Titolo: Loving you is not so bad
Fandom: Hey! Say! JUMP
Rating: PG-15
Genere: Fluff
Pairing(s): Inoobu
Wordcount: 1522
fiumidiparolePrompt: Il potere dell'ingegno o dell'industria; Lupo Mannaro; Amare uno sconosciuto
Disclaimer: I fatti narrati non si basano su avvenimenti reali e sono senza scopo di lucro. I personaggi non mi appartengono ed io non intendo in alcun modo offenderli o dare una rappresentazione vera del loro carattere.
Note: scritta per il Decamemanicomeron della
365days_fic, per la tabella di Halloween della
think_fluff e per la tabella 10 love di
contestmania Introduzione: Non capitava spesso che Kota si innamorasse di qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era un uomo
L’unico pensiero che lo teneva occupato negli ultimi tempi era quella persona. Non capitava spesso che Kota si innamorasse di qualcuno, soprattutto se quel qualcuno era un uomo, ma quando lo vide il suo cuore cominciò a battere velocemente, impedendogli di respirare regolarmente.
Si trovava sul treno dopo una lunga e straziante giornata di lavoro quando lo incontrò per la prima volta, il giovane era seduto davanti a lui, intento ad ascoltare della musica che usciva dalle cuffiette. Aveva lo sguardo basso, pensieroso, sguardo che si illuminò quando lesse un messaggio sul suo telefono. Sorrise dopo la lettura e fu proprio quel sorriso che fece innamorare Kota.
Lo rivedeva in continuazione nei suoi ricordi, ma di persona non lo rivide più. Si era innamorato di un perfetto sconosciuto che, notando la reazione all’arrivo del messaggio, doveva essere già fidanzato.
Lo rivide due settimane dopo, quando il suo datore di lavoro annunciò che il proprio figlio avrebbe lavorato come dipendente della compagnia, come aiutante di Yabu stesso, e quel figlio era proprio quel ragazzo.
“Sono Inoo Kei, piacere di fare la tua conoscenza” Disse svogliato, con gli occhi fissi sullo schermo del telefono.
“Yabu Kota, quanti anni hai Inoo-kun?” Chiese curioso, dal comportamento sembrava un adolescente.
“Venti…” Rispose senza prestare troppa attenzione all’interlocutore. Avevano sei anni di differenza e questo bastava a Kota per classificarlo come ‘ragazzino’.
“Bene Inoo-kun, puoi sistemare quei fogli su quel tavolo?” Chiese, più come un ordine che come una richiesta.
Quella domanda fu sufficiente per far alzare gli occhi di Kei che, con fare minaccioso, si spostavano dal tavolo a Yabu e viceversa.
“Sei impazzito?” Chiese ridendo.
“Eh?”
“Non penserai mica che mi metta ad ordinare tutti quei fogli!” Continuò “Ti ricordo che sono il figlio del tuo capo!”
Kota lo fissò per qualche secondo incredulo, rimpiangendo di aver passato tutto quel tempo a pensare ad un ragazzino viziato del genere.
“Ed io ti ricordo che sono un tuo superiore” Rispose tranquillamente, sostenendo lo sguardo di Kei “Ed in quanto tale sei obbligato a fare come ti dico se non vuoi una nota negativa da parte mia” Continuò, avvicinandosi all’orecchio del più giovane “Non vorrai essere sgridato dal tuo paparino…”
Bastarono quelle poche parole per convincere il più piccolo ad alzarsi e ad ordinare l’intera scrivania.
Con il tempo le cose non migliorarono molto, l’unica differenza era l’obbedienza del nuovo arrivato, seppur con qualche sospiro infastidito. Kei non amava lavorare, dopotutto, non l’aveva mai fatto e non aveva intenzione di farlo se non fosse per suo padre che lo aveva obbligato dopo che venne coinvolto in una compagnia poco raccomandabile.
A parere del padre doveva imparare come diventare una persona responsabile e Kota era la giusta guida per ciò.
Inizialmente lo odiava, non c’è che dire, un tipo così pieno di sé, che dava ordini a destra e a manca, ma ogni sera amava fissarlo mentre leggeva un libro, in attesa che i suoi subordinati completassero il lavoro. Kota aveva sempre uno sguardo serio, in qualsiasi momento della giornata, eppure, quando si immergeva nella lettura sembrava un bambino che immaginava il proprio mondo.
Una sera Kei tornò in ufficio, se ne erano andati tutti, ma aveva dimenticato le chiavi del suo appartamento, quindi fu costretto a tornare. In quella sera iniziò tutto.
Entrò nell’ufficio notando una luce accesa, alla scrivania, infatti, era seduto Kota, con la testa sul libro. Dormiva profondamente.
Gli si avvicinò lentamente cercando di non fare rumore per non svegliarlo. Aveva un’espressione serena, tranquilla. Gli passò una mano tra i capelli, constatandone la morbidezza, a quel tocco, Kota si mosse come un gatto avvicinandosi al calore del tocco, sorridendo subito dopo.
Aprì lentamente gli occhi, impiegando qualche secondo a capire il luogo in cui si trovava.
“Dovresti sorridere più spesso!” Sentì dire da una voce che aveva imparato a conoscere.
“Inoo-kun, dovresti essere a casa…” Gli fece notare, stiracchiandosi.
“Anche tu!” Replicò il più piccolo, avvicinandosi alla propria scrivania per prendere le chiavi.
Lanciò un’occhiata al suo superiore ancora insonnolito. Kota lavorava sempre, senza freni, era una persona dotata in ogni cosa che faceva, non vi erano dobbi a tal proposito, eppure, mentre svolgeva il suo dovere, sembrava così triste.
“Yabu!” lo chiamò, facendolo sobbalzare.
“Yabu-san!” Lo corresse, leggermente irritato.
“Sì, come vuoi, ti va di venire con me?” Chiese, facendo preoccupare l’altro.
“Dov’è il trucco?” Replicò.
“Trucco?” Kei sorrise “Dovrebbe esserci?”
Decise di seguirlo, non aveva niente da perdere infondo, anzi, avrebbe potuto dedicarsi una serata dopo tanto tempo.
“Dove siamo?” Chiese quando entrarono nel locale.
“Ti presento la compagnia pericolosa di cui ha così tanta paura mio padre…” Disse lentamente, voltandosi poi verso il più grande.
“Paura?” Chiese sorridendo
“Dovrei?” Replicò, sorridendo a sua volta.
Si sedettero ad un tavolo.
“Bene, aspetta qui cinque minuti!” Disse Inoo, alzandosi dal tavolo dopo aver ordinato da bere.
“Non ci vorrà molto!” Lo rassicurò, lasciandolo poi da solo.
Le luci della sala si abbassarono, lasciando l’attenzione dei presenti sul palco in fondo alla sala; dopo qualche secondo di attesa, cinque persone vi salirono sopra, cominciando a suonare una canzone lenta ed incredibilmente malinconica.
“La compagnia pericolosa?” Chiese Kota, fissando il pianista del gruppo che a sua volta lo guardava sorridendo felicemente.
“Era con loro che passava tutto il tempo al telefono, quindi…”
“Allora? Piaciuto?” Chiese Kei, tornando al tavolo.
“Suoni il piano?” Domandò indietro Yabu, un po’ sorpreso che una tale persona viziata potesse avere un ingegno nel mondo della musica.
“Suono e compongo le musiche del gruppo; a volte scrivo anche i testi, ma non sono molto bravo…” Disse, imbarazzato.
“E’ la prima volta che qualcuno che conosco ci ascolta…” Spiegò, bevendo un sorso della bevanda sul tavolo.
“Siete bravi, avete un nome?” Chiese ancora Yabu, interessato alla doppia vita del suo subordinato.
“Werewolfs” Rispose “E’ un po’ strano, lo so…”
La serata passò velocemente, troppo per i gusti di Yabu che aveva appena cominciato a capire che la presenza del più piccolo non era così male come aveva pensato inizialmente.
“Perché tuo padre non vuole che li frequenti?” Domandò durante il percorso per tornare a casa.
“Una famiglia di persone d’affari non accettano un musicista, infangherei il nome e tutti i dipendenti di mio padre dipendono dalla voglia che ho di prendere in mano le redini, tra cui anche TE!” Gli fece notare, puntandogli un dito contro.
Kota sorrise, sedendosi su una panchina del parco “Non penso che resterò a lungo in quell’ufficio, in modo da averti come capo!” Replicò sospirando.
“Eh?” Si sorprese l’altro, sedendosi a sua volta.
“Hai intenzione di lasciare il lavoro?”
Kota non rispose, si limitò a sorridere sistemandosi meglio contro lo schienale della panchina, chiudendo poi gli occhi per ascoltare il silenzio della notte.
“Vi chiamate werewolfs perché cantate quando c’è la luna piena?” Chiese, aprendo gli occhi per guardare la luna, facendo sobbalzare il più piccolo che si era incantato ad osservare il suo profilo.
“Forse, o forse perché quando c’è la luna piena facciamo cose strane…” Disse, sussurrando l’ultima parte
“Cose strane? Per esempio?”
Prima che il più grande potesse finire la frase, il più piccolo poggiò le sue labbra su quelle dell’altro, delicatamente.
“E’… s - strano, n - no?” Constatò con voce tremante.
Restarono in silenzio, Kota a fissare Kei e quest’ultimo ad evitare lo sguardo fisso del più grande.
“Non poi così strano, in realtà…” Rispose, avvicinandosi al volto del più piccolo, baciandolo a sua volta.
Arrivarono velocemente a casa di Yabu, impegnati ad assaporare il gusto l’uno dell’altro.
“Dovremmo rallentare un po’, non credi?” Chiese Kota tra i respiri pesanti quando si separarono per qualche secondo.
“Non saprei, ma è da quando ti ho visto su un treno che ho voglia di saltarti addosso!” Replicò Kei, avventandosi nuovamente sulla sua bocca.
“Su un treno?” Chiese sorpreso Kota, allontanandosi momentaneamente dall’altro.
“Mi stavi fissando mentre messaggiavo con un mio amico, eri terribilmente affascinante in giacca e cravatta e quello sguardo fisso su di me…” Spiegò, sorprendendo l’altro che, ancora incredulo, riprese a baciare il corpo del più piccolo, senza tralasciarne neanche un centimetro, fino a tarda notte.
La mattina seguente arrivò insieme al mal di testa dovuto all’alcool della sera precedente. Lanciò uno sguardo alla sveglia sorprendendosi dell’ora. Si alzò velocemente dirigendosi subito in bagno, tornando poi in camera per vestirsi, sbrigandosi ad andare a lavoro.
Fu quando stava facendo il nodo alla cravatta che si accorse dell’assenza di qualcuno.
La camera da letto era vuota, così come il bagno.
Scese le scale, ritrovando in cucina Inoo Kei con la frangia tirata in alto, indaffarato con i fornelli.
“Che fai?” Chiese Kota, chiedendosi se doveva ridere a quella visione.
“Ah! Preparo la colazione!” Disse, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
“Hai mai toccato dei fornelli prima d’ora?”
Kei ci pensò su per qualche minuto sorridendo subito dopo.
“No, ma credo di potercela fare; sono una persona ingegnosa io, sai!” Disse, riprendendo il lavoro.
“Ho avvertito l’ufficio che oggi saremo assenti” Disse poi, con nonchalance.
“Cosa?!”
“Sinceramente ritengo che tu lavori un po’ troppo, quindi oggi sei in pausa”
Spiegò, sedendoglisi di fronte, porgendogli un piatto abbastanza invitante.
“Quindi Kou-chan? Cosa facciamo oggi?”
“Kou-chan?” Sorrise Kota
“Ho pensato a vari nomignoli, ma alla fine ho optato per questo…” Spiegò ancora, leggermente imbarazzato.
“Se ti dà fastidio-“
“Kei-chan!” Lo interruppe Kota, avvicinandosi al suo volto, baciandogli dolcemente le labbra.
“Penso di essermi innamorato di te…” Disse, cominciando a mangiare la colazione, ignorando l’altro, diventato completamente rosso dall’imbarazzo.
Per la prima volta Yabu si era innamorato di un completo estraneo, ma doveva ammetterlo, non era poi così male.