Jan 30, 2008 11:46
<< Pronto?>>
<< Faccela O-chan, ti prego…>> disse Sho, dall’altra parte. Satoshi guardò ancora il telefono. Scosse di nuovo la cornetta. Poi si passò una mano sul viso, lasciando una ditata di verde su una guancia
<< Oh, cavolo, avevo ancora il colore sulla mano…>>
<< Anch’io sono felice di sentirti…>> disse Sho
<< Non sei un’allucinazione, vero?>> chiese Satoshi. Sho rise
<< No, tranquillo. Non sono un’allucinazione e non sono un fantasma… tu però hai detto pronto circa duecento volte e ho sentito dei rumori strani, come se stessi scuotendo il telefono…>>
<< Era quello che stavo facendo…>> disse Satoshi. Parlava ancora esattamente nello stesso modo. Leggermente assonnato, come se parlasse con la bocca semichiusa. Sho rise
<< E perchè lo stavi facendo?>> chiese, appena ripresosi dall’attacco di risate incontrollate.
<< Pensavo il telefono fosse rotto… sono dieci anni che non ti sento, non ero preparato.>>
<< Non sono proprio dieci anni esatti… mancano otto giorni…>> disse Sho.
<< Pignolo. Come sempre… argh, mi si brucia la cena! Di nuovo… aspetta un attimo, arrivo…>>
Sho sentì rumori indistinti, un paio di imprecazioni, poi Satoshi riprese il telefono
<< Mi sa che mangio ramen anche stasera… sono troppo distratto per cucinare>> disse. Sho rise
<< Non sei cambiato, eh…>>
<< Parrebbe di no… e sai la cosa stupefacente? Sembro più giovane… sarà perchè ho i capelli lunghi…>>
<< Tu cosa?>> chiese Sho. Satoshi si guardò nel vetro della porta
<< Si… come quando abbiamo debuttato… in realtà è che mi stufo ad andare a tagliarli, allora li lascio così…>>
Ci fu del silenzio
<< Sho-chan, sei ancora vivo?…>> chiese Satoshi.
<< Hai appena chiamato il ministro degli esteri Sho-chan, O-chan?…>> chiese Sho. Satoshi rise
<< Eh, già… >> disse
<< Beh, che mi racconti?>>
<< Eh, che ti racconto… che ti racconto?…>>
Il fatto che il gruppo si fosse sciolto e che non si fossero più sentiti era davvero fastidioso. Lui voleva bene a quei ragazzi, accidenti! Erano la sua famiglia!! Pensando queste cose si rigirò nel futon, dal quale non si alzava da tre giorni, da quando si erano salutati fuori dall’agenzia… si passò le mani sul viso. Controllò il cellulare. Nessuno l’aveva cercato. Riprovò a fare il numero di Kazunari, ma… deglutì varie volte e sbatté velocemente gli occhi. Ma il nodo che aveva in gola non sembrava avere la minima intenzione di andarsene.
<< Nino…>> singhiozzò. Si girò su un fianco. Kazunari era in america. Li avrebbe lasciati tutti indietro. Si sarebbe dimenticato di loro. Si sarebbe dimenticato di lui…
<< Toshi, vuoi mangiare qualcosa?>> chiese sua madre, facendo capolino dalla porta
<< Non ho fame.>> disse Satoshi, dandole le spalle. Lei entrò e si inginocchiò accanto al futon. Gli posò una mano sulla spalla. Satoshi si girò a guardarla. Lei iniziò ad accarezzargli i capelli.
<< Mamma, per favore…>> protestò lui << Ho trent’anni, accidenti!>>
<< Si, è vero. Ma stai proprio male, e non riesco a vederti così e non fare nulla. Devo almeno farti le coccole!>> si difese lei. Satoshi sorrise, suo malgrado
<< Ti porto qualcosa da mangiare? Poi, se davvero non hai fame lo lasci li, ma almeno provaci… sono tre giorni che non mangi, stai qui e basta… ti fa male… sono preoccupata, davvero tanto! Tu hai sempre fame, accidenti!>>
Satoshi sospirò
<< Non ce la faccio… magari per cena…>>
La donna sospirò. Gli diede un bacio sulla fronte ed uscì dalla stanza. Satoshi si rannicchiò su un fianco e cercò di mettersi a dormire. L’unico modo per non pensare… venne svegliato qualche ora dopo da una specie di ciclone. Venne cacciato ancora vestito sotto la doccia, mentre una voce gli intimava
<< Lavati, che puzzi. I vestiti puliti sono qui fuori. Ti aspettiamo giù per cenare tutti insieme.>>
<< Nee-chan?…>>
<< E chi volevi che fossi? La mamma è terrorizzata, dice che non mangi, che ti sente piangere tutto il tempo, che è come se fossi rimasto vedovo o qualcosa del genere. Vedi di reagire! So che stai male. So che non vederli ti ammazza, ma così ammazzi anche la mamma, e non va bene!>>
Satoshi si appoggiò con la schiena alla parete della doccia
<< Nino è andato in america, Nee-chan…>> singhiozzò. La porta del box doccia si aprì con veemenza. Satoshi si specchiò nel viso della sorella, così dannatamente simile al suo.
<< Lui è andato in america, ok. E tu rifatti una vita! Sai dipingere, scarica l’angoscia dipingendo, no? Inizia da li! Non lasciarti andare! Perché… hey, uno che si lascia andare solo perchè io seguo il mio sogno, personalmente non lo vorrei nemmeno in foto! Nino ha la possibilità di esprimere il suo potenziale, sta facendo del suo meglio per diventare quello che effettivamente un po’ tutti vorremmo che diventasse! Sono sicura che anche tu voglia che riesca, no? Lui si sta impegnando davvero a fondo! Non credere che per lui sia tanto facile prendere ed andarsene! E’ un cambiamento enorme! Però si sta impegnando per raggiungere i suoi obiettivi! Ok, forse parlare così adesso, dopo soli tre giorni, è un po’ esagerato, ma… tira fuori le palle e diventa degno di lui! Poi potrai pretendere che tra Hollywood e te scelga te!>>
<< Nee-chan… >> mormorò Satoshi. Poi scoppiò in un pianto dirotto.
<< Mentre ti sfoghi, preparati. >> detto questo, lei richiuse il box ed uscì dal bagno. Satoshi iniziò a ridere. Venti minuti dopo era seduto insieme al resto della sua famiglia. I suoi nipoti gli si erano seduti sulle ginocchia e non sembravano intenzionati a scendere nemmeno sotto tortura. Sua madre continuava a mettergli cibo nel piatto
<< Esploderò, mamma…>> boccheggiò lui, dopo la sesta ciotola di riso
<< Pensa, adesso non dovrai più preoccuparti della linea, potrò prepararti quello che voglio…>>
<< Annegherò nel cibo, lo so… Nee-chan, salvami tu…>>
Risero. La mattina dopo si svegliò prestissimo. Aprì la finestra della propria stanza, tirò fuori i fogli e si mise a disegnare. Non sapeva ancora cosa stesse disegnando, in effetti. La sua mano andava avanti senza che lui se ne rendesse conto. Quando si rese conto di cosa c’era sul foglio, si fermò. Arrotolò il foglio e lo nascose nell’armadio, dietro a tutto, in maniera da non vederlo. Tremando si sedette. Forse non era ancora pronto. Si alzò ed uscì per andare a comprare delle tele. Doveva riuscire a distrarsi
“Avrei dovuto svegliarmi prima. Ormai è tardi!” pensò, mentre camminava. Le persone lo riconoscevano, ma fingevano di non averlo visto. Una ragazza impallidì visibilmente incrociandolo. Lui abbassò lo sguardo. Forse se evitava di guardarle in faccia in quel modo, non si sarebbero spaventate così tanto. Poi realizzò di essere in pigiama. Si bloccò in mezzo alla strada. Non riusciva a muoversi. Poi qualcuno gli passò un braccio intorno alle spalle
<< Meno male che ti ho visto passare…>> disse la voce di suo padre << Vieni, ti riporto a casa. >>
Satoshi annuì. Si sentiva come se non stesse vivendo la scena. Era come se la stesse guardando dall’esterno… vide casa sua. Vide sua madre sulla porta. La donna lo abbracciò stretto
<< Che mi combini, Toshi?>> gli chiese, facendolo sedere e piazzandogli davanti una tazza di te. Satoshi si passò le mani sul viso
<< Sono solo un po’ distratto..>> disse << Lo sono sempre stato…>>
La donna lo guardò dritto negli occhi. Poi scosse la testa
< Non ti riconosco più.>> gli disse << Non so chi tu sia e cosa ne abbia fatto di mio figlio, ma ridammelo al più presto! Vattene alieno distratto!>>
Satoshi sorrise. Poi si nascose il viso tra le mani
<< Aiutami mamma…>> disse in un soffio. << Non capisco cosa mi stia succedendo… mi sono accorto di essere in pigiama e mi sono bloccato in mezzo alla strada… se non fosse passato papà, sarei ancora li… non è normale… ho paura.>>
La donna lo guardò. Poi gli si sedette accanto e lo abbracciò stretti.
<< Non so bene cosa fare, ma cercherò di aiutarti, va bene? E fingerò che tu non abbia già trentun anni… cosa che tra l’altro mi fa sentire vecchissima… se avrai paura, potrai dormire con noi, come quand’eri piccolo. E’ un’emergenza, insomma!>>
<< Ma io non sono proprio d’accordo del tutto…>> provò a protestare il marito
<< Io decido. Tu obbedisci. E adesso fila a fare la spesa, uomo!>>
Il signor Ohno si affrettò ad obbedire, mentre Satoshi rideva alla scena.
Satoshi sospirò al telefono
<< Che succede O-chan? Mi sembri un po’ strano…>>
<< Nulla… stavo ripensando al primo periodo… mi sono sempre chiesto se anche voi vi siete sentiti così male… oh, l’ho detto davvero? Ma in realtà non è stata così brutta…>>
<< Non mi inganni, sai? E poi… ammettiamolo, la tua situazione era un tantino più triste… >>
<< Più triste?…>> Satoshi cercò di mantenere un tono neutro, disinteressato, assolutamente non isterico…
<< Nino è andato in america. Ed aveva già tutta l’intenzione di andarci, non è stata una decisione improvvisa. Questo ti ha buttato giù. Davvero tanto. E poi non negare che tu ci pensi ancora. Ho visto gli ultimi quadri. Com’è che c’è sempre un “kazu” da qualche parte? >>
Satoshi guardò il telefono. Sentì l’istinto di riattaccare. Si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli leggermente
<< E’ un puro caso. Due linee che si mettono in quel modo, assolutamente al di fuori del mio controllo.>> disse. Sentì Sho sospirare.
<< Mi credi, vero Sho-chan?>>
<< No. Assolutamente no. Come potrei crederti, scusa?Sono vecchio, non deficiente!>>
<< Beh, non sei vecchio.>> disse Satoshi
<< Sono ad un passo dagli anta, sono vecchio. Ah, già, tu sei già negli “anta”…>>
<< Voglio picchiarti… ricordami di picchiarti quando ci vediamo!>> eh già, ormai aveva quarantuno anni, non era più un ragazzino…
Guardò le locandine. Lo faceva tutte le volte. Andava dal vecchietto del cinema vicino a casa e gli chiedeva la locandina. Ne aveva dodici. Dodici film in sei anni. Guardò il raccoglitore degli articoli. Era davvero pieno. Sistemò il più recente. “Ninomiya ormai può sostenere qualsiasi tipo di ruolo senza nessun problema. I suoi personaggi sono talmente ben caratterizzati che è difficile riconoscerlo” diceva. Satoshi sorrise leggendo quella frase. In effetti sullo schermo rimanevano solo i personaggi. Kazunari scompariva completamente… Satoshi chiuse il raccoglitore. Abitava in quell’appartamento da quattro anni, ormai. Era vicinissimo a casa dei suoi, ed era un bene, sennò probabilmente avrebbe ucciso qualche vicino facendo esplodere la cucina se l’avesse usata. E, soprattutto, era vicinissimo al cinema. Aveva visto tutti i film dove compariva Kazunari almeno dieci volte. Anche dove era presente semplicemente come comparsa. Solo che gli mancava lo stesso. Perché quello sullo schermo non era lui. Era qualcun altro che casualmente aveva la sua faccia. Gli mancava. Ed iniziava a diventare patetico. Aveva trentasette anni, ma si comportava come una quindicenne… e non aveva ancora tirato fuori quel foglio dall’armadio… beh, si, una volta. Per metterlo nell’armadio del nuovo appartamento. Si sentiva strano. Si sedette sul divano, cercando di capire perchè si sentisse così. Non capendo, accese la televisione. Una ragazza carina stava parlando della Johnny Jimusho, e del fatto che erano sei anni esatti quel giorno dallo scioglimento ufficiale del gruppo Arashi.
“ L’unico che continua ad essere famoso è Ninomiya san. Il suo ultimo film è ora in tutte le sale giapponesi!” diceva la ragazza
<< Lo so. L’ho già visto tre volte! E scommetto che tu non l’hai visto! Vero? Non sai quanto è bravo il mio Nino…>> Satoshi si bloccò. Era solo in casa, lo sapeva bene. Una delle certezze di vivere da soli era appunto essere soli in casa. Però… perchè l’aveva detto ad alta voce? E perchè ora si sentiva così? Si asciugò gli occhi. Sei anni. E non aveva più nemmeno sentito la sua voce… non dal vivo, almeno. Non aveva sentito nessuno degli altri, in effetti. Prese un cuscino e lo strinse forte, cercando di fermare le lacrime, chiedendosi se anche gli altri si sentivano così, chiedendosi se anche Kazunari sentisse la sua mancanza in maniera così forte e dolorosa… gli sarebbe bastato che qualche volta lo pensasse. Ma non poteva saperlo in nessun modo… Non aveva un suo recapito telefonico, non sapeva dove abitava. E come avrebbe potuto rintracciarlo? O forse non era sicuro di volerlo rintracciare… scoppiò in singhiozzi. Abitare da soli aveva dei vantaggi, è vero, ma quando si sentiva così, non aveva nessuno che lo consolasse… lasciò che le lacrime finissero di uscire e che i singhiozzi si calmassero. Poi si alzò dal divano, si fece una doccia , si vestì ed uscì. Voleva andare a far diventare pazza la nuova ragazza alla galleria… si infilò in metropolitana, controllando bene di non essere in pigiama. Non che gli fosse più successo, ma era meglio non rischiare.
Scese alla fermata giusta. Entrò con aria di nonchalance nella propria galleria. Avrebbe dovuto far cambiare la disposizione di alcuni quadri. Non avevano senso in quell’ordine…
<< Posso esserle utile?…>> chiese la ragazza alla piccola scrivania che fungeva da reception. Era un tavolo talmente piccolo che non si notava per nulla. Ma era così apposta, così l’attenzione non veniva sviata. La ragazza era decisamente molto giovane. Decisamente alla moda, con uno strano colore di capelli ed una pettinatura che la faceva sembrare ancora più giovane. Aveva lenti a contatto viola.
<< Volevo sapere più o meno il prezzo di questo quadro.>> disse Satoshi. La ragazza arrossì, poi si tuffò su un quaderno, per poi riemergerne
<< Ahem… non è ancora qui… se ha un attimo, chiedo alla mia collega…>>
<< Non c’è bisogno. So esattamente quanto costa.>> disse Satoshi, sorridendo. La ragazza lo riconobbe
<< Ah! Ohno-san!>> disse, in uno squittio spaventato. Lui rise
<< Mi diverto sempre con le nuove impiegate… >>
<< Finché prende tutte ragazze così giovani, capo… fino a sei anni fa era famoso, ma sei anni fa questa non sapeva ancora camminare…>> disse una donna sulla trentina, uscendo dall’ufficio.
<< Sei sempre così gentile con le nuove, Sayaka…>> disse Satoshi
<< Mi paga per questo, capo…>> disse lei, tranquilla. Satoshi rimase un po’ con le ragazze. Mise a posto i quadri che voleva spostare, controllò le sculture, controllò le vendite. Poi controllò il registro dei nomi, dove si annotava quante volte una persona veniva dopo aver comprato, o se comprava ancora. C’erano alcuni collezionisti stranieri, di cui si sentiva parlare anche su riviste specializzate. Poi c’era un nome che ricorreva…
<< Dici che quando ci vediamo vuoi picchiarmi? Vuol dire che tra otto giorni verrai al locale di Aiba?>> chiese Sho, riportando Satoshi alla realtà.
<< Eh?…>> chiese. Sho ripeté la domanda.
<< Ah, si! Vengo. Ma Aiba lo sa?>>
Sho rimase in silenzio un attimo. Satoshi poteva sentire chiaramente la frase che si stava formando
<< Ecco… forse avvertirlo per primo sarebbe stata una buona idea…>> disse Sho. Satoshi iniziò a ridere.
<< Poveretto… però se gli capitiamo li, magari è pure contento… sai che l’ho visto? Circa due anni fa… non era cambiato di una virgola, aveva solo i capelli più scuri…>>
Satoshi aveva calcolato la distanza dei giorni al millimetro. Era una cosa un po’ maniacale, lo sapeva. Ma ormai si considerava un caso disperato. Gli mancavano tutti troppo, ma non aveva il coraggio nemmeno di farsi sentire, dopo otto anni… però poteva raccogliere tutto il materiale su Kazunari. Ed ora poteva pedinare qualcun’altro… eccolo che entrava. Sapeva che aveva dato quel nome apposta perchè lui lo riconoscesse, però… ma com’era che era rimasto identico? No, aveva i capelli più scuri. Non era esatto nemmeno quello. Semplicemente non aveva tinte o meches o simili. Aveva sempre lo stesso viso. Forse un po’ più magro di otto anni prima, ma non troppo. Era vestito come un ragazzino, ma poteva permetterselo senza nessun problema.
<< Capo, perchè si nasconde?…>> chiese la ragazza nuova. Satoshi le fece cenno di tacere. Lei obbedì. Ma quando aveva cambiato receptionist? Doveva prestare più attenzione a queste cose…
<< Scusi signorina… ehm…questo è nuovo?…>> chiese l’uomo che era così palesemente spiato da Satoshi
<< Ah… si…>> disse la ragazza, arrossendo. Che faceva? Ci provava con la receptionist? Ecco, tossiva. Era periodo di pollini! Aveva preso le medicine? Si teneva in forma? Stava attento?
<< Bene. Lo prendo. >> disse. La ragazza si alzò, prese il quadro, lo incartò con cura ed andò in ufficio, tornando con Sayaka, che fece uno sconto sul prezzo effettivo
<< E che cos’è? Il premio fedeltà?>> se ne uscì Satoshi, apparendo da dietro il tavolo, dov’era rimasto rannicchiato fino a quel momento.
<< Riidaa!! >>
<< Aiba-chan… >> disse Satoshi. Si sentiva a disagio. Quel sorriso così grande lo metteva a disagio. Perché lui non stava sorridendo così tanto. Lui voleva solo Kazunari… si morse le labbra e corse fuori. Sentì Masaki chiamarlo, ma lo ignorò. Si infilò in metropolitana. Arrivò appena in tempo a casa. Iniziò a piangere. Perché non riusciva a smettere di pensarci? Ma soprattutto. Pensava che rivedere uno di loro avrebbe attenuato il dolore? Semmai lo aveva acuito. Kazunari non c’era. Era in america. E vedere chiunque degli altri avrebbe reso questa realtà ancora più reale.
<< Ecco, e adesso mi sento in colpa perchè ho trattato male Aiba-chan…>> si disse Satoshi. Guardò l’armadio. Avrebbe dovuto iniziare da quel foglio. Spalancò l’armadio con un unico gesto. Prese il foglio, lo srotolò. Fu come ricevere una secchiata d’acqua in pieno viso. Acqua gelata. Riarrotolò il foglio, mentre i singhiozzi avevano di nuovo la meglio. Si rannicchiò sul pavimento, tremando. Si calmò. Doveva darsi una regolata, accidenti! Non poteva reagire così! Era un adulto… prese il telefono
<< Mamma… posso dormire li stanotte?…>> chiese, con voce lamentosa. La donna rise e lo invitò per cena. Si sentì sollevato. Uscì e si incamminò verso casa dei genitori. E li trovò Masaki, che lo guardava, cercando di capire che gli avesse fatto, perchè se n’era andato in quel modo.
<< Aiba-chan, scusami… ma…>> iniziò Satoshi. Masaki sorrise. Aveva capito. Era più sveglio, ora…
<< Tranquillo. Però… prima o poi tornerà. A costo di andartelo a prendere io!>>
Satoshi rise. Il cellulare di Masaki squillò. Lui rispose, disse un paio di sillabe più o meno sensate, salutò e scomparve. Sembrava sempre agitatissimo… si mise a ridere, in mezzo alla strada, senza sapere bene perchè. O forse lo sapeva. Masaki aveva ragione. Kazunari prima o poi sarebbe tornato. Magari anche solo per un periodo molto breve, ma sarebbe tornato! E lui voleva essere pronto. Voleva potergli dire “ok, tu sei fantastico, ma anch’io mi batto bene, quindi prendimi in considerazione, ti prego!”, no forse avrebbe tolto “ti prego”. Non voleva doverlo pregare…
Si era impegnato. Per i due anni successivi aveva messo tutto il suo impegno e le sue forze in qualsiasi cosa facesse, fosse anche buttare la spazzatura. Anche se effettivamente poteva evitare certe evoluzioni dopo aver eliminato il fastidioso sacchetto. Non aveva più pedinato ne visto nessuno. Sapeva che Masaki aveva comprato almeno altri due quadri. Sayaka gli aveva riferito che il locale ormai sembrava una succursale della galleria. Aveva seguito le vicende politiche di Sho. Poi quella sera aveva sentito la voce di Sho dalla cornetta. Aveva scosso il telefono varie volte, ma la voce di Sho era rimasta…
<< Bene. Allora ti abbandono. Ti aspetto da Aiba-chan tra otto giorni, eh! Adesso magari lo avverto…>> disse Sho. Satoshi rise. Poi inspirò. Come per dire qualcosa. Ma le parole non uscirono. Solo aria.
<< Io lo chiamo. Poi se venire o no sta a lui ed ai suoi impegni. Non sperarci troppo, ha davvero un sacco di cose in ballo. Però non devi nemmeno disperare…>>
<< Era un consiglio, Sho-chan? O stai cercando di prendere tempo perchè hai paura delle reazioni degli altri? Eddai, sei riuscito a far pace con Jun… non sarà difficile dire qualcosa ad Aiba, no? O a Nino…>>
<< Detta da te sembra più semplice, ma… non so… bene. Metto giù ed avverto il simpatico gestore.>>
Satoshi rise. Si salutarono e riattaccarono. Poi si girò verso l’armadio. Era giunto davvero il momento. Aprì. Srotolò il foglio. Guardò il disegno che aveva fatto quasi dieci anni prima. Prese la matita e lo affrontò, con espressione serissima.