[Hikabu] Una storia sbagliata 1/7

Nov 27, 2013 09:41

Titolo: Una storia sbagliata
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Yaotome Hikaru, Yabu Kota, Yamada Ryosuke, Chinen Yuri, Takaki Yuya
Pairing: Hikabu; Takaru; baby!Yamachii
Rating/Genere: nc-17/ AU, angst, erotico, romantico
Warning: slash
Wordcount 28.323 fiumidiparole
Note: la storia partecipa al Big Bang 5 per la bigbangitalia, inoltre è scritta per la think_angst per la tabella Dialoghi con il prompt ‘Vorrei che le cose fossero andate diversamente’ e per la 500themes_ita con il prompt ‘faida familiare’.
La storia inoltre ha ricevuto un gift da el_defe che potete ammirare qui *---*
Il titolo è ispirato al titolo di una canzone di F. De André.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: 500themes_ita
Tabella: Dialoghi

“Vorrei che le cose fossero andate diversamente” ripeté piano la voce di Kota al telefono.
“Lo so… l’avrei voluto anche io.”
“Gli manchi… tantissimo, non fa altro che chiedermi di te” mormorò ancora.
Hikaru sospirò piano, passandosi una mano tra i capelli.
“Anche voi… anche voi mi mancate tantissimo, Kota” bisbigliò, cercando di non far tremare la voce, portandosi una mano alla bocca e mordendosi le labbra.
“Hikka…” l’altro parve accorgersi del suo disagio e lo chiamò. “Hikka, perdonami” gli disse, ancora una volta, apprensivo.
Il più giovane scosse il capo.
“Non… non devi, insomma, non è colpa tua” lo rassicurò.
“Mi dispiace” gli ripeté invece Yabu.
“Non potevamo fare altrimenti, siamo… siamo stati poco attenti e troppe persone che non avrebbero dovuto ci sono andate di mezzo.”
“Ti amo, ti amo e non sono riuscito a…”
Una pausa e a Hikaru si strinse il cuore, perché sapeva cosa provava, lo sapeva fin troppo bene, perché erano cose che sentiva anche lui. “Anche se ti amo, io… me l’avrebbe portato via, capisci?”
“Lo so. Lo so e…” un’altra pausa, un altro sospiro. “Ti amo anche io, Kota, e ti amerò per sempre.”
“Hikaru…” lo richiamò in fretta, sentiva che quel suo discorso non sarebbe finito bene, quella telefonata, lo avvertiva a pelle, sarebbe stata l’ultima.
“Devo andare adesso e anche tu” gli ricordò.
“Hikaru, aspetta, no, asp-”
“Mi dispiace, mi dispiace, Kota. Lo sai anche tu” gli disse con voce calma, non aveva alcun senso tergiversare ancora, farsi in quel modo male a vicenda, consapevolmente.
Era finita.
Dovevano farlo.
“Ti amo” mormorò Yabu.
“Ti amo” riuscì a dire il più giovane, sentiva che era davvero arrivato il momento e che presto sarebbe crollato. “Addio” gli disse.
“Addio, Hikaru.”

*

“Per favore, bambini, tutti qui seduti!”
La voce dell’animatrice responsabile era risuonata nell’aula sovrastando il chiacchiericcio dei bambini presenti, rimettendoli in riga. Gli altri collaboratori si erano divisi a coppie di fianco alla ragazza più grande, sorridendo ai piccoli studenti, seduti ognuno su una seggiola disposti a semicerchio.
“Benvenuti, bambini” aveva salutato, addolcendo il tono ma mantenendo comunque una certa compostezza e rigore per far capire loro fin da subito chi riconoscere come punto di riferimento. “Da oggi passeremo insieme questi due mesi. Io sono Mariko-sensei e loro saranno i v ostri maestri” continuò, volgendosi a presentare gli altri animatori, indicandoli e chiedendo loro di presentarsi ai piccoli.
Uno a uno gli altri ragazzi, tutti giovanissimi, fecero un passo avanti, scandendo bene i loro nomi.
Iniziò un ragazzo dal sorriso solare, i capelli castani e un viso vispo e simpatico.
“Molto piacere, mi chiamo Hikaru e spero riusciremo a divertirci tanto insieme, bambini!” sorrise l oro, facendo un leggero inchino e, a un segnale della coordinatrice, i piccoli ascoltatori si unirono a lei in un breve applauso, accogliendo il maestro con un caloroso ‘piacere, Hikaru-sensei’.
Il ragazzo tornò in fila al proprio posto, cedendo la parola al compare, tale Nobuo, il quale lasciò poi che fossero le ultime due colleghe a presentarsi, una ragazza dalla indecifrabile età, Ichigo-sensei e Yukiko-sensei dalla personalità energica e allegra.
Quando poi tutti ebbero fatto conoscenza, ognuno degli educatori, aveva scelto un gruppetto di bambini consegnando loro dei fogli bianchi e disponendo un cesto di colori su ogni tavolo, spiegando ai più piccoli cosa dovessero fare.
Hikaru scelse il tavolo azzurro, spiegando ai bambini cosa dovessero fare, dando loro un tema, distraendosi quando si accorse di un movimento in corridoio; andò a controllare, lasciando che fossero gli altri a supervisionare la situazione nella stanza, affacciandosi oltre l’uscio.
“Insomma, Ryosuke, non fare i capricci! Ne abbiamo già parlato a casa, non essere insistente!” disse la donna rivolta al proprio figlio il quale si aggrappava alla lunga gonna, nascondendosi tra i teli, tra le sue gambe.
“Mamma…” mormorò il piccolo con un broncio, guardando la genitrice con occhi lucidi, sull’orlo delle lacrime.
Hikaru sorrise, avvicinandosi ai due, intenerito da quella scenetta, andando in soccorso della donna.
“Benvenuti!” li accolse e la giovane madre si volse verso di lui, sollevando gli occhi verso l’alto.
“Grazie al cielo!” sospirò, prendendo per un braccio il figlio, tentando di allontanarlo da sé, ma il bambino stringeva ostinatamente la stoffa del vestito.
Hikaru aiutò la donna prendendole di mano lo zainetto di Ryosuke con tutte le sue cose ed ella si chinò sulle gambe, posando le mani sulle spalle minute del figlioletto.
“Ascoltami bene, Ryo!” lo riprese con espressione severa. “Cosa hai promesso alla mamma stamattina?” gli chiese, facendo in modo che la guardasse e le rispondesse.
“Fare il bravo” rispose il piccolo.
La donna per un momento sorrise, accarezzandogli i capelli, sollevandosi di nuovo in piedi, prendendolo per mano, avvicinandosi a Hikaru per presentarsi, mentre il piccolo Ryosuke si stropicciava l’occhio con una mano.
“Piacere, sono Yamada Keiko. Lui è mio figlio, Yamada Ryosuke” lo presentò, incentivandolo a rispondere all’insegnante.
Ryosuke sollevò lo sguardo verso il nuovo volto e Hikaru si chinò sulle ginocchia, per essere alla sua altezza, posandovi sopra lo zainetto mostrandoglielo.
“Yama-chan?” lo chiamò, sorridendo. “Molto piacere, io sono Yaotome Hikaru” si presentò, tendendogli la mano, ma vedendo che l’altro era restio a fare conoscenza; il bambino indietreggiò appena, cercando di nascondersi tra le gambe della madre, ma lei non glielo permise.
“Rispondi a Hikaru-sensei!” gli disse e Yamada si chinò leggermente in avanti.
“Ciao” disse, titubante.
Hikaru gli posò una mano sulla testa, intenerito dal comportamento del piccolo alunno.
“Oh, Hikka-sensei, sei qui!” esclamò Yukiko-sensei, avvicinandosi al terzetto e iniziando a parlare con la donna, mentre Hikaru e Yamada continuavano a guardarsi, l’uno scrutando curioso, ponderando se fidarsi o meno e l’altro in attesa di giudizio, fino a che Yamada non posò la propria piccola mano su quella che Hikaru gli tendeva.
“Andiamo a mettere apposto questo, Yama-chan?” gli chiese, mostrandogli lo zaino, risollevandosi, scortandolo davanti agli appendiabiti sui quali, ogni dieci appoggi, erano rappresentate quattro figure.
“Cosa sono quelli?” chiese Yamada, curioso.
“Questi sono gli abitanti della foresta. Ci sono gli gnomi, le fate, i folletti e i nani” gli spiegò. “Tu quale preferisci?” gli chiese, facendolo scegliere.
Il piccolo lo guardò con occhi grandi.
“Posso davvero?” domandò Ryosuke e Hikaru rise, lasciandogli andare la mano, spronandolo a optare per quello che preferiva.
“Certo, ce ne sono tanti vuoti!” assicurò. “E, guarda” lo incuriosì, puntano il dito sopra un supporto vuoto, “su ogni appoggio c’è disegnato un frutto, puoi scegliere anche qui tra quelli rimasti” gli disse.
Yamada rimase un istante dubbioso, prima di osservare i disegni riportati e correre poi verso la sezione dei folletti e indicare un supporto.
“Questo!” decise.
Hikaru gli si avvicinò, notando che aveva scelto il decimo gancio, quello contrassegnato da una fragola e Yamada allungò le braccia per prendere lo zaino.
“Io!” disse, cercando di incastrare il laccino, riuscendovi dopo poco.
“Bravissimo!” lo elogiò Hikaru. “Andiamo a conoscere gli altri bimbi?” gli chiese e Yamada annuì, correndo e precedendolo nell’aula, dimentico completamente del proprio iniziale imbarazzo.
Hikaru lo seguì, aiutandolo a scegliere un posto dove poterlo far disegnare e subito il piccolo iniziò a scarabocchiare sulla carta, colorando con i pastelli a cera, riempiendo il foglio senza coerenza.
“Non così, Yama-chan!” lo fermò l’insegnante, chinandosi accanto a lui, spostando un po’ la seggiola per incastrarsi tra Yamada e quella di un altro bambino che, accortosi della sua presenza, gli tese un foglio.
“Hikaru-sensei, mi disegni un gatto per favore?” domandò un bambino dai capelli neri, tagliati a caschetto, tendendogli il foglio e un pastello.
Hikaru annuì, prendendo la cera nera, improvvisando la faccia tonda di un gatto, disegnandone i dettagli un po’ più grandi di modo che lo potesse colorare in più parti.
“Come ti chiami?” chiese Yamada al bambino che sedeva di fianco a lui e che aveva chiesto a Hikaru un disegno.
L’altro lo aveva guardato perplesso, quasi sorpreso che gli avesse rivolto la parola e rispose: “Yuri” borbottò, voltandosi poi per tornare a colorare il suo gatto.
“Chii-chan” lo chiamò Hikaru, passandogli una mano sulla schiena. “Ti vergogni per caso?” lo prese giocosamente in giro e l’altro gli rivolse un’occhiata di traverso.
“No” rispose secco, negando e ignorandolo quando Hikaru lo punzecchiò, facendo ridere Yamada accanto a loro.
“Yuri Chii-chan!” ripeté Yamada e il bambino si rivolse direttamente a lui, impugnando il pastello a cera, puntandolo verso di lui.
“È Chinen Yuri. Io mi chiamo Chinen Yuri” gli disse. “Non mi puoi chiamare Yuri Chii-chan. O è Yuri o Chii-chan!” gli spiegò, aspettando che Yamada annuisse, prima di tornare alle sue cose.
“Io mi chiamo Yamada, se vuoi… se vuoi mi puoi chiamare Ryo-chan, come il mio papà” permise.
Yuri lo guardò e si strinse nelle spalle.
Yamada guardò confuso Hikaru e questi, portandosi una mano davanti alla bocca, lo rassicurò.
“È solo timido, non ti preoccupare, tu chiamalo quanto vuoi!” esclamò sorridendo e Yamada annuì con la testa con fare vigoroso.
Poi gli tese il proprio foglio, voltandolo dalla parte che non aveva colorato e, tendendogli anche un pastello azzurro, gli chiese: “Fai anche a me un gatto come Yuri?”

*

“Chi si è lavato le mani, per favore, seduti qui sulla panca” ordinò Hikaru, battendo le mani per farsi ascoltare.
“Chi, invece, non l’ha ancora fatto si metta qui davanti a Nobu-sensei e, quando viene chiamato, vada in bagno da Ichigo-sensei e Yukiko-sensei” istruì ancora Hikaru, gettando un’occhiata al bagno in fondo al corridoio dove c’erano le due ragazze che aiutavano i bimbi a lavarsi le mani prima del pranzo.
A un cenno della cuoca, Hikaru si mise davanti alla porta della cucina e subito Yamada si alzò, correndogli incontro, aggrappandosi alle sue gambe, infilandogli la testa tra le ginocchia, sbucando dall’altra parte, ridendo.
“Yama-chan, ti fai male così, torna a posto!” gli disse, prendendolo per le spalle, allontanandolo da sé e voltandolo per mandarlo a sedere.
Il piccolo Ryosuke corse a sedersi al suo posto, ma Yuri, quando lo vide, posò entrambe la mani sullo spazio libero, impedendoglielo.
“Ehi!”
“Qui no, è occupato!”
“Ma c’ero io!” gli ricordò Yamada, tentando di sedersi, ma l’altro gli si oppose, sollevando anche le gambe e spingendolo.
“Ma io non ti voglio!”
“Ehi, ehi, cos’è questo chiasso?” intervenne Nobuo-sensei a porre fine alla disputa.
“Yuri non mi fa sedere!”
“Non lo voglio!”
“Ma c’ero io!” continuò il bambino, impuntandosi e battendo i piedi, tirando il maestro per le braccia, il quale era intento a far ragionare il piccolo Chinen che non ne voleva comunque sapere.
“Aspetta, Yama-chan” cercò di placarlo l’insegnante e solo quando Hikaru vide il collega in evidente difficoltà, prese in collo Yamada, spostando le mani di Chinen dalla panca, sedendosi con Yamada sulle proprie ginocchia.
Nobuo lo guardò sorridendo, prendendo il posto del collega davanti alla porta della mensa, richiamando l’attenzione dei bambini quando ormai erano tutti di nuovo riuniti.
“Hikaru-sensei, io non lo voglio!” continuò Chinen e Hikaru lo guardò senza molto interesse.
“Infatti qui mi ci sono seduto io, non sei vicino a lui!” gli rese noto e Chinen stava per ribattere quando sentì l’ordine di mettersi tutti in fila per entrare a mensa.
“Eeeh no, dove vai?” lo fermò Hikaru, prendendolo e rimettendolo seduto.
“Nobuo-sensei ha detto…” iniziò, ma Hikaru guardò il collega che annuì.
“Nobuo-sensei non vi farà entrare adesso!” disse, mettendo Yamada a sedere accanto a sé restando però tra i due a dividerli.
“Perché?” gli chiese infatti questi.
“Perché avete fatto da monelli e quindi entrerete per ultimi, vero Nobuo-sensei?” chiese al collega il quale annuì, dandogli man forte.
“Sì, dovete andare d’accordo” disse loro e i due bambini annuirono.
Hikaru li osservò ancora per qualche istante, assicurandosi che stessero buoni, poi si alzò dalla panca, facendo sollevare anche loro.
“Ora datevi la mano e mettetevi qui in fila” li sistemò dietro ad altri due bambini di modo che chiudessero la coda, guardandoli con espressione divertita quando, anche se erano presi per mano e avevano promesso che avrebbero fatto da bravi, non si guardavano in faccia; erano ancora offesi, certo, ma almeno molto meno rumorosi.

*

“Hikka-sensei!”
Nell’intervallo tra il primo e il secondo piatto, Yamada si avvicinò al tavolo dove stavano mangiando gli animatori, attirando l’attenzione di Yaotome.
“Devo fare pipì!” lo informò, tenendo strette le gambe e poggiandosi al suo ginocchio.
Hikaru si alzò, mentre ancora doveva mandare giù l’ultimo boccone, e lo prese per mano.
“Che fortuna che ti sia affezionato subito eh, Hikka-sensei?” lo presero in giro gli altri colleghi e Hikaru scosse il capo.
“Non siete divertenti! Andiamo, Yama-chan!” gli disse, uscendo con lui dalla porta, accompagnandolo in bagno.
“Ce la fai?” gli chiese, vedendo che cercava di abbassarsi i pantaloncini di jeans, tenendo sotto al mento la maglia che lo disturbava.
“Aiuto!” gli disse, guardandolo e Hikaru sorrise, avvicinandosi, slacciandogli il bottone, in effetti troppo complesso per le sue piccole dita e gli abbassò anche le mutandine.
Yamada si volse verso la tazza e sospirò.
“Ce l’ho fatta!” disse, soddisfatto, facendo ridere Hikaru per quel suo sollievo: quel bambino era davvero molto divertente, era lì solo da una giornata ed era quello che preferiva.
“Yama-chan?” gli chiese, quando lo vide voltarsi e iniziare a sollevarsi i pantaloni, in attesa che lo aiutasse a rivestirsi.
“Mh?” chiese il bambino, tenendosi alle sue spalle per stare in equilibrio.
“Ti piace Chii-chan?” gli domandò e Yamada si sbilanciò, guardando Hikaru a bocca aperta.
“No. Lui mi tratta male!” affermò.
“Secondo me tu gli piaci!” spettegolò.
“Davvero?”
Yamada sembrava ora interessato all’argomento, prima di ripensarci.
“Beh, a me non piace. Io sposerò il mio papà!” disse sicuro di sé.
Hikaru lo guardò perplesso, avvicinandosi al lavello e tendendogli il sapone; Yamada gli porse la mano e poi le strofinò entrambe creando delle bolle, prima di sciacquarle sotto l’acqua.
“E la mamma?” domandò Hikaru. “Il papà è della mamma, no? Tu devi sposare un’altra bambina” gli spiegò, tendendogli un pezzo di carta assorbente quando lo vide che aveva terminato di lavarsi.
“Sì, ma io sposerò il mio papà. Il mio papà è il più bello al mondo!” gli disse, contento, tendendogli la mano per tornare insieme a mensa.
Hikaru rise, per quello strano discorso e concordò con lui.
“Oh, non lo metto in dubbio, sono sicuro che sia un papà bellissimo. Come tutti i papà!”

*

“Io allora vado!” salutò Ichigo-sensei che per quei giorni avrebbe dovuto adempiere al servizio scuolabus, accompagnando gli scolari dell’asilo a casa.
“A domani!” la salutò Hikaru, raccomandandosi anche con i bambini di fare i bravi e non fare arrabbiare l’insegnante la quale non era propriamente convinta che, anche con quella raccomandazione, sarebbero stati facilmente gestibili.
Rientrò nella classe e trovò Yamada che finiva di colorare; si avvicinò a lui e lo osservò.
“Yama-chan? Ci prepariamo?” lo spronò, quando vide che aveva terminato il suo lavoro e il piccolo annuì, porgendogli il foglio che Hikaru conservò nella cartellina che poi avrebbero consegnato ai genitori al termine delle prime due settimane di campo scuola.
“Ryosuke!” la voce della madre di Yamada, attirò l’attenzione del figlio che si volse contento verso la porta.
“Mamma!” le disse, correndo contento verso di lei e abbracciandole le gambe. La donna, a differenza di quella mattina, lo trattò con maggior calore, carezzandogli la schiena, prima di prenderlo in braccio; il bambino le strinse le braccia al collo e lei gli baciò la fronte. Hikaru ne fu contento, anche se non stava di certo a lui giudicare i metodi della donna su come allevare il proprio figlio, anche perché non essendo genitore lui non poteva capire, non gli era proprio piaciuto il modo in cui si era comportata con Ryosuke quella mattina.
“Ti sei divertito?”
Quella domanda fermò il corso dei pensieri dell’insegnante che sorrise, avvicinandosi ai due, sentendoli parlare e Yamada spiegarle tutte le attività che avevano svolto in quella prima giornata di campo scuola.
“Ah, Yamada-san, domani li porteremo al mare, le volevo solo ricordare di mettere nello zainetto di Yama-chan, oltre al costumino e al cambio, la crema protettiva e il telo da mare” le sorrise.
La donna annuì, spostando Yamada sull’altro braccio, uscendo dall’aula, Hikaru l’accompagnò fuori, aiutandola e passandone lo zainetto del figlio il quale, improvvisamente stanco, si era appisolato sulla sua spalla con un dito in bocca.
Hikaru lo guardò teneramente, accarezzandogli i capelli.
“Era davvero stanco” commentò, ma la donna non gli diede molto peso, né occasione di trattenersi ancora e Hikaru premette il pulsante del citofono aprendo il cancello.
“A domani, Yamada-san” la salutò, accennando un breve inchino.
“A domani, Hikaru-sensei. Grazie per oggi” rispose cordialmente, allontanandosi verso il giardino esterno.

*

“Allora, bambini, avete capito tutti cosa dovete fare?” chiese di nuovo Ichigo-sensei, mentre Yukiko-sensei si avvicinava a loro, ripetendo le regole.
“Questo è il nostro castello!” riepilogò, mentre la collega indicava loro il gazebo che avevano affittato sulla spiaggia. “E questi…” indicarono i cinque asciugamani che avevano disposto davanti ai padiglioni, “sono la linea di confine. Quando sono tutti stesi, nessuno può oltrepassarli e quando vengono aperti, significa che il ponte levatoio viene sollevato e allora possiamo andare a fare il bagno” riassunse, mentre Hikaru e Ichigo sollevarono i due lati dei teli, mimando il moto di apertura di un vero ponte levatoio.
Tutti i bambini annuirono, assicurando di aver compreso e Yukiko-sensei sorrise loro incoraggiante.
“Adesso che abbiano stabilito queste regole” intervenne Hikaru, “avete tutti la crema solare?” chiese loro, spalancando le braccia.
Un coro di entusiastico assenso si sollevò insieme a tante braccia che mostrarono i flaconcini colorati e Hikaru rise, avvicinandosi a un gruppetto e chiedendo loro di mettersi in fila di modo che potesse aiutarli a mettersi la protezione.
Quando poi tutti e venti i bambini furono pronti il ‘ponte levatoio’ si alzò e, ordinati, i bambini seguirono gli animatori verso la riva della spiaggia. Alcuni si fermarono sul bagnasciuga, scappando quando piccole onde rincorrevano i loro piedi e diverse bambine, invece, chiesero a Yukiko-sensei di accompagnarle a cercare conchiglie.
“Chi vuole fare i tuffi?” domandò Nobuo ai piccoli rimasti e un gruppetto di bambini si avvicinò a lui, chiamandolo per essere i primi. Hikaru e Nobuo si divisero i piccoli tuffatori e schiamazzi divertiti colorarono la spiaggia e l’area dove la piccola scolaresca stava facendo il bagno. Hikaru teneva i piccoli sotto le braccia e sollevandoli li faceva ricadere nell’acqua, senza mai lasciarli andare, girando poi su se stesso, improvvisando il movimento di un motoscafo.
“Hikka-sensei! Hikka-sensei! A me, a me ora!” chiese Yamada, facendosi strada tra gli altri bambini.
Chinen, il quale attendeva il proprio turno come era stato suggerito dagli insegnanti, vedendo Yamada che tentava di passargli avanti lo spinse, sbilanciandolo e facendolo cadere faccia sotto nell’acqua.
“Ryo-chan!” Hikaru che, dopo aver finito di far girare un bambino su se stesso, aveva visto la scena, ma troppo tardi per poter intervenire tempestivamente, era corso verso Yamada, risollevandolo, prendendolo in braccio. Il piccolo piangeva, tossendo e stringendosi istintivamente al collo di Hikaru.
“Waaah, papà! Voglio il mio papà!” continuava a chiamare e a piangere.
“Chii-chan, perché l’hai fatto?” gli chiese Nobuo-sensei, portando il piccolo fuori dall’acqua.
Chinen lo guardò stringendo i pugni e mordendosi le labbra.
“Lui mi voleva superare!”
“Ma non è questa una buona giustificazione per averlo spinto!” cercò di farlo ragionare l’altro. “Queste cose non si fanno, è pericoloso. Vedi che Yama-chan si è spaventato?”
“È un frignone!” ribatté il piccolo, guardandolo e indicandolo. “Vuole sempre le attenzioni di Hikka-sensei!” borbottò.
Nobuo guardò il collega che cercava di far calmare Yamada che ancora piangeva tra le sue braccia, passandogli una mano sulla schiena.
“Lo porto su e lo asciugo. Yuri, vieni con me!” ordinò Hikaru, prendendolo per mano e tirandolo.
“No, io voglio tuffare!” si impuntò l’altro.
Hikaru lo guardò in modo severo e Yuri non obbiettò più, camminando insieme all’insegnante, sedendosi sul proprio asciugamano, osservando l’altro coprire Yamada e sedersi sul proprio.
“Non ti puoi sedere sul ponte!” lo contestò Chinen, ma Hikaru non se ne curò.
“Su, calmo, Ryo-chan!” cercò di placare il suo pianto, mettendolo a sedere sulle proprie ginocchia, muovendo le gambe su e giù, riuscendo a farlo smettere di piangere.
“Tutto apposto?” chiese Hikaru premuroso e Yamada si asciugò gli occhi con le mani strette a pugno, voltandosi poi a guardare con un visino triste alle sue spalle. Hikaru sorrise tra sé e fece cenno a Chinen di avvicinarsi. Il piccolo restò un momento perplesso a osservarli, poi quando Hikaru batté una mano sul proprio asciugamano e la sua espressione non pareva più così arrabbiata con lui, Yuri si alzò, avvolto nel proprio telo da mare e si avvicinò a lui; Hikaru lo aiutò a sedersi accanto a sé e Yamada osservò il compagno di classe.
“Allora, facciamo pace?” chiese l’educatore rivolto ai due bambini che si guardarono. “Chii-chan, quello che hai fatto è una cosa sbagliata. Non dovevi spingere Yama-chan” esordì.
“Ma lui mi ha superato, c’ero io!” rimarcò.
Hikaru sospirò, prese il fagotto di Yamada, ancora infreddolito e un po’ spaventato che li ascoltava in silenzio e lo fece sedere tra loro; Chinen si scostò e Hikaru lo afferrò per le spalle.
“Ehi, ehi, buono, stai qui.”
“Non lo voglio vicino!”
“Ma lui è tuo amico.”
“No che non lo è!”
Yamada lo guardò con un’espressione da cucciolo abbandonato e mormorò: “Mi dispiace, non sapevo che c’eri prima tu” spiegò, pendendo con il corpicino maggiormente dalla parte di Hikaru, come a cercare in lui conforto.
“Hai sentito?” parlò Yaotome-sensei. “Non voleva. È dispiaciuto. Stavamo giocando e non si è accorto di esserti passato davanti” specificò, guardando Chinen. Il bambino guardò l’educatore e il piccolo Ryosuke, poi chinò lo sguardo e, con voce bassa, rispose a sua volta: “Mi dispiace di averti spinto.”
Yamada annuì con la testa, accettando le sue scuse, poi guardò Hikaru che a sua volta fece loro cenno con il capo.
“Bene” disse, alzandosi e tendendo le mani ai due bambini che le strinsero. “Adesso che abbiamo chiarito tutto, torniamo in acqua, vi farò fare il motoscafo e i tuffi, d’accordo?” propose, vedendo Chinen sorridere.
Non appena arrivarono alla riva, Chinen corse dal maestro Nobuo, pretendendo finalmente il proprio turno per tuffare, mentre Yamada non si mosse: si fermò quando i suoi piedi toccarono l’acqua, sfuggendole, stringendo la mano di Hikaru.
Il maestro si chinò sulle gambe, chiedendogli cosa non andasse e il piccolo si limitò a mordicchiarsi il pollice e scuotere il capo. Hikaru comprese che non volesse avvicinarsi all’acqua, immaginando fosse ancora turbato, ma lui non poteva stare da solo con Yamada a riva: intercettò quindi una collega e le consegnò il bambino che venne inserito insieme al gruppo con alcune bimbe che giocavano sul bagnasciuga con le conchiglie e le palle di mare trovate nella loro precedente passeggiata, permettendo così all’animatore di tornare in acqua e aiutare Nobuo-sensei a giostrarsi tra i vari uragani che volevano continuare a nuotare e giocare nell’acqua alta come i grandi.

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