[Sherlock Holmes] Also when 'tis cold and drear

Oct 13, 2011 13:08


Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 1 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale (1 - One summer's evening (a) ) che l'autrice ha - bontà sua - acconsentito a farmi tradurre qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Angolino dello spam: qui per un fumetto idiota a base di Martin!John senza veli e LOL, e qui per una shot canonica a base di angst nel senso letterale di angoscia, giallo, death sparso qua e là e tanta ma tanta cattiveria.

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One Summer's Evening (a)

Non si trattò che di una mera questione di due o tre mesi prima che realizzassi che aver trovato il buon dottor Wartson con cui condividere i miei appartamenti non fosse quello straordinario colpo di fortuna che avevo in un primo momento considerato essere.

Dapprima, l'accordo aveva avuto tutta l'aria d'essere perfetto. L'uomo in questione sembrava avere tutte le qualità che chiunque possa mai desiderare in un coinquilino. Amichevole, ordinato e il più delle volte sobrio, spendeva la gran parte del suo tempo alternando momenti in cui sovraccaricava se stesso di esercizio cercando di camminare - o facendo in generale - più di quanto il suo stato di salute non gli permettesse, e giacere prostrato sul divano nel tentativo di riaversi. A parte questo insensato circolo vizioso, la sua sola altra occupazione pareva consistere nell'accumulazione di un gran numero di scarabocchi i quali, con mio grandissimo dispetto, aveva sempre grande cura di non lasciare mai che restassero nei miei dintorni ché io li potessi leggere. In breve, sarebbe difficile pensare ad un insieme meno fastidioso di passatempi.

Quando infine ritenni che il suo stato di salute fosse migliorato abbastanza da permettergli di accompagnarmi in uno dei miei casi, la sua reazione entusiastica ai miei metodi deduttivi consolidò una volta e per sempre la mia opinione sulla solidità del suo raziocinio e la bontà del suo giudizio. Tra le altre cose, sembrava non avere obiezioni al fatto che suonassi il violino ad ore indecenti, e sebbene fosse di tanto in tanto infastidito dai fumi tossici cui la natura imprevedibile della chimica talvolta obbliga anche le mani del manipolatore più abile, non aveva mai esternato il suo disagio.

Se soltanto fosse potuto essere di aspetto orrendo e avanti con gli anni! O anche giovane e bello, ma stupido e fatuo. Al contrario mostrava prove costanti della sua natura ferma e del suo sconfinato cuore. Era un mite pomeriggio di Agosto del 1881 quando i sospetti che si erano aggirati fino a quel momento nelle regioni più oscure del mio cervello collidero nell'innegabile conclusione che vivere con Watson si sarebbe dimostrato un tormento senza fine - sebbene uno cui non avevo il minimo desiderio di rinunciare.

La rivelazione mi colse nel mentre che interrogavo un cliente, un signorotto piuttosto fastidioso che rispondeva al nome di Pendleford. Avevo invitato il dottor Watson a rimanere intanto che l'anziano signore raccontava la sua storia, qualcosa che avevo frequentemente sorpreso me stesso a fare.

La prima volta che mi era capitato di farlo mi sentii piuttosto insultato, dal momento che Watson pareva aver speso tutto il tempo scarabocchiando in quel suo taccuino piuttosto che prestare attenzione alla mia abile sonda delle memorie del mio cliente. Dopo qualche momento, ad ogni modo, giunsi a realizzare il semplice fatto, stava prendendo appunti della conversazione! Non avevo dimenticato la sua minaccia - qualche tempo prima - di pubblicare un racconto di una vicenda piuttosto macabra riguardante l'assassinio di alcuni americani a Londra, con il cui caso lo avevo introdotto al mio lavoro. Avevo liquidato l'idea come nient'altro che un'innocente lusinga a quel tempo, ma d'un tratto la prospettiva di avere l'attenzione di Watson completamente incentrata al sottoscritto in una maniera del genere non mi dispiacque affatto.

Quanto alla mia conversazione con Pendleford, Watson e il suo taccuino furono presenti come sempre. Prestai un orecchio professionale alla lunga e concitata storia del signore, ma con la coda dell'occhio osservavo Watson chino sul suo taccuino, la sua penna fluttuare lungo la pagina, un piccolo solco tra le sue sopracciglia chiare che donava al suo volto un'intensa espressione che trovai ridicolmente avvincente.

Di tanto in tanto volgevo gli occhi da Watson il tanto che era sufficiente per soddisfare la minima esigenza di civiltà e annuire in riconoscimento del vecchio signor Pendleford, il quale era ancora immerso nel suo racconto incoerente. Era seduto sulla punta della sedia, le mani macchiate di cera tipiche del candelaio stringevano la carpetta di cartone riposta sulle ginocchia, le sue scarpe di campagna si scontravano con l'abito in tre pezzi che aveva evidentemente riesumato dal suo guardaroba per la sua visita in città, e che non vedeva la luce del giorno da quando aveva partecipato a un matrimonio due estati prima - o forse tre, impossibile asserirlo con certezza. La sua pronuncia era prudente e il suo accento del West Country piuttosto leggero, intanto che ci riversava una storia che aveva con ogni evidenza ripassato più di una volta durante il viaggio in treno.

«Quindi lei capisce, signor Holmes, sebbene il piccolo albergo di mio cognato stia andando piuttosto bene, di certo non potrebbe mai renderlo un uomo ricco. È piccolo e fuori zona, ai confini di una cittadina appena più lontano delle parti più popolari del Gloucestershire. In estate in qualche modo riesce sempre a riempire le sue sette stanze, e generalmente riesce a fare abbastanza per tirare avanti durante l'inverno. Durante l'alta stagione, mi capita di scendere e dare una mano a lui e a mia sorella per un mese o due. Sono un candelaio, sa, e non c'è una gran domanda di candele in estate».

Tutto quello che avrei desiderato era avere l'opportunità di esternare a Watson quei pochi semplici dettagli che mi avevano portato a dedurre le nozioni circa la professione di Pendleford e la sua provenienza geografica. Ahimè, questo piccolo piacere mi fu negato in quell'occasione.

Pendleford proseguì la sua storia: «Questa estate, tuttavia, egli pare essere in qualche modo riuscito a mettere le mani su una gran quantità di denaro, e in maniera alquanto losca, questo glielo posso garantire, dal momento che quando l'ho affrontato sull'argomento ha fatto un balzo all'indietro proprio sotto ai miei occhi. Mi ha detto di badare bene ai miei affari senza mezzi termini. Sono sicuro che ci sia sotto qualcosa. Perciò mi sono preoccupato di fare qualche piccola indagine prima di venire qui a Londra a trovarla». Con un dito calloso sfogliò la carpetta sulle ginocchia. «Ho fatto una lista di tutti i nomi e gli indirizzi delle persone cui ha scritto di recente, copie di ogni ricevuta io abbia trovato nel suo ufficio, non meno che le date in cui è stato via dall'albergo senza che egli abbia addotto spiegazioni e così via».

Ora, non avevo in me il minimo desiderio di visionare una lista delle occasioni in cui il cognato del signor Pendleford aveva visto la sua amante o più semplicemente si era goduto una serena bevuta senza che la moglie o il cognato gli fiatassero sul collo, e leggere pagine di ricevute riguardo la pulizia dell'argenteria o della biancheria da letto, o conti dubitabili per la sola ragione che il proprietario dell'albergo aveva distorto i numeri il tanto che bastava per giustificare un pagamento più basso al cognato.

«Temo che non ci sia proprio alcun mistero da risolvere, signor Pendleford.» dissi. «È probabile che suo cognato abbia vinto il denaro giocando d'azzardo, o in qualche maniera egualmente innocua. Dopotutto, non tutti gli uomini desiderano discorrere dei propri affari finanziari con il fratello della propria moglie. Ho paura di non poterle essere di alcun aiuto».

Il volto di Pendleford fu assalito dallo sconforto, e con la coda dell'occhio osservai quello di Watson sollevarsi all'istante.

«Il signor Pendleford pare aver fatto una gran fatica a mettere insieme tutti questi documenti.» disse con prudenza. «Forse potrebbe essere una buona idea se potesse lasciarli qui e tu gli dessi uno sguardo più tardi. Magari può darsi che ci sia qualcosa di una qualche importanza in un dossier tanto grande e dettagliato».

Come spesso prima di allora, trovai il tempo di sbalordirmi ancora una volta di quale meraviglioso mistero fosse la persona che John Watson incarnava. Come al mondo potesse arrivare ad avere cura di essere educato e premuroso nei confronti di un uomo che aveva appena conosciuto e che con ogni probabilità non avrebbe mai più rivisto in vita sua? Come diavolo riusciva a perseverare nella sua toccante convinzione che fossi semplicemente stato un po' sbadato e che se soltanto avessi smesso di pensarci per un attimo, sarei potuto diventare gentile e riguardoso quanto lui? Ma più di tutto, perché mai mi sarebbe dovuto importare minimamente qualcosa di quello che il dottore pensava, e perché mai avrei dovuto istantaneamente cambiare idea nel momento in cui avevo sentito il suono delle sue parole e il suo sguardo prudente e pensieroso su di me?

Mi voltai lentamente verso Pendleford: «Se potesse essere così gentile da lasciare i documenti sul tavolo così come il suo indirizzo, mi faccio pegno di contattarla nel momento in cui stabilirò se c'è o non c'è una possibilità di risolvere il caso».

Il volto del vecchio candeliere si ruppe in un sorriso raggiante nel mentre che balbettava parole di ringraziamento. Lo fronteggiavo per amore di civiltà, ma la mia attenzione era esclusivamente rivolta al dottor Watson. Nel momento in cui vidi la sua bocca curvare in un piccolo, caldo sorriso - diretto a me e a me soltanto - ebbi il tempo di considerare che avrei felicemente raccolto centinaia di altri casi inventati e inesistenti semplicemente per essere nuovamente il destinatario ultimo di un sorriso del genere.

Fu quello il momento in cui realizzai che ero perduto, e che sarebbe stato meglio per entrambi che quella persona dannatamente buona non fosse mai giunta nella mia vita, affatto.

Watson mostrò la porta a Pendleford e io mi accasciai alla sedia, trafitto dalla mia stessa idiozia. Un paio di mesi con la guardia abbassata erano stati sufficienti a decretare la fine di quasi una decade di celibato autoimposto e sforzo costante di trasformare me stesso in un essere puramente razionale, immune da ridicoli quanto pericolosi pensieri di affetto o desiderio.

Watson rientrò per sedermisi di fronte, sembrandomi accalorato per qualche ragione.

«Holmes, amico mio,» esordì, con cautela, «desidero dirti che spero non aver parlato a sproposito in quest'occasione. Mi sembri alquanto infastidito».

Lo fissai. Come poteva un uomo tanto a modo, affascinante e di buon cuore quanto Watson essere così umile e modesto?

Era ancora in attesa di una risposta. Esitai un istante indeciso se gettarmi sul suo collo o rivolgergli una volta per tutte la peggiore risposta che potessi mai concepire. In quell'occasione non feci nulla di tutto questo, piuttosto mormorai qualcosa a proposito del fatto che non avrebbe avuto alcuna rilevanza né in un caso né in un altro e mi ritirai dietro le pagine dell'Illustrated London News.

Presto, il debole suono del suo pennino che raschiava la carta penetrò a suo modo nei miei pensieri. Mi azzardai a sollevare il capo un istante, e vidi Watson chino sulla scrivania, scarabocchiando come suo solito. Potevo solo vedergli la schiena, la sua spalla invalida leggermente più magra curvata dal momento che era piegato sul suo lavoro, e i suoi capelli biondi colpiti dai raggi del sole estivo che penetravano dalla finestra. Scossi il capo e guardai atrove. Osservazioni del genere erano più degne di un imbecille innamorato che di un uomo scientifico, razionale. Se mi fossi concesso di perseverare in questa direzione, mi sarei ben presto ritrovato a sognare di baciare quelle sopracciglia bruciate dal sole, di lasciar scorrere le mie mani su quella solida cornice che stava con lentezza ritornando ad essere tanto impostata quanto doveva con tutta evidenza essere stata una volta, di piegare la mia testa a -

Scossi il capo nuovamente, e strattonai il mio giornale davanti al volto per bloccare quelle immagini ipnotiche. Se soltanto Pendleford mi avesse portato un caso vero, un caso in cui concentrare la totalità della mia mente e dei miei giorni!

Avevo soltanto un conforto in tutto questo pietoso scenario. Avevo presto avuto modo di notare in Watson la mancanza di discriminazione circa il genere sessuale quando si trattava di essere destinatari o mittenti di sguardi di ammirazione. Potevo se non altro avere fiducia nel fatto che, avessi mai tradito la mia reale opinione sul suo conto tramite parole o azioni, avrei certamente perso un coinquilino ma difficilmente sarei finito in prigione.

Dopo un'ora o due lo vidi abbandonare la sua scrittura e venire a sedermisi di fronte, facendomi dono di uno dei suoi sorrisi aperti e amichevoli prima di seppellirsi in un romanzo dall'aspetto tremendo il cui titolo suggeriva si trattasse di una storia d'avventura ambientata durante le guerre contro Napoleone. La copertina del volume, ad ogni modo, aveva l'illustrazione di un galeone portoghese del XVII secolo - questa sconvolgente imprecisione che mi dava ancora meno desiderio di quanto non ne avrei avuto di norma di indagare il suo contenuto.

Watson sembrava in tutta evidenza non avere nessuna di queste remore, e sedemmo in confortevole silenzio per un considerevole lasso di tempo - lui leggendo e io guandandolo dall'alto del mio giornale.

Guardare Watson leggere era un'esperienza di gran lunga superiore da qualunque punto si volesse vederla di quanto la lettura di quello stesso romanzo non sarebbe stata, di questo sono piuttosto sicuro. Dapprima si era accomodato interamente sullo schienale, ridacchiando di tanto in tanto quando uno dei personaggi pronunciava una battuta. Quindi la tensione aumentò gradualmente, e si sporse in avanti, afferrando il libro con più convizione, quando gli eroi evidentemente ingaggiarono la loro battaglia. Quest'ultima a quanto pare era andata male per i buoni, in un primo momento, e qualche personaggio importante deve per forza essere caduto, dal momento che Watson si accigliò e persino tirò impercettibilmente leggermene su col naso, sebbene molto discretamente. Alla fine, ad ogni modo, la scontata vittoria fu garantita delle truppe di Sua Maestà, gli eroi fecero il loro ritorno trionfanti e Watson sospirò e poggiò il libro da parte. Feci bene attenzione a seppellirmi nuovamente nel mio giornale prima che alzasse il capo.

«Holmes,» disse.

Abbassai un poco le pagine.

«Sei ancora alla stessa pagina del tuo giornale dell'ultima volta che ti ho visto. Ci sei rimasto per tutta la sera, di fatto».

Maledissi me stesso per aver piegato il mio giornale del tutto, invece di tenerlo aperto.

Watson aveva l'aria di essere preoccupato. «Spero che tu non sia ancora in collera per quell'affare con Pendleford. Sono davvero...»

Non lo lasciai terminare. «Non ho prestato a quell'uomo neanche un pensiero in tutta la serata,» potei dire in completa onestà. «Sono contento di vedere come tu stia esercitando le tue capacità di osservazione, ad ogni modo, amico mio».

Il suo voltò si colorò di piacere, e mi sorrise in maniera radiosa. Non avevo inteso l'osservazione come un complimento del genere, dal momento che dopotutto era un'osservazione davvero elementare, per quanto qualcuno facente parte della stragrande maggioranza della massa incapace di osservazione non avrebbe fatto. Sia come sia, qualunque cosa desse piacere al dottor Watson era degna di essere proferita.

«Ho fatto un piccolo studio dei tuoi metodi,» disse, per quanto dal suo tono mi pare forse che 'confessò' si addica meglio. «Forse hai notato che mi capita di prendere qualche appunto durante i casi che sei tanto gentile da farmi osservare».

«Mi pare di averlo notato, sì, una o due volte,» risposi, senza fare piena giustizia alla verità.

Sarei felicemente potuto restare lì seduto per il resto della notte, illustrandogli tutti gli infiniti benefici di sviluppare le capacità di osservazione, ma sfortunatamente Watson si era già organizzato per la cena. Il detestabile terzo incomodo era un vecchio amico che gli era capitato di incontrare per caso mesi prima, e con il quale cenava a intervalli piuttosto regolari, una volta ogni due settimane pressappoco. Sebbene Watson non fosse intimo con questo individuo, ero ciononostante stato in grado di stabilire che egli fumasse Pall Mall, e che avessero servito insieme in Afghanistan.

Per quanto non lo avrei mai ammesso ad anima viva, ho sempre nutrito un certo timore a fare affidamento sulle mie capacità abituali quando si tratta di faccende nelle quali ho un coinvolgimento personale. So quanto questo sia assurdo, dal momento che la deduzione è una scienza i cui risultati non dovrebbero differire in base allo stato emozionale dell'osservatore. E tuttavia l'interpretazione su cui l'osservatore in questione fa affidamento per giungere alle sue conclusioni può distorcere ogni dato. Si trattava di una delle ragioni per cui consideravo le emozioni forti un tale pericolo, una tale insidia.

Nel caso delle cene bisettimanali di Watson, per esempio, sapevo perfettamente bene che sebbene avessero luogo in case pubbliche della regione di Piccadilly che era conosciuta da moltissimi gentiluomini come una locazione conveniente per procurarsi un compagno dello stesso sesso, il palazzo era parimenti frequentato da un gran numero di persone perfettamente rispettabili, ignare della reputazione del luogo. Sapevo fosse probabile che Watson e il suo amico si incontrassero lì semplicemente perché si trattava di un posto già conosciuto da entrambi dai tempi dei loro giorni da studenti, e per nessun altra ragione di interesse corrente.

E sebbene nutrissi i mie sospetti circa il livello di intimità della loro relazione in Afghanistan, le mie osservazioni avevano reso se non altro chiaro che a Londra essi fossero rimasti pienamente vestiti per l'interezza dei loro incontri, i quali a voler rendere loro onore avevano luogo in pubblico nella loro interezza.

Tutto questo io lo sapevo bene, nondimeno la mia mente non pareva volermi concedere di cessare le sue speculazioni. Perché mai poi non potevo essere soddisfatto da tutte queste perfettamente logiche e indiscutibili conclusioni? Perché mai il mio cervello doveva soffermarsi su febbricitanti elucubrazioni alla vista della cravatta di Watson leggermente allentata, che era sicuramente dovuta al caldo opprossivo di quella sera e non alle dita del suo amico dall'Afghanistan?

Realizzai che Watson stava in piedi davanti alla porta con il cappello e il cappotto, guardandomi con un'espressione interrogativa e presumibilmente domandandosi perché mai non avessi risposto alle sue parole di commiato.

«Scusami?»

Sorrise. «Mi rincresce disturbare i tuoi pensieri, mio caro Holmes. Ho semplicemente detto che la signora Hudson sta preparando del manzo di Borgogna questa sera, ed è mia speranza che tu ne mangi una buona porzione».

Non riuscii a trattenere un verso impaziente a questa protettività, che non mancò di farmi guadagnare un profondo sorriso prima che Watson andasse, lasciandomi ai miei pensieri agitati.

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