratta, sofferente, il principe non smetteva di ghignare, come se fosse estremamente divertente tutto quello, come se ad ogni spinta non cercasse di trattenersi.
Non avevano bisogno di parlarsi -cos’avrebbero potuto dirsi?
Tutto quello era destinato ad essere dimenticato, un capriccio, un gioco.

*  *  * -Ci rivediamo, Gonfaloniere.-
Quella voce.
Juan non aveva più sentito quella voce da anni eppure non era mutata.
Sgradevole, acuta, indugiava sul suo titolo con lo stesso scherno inconfondibile.
-Principe Alfonso?-
Era appena tornato da una campagna importante, fuori Roma; tornato nella Città Eterna aveva trovato sua sorella Lucrezia nella stanza del padre, più bella che mai con il suo vestito da sposa e Cesare impaziente, più irritabile del solito.
Sua sorella si doveva dunque sposare con quel principe?
Questo era davanti a lui, appoggiato ad una colonna.
Un estraneo in quell’ala di San Pietro sarebbe stato passabile di morte ma lui non solo era principe, era anche lo sposo, ecco perché tanta indulgenza.
-Pensate, diventeremo come fratelli!-, ridacchiò questo avvicinandosi, il passo da predatore come quella volta, -Non è magnifico?-
No, non lo era affatto.
Juan gli fece un sorriso forzato cercando di unire tutte le informazioni che possedeva, ma ancora una volta fu Alfonso a vincere.
-Mia sorella si è trovata bene con i Borgia.-, si alzò in punta di piedi per raggiungere l’orecchio di Juan, -Staremo molto vicini ora, pensate un po’.-
E dopo avergli morso il lobo -senza fargli male, quasi giocoso nella sua maniera strana di agire- sussurrò piano -Non ho dimenticato.-
-E spero che nemmeno voi l’abbiate fatto!-, continuò girandosi e tornando negli appartamenti del Santo Padre, beffardo e carico di promesse.
-Dopotutto... mi avete provato per vostra sorella come si fa con i cavalli.-

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