Titolo: You’ll get better
Autore:
koorime_yuFandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Derek Hale/Stiles Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 2/2
Beta: Peter Hale no one
Words: 9914 (
fiumidiparole)
Genere: angst, introspettivo
Warning: pre-slash, malattia, depressione a gogò
Summary: Non è sicuro di quando esattamente se n’è reso conto. Tutto ciò che sa è che a un certo punto, un giorno totalmente uguale agli altri, l’odore di Stiles ha cominciato a cambiare.
Note: Scritta per la Missione 2 del
Cow-T 3 di
maridichallenge, sul prompt “sereno” (Go, Crest, go! \O/)
DISCLAIMER: vorrei tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Stiles, no *sigh*
Parte uno
Stiles comincia a saltare la scuola i giorni dopo la terapia, finendo per fare la spola dal bagno al letto, al punto che spesso ha la sensazione che stomaco e cervello si siano scambiati di posto.
Non è piacevole e quando torna a letto, finisce per cadere in un sonno profondo e per nulla ristoratore.
Passando gran parte del suo tempo così, Stiles comincia a sviluppare un ritmo di sonno altalenante. E comincia a odiare dormire.
È sempre più stanco, la malattia e la cura sembravano prosciugargli le energie e il suo corpo pretende sempre più riposo per recuperarne, quindi buona parte delle sue giornate, Stiles le passa alternando lunghi riposi a sporadici momenti di coscienza, durante i quali tenta di ingerire qualcosa senza vomitarlo al seguente ciclo di chemio.
I giorni hanno così cominciato a restringersi sempre di più, fino a diventare uno strano limbo in cui rotolarsi nel dormiveglia.
Ma non la notte.
La notte, Stiles non dorme - o almeno cerca di resistere il più possibile contro le necessità del suo stesso corpo. La notte la passa con Derek, a parlare - ascoltare - delle ultime novità del branco.
«Erica è migliorata ancora» dice Derek sottovoce, sistemando meglio il braccio attorno alle spalle dell’altro. Sia la finestra che la porta sono aperte, per lasciar circolare un po’ l’aria fresca della notte. Nessuno entrerà, né da un lato né dall’altro. «Diventa ogni giorno più forte e sarà--»
«Secondo Scott dovrei chiederti il morso» lo interrompe lui, guardando il soffitto. Derek si zittisce, ma continua ad accarezzargli piano la fronte. A Stiles piace da impazzire quando lo fa, gli porta via il dolore, almeno in parte. «Perché non me l’hai mai chiesto?»
«Lo vorresti?» gli chiede l’altro, voltandosi appena a guardarlo.
Stiles ci pensa - ci pensa davvero, ci pensa come se fosse una via di fuga, un porto sicuro o un’ancora che lo salverebbe. Niente più malattia, niente più dolori o medicine.
Stiles il licantropo.
Scuote la testa, tornando ad appoggiarsi a lui. «No» aggiunge, perché sente di doverlo dire ad alta voce per zittire il Peter nei suoi ricordi.
Lo dirà anche a Scott, il giorno dopo.
Le analisi periodiche non portano buone notizie e il dottor Sheppard suggerisce l’unica altra possibilità.
«Non avendo fratelli o sorelle da cui prelevare il midollo, dovremo affidarci al Registro dei donatori e sperare in un’alta percentuale di compatibilità» spiega il medico, cercando di risultare incoraggiante. Stiles non crede ci stia riuscendo granché. «Ti metterò in lista subito e appena avremo un donatore ti ricovereremo. Fino a quel momento puoi restare a casa» continua, ripetendo poi le solite raccomandazioni. Quando escono dall’ambulatorio non è mai troppo presto.
«Grazie, dottore» dice suo padre, salutando il medico e mettendo poi a lui una mano sulla spalla. Sembra un casuale gesto d’affetto, ma Stiles sa che è lì per impedirgli di crollare. È il modo che ha suo padre di ricordargli che, qualunque cosa succeda, lui è lì pronto a sorreggerlo.
Se ci pensa adesso, suo padre è sempre stato una grande mano calda sulla sua spalla. Che fosse una pacca di congratulazione o di conforto, che fosse una carezza appena accennata o una stretta forte e autoritaria, suo padre è sempre stato questo.
Ha sempre fatto in modo che fosse solo questo, una presenza costante nella sua vita, ma marginale, come una rete di sicurezza che gli permettesse di fare le sue esperienze, di vivere la sua vita con la certezza che, in qualunque caso, ci sarebbe stato lui pronto ad aiutarlo a rialzarsi e andare avanti.
Quella mano, quel tocco che gli trasmette sicurezza e calore, è suo padre e se si concentra su di lei Stiles può arrivare fino alla macchina senza svenire.
Quella sera, quando Derek entra in camera sua - dalla porta, dopo un cenno di saluto scambiato con lo sceriffo - Stiles gli dice le ultime novità.
Non sono una grande sorpresa, non per lui, non con quell’odore che continua a persistere, giorno dopo giorno. A volte ha l’istinto di strapparglielo di dosso con un morso, come tante volte aveva minacciato di fare con la sua gola. Poi gli torna alla mente quel no scandito con forza e si sfila la giacca, posandola sulla spalliera della sedia.
«Ce la farai» afferma, cercando di imprimere sicurezza nelle parole, perché deve convincerlo che ci crede davvero. Perché Stiles deve crederci, perché deve continuare a credere di potercela fare, perché-perché è egoista, ma Derek ha già perso troppo per una vita intera, e non vuole che accada ancora.
Stiles sbuffa un sorriso poco convinto, ma i suoi occhi si rischiarano appena, quindi Derek può ritenersi soddisfatto del risultato. Sorride a mezza bocca e si sfila le scarpe.
«A letto, forza» lo incita, stendendosi. Stiles questa volta ghigna e lo raggiunge, un po’ più sereno di prima.
«Ammettilo, è da quando mi conosci che volevi portarmici» sghignazza. È pallido e ha la pelle ricoperta di un sottile strato di sudore, mentre si sistema contro di lui. Derek può sentire il suo cuore pompare più rapidamente, affannato, e gli passa una mano sulla fronte, concentrandosi per aiutarlo a calmarsi. Stiles sospira di sollievo e chiude gli occhi, grato, addormentandosi poco dopo.
È lui che, il giorno dopo, da la notizia agli altri ed è sempre lui che smonta i loro buoni propositi, quando Scott afferma di voler fare il test per la compatibilità del midollo.
«la percentuale è bassa, ma c’è» spiega al gruppetto. Lydia annuisce, probabilmente già consapevole della possibilità.
«Più siamo a farci il test, più alte sono le possibilità che qualcuno sia compatibile» concorda.
«Allora facciamolo» interviene Boyd, «è Stilinski. È un idiota, ma ci ha aiutati, quando poteva».
C’è un mugolio in assenso - Jackson alza gli occhi al cielo con uno sbuffo, ma non rifiuta - e Scott sorride, prima ad Allison, poi a Isaac. Derek chiude gli occhi e se li strofina - è stanco, ma resiste.
«No» dice, calamitando l’attenzione di tutti.
«Ma--» comincia Scott, ma lui lo blocca prima che possa continuare.
«Pensateci» dice, guardandoli uno ad uno, «Cosa succede quando veniamo feriti? Cosa ne è stata della tua epilessia, Erika?»
La ragazza sussulta e aggrotta la fronte.
«È sparita. Dopo il morso è completamente sparita» ammette.
«Esatto. Quindi ve lo ripeto: pensateci. Cosa credete che succederà se uno di noi dona il suo midollo a Stiles?»
«La licantropia prenderebbe il sopravvento sulla malattia» ragiona Isaac, alzando gli occhi nei suoi. Derek annuisce.
«Siete infetti» interviene Lydia con un sospiro, «Stiles guarirebbe, ma diventerebbe uno di voi».
«O peggio ancora, morirebbe. E questo sempre nel caso che il suo corpo non rigetti la trasfusione» completa lui.
Scott sospira sconfortato, lasciandosi andare contro gli scalini su cui lui e Allison sono seduti. È proprio lei a prendere la parola, dopo qualche minuto di silenzio:
«Beh, io sono sana e umana, quindi lo farò».
«Stiles ha passato giorni interi in sala d’aspetto quando sono stata ricoverata. Questo è il minimo che possa fare per ricambiare» si aggrega Lydia, scambiandosi con l’amica un sorriso d’intesa, «Anzi, sono sicura che non saremo le uniche».
Lydia ha ragione - come sempre - e appena la voce si sparge, numerosi loro compagni di corso si presentano in ospedale per offrirsi come donatori. C’è anche l’intera squadra di lacrosse e quando Stiles lo scopre per poco non cade dal letto. Derek lo recupera all’ultimo secondo e Scott ridacchia, risistemandogli un angolo delle lenzuola.
Tre ore prima, lo sceriffo li aveva avvisati di dover andare in centrale per un ennesimo caso di furto con scasso e che Melissa sarebbe arrivata a breve per cucinare loro la cena. Aveva salutato Stiles con un bacio tra i capelli - rasati di fresco - e si era calato il cappello in testa, facendo un cenno agli altri due prima di andarsene.
Quando sua madre era arrivata era stato Scott ad aprirle la porta, aiutandola poi a sistemare le buste della spesa appena fatta prima di tornare in camera e riprendere a raccontare loro le ultime novità.
«Perché?» domanda Stiles, con una punta d’isteria nella voce. Scott tentenna un attimo, gonfiando le guance e rilasciando l’aria, evitando di incontrare il suo sguardo.
«Il coach ha promesso una A in economia a tutti quelli che l’avessero fatto» ammette, scrollando le spalle. Derek sbuffa e Stiles apre la bocca più volte, prima di annuire.
«Okay, mi sta bene» accetta.
«Quindi non ci resta che aspettare» dice Scott, alzandosi e accendendo la console. Recupera i joypad da sotto il letto e torna a sedersi sul bordo del materasso, passandone uno all’altro.
«Posso aspettare» dice lui, guardando Derek, che annuisce, e tornando poi a concentrarsi sul videogioco «Ce la faccio».
Quando arriva la telefonata del dottor Sheppard è passato poco più di un mese da quando è stato inserito nella lista.
«Greenberg?» domanda, fissando suo padre chino per metà nell’armadio che infila un paio di cambi d’abito in una borsa.
«Stiles...»
«Greenberg!» ripete un’ottava più alta, «ci avrò parlato sì e no tre volte e mi darà il suo midollo!»
Suo padre infila l’ultimo paio di boxer puliti e richiude la zip, alzando poi lo sguardo su di lui. «Io non so neanche che faccia abbia, ma non posso che essergli grato. E lo stesso dovresti tu» dice. Gli passa una mano sulla testa in una carezza un po’ rude e prede la borsa. «E ora infilati le scarpe e andiamo, ci aspettano in ospedale».
Stiles borbotta, ma esegue. Suo padre aspetta che si alzi e lo raggiunga, prima di riprendere a camminare.
«Non fraintendermi, ne sono felice. Midollo yu-uh!» riprende, poggiando una mano sulla spalla di suo padre, che lo precede sulla scale - per evitargli una caduta se lo coglie un capogiro, di nuovo - «Ma... cosa dovrei dirgli?»
«Un grazie, per cominciare» ribatte suo padre, il piede finalmente al piano terra. Aspetta che Stiles sia al sicuro accanto a lui, poi gli passa un braccio attorno alle spalle, alza la borsa sull’altra e raggiunge la porta d’ingresso. «Aspettiamo di vedere come va l’operazione, okay? Poi decideremo il da farsi» consiglia, lasciandolo andare.
Stiles borbotta qualcosa, ma sale al posto del passeggero, lasciando che sia suo padre a chiudere lo sportello della volante. Chiude gli occhi e respira profondamente, cercando di imporre al suo cuore di rallentare i battiti. Odia quella costante spossatezza che lo pervade, odia avere il fiatone solo per l’aver fatto una rampa di scale - o essere andato in bagno - e odia vedere la preoccupazione negli occhi di suo padre. Sente il cofano venire aperto e chiuso, dopo averci riposto la borsa, e poi, finalmente, suo padre sale al posto di guida.
Aspetta di essere fuori dal vialetto, poi prende il cellulare e manda un messaggio a Derek.
I camici ospedalieri sono scomodi e pieni di spifferi.
Stiles si gratta una natica esposta e si agita, cercando di coprirsi il più possibile con il lenzuolo. Non serve a molto e la sensazione di essere nudo ed esposto continua a infastidirlo, come un pizzicorino sottopelle.
Ha provato a chiedere la versione non voyeur, ma l’infermiera gli ha rivolto un’occhiataccia e ha dichiarato che il medico stava per arrivare.
Effettivamente, il dottor Sheppard li ha raggiunti dopo meno di mezzora, scusandosi per il ritardo e controllando subito la sua cartella di ricovero.
«Bene, Stiles» ha detto, annotando qualcosa, «oggi facciamo le analisi di controllo e domani, se è tutto nella norma, ti operiamo». Ha sorriso, agganciando la cartellina alla cornice di metallo del letto.
«Dottore, Greenberg» ha cominciato lui, vedendosi interrompere subito dopo.
«Il tuo amico sta facendo il check in proprio in questo momento. Gli abbiamo già prelevato il sangue necessario la settimana scorsa, quindi deve solo venire qui e sistemarsi nel letto accanto al tuo » sorride di nuovo, questa volta c’è una nota di vero affetto tra le pieghe attorno ai suoi occhi, «hai dei veri amici, Stiles. Non tutti avrebbero fatto quello che hanno fatto loro».
Stiles china la testa in conferma e stira le labbra; gli occhi gli pizzicano e lui stringe le lenzuola, combattendo l’impulso di piangere.
Aspetta che suo padre e il dottor Sheppard escano fuori la stanza per parlare e si porta le gambe al petto, abbracciandosele. Poggia la testa sulle ginocchia e guarda fuori dalla finestra. È al terzo piano, ma c’è un albero proprio a pochi metri dal vetro. Dovrà solo avvisare Greenberg di non urlare quando Derek arriverà, dopo l’ultimo giro di controllo delle infermiere.
Greenberg non urla. In effetti non fa nulla di nulla, a parte fare spallucce e tornare al suo iphone. Non una domanda, un sopracciglio inarcato, un “Chi?” legittimo. Niente.
Stiles non sa se essere confuso o deluso.
A dirla tutta, Greenberg non sembra neanche uno che deve sottoporsi a una procedura fastidiosa come il prelievo del midollo. Non si interessa di nulla che non sia quel giochino sul telefono, rispondendo con mugolii o semplici cenni della testa quando le infermiere gli chiedono se va tutto bene.
Lo innervosisce, okay? Non dovrebbe essere così tranquillo. Dovrebbe pretendere che gli faccia un regalo enorme, tipo una macchina nuova o una casa, non stare lì, nel letto a far esplodere caramelle e scrollare le spalle quando lui cerca di intavolare una conversazione.
Ora capisce perché il coach lo odia, davvero. È irritante, destabilizzante e tanti altri aggettivi negativi in -ante.
Le ore trascorrono lente e per non impazzire di noia Stiles passa il tempo mandando messaggi: Scott risponde subito, preso com’è dall’argomento (Secondo te Greeberg è un alieno?); Derek ha una media di un messaggio ogni tre suoi - cinque, quando è davvero annoiato e perfino immaginare la vera forma di Greenberg perde di interesse.
Quando finalmente Derek arriva, evitando gli addetti al piano con maestria, Stiles tira un sospiro di sollievo.
«Finalmente, amico, credevo non arrivassi più» sbotta in un sussurro. Derek rivolge una singola occhiata al loro compagno di stanza e poi torna su di lui.
«Se non te ne fossi accorto, c’è un po’ di gente qui fuori» risponde. Lo supera e, senza tanti complimenti, tira la tenda che separa i due letti, prima di sedersi accanto a lui. Stiles inarca un sopracciglio, poi ghigna.
«Sai, Derek, potrei pensare davvero male» sussurra, facendogli spazio sul letto. Quello sbuffa e si stende, tirandoselo poi tra le braccia. «Davvero, io sono praticamente nudo e tu hai tirato la tenda e... se i ruoli fossero invertiti io penserei che qui dentro--»
«Smettila di dire scemenze e dormi» abbaia l’altro e Stiles potrebbe anche spaventarsi se solo non avesse imparato a riconoscere quando è davvero arrabbiato - cioè mai, almeno da quando dormono insieme. Che detta così può essere facilmente fraintesa. Da quando passano insieme tutte le notti. Uhm. A parlare.
A volte si chiede perché Derek faccia tutto questo per lui.
«Perché fai tutto questo per me?» domanda, maledicendo subito dopo l’assenza di un filtro tra i suoi pensieri e la sua bocca. Derek lo guarda con un sopracciglio inarcato e lui stira le labbra. Al diavolo, si dice, ormai è fatta. «Cioè, hai il... gruppo da seguire e tuo zio e sicuramente altre cose molto più importanti da fare che passare la notte con me. Sveglio, soprattutto».
Derek lo guarda, sospira e non risponde. Stiles vorrebbe insistere perché, davvero, per lui è inconcepibile, ma qualcosa nella linea spazientita delle sue labbra gli dice che è meglio se sta zitto.
Brontola qualcosa su lupi poco gentili, beccandosi un debole schiaffo dietro la nuca, e si sistema più comodamente. Gli cinge il petto con un braccio e l’altra mano va tra la sua guancia e la spalla del suddetto lupo, che resta fermo e sospira solo più forte.
Il problema, con il suo cervello, è che non riesce a spegnersi subito, purtroppo. È qualcosa che lui stesso trova fastidioso, ma non può farci niente, e passa il tempo saltando da un pensiero all’altro come una cavalletta impazzita, seguendo le mille diramazioni che una singola idea gli sviluppa. È per questo che, dopo neanche cinque minuti, sente una domanda premergli sulla lingua.
«Derek?» lo richiama e quello china appena il viso per incontrare il suo sguardo sveglio. «Che odore ha?» gli chiede, chiudendo il pugno sotto il suo mento per poterlo guardare più comodamente.
Lui ci pensa un attimo, poi risponde: «È dolce. Dolciastro, quasi stucchevole, come--» esita, ma ha detto abbastanza.
«Qualcosa che marcisce» termina per lui.
Derek non risponde; si limita a posargli la mano sulla fronte e portargli via un po’ di dolore. Stiles sospira di gratitudine, rendendosi conto di come, ormai, i mal di testa siano così frequenti da rasentare la sua normalità.
«Dormi, ora» dice, aggiustandoselo addosso per farlo stare più comodo. Stiles torna a stendersi, sorridendo contro la sua maglietta quando lo sente passargli una mano sulla schiena in una lenta carezza.
«Derek?» lo richiama un attimo dopo, la voce già impastata dal sonno che avanza.
«Mh?»
«Grazie».
Per essere rimasto. Per non avermi morso. Per non aver risposto.
Non lo dice, ma non ce n’è bisogno, Derek lo sa.
E lo stringe.
*
Aspettare è la cosa peggiore.
Derek si è sempre considerato una persona paziente, che sa aspettare il tempo necessario, che si ferma e attende con serenità d’animo i tempi propizi. Eppure ora gli sembra di impazzire. Ha la sensazione di aver salutato Stiles ore fa, prima che cominciassero la procedura, anche se razionalmente sa che non è possibile.
Il problema è che non può entrare, non può controllare che Stiles stia bene, e tutto ciò che può fare è restare seduto e aspettare.
Derek odia aspettare. E per di più quella sedia sembra essere la cosa più scomoda del mondo e non aiuta i suoi nervi tesi.
Accanto a lui, lo sceriffo Stilinski cerca di stiracchiarsi le spalle in modo discreto. Poi passa al collo, che fa schioccare prima da un lato e poi dall’altro con un sospiro soddisfatto.
Il telefono dell’accettazione suona tre volte prima che un’infermiera si decida a rispondere. È la signora McCall, la madre di Scott, e al telefono c’è proprio suo figlio che, da quello che può sentire, le chiede novità sull’operazione.
«Devono ancora finire» risponde lei e poi annuisce, «sì, ti avviso appena so qualcosa». Riaggancia e torna a occuparsi delle pratiche finché, neanche mezzo minuto dopo, qualcuno - il parente di un paziente - la distrae di nuovo.
Derek torna a controllare l’orologio, le cui lancette, nonostante il ritmico ticchettio, sono ferme nella stessa identica posizione di quando le ha controllate l’ultima volta. A lui sembra che siano passate due ore - o forse cinque.
Guarda la porta oltre la quale sa c’è Stiles aspettando che si apra, che qualcuno esca, che possa sincerarsi con i suoi occhi che stia bene. Sa che sta bene, lo sente, se si concentra può sentirne il suo cuore battere regolare, il sangue scorrergli nelle vene, il suo respiro lento e calmo; sente il mormorio dei medici e degli infermieri, che passano e lo controllano, sente le risate dei bambini nel reparto pediatrico, un piano più sopra, e il pianto di qualcuno che ha appena perso un caro.
Apre gli occhi e respira, scacciando la tensione. Guarda l’orologio.
Sembra che tempo si sia fermato.
Essere lo sceriffo è stata la realizzazione di una vita di sacrifici. Non era il suo sogno da bambino - voleva fare l’astronauta, vedere l’universo, toccare le stelle - ma la vita lo aveva portato a fare delle scelte diverse e aveva scoperto che era un’altra divisa a cui era destinato.
Era fiero di essere lo sceriffo di Beacon Hills, davvero. Amava quella città e amava proteggerla e occuparsi della sua sicurezza, ma in quel momento desiderò non avere nessuna di quelle responsabilità.
Stiles, suo figlio, il suo unico sconclusionato figlio, sta facendo un trapianto di midollo e lui è dovuto andar via dall’ospedale per rispondere a una chiamata dell’ennesimo furto con scasso. Perché è lo sceriffo ed è il suo dovere.
Melissa gli ha promesso che l’avrebbe chiamato appena avesse saputo qualcosa, ma lui continua a voler mandare tutti al diavolo e tornare al suo posto, in quella sedia, scomoda quanto un letto di spine, accanto a Derek Hale.
E a questo proposito, non sa davvero che pensare di quel ragazzo e del tipo di relazione che intrattiene con suo figlio. Non ha voluto indagare, ma ha come la sensazione che neanche loro due sappiano esattamente cosa stanno facendo - se stanno facendo qualcosa.
Ferma la macchina e controlla il cellulare, che prende a pieno campo, ma continua a non voler suonare. Sospira e smonta, raggiungendo la porta di casa, con l’intento di recuperare il portatile prima di tornare finalmente in ospedale, così Stiles avrà un passatempo con cui svagarsi nei prossimi giorni senza essere minacciato dalle infermiere - o dagli altri pazienti.
Infila la chiave nella toppa e gira, spingendo l’uscio e bloccandosi subito dopo aver posato un piede nell’ingresso.
C’è una ragazza in casa sua.
Adolescente, bionda, una compagna di classe di Stiles, crede. E ha tra le braccia una cesta di bucato appena fatto.
«Cosa...» comincia, bloccandosi subito dopo, non sapendo bene come continuare. Cosa ci fai in casa mia? Cosa ci fai con quella cesta in mano? Cosa diavolo ha questa città con le effrazioni?
La testa di Scott sbuca dalla cucina, con un sorriso innocente stampato in faccia, lo stesso che aveva quando lui e Stiles ne combinavano una delle loro da bambini. Come padre - e sceriffo - ha imparato molto presto a sospettare di quei sorrisi.
«Signor Stilinski!» lo saluta, agitando una mano - guantata di blu.
«Stai facendo i piatti, Scott? E come siete entrati?» domanda, finalmente. La ragazza bionda si guarda attorno, guarda Scott e poi alza la cesta.
«Io... vado» dice, sparendo. Lui vorrebbe dirle di tornare indietro, ma Scott sembra capirlo e interviene.
«Aehm, Stiles mi ha dato le chiavi, un po’ di tempo fa. Per le... emergenze, sa» dice, bisbigliando poi un «grazie» a qualcuno che gli passa uno strofinaccio, così da non far sgocciolare a terra.
«Ma quanti siete?» sbotta, entrando in cucina - e trovando Isaac Lahey intento ad asciugare i piatti. «Cosa diavolo sta succedendo?»
È in quel momento che sente un rumore provenire dal piano di sopra e poi Lydia Martin - il secolare amore non corrisposto di suo figlio - passa davanti la cucina con un enorme sacco dell’immondizia. Si ferma, notandolo e per un attimo vede la sorpresa attraversarle il viso, poi Lydia sorride, inclina la testa e dice «Salve, signor Stilinski», proseguendo poi la sua strava verso l’esterno.
Lo sceriffo la guarda rientrare, chiudersi la porta alle spalle e tornare sopra, avvisando Allison - Allison Arget? - che la camera di Stiles è pulita. Torna con gli occhi su Scott, un sopracciglio inarcato come unica rappresentazione delle mille domande che gli frullano per la testa.
I due ragazzi si scambiano uno sguardo e poi Scott si sfila i guanti e li passa ad Isaac, che riprende a lavorare.
«Sto aspettando» lo incita, quando passano i minuti e il ragazzo non parla.
«Volevamo solo... fare qualcosa per Stiles. Molti di noi non hanno potuto fare il test e... Di solito fate le faccende a turno, lo so, perché lo facciamo anche io e mia madre, ma con la malattia e questi ultimi giorni più pieni... abbiamo pensato che non avesse avuto molto tempo e che avremmo potuto dare una mano così» spiega, scrollando le spalle.
Lo sceriffo sbatte le palpebre, sorpreso. Non sapeva cosa aspettarsi, ma certo non si aspettava questo. Senza pensarci, lo attira contro il suo petto e lo abbraccia.
«Grazie» sussurra, stringendolo. «È un pensiero carino, ma non avreste dovuto» aggiunge, lasciandolo poi andare. Scott è arrossito, ma sorride.
«Troppo tardi» dice e lui gli spettina i capelli per punizione.
Poi il suo cellulare squilla, finalmente.
*
Quando riprende conoscenza, è ormai sera.
Le palpebre gli sembrano pesanti come macigni, ma c’è qualcuno che continua a ripetergli di aprire gli occhi. Ha la bocca impastata e un dolore non ben definito dovunque.
«Forza, Stiles» dice, «hai delle visite».
Stiles mugola e volta il viso quando qualcuno gli prende la mano.
«Ehi» dice la voce di suo padre - la riconoscerebbe tra mille - e poi il suo viso si apre davanti a lui, con un sorriso che lo percorre da orecchio a orecchio. «Come ti senti?» gli chiede, accarezzandogli il dorso della mano con il pollice.
«Se dico male mi date altra morfina?» domanda in risposta. Ridono tutti e Stiles si rende conto che in fondo alla stanza ci sono molte persone - troppe: la signora McCall, Allison, Scott, Lydia, Erika, Isaac, Boyd e perfino Jackson, anche se sembra che sia lì più perché ce l’hanno portato di peso che per reale interesse. E poi c’è Derek sulla porta, un po’ in disparte, le braccia al petto e un sorriso quasi impercettibile sulle labbra.
Stiles sorride.
«Ora cerca di riposare ancora. Domattina vedremo il da farsi» dice il dottor Sheppard, prima di salutare suo padre e andarsene.
«Torneremo tutti domani» gli spiega proprio suo padre, dandogli un bacio sulla fronte. Scott gli fa un cenno di saluto e gli promette di portargli una fetta di torta di sua madre, la quale gli controlla la flebo e sorride.
«Sempre se non se la mangi tutta lui stasera» dice e gli fa l’occhiolino.
Stiles ride e sbadiglia.
Lascia la finestra aperta, vorrebbe dirle, ma il tempo che lo pensa e si è già addormentato.
Le dita di Derek si muovono tra i suoi capelli con un ritmo ipnotico. Stiles sospira, mezzo addormentato, calmo, mentre fuori dalla finestra sente i primi cinguettii di un giorno sereno. Si sente bene - non in forze, ma decisamente meglio delle ultime volte. Magari uscirà per una passeggiata, nel tardo pomeriggio, chi può dirlo, ma ora, l’unica cosa che vuole fare è restare lì, in quell’abbraccio caldo e rassicurante.
Derek si muove appena, le dita scendono dalla tempia allo zigomo, e Stiles percepisce un paio di labbra sfiorare le sue.
Oh. Non se l’aspettava - non che l’avrebbe mai fatto, ma... beh, non se l’aspettava.
Sorride, incapace di contenersi, e si stringe un po’ di più all’altro, giusto per rendergli chiaro che, sì, è sveglio e, sì, ha sentito. E sì, ha apprezzato.
«Così... possiamo spuntare una voce dalla lista delle cose da fare, eh?» mormora nella sua maglietta, aprendo solo un occhio. Derek guarda fuori dalla finestra con aria imbronciata. E’ imbarazzato?
Adorabile. Totalmente adorabile.
Ridacchia, beccandosi un’occhiataccia, ma non gli importava. Derek lo ha baciato.
«Sai cos’altro mi piacerebbe fare?» riprende, cercando di tirarsi su un minimo, per guardarlo comodamente in faccia. Derek, in risposta, scivola più in giù e se lo risistema contro. «Sesso» riprende lui, guardandolo un po’ male per aver vanificato i suoi tentativi di muoversi. Derek lo guarda prima sorpreso, poi incerto e Stiles riprende: «Sarò anche... malato, ma ho pur sempre diciassette anni. Anche la flebo mi fa pensare al sesso». Ride, un po’ di sé e un po’ di tutto in generale, fino a quando la piega delle sue labbra non diventa amara. «Ma non credo di avere le energie necessarie» ammette, chiudendo gli occhi per combattere il capogiro improvviso.
Le dita di Derek tornano a muoversi sulla sua tempia e la pressione diminuisce, facendolo sospirare di gratitudine.
«Quando starai meglio» mormora l’altro, stringendolo di più con l’altro braccio.
Stiles ride di nuovo, sentendo qualcosa - una nuova forza - riempirgli il petto.
«Davvero?»
«Davvero».
«Wow, allora devo proprio guarire, maledizione» risponde, chiudendo gli occhi.
Respira - lentamente, profondamente - e si dice che può farcela.
Un giorno per volta, può farcela.
Fine.