[Teen Wolf] You'll get better

Jan 29, 2013 18:53

Titolo: You’ll get better
Autore: koorime_yu
Fandom: Teen Wolf
Pairing/Personaggi: Derek Hale/Stiles Stilinski, un po’ tutti
Rating: R
Charapter: 1/2
Beta: Peter Hale no one
Words: 9914 (fiumidiparole)
Genere: angst, introspettivo
Warning: pre-slash, malattia, depressione a gogò
Summary: Non è sicuro di quando esattamente se n’è reso conto. Tutto ciò che sa è che a un certo punto, un giorno totalmente uguale agli altri, l’odore di Stiles ha cominciato a cambiare.
Note: Scritta per la Missione 2 del Cow-T 3 di maridichallenge, sul prompt “sereno” (Go, Crest, go! \O/)

DISCLAIMER: vorrei tanto possedere Derek, ma no, né lui né nessun altro mi appartiene .__. Neanche Stiles, no *sigh*

Non è sicuro di quando esattamente se n’è reso conto. Tutto ciò che sa è che a un certo punto, un giorno totalmente uguale agli altri, l’odore di Stiles ha cominciato a cambiare.
Derek conosce l’odore di Stiles, lo ha memorizzato fin dalla prima volta che si sono incontrati - è forte e persistente, al punto che il bosco ne sembrava pregno ancora la mattina dopo il morso di Scott - un odore che ti obbliga ad accettarne l’esistenza, volente o nolente, proprio come tutto in Stiles.
Ora, invece, c’è una punta più dolce, quasi stucchevole, sotto la superficie. La sente farsi strada ogni giorno di più tra le note conosciute e gli fa arricciare il naso, infastidendolo.
Non gli piace per nulla.
All’inizio cerca di non farci caso, convinto che prima o poi sparirà da sola, così com’è venuta, che sia solo l’ennesimo modo che Stiles ha trovato per rendere la sua presenza impossibile da ignorare.
Ma più i giorni passano, più il suo istinto gli urla a gran voce che quell’odore è sbagliato, che non dovrebbe esistere - soprattutto non dovrebbe mescolarsi a quello di Stiles, cambiandolo radicalmente.
«Dovresti dirglielo» dice Peter, accostandosi a lui, ai margini del bosco di fronte il liceo di Beacon Hills. Dall’altro lato della strada Stiles saluta Scott con un cenno del capo e si danno appuntamento per quel pomeriggio. Si volta, starnutisce e asciuga il naso sulla manica della felpa. Per un attimo la osserva pensieroso, poi sale in macchina e parte.
Derek guarda la jeep svoltare e sparire dalla sua vista, la segue per qualche altro metro solo attraverso il borbottio familiare del motore, poi si volta e torna a inoltrarsi tra gli alberi, ignorando gli occhi di suo zio che gli premono sulla nuca.

Nonostante tutto - non si fida, non del tutto, non dopo quello che ha fatto - sa che Peter ha ragione, non è qualcosa che può semplicemente far finta di non notare.
Quindi va da Stiles. Sa che è in casa - che è solo - ma ci mette più tempo del dovuto a farsi avanti e bussare. C’è qualcosa che lo blocca, che gli impedisce di premere il campanello, come se farlo significasse renderlo reale - il che è assurdo, perché già lo è.
Quando finalmente ci riesce e Stiles apre la porta, il tempo si prolunga, cristallizzandosi nell’attimo in cui il ragazzo lo riconosce.
«Aehm» dice quello, voltandosi un attimo verso l’interno dell’abitazione, «sei venuto per uccidermi? Perché... c’è mio padre in casa, lo sceriffo - te lo ricordi? - e basterebbe un mio urlo per farlo accorrere».
«Stiles--»
«Certo, tu potresti sempre strapparmi la gola con i tuoi denti, come minacci sempre, e a quel punto non potrei più... urlare». Solo a quel punto, Stiles sembra rendersi conto di cosa ha detto e stringe le labbra, facendo un passo indietro. «Possiamo... fingere che io non abbia mai detto l’ultima parte?» domanda con sguardo supplice.
Derek per un attimo pensa che si sta sbagliando, che sta esagerando, che, semplicemente, Stiles sta bene - che il suo continuo parlare a vanvera sconforterebbe qualunque cosa - ma l’odore è ancora lì, persistente, a infastidirgli l’olfatto.
«Possiamo parlare?» chiede, vedendolo aggrottare la fronte confuso.
«Non... lo stiamo già facendo?» ribatte quello, stornando con lo sguardo, incerto, mentre chiude la porta alle sue spalle. Derek annuisce meccanicamente, teso come una corda di violino.
Ha la bocca completamente arida e tutt’a un tratto è incredibilmente difficile perfino respirare. Gli sembra quasi che tutto il suo essere stia tentando di impedirgli di parlare. Il che è assurdo e senza senso.
Lascia scivolare le mani nelle tasche dei jeans e cerca di racimolare le parole, mentre i secondi passano e Stiles comincia a innervosirsi sempre di più - riesce praticamente a sentire il suo intero corpo fremere, incapace di restare fermo, neanche fosse percorso da una scarica elettrica.
Si ritrova a sorridere senza un vero motivo, solo per l'iperattività cronica dell'altro.
«Wow!» esclama Stiles, richiamandolo dai suoi pensieri per ritrovarsi l’altro a meno di un centimetro. «Questo è strano» aggiunge, fissandolo a occhi spalancati. Li allarga ancora di più quando un’idea assurda lo coglie, «non sarai mica qui per dichiarare il tuo lupesco amore per me, vero?»
«Cosa? No!» risponde lui, quasi in un ringhio. L’altro arretra, tornando alla sua postazione iniziale, sotto l’arcata della porta.
«Bene» risponde, un po’ risentito, «perché mi sto conservando puro per quando Lydia si accorgerà di me... prima o poi». La conclusione è molto meno convinta, ma poco importa, perché tanto torna a guardarlo dubbioso l’istante dopo, quando rincara: «Di Scott?»
«Oh mio--Stiles, puoi stare zitto per un secondo? Sto cercando di essere serio!» sbotta, in un ringhio vero e proprio, questa volta, che spinge l’altro a tentare un’ennesima ritirata - bloccata dalla porta, purtroppo.
«Okay, okay, che permaloso» borbotta, poggiandosi con le spalle contro l’infisso; ma alla seguente occhiataccia, tace e aspetta.
Derek ne approfitta per prendere un respiro profondo e inala l’odore dolciastro che lo ha spinto fino a lì, finendo per innervosirsi ancora di più anziché calmarsi.
«Posso chiederti una cosa?» comincia, riportando gli occhi su di lui.
Stiles inarca le sopracciglia. «Mi stai chiedendo il permesso?» domanda, sbalordito. Derek lo guarda accigliato, ma non aggiunge altro e Stiles annuisce, ancora incerto. «Beh... certo».
«Com’è morta tua madre?»
Non è il modo migliore e sicuramente non è quello più delicato, ma non riesce a pensare a nient’altro, non con le narici - e la testa - piene di quell’odore.
Stiles aggrotta la fronte, confuso. «Mia madre?» domanda, grattandosi la testa. C’è un sospetto nella sua voce e Derek lo sente bene tanto quanto sente il suo cuore mancare un battito.
«Sai che i lupi hanno l’olfatto più sviluppato, vero?» riprende allora e l’altro annuisce piano, cercando di seguire il suo discorso. «E sai anche che ogni cosa ha un odore peculiare? Anche le malattie?» aggiunge infine, guardandolo dritto negli occhi. Vede il dubbio trasformarsi lentamente in consapevolezza, e questa farsi strada sul suo viso a macchia d’olio.
Vorrebbe dire qualcosa, ma non sa cosa. Stai bene? Come ti senti? Vuoi vomitare?
Quante sciocchezze.
«Ah» dice Stiles, chinando la testa. Derek sente il suo cuore accelerare i battiti, il polmoni incanalano meno ossigeno, il sangue pompa più velocemente e sa di dover dire qualcosa - vuole dire qualcosa. Non lo fa. Non sa che dire. «Immagino di dovermi fare qualche analisi, allora» riprende Stiles, guardandolo, un sorriso amaro ad arricciargli le labbra. Parlami, vorrebbe dirgli. «Allora ciao» dice invece quello, aprendo la porta di casa e sparendo all’interno.
Derek resta fermo, davanti all’uscio di quella casa e non sa che fare.
Ha lo stomaco sottosopra e non riesce a respirare. L’odore è finalmente sparito - seguendo Stiles, come un’ombra fedele - e lui chiude gli occhi e prende un respiro profondo; guarda in alto, verso la finestra della camera di Stiles, e pensa che sarebbe assurdamente facile raggiungerla ed entrare - non sarebbe la prima volta dopotutto -, convincerlo a parlare, trovare un modo per aiutarlo, ma non lo fa.
Non saprebbe cosa dire.

*

Le sedie dell’ospedale sono scomode come la cosa più scomoda dell’universo. Stiles pensa che qualcuno dovrebbe fare un reclamo, perché non è giusto che siano così scomode. Dovrebbero coccolare chi è lì, calmare i nervi tesi, non esasperarli con dolori articolari, soprattutto chi ci passa tante ore in attesa di una novità - e lui ci ha dormito su quelle sedie, sa di cosa parla. Eppure, in quel momento, non sono le sedie il suo problema. Ora come ora anche il lettino dell’ambulatorio gli sembra scomodo.
Il dottor Sheppard lo guarda con un misto di dispiacere e incertezza. Ricorda quando lo vide usare la stessa espressione per comunicare a suo padre che la mamma non stava migliorando.
«Ascolta, Stiles» comincia, sedendosi sullo sgabellino davanti a lui «Capisco la tua paura, ma è solo un raffreddore e a volte capita che causi la rottura di qualche capillare, è normale. Sono sicuro che non c’è altro».
«Ormai sono tre settimane» specifica, passandosi nervosamente le mani sui jeans. L'uomo tentenna e Stiles sente un brivido freddo colargli sulla schiena. Non è mai un bene quando un dottore tentenna.
«Ne hai parlato con tuo padre?»
Stiles scuote la testa, grattandosela. «Non volevo che...» si interrompe e sospira, leccandosi le labbra. «Non può semplicemente farmi le analisi?» chiede, tornando a guardarlo.
Il dottor Sheppard stira le labbra, poi sospira e annuisce, alzandosi per prendere l’occorrente.
Stiles chiude gli occhi, combattendo una vertigine di nausea che lo coglie.
Ha sperato fino all’ultimo che lo contraddicesse.

Quando i risultati arrivano, Stiles sa che sono brutte notizie prima ancora di sentirle. Se ne accorge dal modo in cui suo padre stringe il telefono in mano, quindi si avvicina silenzioso e aspetta che la telefonata finisca.
È minorenne e questo significa che le brutte notizie arrivano prima a suo padre, affinché lui possa guidarlo.
«Okay, grazie, dottor Sheppard» dice suo padre. «A domani» aggiunge, chiudendo la comunicazione. Rimane però fermo, nel bel mezzo della cucina, con il cordless in mano e lo sguardo perso nel vuoto. Solo allora Stiles si fa avanti.
«Ehi» lo richiama, mettendogli una mano sulla spalla. Sorride appena quando incontra i suoi occhi lucidi, ricolmi di paura e dolore. «Andrà tutto bene» gli dice, stringendo le dita sulla camicia di flanella a scacchi. «Andrà tutto bene» ripete, quando suo padre lo abbraccia e lo stringe con disperazione.
«Andrà bene» ripete l’altro, prendendogli il viso tra le mani e baciandogli la fronte. «Ce la faremo. Insieme», mormora, come fosse una preghiera.
Stiles annuisce, continuando a sorridere.

La verità è che Stiles non è sicuro che andrà tutto bene, ma non lo dice. Né il giorno dopo quando incontrano il dottor Sheppard per ulteriori analisi, né più avanti, quando comincia il primo ciclo di chemio.
Non lo dice neanche a Scott quando, alla fine, dopo giorni, lo mette al corrente delle ultime novità. Sono nello spogliatoio, dopo il primo allenamento della stagione - dopo che Stiles ha dovuto fermarsi dopo neanche cinque minuti di passaggi in porta - seduti sulle panche, a smozzicare parole che nessuno dei due vuole dire e sentire.
Scott lo guarda e non risponde e lui annuisce, comprendendo.
«Lo sapevi già» mormora.
«No!» esclama Scott, sgranando gli occhi. Si morde le labbra e si passa una mano tra i capelli, nervoso.
«Sentivo che c’era qualcosa che non andava ma non credevo…» si interrompe, guardandosi le mani, rimettendo ordine nei suoi pensieri. «Credevo fosse un’influenza, niente di più».
Stiles annuisce di nuovo e si sfrega la testa avanti e indietro. Scott gioca nervosamente con uno dei guanti, mentre il picchiettare ritmico dell’acqua si allarga tra loro. Il terzo box doccia ha la cipolla che perde fin dal secondo anno; non l’hanno mai riparata.
«Lascio la squadra».
«Cosa?» Scott lo guarda incredulo «Ma… sei titolare! E’ quello che hai sempre voluto, non puoi--»
«Non ce la faccio!» sbotta Stiles, allargando le braccia. «Andiamo, oggi non sono riuscito a stare in campo neanche cinque minuti! E lo so come andrà a finire, Scott, me lo ricordo! Mia madre era esausta solo per andare dal letto al bagno!» Chiude gli occhi e prende un respiro profondo. «Ho già parlato con il coach» riprende, dopo qualche minuto di silenzio «Ha detto che se voglio posso sempre restare in panchina, ma… nah. A questo punto preferisco stare sugli spalti a fare il tifo per te». Stira le labbra in un sorriso, a cui Scott però non risponde.
«Quando starai meglio tornerai» sentenzia e Stiles annuisce. Non lo dice che non crede succederà mai.

*

Scott non sa che fare.
Ha il cervello pieno di pensieri, ma non riesce a catturarne neanche uno, continuando, invece a sentire la spiacevole sensazione di averlo vuoto.
Sua madre ogni tanto lo prende in giro dicendo che lo sia davvero, che la sua scatola cranica sia piena solo di aria. Stiles dice che è piena di Allison.
Ora, invece, lui è abbastanza sicuro che sia pieno solo di Stiles.
Ha passato l’ultimo giorno e mezzo cercando di registrare ciò che il suo migliore amico gli ha confidato, ma non crede di aver fatto un buon lavoro, fino a quel momento. È che non riesce a capire come sia possibile che stia succedendo a Stiles - come sia possibile che lui non se ne sia reso conto se non troppo tardi. Che razza di migliore amico è? Ma, dopotutto, non si è mai posto il problema che Stiles potesse farsi male finendo in mezzo a una guerra che non ha nulla a che fare con lui, no? E perché avrebbe dovuto? Quello è Stiles, l’essere più fastidioso e irrequieto del mondo, incapace da spingere via o odiare. Come avrebbe mai potuto immaginare che sarebbe potuto succedergli qualcosa di male?
«Ehi, McCall» Scott chiude l’armadietto, voltandosi a fronteggiare Jackson - che, nonostante le ultime svolte, resta sempre un emerito coglione, per quanto lo riguarda. «Di’ a Stilinski che non me ne frega un cazzo se ha improvvisamente scoperto di saper giocare. Se si mette sulla mia strada, lo distrugg--» L’ultima parola si perde in un suono soffocato quando la mano di Scott si chiude attorno alla gola dell’altro, pressandolo contro gli armadietti con un clangore. Un paio di studenti si girano a guardarli, si fermano e osservano la scena, affascinati, incuriositi e, in parte, spaventati.
Scott vorrebbe dirgli di provare a dire un’altra sola cosa sbagliata, ma tutto quello che esce dalle sue labbra è un ringhio - basso, profondo, animale - che fa schiacciare Jackson ancora di più contro gli armadietti per puro istinto di conservazione.
È a quel punto che sente un paio di braccia circondargli il petto e tirarlo all’indietro, obbligandolo a lasciare la presa su Jackson.
«Lascialo andare, Scott, non ne vale la pena» gli sussurra la voce calma di Isaac, continuando a tenerlo fermo. «Se lo colpisci finirai tu nei guai» continua, ma Scott ringhia di nuovo e con uno strattone si libera dalla sua presa. Solo in quel momento si rende conto dei mormorii attorno a loro e del fatto che qualcuno - un professore, gli dice l’istinto - sta venendo verso di loro facendosi largo tra la piccola folla radunata.
Guarda un’ultima volta Jackson, poi Isaac e volta loro le spalle, andandosene.

Jackson lo guarda muoversi tra la folla, scansare il professor Finstock - che si guarda attorno cercando di capire quale fosse il centro dell’attenzione del folto gruppo - all’ultimo secondo e sparire dietro l’angolo, mentre il resto degli studenti torna alle lezioni, richiamati dal suono della campanella.
In pochi minuti il corridoio è vuoto, eccezione fatta per lui, Isaac ed Erica, che sopraggiunge in quel momento.
«Chi diavolo crede di essere?» sbotta Jackson, sempre guardando l’angolo dietro cui è scomparso Scott e lisciandosi la maglia. L’istante dopo perde di nuovo colore e coraggio, quando la mano di Isaac si schianta contro gli armadietti, accanto alla sua faccia.
«Invece di parlare a vanvera, Whittemore, perché non provi ad usare i tuoi nuovi sensi?» gli dice a un palmo dal naso - e Jackson si chiede come diavolo facciano tutti a essere così inquietanti solo parlando. E perché lui non lo è?
«Cosa vorresti dire?» gracchia, sbattendo le palpebre in rapida successione. Isaac fa un mezzo sorrisino e guarda Erica, che scuote la testa.
«Non l’hai notato?» domanda lei, quasi incredula.
«Notato cosa?»
«La prossima volta che vedi Stiles, concentrati» gli risponde Isaac, lasciandolo finalmente andare, lasciandolo solo nel bel mezzo del corridoio.
Jackson sa di essere intelligente, sa che se è uno dei migliori studenti della scuola un motivo c’è - e non è certo grazie ad altri - ma quando gli altri attorno a lui sembrano sempre saperne più di lui la rabbia e la voglia di rivalsa montano prepotenti. È per questo che ha fatto tanto per capire come diavolo aveva fatto Scott a passare da riserva perennemente in panchina a co-capitano della squadra. Ed è per questo che quando, un’ora dopo, entra nell’aula di chimica e scivola nel posto che Danny gli ha tenuto libero, lo fa continuando a tenere gli occhi fissi su Stiles.
Danny aggrotta la fronte, rivolgendogli una tacita domanda, ma lui scuote la testa e non risponde, sfruttando l’entrata in classe del professore. È durante una delle solite frecciatine del professore proprio a Stiles, che Jackson si rende conto che c’è qualcosa che lo disturba, un odore persistente che gli fa arricciare il naso e gli invade la bocca con il suo sentore dolciastro. È fastidioso al punto che si ritrova a tossire nella vana speranza di liberarsene.
E poi Isaac lo guarda e, lentamente, sposta lo sguardo su Stiles, due banchi davanti a lui; Stiles che è ricurvo sul suo libro e sembra molto più stanco del solito, molto meno esagitato di quanto non l’abbia mai visto - e, per sua sfortuna, nel corso degli anni ha condiviso con lui fin troppe lezioni per rendersi conto che tutti quei continui cambi di posizione sulla sedia, il continuo giocare con il tappo dell’evidenziatore, il piede che si muove ritmicamente sul piolo dello sgabello, tutti quei piccoli segnali della sua iperattività mancano. Ed è come se il suo intero corpo gli urlasse la verità: Stiles è malato.
«Che cos’ha?» chiede avvicinandosi ad Isaac, una volta che la lezione è finita e l’aula è vuota. Stiles è uscito ridendo con Scott, che gli ha passato il braccio attorno al collo e ha detto qualcosa che lo ha fatto ridere più forte.
«Tu cosa credi?» ribatte Erica, superandolo.
Jackson non ha il coraggio di dirlo.

*

Tre volte a settimana, Melissa McCall gli porta a casa le pillole per fargli fare la chemioterapia e Scott prende quasi subito l’abitudine di andare con lei. È facile ingoiarle se non pensa a cosa sono realmente - anche se non sempre riesce a auto ingannarsi. L’Adderall aveva ben altri effetti su di lui.
Quando la stanchezza cronica comincia a farsi sentire anche a scuola, Scott torna a casa con lui. Guida la sua jeep, gli porta lo zaino e parla in continuazione. Parla di qualunque cosa gli passi per la testa, che sia il test a sorpresa di Harris o il nuovo ragazzo di Danny. Parla il doppio di quanto non abbia mai fatto in tutti gli anni che si conoscono - e Scott non è certo un tipo taciturno.
Restano insieme fino a quando suo padre non rientra da lavoro, a studiare o a giocare a Mass Effect. Un paio di volte capita che suo padre debba trattenersi in centrale fino a notte inoltrata e in quei casi tirano fuori un sacco a pelo dall’armadio e Scott si accampa accanto al letto, mentre Melissa si sistema sul divano giù in soggiorno.
A Stiles sembra quasi di essere tornato a quando erano bambini e il loro unico scopo era restare svegli un’intera notte a giocare o raccontarsi storie assurde su mostri e fantasmi. Ironia della sorte, le sue preferite erano quelle sui licantropi.
Ricorda che fu proprio durante una di quelle notti che aveva confessato di essersi preso una cotta per Lydia - e Scott non sapeva neanche chi fosse. Stiles gli aveva chiesto se fosse diventato improvvisamente cieco e Scott semplicemente aveva scrollato le spalle ed era tornato a spulciare tra la sua collezione di figurine in cerca di un doppione da poter scambiare.
A distanza di dieci anni non è cambiato poi molto - a parte che ora Scott è un lupo mannaro e di avventure soprannaturali ne hanno vissute abbastanza per una vita intera. Ah e che lui è malato, ovviamente.
E più il tempo passa, più Scott sembra sviluppare una sorta di istinto di protezione nei suoi confronti, annullando qualunque contatto umano che non sia con lui, suo padre e la signora McCall.
Quando un giorno Allison lo spintona involontariamente e Scott ringhia, Stiles capisce che deve fare qualcosa.
È per questo motivo che comincia a mentire.
«Sto bene, non c’è bisogno che mi accompagni» dice con un sorriso ampio, inserendo le chiavi nella jeep. L’espressione di Scott urla a chiare lettere che non gli crede, ma non dice niente.
«Mi dai uno strappo a casa?» chiede, già pronto a fare il giro per salire al posto del passeggero. La sorpresa è più che evidente quando Stiles lo ferma.
«Perché non te lo fai dare da qualcun altro? Tipo... non lo so, lei?» suggerisce, indicandogli Allison, che li guarda di sottecchi mentre passa accanto a loro, diretta alla sua macchina. Scott tentenna in modo evidente e Stiles ne approfitta per scombinargli i capelli e togliere il freno a mano. «Ci vediamo domani» dice e poi parte, senza lasciargli il tempo di rispondere altro.
A casa ci arriva esausto, ma ci arriva.

Il problema, quando il tuo migliore amico è un licantropo - e quando la tua intera vita sembra essere invasa da musi pelosi e denti acuminati - è che non puoi mentire senza che lui lo sappia.
Stiles odia mentire a Scott, odia leggergli la delusione e la preoccupazione sul viso, ma non può permettersi di trascinarlo giù con lui. Quindi mente.
Mente a lui, mente a suo padre e a chiunque altro gli chieda come sta.
"Sto bene", "Mi sento pieno di forze!", "Nah, faccio da solo" ripete giorno per giorno, a chiunque cerchi di aiutarlo.
A volte sospetta che Scott lo segua, quando non riesce a convincerlo a farsi accompagnare a casa dopo la scuola, quindi Stiles stringe i denti e continua a camminare (quando diventa evidente che continuare a guidare sia più pericoloso che comodo, per lui).
Una volta a casa fa i compiti, prepara da mangiare, cena con suo padre e infine si chiude in camera, fingendo di dover finire una ricerca o voler giocare ai videogames. Spesso tutto quello che fa è accasciarsi sul letto e dormire.
Cerca di fingere che stia migliorando, che non senta i muscoli protestare a ogni movimento, che lo stomaco non si rivolti sottosopra per ore, dopo la chemio, o che la testa non gli scoppi dopo un'intera giornata di lezioni e che una notte di sonno ristoratore lo faccia sentire meglio.
La verità è che ogni mattina si sveglia con la sensazione di essere più stanco della sera prima e ha solo voglia di rintanarsi sotto le coperte e fingere che il mondo fuori dalla sua camera non esista.
Poi suo padre bussa alla porta, entra, gli chiede come si sente, e lui si sforza di sorridere e dice: «Sto bene».
Mente e lo fa per lui, perché non può dirgli come si sente davvero, non dopo tutto quello che hanno passato con la mamma.
Quindi "Sto bene" comincia a essere la sua risposta a qualunque domanda, il modo che ha di tenere gli altri a distanza, di proteggerli da un qualcosa che non possono combattere - che nessuno può, tranne lui.
«Sto bene» dice e sorride a chiunque gli chieda come sta - una volta l'ha fatto perfino con Harris ed è stato strano e imbarazzante, ma Harris sembra volergli dare tregua e non lo utilizza più come bersaglio della sua pungente ironia, quindi magari va bene anche così.
Lo ripete almeno una volta al giorno, soprattutto a suo padre; a volte però non riesce a mascherare il malessere e lui è lì, a tenergli la testa mentre vomita quel poco di cibo che è riuscito a mandar giù o ad aiutarlo a infilarsi nel letto quando è troppo stanco anche solo per alzarsi da tavola. In quei momenti Stiles si odia, perché ancora una volta non è in grado di proteggere chi ama come vorrebbe. Perché è troppo debole, come sempre.

Derek non ha mai pensato che Stiles fosse debole. Che fosse un idiota, quello sì - a volte lo pensa ancora - ma mai che fosse debole. Non è da tutti ritrovarsi circondati da licantropi, cacciatori e kanima e avere la faccia tosta di affrontare tutti a viso aperto. Certo, è necessaria anche una gran dose di stupidità, ma ha già appurato che Stiles è un idiota.
Eppure non ci vogliono dei supersensi da lupo mannaro per capire che è questo che crede Stiles, è così evidente che perfino Scott se n’è reso conto.
Per questo ha preso l’abitudine di seguirlo, perché Stiles è un idiota così convinto di dover proteggere gli altri da fare cose stupide come tornare a casa da solo, rifiutare l’aiuto dei suoi amici e, in generale, fingere di stare bene - quando invece quel maledetto odore continua a persistere e infettare l’aria attorno a lui, giorno dopo giorno.
Buona parte della notte la passa fuori casa sua a controllare che stia bene - e cercando di non pensare a quanto Stiles direbbe che è inquietante e che dovrebbe smetterla di fare l’Edward Cullen della situazione. A dire la verità è stata Erica a chiamarlo così e Peter ha riso, lo stronzo. Li ucciderà. Appena Stiles starà meglio li ucciderà entrambi, ma ora non può allontanarsi. Deve restare lì, fuori dalla finestra di quella camera e controllare che quel cretino non stia male.
La porta si apre e Stiles entra con un sospiro e poi si volta a guardare lo sceriffo, fermo nel corridoio. Sembra preoccupato e Derek riesce a percepire anche a quella distanza la voglia che ha di spingere suo figlio a letto e fare qualcosa, qualsiasi cosa per farlo stare meglio. Il problema è che non c’è nulla da fare.
«Sto bene» dice il cretino con un sorriso, poggiandosi allo stipite della sua camera. «Sono solo stanco per la scuola. Buonanotte, papà» aggiunge, dopo un attimo.
«Buonanotte» risponde suo padre, accarezzandogli la testa, dopo avergli dato un bacio sopra. Stiles richiude la porta e ci poggia la fronte contro, prendendo un respiro profondo.
Derek è stanco di vederlo fare l’idiota.
«Dovresti smetterla di mentire, non ha senso».
Stiles si volta all’istante, schiacciandosi contro il muro.
«Oh mio Dio, Derek!» sbotta, portandosi una mano al petto, dove il cuore pompa furioso per la paura.
«Che diavolo, credevo avessimo superato la fase “entriamo in camera di Stiles dalla finestra e facciamogli avere un infarto”».
Derek non risponde, poggiato al davanzale, e continua a guardarlo a braccia incrociate. Stiles prende un respiro profondo e si lecca le labbra. «Che ci fai qui?» chiede, raccogliendo una maglietta da terra e lanciandola alla rinfusa nell’armadio. Non ha voglia di riordinare.
«Come stai?»
«Bene».
«Seriamente».
Stiles lo fulmina con lo sguardo, sedendosi sulla sponda del letto. «Sto bene» ripete in un sospiro.
«Una meraviglia» ribatte Derek, sostenendo lo sguardo frustrato dell’altro.
«Cosa vuoi che ti dica, mh?»
«La verità».
«La verità? Sto male, Derek! Sto male e vomito qualunque cosa ingerisca e - e a volte lo faccio anche quando non mangio e mi fa male la testa e il mio corpo è pesate e sono sempre stanco e ho--» Stiles stringe i pugni, chiudendo gli occhi e due lacrime rotolano giù dalle sue ciglia. «Non voglio morire. Ho solo diciassette anni, non voglio morire» aggiunge, combattendo contro il nodo che gli ostruisce la gola. «Non ho mai dato il mio primo bacio né fatto sesso - e io voglio fare sesso, dannazione! È tipo la cosa a cui penso più volte al giorno! Quello e come sopravvivere alla follia licantropesca del mese. E voglio... voglio ubriacarmi ancora, l’ho fatto solo una volta ed è troppo poco no? E poi non sono mai andato a Las Vegas o Atlanta o in una di quelle città dove passare un weekend folle con i propri amici e-e sarei voluto andare al college o... non lo so entrare in Accademia e diventare poliziotto e sarei dovuto essere il testimone di nozze di Scott e gli avrei organizzato il più fantastico addio al celibato che fosse mai stato fatto! Tipo che sarebbe stato fico e leggendario e Scott ne sarebbe stato entusiasta e ne avremmo parlato per anni, per decenni e... e invece--» la voce di Stiles si rompe e lui tira su col naso, sfregandosi gli occhi per cercare di arginare le lacrime. Non serve a molto. «Dio...» esclama, stringendosi la testa tra le mani. Alza le gambe al petto e si chiude su se stesso, le spalle scosse dal pianto e dalla stanchezza. Una mano si posa sulla sua testa e poi il suo intero corpo viene circondato da quello di Derek.
«Andrà tutto bene» sussurra il più grande, stringendoselo al petto. «Mi hai sentito? Andrà tutto bene».
Stiles annuisce e si aggrappa alla sua maglietta, la stringe con tutta la forza che ha e si arriccia contro di lui.
«Ho paura» ammette in un sussurro, nascondendosi nel suo collo.
Derek lo stringe più forte.

Derek resta per tutta la notte - e quella dopo e quella dopo ancora.
Stiles non dice nulla, si limita a lasciare la finestra aperta e stendersi sul letto, dandogli le spalle.
È strano, soprattutto all’inizio, ma è anche stranamente piacevole - quasi rilassante, dopo i primi attimi di imbarazzo - e ci si abituano entrambi facilmente.
Qualcuno dentro la sua testa gli ricorda che non dovrebbe, che non è giusto, che dovrebbe allontanare Derek, liberarlo dal suo peso, non aggrapparcisi, e lui sa che ha ragione. Se lo ripete ogni sera, con una mano sul gancio della finestra. Se la lasciasse chiusa, Derek non potrebbe entrare.
Se la lasciasse chiusa abbastanza a lungo, Derek non tornerebbe mai più.
Stranamente, quel pensiero lo deprime più di tutto il resto. Lo accantona in un angolo del suo cervello e si raggomitola sul materasso, imponendosi di non pensare a niente.
Derek arriva poco dopo e insieme, lentamente, si muovono l’uno verso l’altro, incastrandosi: un braccio passa sotto le sue spalle e uno va sul fianco, mentre lui poggia la testa nell’incavo del collo dell’altro e gli stringe appena la maglietta.
Non parlano mai, ma, per una volta, Stiles non crede che le parole siano necessarie.

Quando apre gli occhi, l’intensità del sole gli dice, prima ancora della sveglia al led, che ha dormito molto - che ha dormito bene. È domenica mattina e, per una volta, non è la nausea la prima sensazione che lo sveglia. Sente ancora il corpo pesante, ma non è nulla di insopportabile. Non ha voglia di fare una corsa per il vicinato, ma si sente meno uno schifo del solito, ecco. E qualcosa gli dice che è tutto merito di un certo Alpha e dei suoi super poteri da licantropo figo. Scott gliel’aveva detto che potevano fare del bene, ma non credeva... non credeva fosse così.
Rotola sul fianco e guarda l’impronta lasciata sulle lenzuola ormai vuote. Se ci passasse la mano sopra le troverebbe ancora tiepide, lo sa.
Forse dovrebbe ringraziarlo? Come si ringrazia un lupo mannaro? Cosa si regala per dire “Grazie per aver usato i suoi fighi poteri da Alpha cazzuto su di me”?
«Il tuo amico se n’è andato» lo raggiunge una voce, richiamandolo.
Stiles si volta, ritrovandosi davanti il sorriso mesto di suo padre, fermo sotto l’arco della porta. S’irrigidisce quando si rende conto di cosa ha detto. «Papà, non è come--»
«Senti, lo so che non sono stato il miglior padre del mondo» comincia, avanzando fino a sedersi sul bordo del letto.
«Cosa? No, non è vero!»
«Aspetta, ascoltami, ti prego». Suo padre sorride, stringendogli una mano. «Da quando è morta tua madre, ho tentato di essere presente il più possibile, ma so di non esserci riuscito, non come avrei voluto. Dovevo lavorare, ovviamente, e tu sei sempre stato così autonomo...» Il suo sorriso si allarga, tingendosi di orgoglio, mentre Stiles scuote la testa, in senso di diniego. Suo padre gliela accarezza, come quando da piccolo portava a casa una nuova A dopo un compito. «Ma non c’è alcuna possibilità che qualcuno entri ed esca da questa casa senza che io lo sappia, ragazzino» continua, guardando i suoi occhi allargarsi man a mano che comprende, «soprattutto se è qualcuno su cui ho indagato per omicidio. Due volte».
«Cambierebbe qualcosa se ti dicessi che sapevo che era innocente entrambe le volte?» domanda in un borbottio, occhieggiandolo a testa bassa. Suo padre sospira, accarezzandogli di nuovo la testa.
«Non so cosa c’è tra voi due e non sono sicuro di volerlo sapere, visto che sei mio figlio e sei minorenne--»
«Non c’è niente!»
«--ma quando è qui sembri stare meglio» conclude, controllandogli i segni attorno agli occhi. Stiles lo lascia fare e stringe le mani sul lenzuolo.
«Diciamo che è un ottimo antidolorifico» ammette e sbuffa quando suo padre si corruccia, confuso. «Lascia stare, è una lunga storia».
«Okay» acconsente, alzandosi. «Solo, la prossima volta che vedi il signor Hale, digli di passare dalla porta, va bene?» dice, lasciando la stanza, «ora alzati e vieni a fare colazione. Ho fatto i pancake».
Stiles sorride e scalcia le coperte, saltando in piedi. Le giunture protestano, lo stomaco si accartoccia e la stanza gira, obbligandolo ad appoggiarsi al muro.
Chiude gli occhi e prende un respiro profondo.

Parte due

pairing: stiles/derek, world: teen wolf, fanfiction, slash

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