Titolo: Hacer por hacer, solo pa' deshacer lo que nunca se hacer.
Fandom: Botineras.
Pairing/Personaggi: Manuel "Flaco" Riveiro/Gonzalo "Lalo" Roldán. (Laluel. \O/)
Rating: VM16.
Warning: Slash.
Conteggio Parole: 1154.
Disclaimer: Non sono palesemente miei bla bla non li ho inventati io bla bla frutto delle mammà loro e del di loro ventre bla bla bla sto sparando caspiate ora la pianto bla bla.
Note: Partecipante al
F3U.C.K.S. Fest @
fanfic_italia , & si ringrazia
unknown_fandom. Credits a Miguel Bosé per il titolo, spezzetto tratto da “Hacer por hacer” - che per inciso è stata un'ossessione, anni addietro, e che riciclare per storie di questo tipo viggiuro mi rincuora e dispera al contempo (non è vero. La seconda, intendo).
Eeeee che dire su di loro. Sono molto, molto, molto belli e così tremendamente reali, peraltro - vi rendete conto che ci sono video, dialoghi che si possono sentire veramente ed effusioni che non necessitano di viaggi mentali per trovare sfogo? Cioè OMG CAPITE LA MIA EUFORIA. - sì uhm, dicevo, ecco, sono talmente reali che boh, amateli voi pure e siate felici - una donna asservita e assonnata, mh, lasciatemi stare.
Dedicata a
chia25 perché sì.
Hacer por hacer, solo pa' deshacer lo que nunca se hacer.
A Manuel piaceva pensare che quanto c'era di bello in Lalo fosse in realtà interamente visibile solo a lui, dopotutto.
Lasciandosi alle spalle particolari come gesti, movenze o espressioni, ciò che di Lalo sentiva di poter conservare - e a volte quasi dominare, anche se una parola del genere suonava male in qualsiasi contesto e accompagnata a qualsiasi tono - era la vera e propria essenza.
Nell'abbracciarlo, nell'accarezzarlo, nel baciarlo, anche nel lasciarlo andare via dopo un allenamento o una chiacchierata o una notte passata assieme, lui sentiva come un fondersi di cose - non erano propriamente sensazioni, o almeno non pensava, perché erano sempre decisamente troppo concrete e aggrovigliate - in pancia e poi su fino a raggiungergli il petto e la gola e ancora il viso, gli occhi, la fronte. Se avesse dovuto paragonarle a qualcosa avrebbe pensato subito a delle formiche, o a sciami di piccole lucciole. Lalo lo guardava e lui si sentiva invaso da cose vive e vegete in giro per il suo corpo, e col passare delle settimane si era reso conto che tutto quell'andirivieni di animaletti - o qualsiasi altra cosa fossero, insomma - era dovuto alla consapevolezza che di quel ragazzo, lui, stava imparando a trattenere volta per volta infinitesimali pezzetti di essere.
Lui faceva l'amore con Lalo, giorno per giorno, ed era il suo inizio. Quella storia non aveva nulla a che vedere con una partita, che oltre ai suoi novanta minuti non può andare perché non può e basta, non era un lasso di tempo da darsi a vicenda nel quale rifugiarsi ed estraniarsi - o almeno, forse lo era all'inizio.
C'erano ansimi e c'erano sguardi che poteva strappargli solo lui e non solo: era stato il primo a ottenerli, era stato il primo a pretenderli, ogni volta. E anche quando erano diventati naturali, spontanei, privi di quel timore iniziale che conserva paura e vergogna, in Manuel non avevano cessato di contorcersi tutte quelle piccole lucciole, perché a quelle occhiate non poteva impedire conseguenze e a quegli ansimi non poteva negarsi. Ogni volta tratteneva un piccolo pezzo e al suo posto, silenziosamente, ne lasciava uno di suo.
Finiva quindi per chiedersi che cosa succedesse in quei momenti nel corpo di Lalo - non solo nel cuore, dannazione, perché tutti credevano sempre che il cuore fosse l'unica parte importante, l'unica guida a cui dare ascolto? Lalo era coordinato dai suoi muscoli, dalle sue gambe, dal suo respiro, e non era umanamente possibile che sotto la sua pelle non passasse lo stesso sciame che invadeva lui ogni volta, non poteva essere, doveva succedergli.
Si sentiva adulto e a tratti troppo in là con gli anni per stargli vicino nel modo giusto, al contempo però c'erano quei pezzi di sé che gli lasciava addosso e che cessavano di appartenergli, c'erano quei residui di parole e notti e movimenti che gli lasciava in custodia e che lo tenevano ancorato al suo corpo, alla sua voce, al suo respiro, a ogni singola cosa che lo componeva, dentro e fuori.
In tutta la sua vita aveva agito consapevolmente ma senza vera coscienza; c'erano persone che aveva imparato ad amare e allo stesso modo aveva smesso di amarle, luoghi che aveva visto solo per il gusto di vederli e cose che aveva fatto tanto per fare, per poi giustificarsi disfacendo ciò che in fondo non aveva mai saputo davvero portare a termine.
Lalo era stato qualcuno con cui non aveva potuto cominciare da metà, qualcuno contro cui la sua smania di fare e disfare non aveva potuto scontrarsi; lo aveva iniziato, era suo ogni giorno di più, lo andava scoprendo e si lasciava scoprire in una concessione reciproca che li lasciava liberi e al contempo li vincolava l'uno all'altro senza alcun motivo apparente.
Manuel sospirò, girato sul fianco, senza smettere di guardarlo dormire e sentendosi rincuorato da quel silenzio quieto, da quel buio che non opprimeva e quel vento leggero che filtrava dalla finestra aperta. Lalo respirava regolarmente, piano, Manuel quasi non riusciva a sentirlo eppure poteva vedere le sue spalle alzarsi e abbassarsi più e più volte - e non sapeva spiegarsi il perché, ma quei movimenti riuscivano a farlo stare bene, erano come una carezza leggera sul capo, distratta ma costante. Erano una costante.
Gli portò una mano ai capelli e la immerse mollemente in essi, muovendo le dita con una lentezza che preannunciava il sonno; aveva la mente sgombera e probabilmente si sarebbe addormentato se solo Lalo a un certo punto non avesse mosso un braccio, mantenendo gli occhi chiusi - ed era incredibile, quasi lo spaventò perché nonostante quel movimento ancora pareva che stesse dormendo - e portandoglielo attorno al collo, stancamente.
Manuel deglutì, senza parlare, seguendo il tragitto della mano di Lalo sul suo collo e poi sul suo petto - oh, si era soffermato interi minuti sul suo petto e ne aveva studiato forma, larghezza e calore - fino ad arrivare al ventre. Non smise di fissare le sue palpebre serrate nemmeno per un istante, ammutolito, rabbrividendo al suo tocco lascivo e casuale al contempo, così disperatamente dolce.
Tra quell'aria fresca sulla pelle e la serenità di quella notte espressa nelle loro carezze, Manuel finì quasi per addormentarsi di nuovo; sussultò appena quando Lalo gli prese la mano nella sua, ancora in silenzio, e se la portò sulla guancia tiepida. Li la lasciò per qualche istante ma poi la fece scivolare ancora, le fece raggiungere mento, gola, spalle e infine il petto.
Nel sentirlo parlare, finalmente, Manuel percepì chiaramente il cuore implodergli e tutte quelle cose radunate in sé unirsi in un unico punto, spingendosi l'un l'altra quasi al voler uscire fuori, liberandosi e liberandolo. E non erano solo le parole pronunciate da Lalo a voce bassa, nitidamente placida; era quel movimento convulso e familiare che ora avvertiva anche nel suo, di petto, come un alveare silenzioso.
- Lo senti? - Quelle parole erano come il sale e Manuel non seppe spiegarsi il perché di quell'impressione, sapeva solo che era un sale buono, curativo, come quello che si aggiunge a un piatto un po' insipido e che ridà gusto ed equilibrio ad ogni cosa, come il sale del mare che sa di grezzo, sa di casa, sa di arrivo e sa di partenza. - Tutto questo... rumore, qui. All'inizio non capivo cosa fosse, forse non l'ho capito nemmeno ora. Ma mi piace, è un po' come averti dentro. -
E Manuel dovette stringerlo forte, dovette, perché altrimenti avrebbe smesso di respirare lì in quell'istante e per sempre - nel farlo percepì per la millesima volta quel distacco struggente di una parte di sé e con altrettanta chiarezza un aggregarsi, e mentre ancora si chiedeva che cosa fossero quelle luci febbrili e violente che dominavano entrambi e in entrambi si muovevano, autonome, legandoli l'un l'altro, il sonno raffreddò risposte e domande posandosi sul loro abbraccio.