[Axis Power Hetalia] Caleidoscopio - L'Accordatore (11/?)

Dec 09, 2013 22:17




Titolo: Caleidoscopio
Fandom: Axis Powers Hetalia
Personaggi: GerIta (LudwigxFeliciano), Spamano (AntonioxLovino); RoChu; PruCan; altri personaggi e altre coppie compariranno nei capitoli a seguire.
Rating: Arancione
Parte: 11/?
Avvertimenti: AU (Alternative Universe); Tematiche Delicate; Yaoi e Lemon (nei capitoli successivi)
Riassunto: L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Per questo quando nacquero i gemelli del signor Vargas vi fu grande timore: era risaputo che i gemelli erano uno spirito diviso in due corpi, e un ragazzo con lo spirito a metà non avrebbe mai potuto reggere il destino della Confederazione. E, per un bene maggiore, occorreva affrontare dei sacrifici: il più turbolento dei gemelli venne abbandonato a morire su un pianeta desertico.
Ma nessuno aveva considerato il legame profondo che incatenava i due fratelli.
Entrambi avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
Dall’undicesimo capitolo: «Quello che hai davanti è un ragazzo cresciuto senza genitori, allevato dalle battaglie secondo il credo dei pirati, alleato fino alla morte di Antonio Fernandez Carriedo e unico vice comandante della Reina de la Oscuridad. Io sono Lovino Belial, la Mano Sinistra del Diavolo!»

Note: I banner della storia sono opera di Calu-tan<3

Capitolo Undici: l’Accordatore

Feliciano sapeva di trovarsi in un sogno.
L’atmosfera quasi nebulosa e lo scorrere irregolare del tempo erano inconfondibili: era entrato nel reame onirico. Ed era altrettanto sicuro che quel sogno non fosse suo: non riconosceva il posto in cui si trovava, e non gli erano familiari nemmeno i vestiti che indossava.
Osservò con più calma l’ambiente caldo della taverna intorno a lui: era un locale di classe medio-alta, abbastanza elegante da scoraggiare gli accattoni ma non sufficientemente altolocato da evitare gli ubriachi, che cantavano a squarciagola in un angolo. I tavoli, circondati da gente abbigliata con strane divise scure, erano affollati da grossi boccali pieni di liquido giallo paglierino.
«Non hai mai assaggiato la birra?»
La proposta venne dalla sua sinistra, dove una giovane donna si era appena materializzata. Feliciano inclinò la testa, valutando la sua età: l’adolescenza era fiorita pienamente sul corpo, nascosto dalla divisa maschile, e sul viso svezzato dalle battaglie. Doveva essere un po’ più grande di lui.
«No. E temo che dovrò aspettare ancora. Non posso assaggiare la vera… birra» tentennò appena su quella nuova parola. «… in un sogno, giusto?»
La ragazza sfoggiò un gran sorriso, e fece la cosa meno femminile che Feliciano avesse mai visto fare da una donna: reclinò la sedia all’indietro e piazzò gli stivali sul tavolo.
«L’hai capito subito. Sei sveglio. Come un bravo Asse dovrebbe essere» lo lusingò.
«Sai chi sono, ma io non so nulla di te» contraccambiò gentile il ragazzo.
La giovane raddrizzò di colpo la sua posa, fissandolo sconcertata.
«Ma come?» si stupì. «La birra, le divise… non ti ricordano nulla?»
I lunghi capelli nocciola della ragazza presentavano una specie di solco appena sotto la nuca, segno che erano stati legati strettamente fino a poco prima; i grandi occhi verdi erano appena adombrati da un alone di occhiaie, e le mani non erano morbide e perfette come quelle di una nobile: le unghie erano scheggiate, e la porzione di pelle tra le nocche era arrossata e screpolata. Era una donna d’azione e non di moine, come testimoniava la divisa guerresca che indossava. Su quel dettaglio si focalizzò Feliciano: era sicuro di aver già visto quell’uniforme. La spilla a forma di falco, con due smeraldi al posto degli occhi, la spada dall’elsa rifinita a guisa di drago e la divisa nera con i bottoni d’argento. Su di essi si focalizzò Feliciano, finché non riuscì a distinguere il fine intarsio che li decorava: un corvo, simbolo della casata più potente di quel pianeta.
«Sei un’Hellsing» concluse l’Asse.
Aveva trovato molte immagini sui libri di storia, e ricordava che la caratteristica distintiva del vestiario di quel popolo erano la spilla a forma di volatile, che variava in base al gregario del guerriero, e i bottoni su cui era inciso il corvo della famiglia Belschmidt. Avevano libertà di scegliere la pietra da incastonare negli occhi della spilla e di decidere il colore della propria uniforme. Quella della giovane donna era di un verde opacizzato dal campo di battaglia, quasi sporco in confronto allo smeraldo degli occhi.
«Esatto. O meglio, lo ero» la ragazza stese la spina dorsale contro lo schienale, sospirando a labbra chiuse. «Questo è il pianeta degli Hellsing come era ventisei anni fa. Prima che il nostro mondo fosse mangiato dai demoni» la giovane girò la sedia verso di lui e gli tese la mano: «Non mi sono ancora presentata. Elizabeta Hédervàry.»
Feliciano strinse quella mano, e quasi si vergognò di quanto i suoi palmi fossero teneri in confronto a quelli duri e callosi della giovane: era una creatura assuefatta alla battaglia e al duro lavoro, al contrario di lui.
«Perché mi hai portato qui, Elizabeta?» domandò Feliciano.
«Volevo a raccontare al futuro Asse una favola della buonanotte» il suo sguardo si illanguidì nell’affetto, e il ragazzo si permise di farle un appunto gentile:
«Non è una favola. È un ricordo, vero?»
L’indice della donna lo picchiettò in mezzo agli occhi, spostandogli la testa all’indietro.
«Sei un po’ troppo furbo, Asse.»
«Mi chiamo Feliciano» la corresse con un sorriso stanco: preferiva il suo nome alla sua carica. Lo faceva sentire umano, e non un pezzo innominato di un’enorme scacchiera.
«D’accordo, Feliciano» concesse la giovane, e bevve un generoso sorso di birra prima di continuare: «Ti ho chiamato qui per raccontarti la storia del più strano degli Hellsing che sia mai nato. Si pensò addirittura che fosse un bambino proveniente da un altro pianeta: non dimostrava la minima propensione al combattimento, ed era del tutto inetto nella lotta contro i demoni» le onde dei capelli saltellarono quando Elizabeta scosse la testa: «Poverino, lo hanno bulleggiato in tutti i modi… finché non ha preso in mano un violino. Oh, allora le cose sono cambiate.»
«Un violino?» ripeté Feliciano, senza capire.
«Strano, vero?» una risata zampillò sulle labbra della giovane, rischiarandole tutto il volto. «Non doveva combattere con le armi, ma con la musica: le sue note non erano in grado di uccidere i demoni, ma potevano bloccarli, potevano stordirli. E dare così modo a noi sterminatori di eliminarli. Ma non era quella la cosa più straordinaria che sapeva fare con il violino» Elizabeta annuì alle sue stesse parole, e accarezzò con gli occhi l’aria davanti a sé. «Era un ragazzo molto schivo. Probabilmente, è diventato così per via degli anni in cui è stato preso in giro da tutti quanti. Non l’ho mai visto sprecare una parola o un sorriso più del dovuto; li centellinava come un avaro farebbe con le sue monete. Ma quando sfiorava le corde del violino…» Elizabeta chiuse gli occhi e un’espressione deliziata si dipinse sul suo volto. «Il mondo assumeva i suoi colori: ed erano colori così brillanti, così intensi che ti lasciavano senza fiato. Era la musica il canale della sua anima, non le parole.»
«Era così bravo?» in risposta alla sua domanda, la giovane gli indicò il palco improvvisato.
«Lo sentirai tu stesso. Sta per suonare.»
Feliciano quasi si rovesciò dalla sedia quando il misterioso Hellsing poggiò i suoi stivali sul legno del proscenio.
«L’Accordatore!» sibilò.
«Già, quello è il titolo con cui è famoso adesso» ruminò amara Elizabeta.
Feliciano si domandava quale musica potesse mai produrre quell’uomo senza pietà, quando l’archetto strofinò le corde. Fu come se il suo potere di creare visioni mediante la musica non fosse cambiato, ma la metamorfosi fu molto più dolce: la melodia era udibile a tutti gli ascoltatori, non solo all’esecutore, e le note sembravano trascendere la dimensione del pentagramma per dipingere pennellate di nuove emozioni. Il mondo stesso sembrava acquistare una luce nuova e più vivida, come aveva detto Elizabeta.
Feliciano sentì il lamento del violino usare non l’aria, ma il suo sterno come conduttore: le note gli punsero il cuore, una dopo l’altra, con una trafittura che non portava dolore. La melodia risvegliò una miriade di ricordi sopiti in lui, come se l’archetto stesse sfiorando le corde della sua anima e non quelle dello strumento: rivide il volto del fratello, quello del suo Guardiano, il cuore pompò l’affetto per il suo custode dagli occhi di ghiaccio, e le narici respirarono la nostalgia del tempo trascorso con Lovino.
La musica gli invase tutto il corpo: gli riempì i polmoni, diventando la sua aria, risalì sugli occhi, velandoli di lacrime, e scese ad occupare ogni centimetro di lui, dalla punta delle dita a quelle dei piedi, rendendolo parte di quella sinfonia evocativa.
Si riscosse lentamente da quella catarsi quando il violino ammutolì: all’improvviso, il mondo tornò scialbo e arido come sempre.
«È quasi magico, non trovi?» lo punzecchiò Elizabeta, riconoscendo nello stupore del giovane la sua stessa sorpresa, quando aveva udito il violinista suonare per la prima volta.
Feliciano annuì, incapace di articolare verbo nel fragore degli applausi che scrosciavano da ogni parte. Non era possibile che la persona che stava scendendo dal palco con l’aria soddisfatta di chi vive per suonare fosse lo stesso uomo che lo aveva trascinato ai Confini del Mondo qualche ora prima. Ma non aveva ancora visto la cosa più sconvolgente: un piccoletto con i capelli argentati e gli occhi rossi si schiantò contro la tibia del musico, reclamando attenzione. E l’uomo lo sollevò con un sorriso che non avrebbe mai immaginato possibile per quelle labbra tetre.
«Chi è quel bambino?» immaginava già la risposta, per cui l’affermazione della donna non lo sorprese:
«Gilbert Belschmidt. Attualmente, l’ultimo Hellsing rimasto in vita.»
«Sembra molto amico dell’Accordatore» notò, neutro.
Elizabeta sbuffò un sorriso amaro e mormorò:
«Gilbert ha perso i genitori poco dopo la nascita. Essere i più potenti tra gli Hellsing significa essere sempre in prima linea. Quel giorno… ci fu un terribile incidente» la ragazza strinse le mani come per un improvviso brivido di freddo. «Gilbert aveva forse un anno o due. Non ha nessun ricordo dei suoi genitori» tamburellò il tavolo con le dita, cercando di afferrare di nuovo le redini della conversazione: «Fu deciso che sarebbe stato affidato a qualcuno che potesse prendersi cura di lui per tutta la vita. E chi, meglio del più incapace tra tutti gli Hellsing, avrebbe potuto rivestire quel ruolo?»
«È stato il suo padre adottivo?»
Elizabeta annuì con la testa alla sua domanda.
«Guardali» la voce le si incrinò, e la giovane la affogò con un sorso di birra. «Guardali» ripeté, con tono più fermo.
Feliciano li osservò, e vide esattamente ciò che un padre e un figlio avrebbero dovuto essere, anche se il genitore era un po’ troppo giovane per risultare credibile: l’Accordatore che ascoltava con espressione seria i discorsi megalomani del piccoletto, e gli occhi di Gilbert che scintillavano come se stessero osservando una stella. L’Asse spostò lo sguardo sul tavolo di legno grezzo: lui e suo padre non avevano mai avuto quella complicità.
«Non aveva anche una madre adottiva?» cambiò discorso Felciano.
«Ce l’hai davanti agli occhi» mitragliò Elizabeta.
L’Asse preferì serbare per sé le perplessità che avrebbero potuto risultare scortesi, e ascoltò il seguito.
«Eravamo una famiglia piuttosto scalcinata, non lo nego. Ma stavamo bene insieme, eravamo felici. Poi sono arrivati i messi del Vaticano.»
I sensi di Feliciano scattarono a quel nome, come quelli di una preda che riconosce i passi del cacciatore.
«Non avevano mai visto prima un potere come quello di Roderich. E hanno pensato di usarlo per loro. Hanno sradicato e deviato la sua anima» quasi sputò, nel pronunciare l’ultima frase.
«Cosa è successo?» domandò Feliciano.
Elizabeta lo guardò con gli occhi sanguinanti dolore:
«Tu hai un potere enorme, Feliciano. Ma per te è relativamente facile controllarlo: sei nato con quel potere, fa parte di te. È come muovere una gamba o una mano. Ma Roderich… lui era nato con un potenziale modesto, per quanto particolare. E la sua portata non era sufficiente per quegli avvoltoi: gli hanno impiantato a forza altro potere, in quelle maledette stigmate che gli hanno scavato sulle mani. E quando una forza così grande non nasce con te ma ti viene imposta, ti consuma come un parassita. Anche per il Custode dei Cancelli è così: in cambio del potere, deve cedere la sua memoria, ogni singola goccia. Roderich ha dovuto cedere i suoi ricordi e le sue emozioni. Non ricorda più nulla, a parte un tedio infinito e un’apatia totale» le palpebre scacciarono le lacrime con un battito, ed Elizabeta concluse: «Non è triste che il suo violino non possa più cantare?»
Feliciano deglutì, cercando di far combaciare l’immagine inflessibile dell’Accordatore con quella dell’uomo di fronte a lui: per quanto serio, era palese l’affetto che provava per quel fagotto che si arpionava costantemente alle sue caviglie per farlo cadere.
«È identico a come l’ho visto io. Per lui, non è passato un giorno…» notò.
«Perché non è più un essere umano. È preda del potere. E il potere ha bisogno che lui sia in perfetta forma fisica, quindi lo conserva al pieno delle sue forze. Quando avrà finito di sfruttarlo, lo abbandonerà, e lui diventerà un mucchio di cenere in pochi secondi. Recupererà i ricordi solo all’ultimo istante… non avrà nemmeno tempo per chiedere perdono per tutti i suoi peccati.»
«A quali peccati ti riferisci?»
Un’ombra scura calò sul volto della giovane donna.
«Volevano essere sicuri che eseguisse i loro ordini alla lettera. Volevano essere sicuri che fosse diventato davvero una macchina. Ero con lui, il giorno in cui l’hanno trasformato» i denti di Elizabeta affondarono nelle labbra. «Un Hellsing non attacca mai un altro essere umano: le nostre armi devono essere rivolte solo ai demoni. Quindi non ci ha neppure sfiorato l’idea di difenderci, quando abbiamo visto quegli sconosciuti: erano uomini come noi, e, per di più, messaggeri del Vaticano. Chissà quanto hanno sbeffeggiato la potenza degli Hellsing, mentre ci rendevano inoffensivi» le mani sciupate della donna corsero alle orecchie, tappandole. «L’ho sentito mentre gli perforavano la carne e gli colavano l’argento bollente nelle mani. Ha urlato, Feliciano, ha urlato così tanto che credevo che l’anima stessa gli sarebbe uscita dai polmoni. Poi le grida si sono spente. Tutto si è spento: ho fissato una marionetta, quando lui ha voltato lo sguardo verso di me. Quando gli hanno ordinato di ammazzarmi, l’ha fatto senza battere ciglio.»
Feliciano trasalì a quella confessione, e non riuscì a proferire verbo mentre la giovane continuava:
«E poi gli hanno ordinato di sterminare tutto il suo popolo. Con la musica senza strumento che hai visto anche tu, ha aperto il portale per i demoni. Solo Gilbert è sopravvissuto.»
«Perché mi hai raccontato questa storia?» annaspò Feliciano. Più la donna parlava, più le sue parole stillavano sangue, più lui si sentiva soffocare, come se la sofferenza degli Hellsing lo stesse affogando.
I calli della giovane sfregarono il dorso delicato delle sue mani: Elizabeta lo trattenne così, mentre lo pregava:
«Tu sei il futuro Asse, sei stato eletto per salvare le persone. E ti chiedo di salvare lui.»
«Perché? Ti ha uccisa, e ha ucciso il suo popolo.»
«Perché è troppo crudele che i suoi occhi restino freddi e il suo violino muto. E poi… sono convinta che l’Accordatore non abbia ancora sopraffatto Roderich. Non del tutto» la donna prese fiato e buttò fuori un fiume di parole assieme al respiro: «Quando ha suonato per uccidermi… non stava suonando il violino, ma io l’ho sentita comunque: anche se stava pizzicando corde d’aria, ho sentito la melodia che aveva composto in onore della mia prima battaglia. “Il diamante della guerra”, così l’aveva chiamata. Un titolo piuttosto pomposo, non trovi?» la donna si riscosse, riallacciando il discorso: «Lo hai sentito anche tu: adesso non usa più la musica. Ma con me lo fece. E usò proprio quella canzone. E poi… ha visto Gilbert che faceva ritorno al pianeta, ma non ha ordinato ai demoni di sbranarlo. Gli ha permesso di fuggire. È per quella canzone, per quell’esitazione che io credo ancora in lui» Elizabeta allontanò il boccale di birra, e si stese con il busto e le braccia sul tavolo: «È disumano che una vita debba soccombere al potere. Tu dovresti capirlo meglio di chiunque altro.»
Feliciano si sentì trafiggere al petto. Lui sapeva più che bene cosa significava vedere tutta la propria esistenza scorrere su un binario predefinito dai potenti.
«Come dovrei salvarlo?» chiese.
«Fagli recuperare la memoria.»
«Per quale motivo?» obiettò Feliciano. «Ricorderebbe tutte le cose atroci che ha fatto.»
«Non puoi annullare i suoi poteri senza annullare anche il sortilegio che blocca le sue memorie» rivelò Elizabeta. Un sorriso creato per metà dalla speranza e per metà dalla disperazione fiorì sulle labbra pallide della giovane. «Ricordando, potrà chiedere perdono per quello che ha fatto. E noi Hellsing lo perdoneremo: si odia l’assassino, non il suo pugnale. Così potrà unirsi a noi nei banchetti del Walhalla, un giorno» sprimacciò il volto e forzò un’espressione allegra mentre gorgheggiava: «E poi, non posso più essere lì a dirgli quanto la sua musica sia bella, quanto lui sia importante… ma, se si ricorderà di me, potrò continuare a dirglielo attraverso la memoria. Si ricorderà delle volte in cui gli ho messo il violino in mano a forza, spronandolo a suonare. Si ricorderà delle volte in cui gli ho detto di amarlo. E spero che, quando lo farà, tra le lacrime gli spunterà un sorriso» gli indicò il duetto poco più avanti, dove Gilbert era finalmente riuscito a far sorgere un incurvamento di labbra sul volto del padre adottivo. «Mi piacevano tanto, quei suoi sorriso così rari…»
Feliciano abbassò la testa, schiacciato dal peso dei sentimenti della donna.
«Non posso più essere vicino a lui, anche se lo desidero. Ma vorrei almeno essere la voce che lo consola dalle nebbie del ricordo. Non voglio che sia solo, Feliciano. Un’eco è sempre meglio della solitudine.»
«Lo farò» bisbigliò il ragazzo.
La mano della donna gli sfiorò una guancia, e le sue braccia scivolarono a circondarlo con affetto.
«Non lo dimenticherò, Feliciano» lo coccolò materna.
Lo lasciò andare qualche secondo dopo, quando il legno del palco scricchiolò di nuovo sotto il peso del musicista.
«Ascolta» lo incitò. «Roderich sta per suonare il pezzo di chiusura.»
Feliciano pianse con il cuore, mentre le note dell’ultima sinfonia del suonatore si libravano nell’aria.
“Il diamante della battaglia” risuonò chiaro e nitido nell’aria improvvisamente immobile.

Parte Due

axis power hetalia, caleidoscopio, fanfiction

Previous post Next post
Up