Titolo: Ultimi giorni.
Fandom: RPF - Calcio.
Personaggi/Pairing: Zlatan Ibrahimovic/José Mourinho. L'everlasting Jobra <3
Rating: PG14
Warning: Slash, angst, bit of fluff, songfic.
Wordcount: 1276 (FDP)
Note: Un giorno, così, mi capita sotto gli occhi una foto al campo dell'UCLA. Su, gente, lo so che sapete di quale foto parlo. Comunque, i due minchioni mi mancano e già da un po' e la canzone di Guè mi sembra scritta proprio per loro. That's all.
A Def, con amore.
Disclaimer: Non sono miei, quanto scritto è realtà, non voglio danneggiare la loro immagine visto che ci pensano già da soli e non ricavo nemmeno mezza lira da tutto ciò. La canzone è di Guè e io l'ho solo presa in prestito.
Alla ricerca della felicità. (Dove sta?)
Non avresti mai voluto rovinare la festa ai tuoi compagni, o forse sì, e non avresti mai voluto dirlo in un modo così brutale in un momento come questo, o forse sì, perché, in fondo, è questo il tuo modo di fare, non l'hai mai cambiato in anni e anni di crescita e di certo non inizierai adesso a farlo.
José ti si avvicina, ti posa una mano sulla spalla e ti sussurra qualcosa. Tu annuisci, la tua decisione è stata presa. Ora sono gli altri che devono fare il resto.
Io sognavo di spiccare il volo, ora che volo è tutta mia la città, ma non ha senso se volo da solo.
Il tocco di José ti ha lasciato un'impronta. Non è visibile, non è come quando ti ritrovi a nascondere lividi e graffi, però tu lo senti, è come se le sue dita ti fossero entrate sotto la pelle, dentro, e continui a percepirle lì. E non sai come fare, perché hai altro a cui pensare: la città ai tuoi piedi, ancora, sempre di più. La città che, comunque, stai abbandonando, che ti ama e ti odia allo stesso modo, che ti fischia e ti osanna sempre. Proprio come un dio.
Guardo avanti e non mi volto mai, come fate ad amare per finta?
È così che sei nato e cresciuto, con questa convinzione radicata nel petto: si va sempre avanti, non esiste una vera fine, un vero punto fermo. Se tu vuoi, puoi abbattere qualsiasi barriera e oltrepassarla. E non sei d'accordo quando ti urlano che sei un mercenario: hai amato l'Inter, così come hai amato il Malmo, il Balkan, l'Ajax e la Juve prima di lei. Amerai il Barcellona. Amerai chi verrà dopo. Di amori diversi, certo, ma per te sarà sempre come all'inizio di una vera storia d'amore: proclamerai amore, ne sarai fermamente convinto, poi ci sarà qualcosa che ti farà sentire bloccato e ti farà prudere la pelle per la voglia di fuggire via.
Annuso catrame e filigrane, l'emozione dura troppo poco.
“Non ti capisco.”
“Mi capisci, invece, Zay. Tu sei proprio come me, non abbiamo nulla di diverso.”
“Io non vado via perché questa squadra mi ha intralciato nel vincere tutto.”
“Ma andrai via presto, quando non sentirai più niente nell'avere questi colori addosso.”
José va via sbattendo la porta. Tu ti fissi i piedi e ti chiedi se davvero credi nell'ultima frase che hai pronunciato.
Lo sai che non c'è amore se mi stai usando e io uso te.
José ti manda un messaggio e tu corri. José ti chiama e tu scatti. José ti pretende per sé e tu ti doni senza dire niente, perché è quello che vuoi, è quello di cui senti realmente il bisogno.
Ti rigiri a pancia in giù tra le lenzuola e lo guardi, mentre lui non vuole proprio staccare gli occhi dal soffitto.
“Zay,” lo chiami piano, “Zay, con questo non mi convincerai a restare.”
José sospira. Quello che ha bisbigliato dovrebbe essere un “Lo so”.
I soldi parlano e tu li ascolti più di quanto ascolti me.
“Quanto ti hanno offerto?”
“... Tanto.”
“E di preciso?”
Alzi gli occhi al cielo. “Non sono cazzi tuoi, Zay,” gli rispondi a denti stretti, prima di riprendere i tuoi giri di campo.
Senti lo sguardo di José bucarti le spalle e c'è qualcosa dentro te che ti dice che forse è lui ad avere ragione.
I giorni passano e li vivo come se fossero gli ultimi.
“Non ti sei mai allenato così, credo,” la risata di Javier ti raggiunge mentre ti versi una bottiglia d'acqua in faccia.
Annuisci senza dire una sola parola.
“Zlatan, se tu volessi restare--”
“Potrei farlo, lo so.”
Il Capitano sorride benevolo.
“Ma non voglio farlo.”
Certe volte vorrei piangere per provarti cosa so provare, ma non mi escono le lacrime, dici “L'amore non si può comprare”.
“Barcellona cosa può darti? Intendo, più di quanto ti dia io,” ti sussurra tra i denti, mentre le sue spinte perdono velocità.
Gli mordicchi il collo e ci pensi, cazzo se ci pensi, a quello che provi per lui, che è amore, ne sei sicuro al mille per cento. E da un lato ti spaventa e dall'altro ti riempie così tanto che non c'è spazio per la paura, e quasi vorresti piangere. José lo percepisce e scosta il viso dai tuoi capelli per guardarti fisso negli occhi.
“Lo so, Zlatan, credimi,” e tu lo sai che lui lo sa. Senza bisogno di parole.
Tra la paranoia e il paradiso, l'ascensore va al decimo cielo, ma si è rotto ed è bloccato al primo... ti assicuro, nessuno è sincero.
“Potrei restare,” bisbigli tra te, certo che José, addormentato al tuo fianco, non possa udirti. E lo dici così, con semplicità, ma con la vigliaccheria che trasuda da ogni parola, perché, altrimenti, lo avresti detto quando era sveglio, quando ti era dentro e quando ti baciava il viso.
Si muove di poco, e ti viene più vicino. Distrattamente ti chiedi cosa stia sognando, il suo volto è disteso. Abbassi il viso per dargli un bacio sulla tempia e lo circondi leggermente con le braccia. Hai bisogno del contatto fisico, il sesso non ti basta. Non in previsione della lontananza.
“Potrei restare, potremmo vincere la Champions, magari mi ritroverei in lista per il Pallone d'Oro...”
“E allora resta, coglione, e smettila,” sospira, prima di girarsi dall'altro lato, sfuggendo al tuo abbraccio.
E il mio cuore è senza batteria, e nessuno riesce a ripararlo. È meglio se non mi fai compagnia, te l'hanno detto che sono un bastardo.
Ti domandi come ne uscirete, da tutto questo. Il cuore non lo senti già da un pezzo (o forse sta urlando e tu sei diventato sordo per non farci caso) e se pensi a quanto cambieranno le cose, ti viene solo da urlare e non accettare nessun nuovo contratto.
“Ti avevo avvertito, Zlatan,” ti dice, passandoti accanto senza nemmeno guardarti, “Avresti dovuto mettere i paletti fin dall'inizio. Siamo troppo simili, io e te, avremmo finito per ammazzarci a vicenda.”
“I paletti avremmo dovuto metterli entrambi, stronzo,” sputi via, ostentando una rabbia che non hai, solo per nascondere la tristezza.
Affoghiamo dentro al Moet Chandon le tue frasi d'amore tutte uguali ad un carillon.
Barcellona ha un cielo così azzurro che ti fa dolere gli occhi, ti ricorda Los Angeles, l'UCLA, ma non ti ricorda affatto il cielo grigio di casa. Mentre il tuo nuovo allenatore ti parla, continui a pensare al cielo plumbeo di Milano, a quanto ti abbia fatto sentire a casa, poi il colore che hai in testa cambia e tu scuoti il capo cercando di dimenticare o, perlomeno, di metterlo in un angolo nascosto.
Qualcuno brinda in tuo onore, fai tintinnare il bicchiere pieno di champagne contro quello di un altro compagno di cui, al momento, non ricordi il nome e ti risuona in testa la voce di José. José che ti dice che ti ama, che gli mancherai, che vi rivedrete presto anche se sei un traidor, José che ti insulta, che ti dice che il tuo sangue deve smetterla di ribollire e tu devi assolutamente smetterla di sentirti in gabbia.
Butti giù lo champagne tutto d'un sorso e regali un sorriso a chi ti sta festeggiando. Maxwell ti si avvicina e ti poggia una mano sulla spalla, felicissimo di averti là.
E quando arrivo in alto, poi non so più scendere: una stella è sempre sola perché pensa solo a splendere.
Il cielo azzurro di Barcellona ci ha messo poco a conquistarti. All'inizio cercavi il grigio, la pioggia, lo smog di Milano ma poi, d'un tratto, ti sei abituato al sole e al cielo terso. Stai bene lì, hai ripreso ad allenarti e, poco a poco, hai smesso di sentire José. Non sai come sia successo, non sai nemmeno perché sia successo, ma è da giorni che sul tuo cellulare non appare più il suo nome, è da giorni che la tua casella email resta vuota, se non per poche pubblicità.
Stringi i denti e continui a provare le punizioni, bucando la rete una, due, dieci, venti volte. Guardiola applaude, dice che può bastare, per ora, ma a te non basta. Non ti basta mai niente.
Rendimi felice quando spengono 'ste luci.
Entra in casa tua e si muove come se la conoscesse da anni. Eviti di accendere le luci perché non vuoi che svanisca, ancora non ci credi che sia lì, ancora non riesci a pensare che sia venuto da te senza dirti niente, mandandoti un messaggio soltanto poco prima di uscire dall'aeroporto. Posa il borsone sul divano, prima di tornare da te, ancora impalato sulla porta del salotto, e ti poggia le mani sul petto. Sospiri, felice, e gli dai un bacio leggero sulla fronte, sul naso, sulle labbra, prima che lui ti tiri la maglietta e ti chieda di più, sempre di più. Non si è mai accontentato di poco, e lo sai, e ridi al pensiero. Lo accontenti e lo trascini verso la camera da letto.