[Ariyama] Ima nara tsuyoku kotoba ni dekiru kara

Sep 01, 2013 11:13

Titolo: Ima nara tsuyoku kotoba ni dekiru kara (Now I can put this feeling into words strongly) [Tsunagu te to te - Hey! Say! JUMP-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggi: Arioka Daiki, Yamada Ryosuke
Pairing: Ariyama
Rating/Genere: nc-17/AU, fluff, romantico
Warning: slash
Wordcount 8.303 fiumidiparole
Note: la storia è scritta per la diecielode per la tabella con il prompt ‘Vita’ e per la 500themes_ita con il prompt ‘Una pillola amara’ e si ispira al prompt di vogue91 "Non voglio perderti, Daiki."
"Infatti non era mia intenzione andare da nessuna parte senza di te, chibi".
Spin off di questa storia
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella: 500themes_ita
Tabella: 12 Storie -Luce

“E la nipotina di Kei-chan è veramente adorabile, Daiki!” concluse Yamada, aggiornando il fidanzato sulle ultime belle notizie che c’erano state nel frattempo che lui era stato fuori città. “L’ho tenuta in braccio è piccolissima!” esclamò entusiasta, guardando poi Daiki con un sorriso imbarazzato. “Scusami, sto parlando tanto, vero?” fece ammenda, prendendo la ciotola che Daiki gli tendeva per asciugarla, aiutandolo a sistemare in cucina dopo aver cenato.
Daiki rise: “No, Ryo… mi fa piacere se mi racconti queste cose, davvero!”
“È che mi sei mancato molto e, non lo so, è stupido, ma sono emozionato che sia tornato e, ecco, volevo riempire il silenzio.”
Il più grande si mosse di lato, facendo scontrare i loro fianchi, prendendolo in giro, sfiorandogli le labbra con un bacio, mentre lavava l’ultimo bicchiere e poi lo dava a Yamada.
“Anche tu mi sei mancato tanto, chibi” mormorò, spostandosi dietro di lui.
Quando Ryosuke capovolse il bicchiere insieme agli altri, gli spostò le braccia verso il lavello e le mani sotto l’acqua che scorreva, facendo in modo che le lavasse insieme alle sue, facendo ridere il più piccolo.
“Che fai?” domandò divertito Ryosuke, chiudendo il rubinetto e voltandosi nell’abbraccio di Daiki, passandogli le mani bagnate tra i capelli, sentendo le dita del fidanzato sulla guancia. “Ehi!” cercò di scostarsi da lui, ma Daiki lo tenne stretto contro di sé, abbracciandolo meglio e tendendosi per baciarlo.
Yamada lo lasciò fare e fu ben lieto di assecondarlo, intrecciando le dita ai suoi capelli e schiudendo le labbra cercando quelle del fidanzato.
Si allontanò da lui per riprendere fiato, accarezzandogli gli zigomi con le dita e scivolando con le braccia sulle sue spalle, unendo i loro toraci.
“Daiki…” lo chiamò a voce bassa, chinando di lato il capo e baciandogli il collo, mentre sentiva i palmi di Daiki sfiorargli la pancia e il petto con impazienza. “Daiki…” pronunciò di nuovo, risalendo verso la bocca, muovendo in avanti una gamba tra quelle del più grande, sfiorando con la coscia la sua erezione, sorridendo nel bacio. “Daiki…” ridacchiò a sua volta quando l’altro scivolò con i polpastrelli lungo il petto, solleticandolo.
“Ti ho mai detto che mi piace quando sussurri il mio nome in questo modo?” mormorò al suo orecchio il più grande, lasciando che le labbra sfiorassero il padiglione e Yamada rabbrividì di piacere, stringendosi maggiormente contro di lui.
“E io ti ho già detto che mi sei mancato incredibilmente…” sottolineò, “… Daiki…?” lo chiamò ancora con tono sensuale.
“Ryosuke” ansimò a sua volta il fidanzato, prendendolo per i fianchi, abbracciandolo in vita e sollevandolo da terra facendo un giro su se stesso, spostandosi verso la camera da letto. Una volta chiusosi la porta alle spalle, fece poggiare Yamada contro la stessa e riprese a baciarlo con impazienza, sfilandogli la maglietta e scendendo a baciargli il collo e il petto, quando sentì Yamada fare presa sulle sue spalle e spingerlo a camminare all’indietro.
Il più piccolo rise quando Daiki gli solleticò la pancia con le dita, nel tentativo di sbottonargli i pantaloni per cercare un contatto più intimo, piegandosi in avanti e fermandogli i polsi.
“Faccio da solo…” ridacchiò, guardandolo con fare divertito e Daiki scosse il capo.
“No, voglio farlo io” replicò sullo stesso tono, afferrandogli la cinta e attirandolo di nuovo verso di sé, facendo scontrare i loro bacini.
Yamada lo sfidò con lo sguardo, iniziando a sua volta a spogliare il compagno, mentre le mani di Daiki erano di nuovo su di lui, stavolta più decise e affatto intenzionate a giocare.
Quando furono entrambi nudi, Ryosuke osservò il corpo del fidanzato, lasciando scorrere una mano dalla spalla al petto, chiudendo il pugno sulla sua erezione, scivolando con le dita avanti e indietro, vedendo Daiki ondeggiare lievemente i fianchi incontro a quel suo movimento: sollevò gli occhi su di lui lo vide trattenere una smorfia e mordersi le labbra, contenendo i gemiti.
“Ti piace?” gli domandò, allentando la presa sul suo sesso e girandosi in modo da dargli le spalle, facendo aderire la schiena al suo petto.
Daiki gli circondò immediatamente la vita con un braccio, attirandolo verso di sé, posando la bocca sul suo collo e Yamada abbassò il capo, spostandolo di lato, facendo in modo che potesse avere una porzione di pelle maggiore da vezzeggiare; spinse indietro il sedere, strusciandosi contro di lui, stringendogli la mano, spostandosi ad accarezzargli il braccio, risalendo sul gomito e gemendo quando Daiki lo morse alla base del collo, impaziente.
Volse la testa per guardarlo e gli sorrise, cercandogli le labbra: il più grande lo baciò, accarezzandogli il volto, scivolando sul collo e il petto, scendendo sulla sua erezione, stuzzicandolo a sua volta.
“A te piace?” gli chiese Daiki, con lo stesso tono usato dal più piccolo e Yamada lo guardò maliziosamente.
“Puoi fare di meglio” lo provocò, spingendosi ancora contro il corpo del più grande e piegandosi in avanti sul letto.
Daiki lo guardò sbalordito, il respiro che gli si era mozzato in gola per tutta quella intraprendenza, ma era tanta la voglia che aveva di lui che non perse altro tempo e posando un ginocchio sul materasso riprese ad accarezzarlo: lasciò scorrere una mano sulla sua schiena, scivolando sul sedere, chinandosi con la bocca contro la sua apertura, preparandolo piano, aiutandosi anche con le dita, sentendo Yamada fremere impaziente.
“Daiki!” lo chiamò, frettoloso, spingendo indietro il bacino e il più grande sorrise, torturandolo ancora per diversi istanti, lasciando scorrere la lingua tra le natiche, prima di baciargli il sedere e risollevarsi per iniziare a spingere dentro di lui.
Ryosuke scivolò meglio con il petto in avanti sulle lenzuola, ansimando e rilassandosi permettendo a Daiki di scivolare con facilità in lui, stringendo la stoffa tra le dita, allargando le gambe, rilasciando un gemito quando il fidanzato lo penetrò completamente restando poi in attesa. Il più grande si chinò su di lui, baciandolo alla base della nuca, spostandosi poi da una spalla all’altra, riprendendo ad accarezzarlo in mezzo alle gambe, stringendo il suo sesso. Si sfilò un poco da lui, prendendolo di nuovo, sentendo la voce del fidanzato farsi roca mentre pronunciava il suo nome come incentivo a non fermarsi, ma a dargli di più.
E Daiki continuò a spingersi dentro di lui, stendendosi quasi completamente sulla sua schiena, cercando quel punto nascosto dentro di lui, continuando a stringerlo, sentendolo poi venire nel suo palmo.
Ryosuke si resse sui gomiti, poggiando la fronte contro le mani unite e cercando di resistere in quella posizione permettendo a Daiki di continuare a muoversi dentro di lui e venire a sua volta.
Con un mugolio, Yamada si sdraiò completamente prono sul materasso, sentendo Daiki scivolare via da lui e poi stendersi al suo fianco, cingendogli con un braccio la schiena.
“Dai-chan…” lo chiamò Yamada dolcemente, guardandolo e l’altro gli sorrise, facendosi più vicino.
“Vieni qui, chibi…” mormorò di rimando, baciandogli le labbra, aspettando che lo guardasse, accarezzandogli il volto e i capelli. “Ti amo, Ryo…” confessò, unendo le loro fronti. “Ti amo” disse di nuovo.
Yamada gli posò una mano sulla guancia, muovendo il pollice sullo zigomo, sfiorandogli ancora le labbra.
“Ti amo anche io” gli rispose.
Daiki continuò a osservarlo in silenzio e Yamada sorrise, ridendo appena.
“Che c’è?” gli domandò, vedendo che stava lì a guardarlo, lo faceva spesso, si fermava a osservarlo quasi fosse in contemplazione, ma lo sguardo che gli stava rivolgendo in quel momento era diverso, intenso come al solito, ma differente, come se non fosse completamente sereno.
Il più grande socchiuse gli occhi, mettendosi a sedere, sospirando.
“Daiki?” Yamada si mise a sua volta in ginocchio sul materasso, comprendendo che qualcosa turbava il fidanzato.
Daiki lo prese per le spalle, facendo in modo che si poggiasse con la schiena contro di lui e gli prese una mano tra le sue, intrecciando le dita insieme e giocandoci, ma sempre calato in quel mutismo che adesso stava diventando per Yamada veramente pesante.
“Dai-chan?” lo chiamò con tono perplesso e il più grande lo strinse a sé, premendo il mento sulla sua spalla, impensierendo ancora di più il più piccolo con quel suo modo di fare. “Daiki, che hai? Così mi stai preoccupando” parlò Ryosuke cercando di guardarlo.
“Ryo, senti…” esordì e Yamada gli lasciò andare le mani per riuscire a sistemarsi di modo da osservarlo mentre parlava, posandogli una mano sul petto, sentendo che il suo cuore aveva accelerato i battiti.
Daiki ridacchiò, cercando di stemperare la tensione e accarezzandogli i capelli e il viso, cercando in quel modo di prendere tempo. “Hai presente il tirocinio di queste ultime tre settimane?” iniziò.
Yamada annuì, stando bene attento a quanto l’altro gli stava dicendo, cercando di non precedere con la propria mente a quello che l’altro gli avrebbe presto detto. “È andato tutto bene, anzi, molto meglio di quanto avessi io stesso previsto, è stata un’esperienza formativa importante e mi è piaciuto molto lavorare con loro e…” parlò in fretta, vedendo negli occhi di Ryosuke impazienza e trattenere quasi il fiato, decidendo che non poteva addolcire con tutti quei giri di parole una pillola amara che sapeva sarebbe stata così difficile da mandare giù per entrambi. “Mi hanno chiesto di proseguire con loro per altri nove mesi” buttò fuori. “Gli sono piaciuto molto e stavolta mi pagherebbero anche, non sarebbe più solo a scopo didattico” spiegò, fermandosi.
Ryosuke chinò lo sguardo, abbassando la mano che aveva poggiato su di lui, eliminando qualsiasi contatto, cosa che fece spaventare non poco Daiki.
“Chibi?” lo chiamò, “Ohi, chibi, dimmi qualcosa” gli chiese, vedendo che l’altro non pareva affatto intenzionato a parlare. “Ryo…” provò ancora, cercando di accarezzargli il viso, ma Yamada glielo impedì, spostandosi da lui, allontanandosi come se stargli vicino, sentire il calore del suo corpo contro il proprio, facesse ancora più male.
“È una bella opportunità” esordì Yamada con fare distaccato, dandogli le spalle, posando i piedi sul pavimento e fissando i propri vestiti sparpagliati, chinandosi poi per raccogliere la biancheria. “Dovresti accettare” gli disse ancora con tono freddo, trattenendosi dal dire quello che pensava realmente, ma affatto bravo a mascherarlo.
“Ryosuke” lo chiamò Daiki, non volendo apparire nervoso, cercando di comprendere la sua reazione, ma affatto d’accordo con quel comportamento. “Aspetta, io non ho ancora detto che…” cercò di spiegare, avvicinandosi di nuovo al più piccolo, fermandolo per un braccio.
“Ma dovresti!” lo interruppe Yamada, senza riuscire a guardarlo, infilandosi i boxer e tornando a sedersi sul letto per continuare a vestirsi, sentendo però Daiki impedirglielo: il più grande lo abbracciò da dietro, circondandogli il petto, prendendosi il polso con una mano, legandolo a sé.
“Ryo” lo chiamò, nascondendo il volto tra i suoi capelli, le labbra che premevano sulla nuca.
Yamada deglutì, cercando di impedire alle lacrime che facevano di tutto per sfuggire al suo controllo di uscire.
“Ryo, davvero, io non volevo rovinare la serata, ma ho pensato che se te l’avessi detto subito…”
“E hai pensato giusto! Io non ti sto fermando, Daiki. Va tutto bene e io voglio che tu vada!” si forzò a dire, ma da quando Daiki gli aveva fatto quella confessione non l’aveva mai guardato negli occhi e non faceva niente per ricambiare le sue attenzioni, per dargli a intendere che tutto andasse bene e che lui stesse bene.
“Amore…” lo chiamò Daiki, scendendo dal letto e inginocchiandosi tra le sue gambe, passandogli le mani sulle cosce, intrecciando le loro dita. “Perché allora non mi guardi, se va tutto bene?” gli chiese e Yamada ebbe un leggero sussulto.
Daiki se ne accorse e si sporse in avanti, abbracciandolo in vita e dandogli un leggero bacio sullo sterno, guardandolo quando Yamada gli circondò la testa con le braccia.
“Non gli ho ancora detto se accetto o meno” gli disse.
“Quanto tempo hai per decidere?”
“Una settimana. C’è tempo” spiegò, sorridendogli, ma Yamada non era molto in vena di ricambiare.
‘Solo una settimana’ si limitò a pensare.
Daiki si alzò, mettendosi a sedere accanto a lui, posandogli una mano alla base della schiena carezzandolo.
“Io ci ho pensato, nove mesi non sono poi così tanti e passerebbero in fretta” cercò di vedere i lati positivi, parlando al condizionale, cosa che a Yamada non piacque affatto.
“Hai già deciso di andare” commentò.
“No, Ryo, io non ho preso una decisione, ma ammetto di averci pensato, solo che volevo parlarne anche con te…”
“A che scopo?” gli domandò il più piccolo. “Se ne parlassimo sapresti già cosa ti direi e io non voglio passare per quello che ti mette i bastoni tra le ruote o ti impedisce di cogliere questa occasione. Per cui cosa ne discutiamo a fare?”
“Ryo, adesso non esagerare! Io non posso prendere delle decisioni simili da solo!”
“E perché?” ribatté Yamada, guardandolo negli occhi, ma lo sguardo che gli rivolse Daiki non se l’aspettava, sembrava ferito e sconcertato.
“Perché tu sei il mio ragazzo!” rispose secco. “Ecco perché! Perché siamo una coppia e…”
“E cosa? Non c’è niente su cui discutere. Mi hai elencato subito ogni pro di questa proposta, è un opportunità di lavoro, avresti un buon stipendio e lo scorrere dei sei mesi è relativo, passerà in fretta, per cui a me pare che la cosa sia chiara!” sbottò, afferrando i pantaloni e rivestendosi velocemente.
Daiki lo imitò, avendo il tempo solo di indossare la biancheria e seguendolo quando capì che l’altro non vedeva l’ora di andarsene.
“Ryo, per favore, aspetta, non voglio litigare con te, non… mi sei mancato anche tu, lo sai e non è facile per me andarmene così a cuor leggero” ci tenne a precisare, perché dal modo di fare del più piccolo sembrava che fosse lui solo quello ferito. “E non voglio che tu stia male” gli disse, fermandolo per un polso, cercando di attirarlo contro di sé.
‘Beh, potevi pensarci prima!’ pensò di nuovo Ryosuke dentro di sé, ma non lo disse.
“Ti prego, resta a dormire qui. Ryo anche a me fa male il pensiero di non poter stare insieme per così tanto tempo” cercò di spiegargli, allentando la presa su di lui, sperando che fosse l’altro a cercarlo, ma questo non avvenne, perché Yamada scivolò invece via da lui.
“Mi dispiace, Dai-chan” gli disse, prendendo un profondo respiro, cercando di mantenere un minimo di autocontrollo sulla tempesta che sentiva dentro. “È davvero meglio che vada, adesso!” gli disse, aprendo la porta e chiudendosela alle spalle, sordo ai richiami dell’altro.

*

Kei aprì piano la porta di casa, cercando di non fare rumore, ma non riuscendo a trattenere una risata quando Hikaru lo prese per la vita, attirandolo contro di sé, facendogli il solletico sul collo con la bocca.
“Hikka, sssht” lo riprese, voltandosi nel suo abbraccio, accompagnando la porta con una mano, baciando l’altro sulle labbra, circondandogli il collo, spingendolo contro il muro, per appendere le chiavi al gancio.
“Dai, finiscila!” lo riprese divertito, parlando a voce bassa quando le mani del più piccolo si infilarono oltre la sua maglia, cercando pelle da accarezzare.
“Ma quanti strati hai addosso, Kei?” lo rimproverò Hikaru, aprendo gli ultimi bottoni della camicia e cercando di sollevargli la canotta.
“Faceva freddo quando siamo usciti!” gli rispose Inoo, passandogli le mani tra i capelli. “Comunque cosa fai? Resti a dormire?” gli chiese, prendendogli le mani tra le proprie, guardandolo in attesa.
“Sì, dobbiamo festeggiare!” bisbigliò con tono vivace Hikaru, guardandolo con fare malizioso, prendendogli i fianchi e strusciandosi contro di lui.
“Hikka!” lo riprese Kei, dandogli un colpo giocoso sulla spalla, spostandosi per raggiungere la propria camera, seguito dal fidanzato. “Abbiamo festeggiato anche troppo, prima di uscire, poco fa in macchina…” gli ricordò, mentre si cambiava per mettersi il pigiama, intercettato dall’altro che lo abbracciò da dietro, posandogli le mani sul petto, baciandogli una spalla.
“Nel bagno del ristorante…” aggiunse con tono roco, sospirando contro la sua pelle.
“Sì, beh…” Kei tossì scenicamente. “Io non lo volevo dire…”
“Beh, ma è successo” lo provocò Hikaru, spingendo in avanti i fianchi, contro il suo sedere. “O forse non te lo ricordi?”
“Oh, no, no, me lo ricordo perfettamente!” gli rispose, voltandosi verso di lui e posandogli le mani sulle spalle. “Però… però, adesso è ora di dormire!”
“Scherzi, vero?”
“No, affatto, sono stanco. Se fai da bravo posso concederti un incentivo per rilassarti, ma…” sollevò l’indice davanti a lui, rimproverandolo. “Non farò sesso con te!” lo redarguì, uscendo insieme dalla stanza. “A lavarti i denti adesso, su su!” lo spronò, spingendolo per le spalle, bisbigliando a bassa voce. “E poi non siamo soli in casa adesso!” appuntò, indicando la camera del coinquilino, notando che da sotto la porta proveniva la luce.
“Beh, non sarebbe la prima volta!”
“Hikka!” lo ammonì Kei, cercando di non farsi sentire, spingendolo dentro al bagno.
“Non capisco perché ti vergogni! E poi lui e Daiki fanno sempre sesso…”
“Hikka, è tuo fratello e quello è il mio migliore amico!”
“Ma tanto anche questo è vero!”
Kei sollevò gli occhi al cielo e sorrise, incentivando l’altro a prepararsi e accostando poi l’orecchio alla porta della stanza di Yamada. Bussò piano, aprendo l’uscio e facendo capolino, sbirciando dentro, non voleva disturbare nel caso fosse stato con Daiki, ma non vi erano rumori sospetti tanto da tenerlo alla larga. Inoltre, Ryosuke spesso si addormentava con la luce accesa e Kei diverse volte era entrato a spegnerla.
“Ryo?” lo chiamò piano, nel caso stesse riposando, ma lo trovò invece seduto sul letto con le spalle al muro. “Ryo-chan! Allora sei sveglio!” gli disse allegro, entrando in camera e avvicinandosi al letto sedendosi comodo sul materasso. “Spero non siamo stati noi a disturbarti, non ci siamo visti questo pomeriggio perché sei uscito prima di me. Hikka si ferma a dormire, siamo andati a mangiare fuori stasera, sai mi ha portato in un ristorante super bello, sono rimasto stupito io stesso per questo suo gusto e… Ryo?” si fermò, chiamandolo preoccupato quando vide l’altro passarsi il dorso della mano sugli occhi e poi cercare di sorridergli. “Yama-chan cos’hai?” domandò preoccupato, accarezzandogli il braccio.
“Niente, Kei” Yamada tossì, per schiarirsi la gola dal groppo di pianto che l’aveva chiusa e scosse il capo. “Va tutto bene!” mentì.
“Non è vero!” lo rimproverò Kei. “E poi guardati…” gli disse, avvicinandosi a lui, posandogli una mano sul collo con fare gentile e passandogli il pollice sotto l’occhio. “Sono tutti rossi” mormorò, sorridendogli dolcemente, attirandolo contro di sé.
Yamada si lasciò andare a quell’abbraccio confortante in modo un po’ egoista: sapeva che non avrebbe dovuto dare pensieri a Kei, ma in quel momento si sentiva talmente tanto triste e tanto giù che di quell’abbraccio aveva realmente bisogno e, come sempre, Kei era intervenuto nel momento giusto. Ricambiò la stretta, scostandosi lui per primo e sorridendo all’amico in modo un po’ più convinto.
“Grazie” mormorò e Inoo gli sorrise.
“Che è successo, Ryo?” chiese di nuovo il più grande e Yamada sospirò.
“Ho litigato con Daiki…”
“Litigato?” Kei si stupì per quella novità, non era mai successo che i due avessero avuto degli screzi.
“Sì, cioè non è stato proprio un litigio, abbiamo discusso su una questione e… lascia stare, davvero, non voglio rovinarti la serata.”
“Ma non lo fai, Ryo. Io sono preoccupato per te!”
“E non devi, altrimenti mi sento in colpa e… e sto già discretamente male così, non voglio che anche tu…”
“Ma non dirlo neanche per scherzo!” lo interruppe Kei, guardandolo con rimprovero. “Io sono qui per te. Se hai bisogno possiamo…”
“Lo so!” fu Yamada ora a fermare le sue parole, sorridendo. “Lo so, Kei-chan, e lo apprezzo, davvero, grazie, ma adesso ho bisogno di restare da solo” chiese, sperando che l’altro non fraintendesse le sue parole e non la prendesse a male.
“Va bene” annuì Kei dopo una breve pausa, alzandosi dal letto e posandogli un bacio sulla fronte. “A letto, allora!” gli disse, sollevandogli le coperte, aspettando che vi si infilasse e si stendesse.
“Cosa?” Yamada rise per quell’accortezza e Kei gli fece un gesto con la mano.
“Sotto, avanti! I bambini a quest’ora devono fare la nanna e poi lo sai che la pelle diventa più bella dopo delle riposanti ore di sonno!” lo incentivò, vedendolo coricarsi e rimboccandogli le coperte.
“Sì, vallo a dire a Hikaru come torni di là” lo prese in giro Yamada ridendo.
“Ah, l’ho già avvertito! Niente sesso stasera!” proclamò, senza peli sulla lingua.
“Kei!”
“Che c’è? Sei il mio migliore amico!” gli fece notare e Yamada si tirò il lenzuolo fin sotto al naso, guardandolo divertito.
“Sei pessimo…” lo rimproverò e Kei gli sorrise, senza offendersi.
“Spengo?” gli chiese, posando una mano sull’interruttore e Ryosuke annuì.
“Sì, grazie!”
“Buonanotte, Ryo” lo salutò piano Kei, aprendo la porta.
“Buonanotte, Kei-chan!” ricambiò Yamada, lasciando che il sorriso che aveva rivolto all’amico scomparisse nel momento stesso in cui Inoo uscì dalla sua camera, richiudendosi la porta alle spalle.

*

Il telefono che vibrava sopra il comodino svegliò Yamada, il cui sonno era già di per sé frammentato, costringendolo ad aprire per l’ennesima volta gli occhi a distanza di poche ore: non aveva riposato affatto bene, tormentato dal pensiero della discussione avuta con il fidanzato, passando da stati di sonno intenso ad attimi in cui gli rivenivano in mente le parole che si erano scambiati facendogli venire da piangere.
Sapeva che la sua reazione alla proposta di Daiki era stata esagerata. Sapeva che non era una cosa definitiva e che avrebbero di certo trovato un modo per vedersi in quei mesi: Kei e Hikaru c’erano passati prima di loro, sapeva che la cosa era fattibile, ma Yamada sapeva anche bene cosa si provava. Aveva visto Kei, aveva visto quanto per l’altro fosse stato difficile, ma soprattutto, Yamada si conosceva fin troppo bene e sapeva quanto per lui fosse importante la sua storia con Daiki. Quanto fosse ormai diventato quasi dipendente da lui, non passava giorno che non si vedessero anche fosse solo per dieci minuti dopo cena per darsi personalmente la buonanotte, incontrandosi nel pianerottolo e non riusciva a pensare a dover passare così tanti mesi lontano da lui.
Ne aveva passate tre di settimane in uno stato quasi catatonico, tanto che Kei molte volte l’aveva rimproverato perché reagisse e Yamada alla fine aveva preso tutto come fosse un gioco, perché tanto sapeva che Daiki sarebbe presto tornato a casa, era stato difficile, ma non impossibile.
Invece, in quel momento tutto gli sembrava così insormontabile che aveva paura: non voleva stare di nuovo così male.
Inoltre, sapeva anche che farsi vedere in quel modo da Daiki, non parlargli, far finta che tutto andasse bene e farlo sentire in colpa come se lo volesse abbandonare, non era giusto.
All’arrivo di una terza mail, Yamada si decise a prendere in mano il telefono e controllare le notifiche, ben cosciente di chi fosse il mittente.
Tutti e tre i messaggi erano di Daiki: Yamada li lesse velocemente, ma non gli rispose, si alzò dal letto, cercando di apparire lucido e rilesse l’ultimo, dove il fidanzato gli diceva che per questioni di università era dovuto andare in facoltà a sistemare dei documenti per il tirocinio che aveva fatto e che sperava di potergli parlare personalmente quella sera, quando sarebbe rientrato in casa.
Ryosuke sospirò, decidendo che ci avrebbe pensato poi a rispondergli: di certo non poteva scappare ancora, non poteva far finta che un problema non ci fosse e non poteva pretendere che lo risolvessero ognuno per conto proprio.
Doveva essere forte e farsi coraggio, dirgli di andare e fare in modo che non si preoccupasse per lui.
Si alzò dal letto e andò in cucina a fare colazione, nonostante tutto non aveva perso l’appetito e l’ultima cosa che gli ci voleva in quel momento era che si lasciasse andare totalmente per una cosa del genere.
Era una questione importante, lo sapeva, razionalmente si rendeva conto che il suo modo di comportarsi era eccessivo, ma il cuore faceva veramente male a quella prospettiva che non poteva fare altrimenti.
Preparò qualcosa da mangiare e si sedette a tavola, sentendo poco dopo la porta della cucina aprirsi e Hikaru entrare e sorridergli.
“Buongiorno!” lo salutò allegro il più grande.
“’giorno” rispose Yamada, aspettando che Kei entrasse dopo di lui, ma senza vederlo.
Hiakru si accorse della sua perplessità e spiegò, precedendo la domanda: “Se cerchi Kei sta ancora dormendo, ho intenzione di svegliarlo in modo molto romantico oggi!” gli partecipò e il più piccolo lo vide iniziare a trafficare in cucina.
“Per fortuna è una bella giornata, ho intenzione di portare Kei fuori stamattina per festeggiare il nostro anniversario! Siamo usciti anche ieri, ma volevo fare qualcos’altro” spiegò, raccontandogli i propri programmi, mentre sistemava su un vassoio dei biscotti e due tazze.
Yamada si alzò per aiutarlo ad aprire la porta della camera di Kei e dopo che Hikaru l’ebbe ringraziato, la richiuse discretamente, tornando in cucina, finendo di mangiare prima di sparecchiare.
Dal momento che sarebbe stato tutto il giorno da solo lasciò le stoviglie sporche nel lavello e tornò in camera: non voleva incontrare Kei quella mattina, non per cattiveria, ma perché conosceva l’amico e non voleva che vedendolo restasse in pensiero per lui e precludesse a sé e Hikaru di passare il loro anniversario serenamente. Si conosceva abbastanza da sapere che non sarebbe riuscito a fingere di stare meglio se Kei l’avesse guardato negli occhi: era stato già difficile tacergli tutto la sera precedente, voleva parlare con Kei, voleva confidarsi, voleva sfogarsi e voleva che il ragazzo lo consigliasse, ma non era giusto caricarlo dei propri problemi quando Hikaru aveva altri programmi per loro.
Vide bene di trattenersi in camera anche quando li sentì prepararsi e poi uscire, sentendo Kei alzare la voce in un saluto, avvisandolo in quel modo di essere solo in casa e sorrise: a suo modo, Kei sapeva sempre come raggiungere il suo cuore ed estorcergli un sorriso.
Prese di nuovo il cellulare, rileggendo per l’ennesima volta i messaggi di Daiki, decidendosi a rispondergli, assicurandogli di stare bene e che non si preoccupasse per lui, che la sera avrebbero parlato, rimandando a più tardi la decisione su quando si sarebbero visti.
Non fece in tempo a posare il telefono sul letto che questo vibrò, avvisandolo di una chiamata in arrivo, e Yamada non riuscì a buttare giù. Rispose, aprendo la conversazione, sedendosi sul materasso: “Pronto?”
“Ryo? Buongiorno…” lo salutò Daiki con un tono di voce sorpreso come se non si aspettasse che l’altro avrebbe risposto.
“Buongiorno…”
“Ti ho disturbato?” chiese il più grande con il fiato corto, segno che stava camminando svelto.
“No, non preoccuparti… dove sei?” gli chiese Yamada, incrociando le gambe sul letto.
“Sto andando all’ufficio per il lavoro, non sapevo che mi servisse un foglio che hanno loro e non possono timbrarmi nulla in facoltà senza di quello” spiegò, scuotendo poi la testa, come se quel dettaglio non fosse importante. “Mi fa piacere che abbia risposto… io non pensavo, cioè… avevo voglia di sentire la tua voce” ammise, stringendo bene il telefono contro l’orecchio, come se in quel modo il respiro lento di Yamada dall’altra parte potesse sfiorarlo.
“Anche io…” ammise il più piccolo, distendendosi di schiena sul letto, socchiudendo gli occhi.
Daiki sorrise, fermandosi al semaforo: “Ci vediamo stasera?” chiese per avere conferma, come se la precedente mail dell’altro non fosse stata sufficiente.
“Sì…”
“Ok… Chibi?” lo chiamò poi, mentre riprendeva a camminare. “Non volevo litigare con te, amore” aggiunse, sperando che l’altro gli credesse e che non si innervosisse, non gli piaceva parlarne così per telefono, ma sentiva di doverglielo dire. “Mi dispiace” concluse, fermandosi davanti al palazzo.
“Anche a me, Daiki” rispose piano Ryosuke.
“A più tardi, allora” lo salutò il più grande. “Ora devo andare” si scusò.
“A dopo” mormorò solamente Yamada, rimettendo giù e restando a guardare il telefono che si spegneva, voltandosi poi di lato e piegando il braccio usandolo poi come cuscino: sentiva il cuore che batteva veloce nel petto, non gli piaceva la sensazione che gli era rimasta dopo la sera precedente, come si era sentito e non gli piaceva sentirsi così dipendente da Daiki che solo il sentirlo per telefono, solo parlare con lui pochi minuti avrebbe potuto cambiare il senso della sua giornata. Si sentiva in qualche modo più leggero dopo avergli parlato, sentire la sua voce era ciò di cui il suo animo aveva bisogno, era sempre triste, perché sapeva che ciò di cui avrebbero discusso più tardi non l’avrebbe risollevato, ma era meglio essere lontani ma in pace l’uno con l’altro che non in quel modo. Non voleva più litigare con Daiki, non voleva più sentirlo distante come la sera precedente, soprattutto non avrebbe più permesso a se stesso, con il proprio comportamento, di sentirsi a quel modo.
Avrebbe preso quella nuova situazione tra loro come una sfida, come una tappa che avrebbe reso il loro rapporto ancora più forte. In fondo, nove mesi cosa erano? Sarebbero passati veloci, aveva detto Daiki e lui gli credeva, aveva fiducia in lui.
E allora, anche se sapeva che quel cambiamento non sarebbe stato definitivo, perché non si sentiva comunque più leggero?

*

Un delicato bussare alla porta svegliò Ryosuke che era crollato addormentato sul letto.
“Avanti!” disse, stropicciandosi un occhio con la mano e mettendosi a sedere. “Kei…” salutò il coinquilino, infilandosi le pantofole. “Sei già tornato?” gli chiese.
“Yama-chan! Sì, sono appena tornato!” spiegò Inoo, accostando la porta e sedendosi accanto a lui, posandogli la mano sulla coscia. “Tu, piuttosto, hai passato tutto il giorno a sonnecchiare?” lo prese in giro scherzosamente e Yamada lo guardò ancora un po’ insonnolito. “No, sei serio?” gli domandò Kei, aprendo la bocca con fare sconcertato.
“Non lo so, devo essermi addormentato verso metà mattina, non ho riposato molto stanotte e…” un gorgoglio di richiesta di attenzione da parte del suo stomaco lo fece fermare e Yamada si portò una mano sulla pancia, sorridendo imbarazzato. “Mi sono anche scordato di pranzare” ammise.
“Oh, allora la cosa è molto grave, Ryo-chan!” scherzò Kei, prendendo la busta che aveva portato con sé e posato sul letto. “Meno male che ci sono io che ti penso. Ti ho portato questi” tolse dall’involucro una confezione e Yamada l’aprì con occhi felici. “Sono dei dolcetti, ho pensato che ti avrebbero risollevato il morale” gli disse, mentre l’altro iniziava a mangiare.
“Hai fatto proprio bene, grazie! Sono buonissimi!” apprezzò Ryosuke.
“Sono contento!” sorrise Kei, osservandolo mangiare. “Stanno funzionando allora” commentò, prima di fermarsi a guardarlo e poi domandare. “Va meglio?”
Yamada prese un altro dolcino e si fermò prima di dare un morso, stringendosi nelle spalle.
“Così…” disse vago, riprendendo a mangiare.
“Vuoi dirmi cosa è successo?” chiese Kei, sapendo che poteva permettersi di essere così diretto con lui.
“Ma…” Yamada guardò verso la porta in attesa e Kei sorrise.
“Hikaru è tornato a casa. Volevo stare da solo con te!”
“Oh, mi dispiace, Kei, io…”
“Ah, smettila. Non dirlo neanche e poi siamo stati insieme abbastanza io e lui. Insomma, non può pretendere di avere il monopolio su di me, no?” finse altezzosità, guardandosi con fare disinteressato le unghie. “E poi è bene che io mi lasci desiderare!” disse guardando il più piccolo con la coda dell’occhio e sbilanciandosi, facendo scontrare le loro spalle. “Allora, chibi!” lo incitò e Yamada lo guardò sorpreso per il modo in cui l’aveva appellato.
“Scusa… Daiki ti ci chiama sempre e volevo provare come suonava. È carino!” disse.
“Mi piace di più quando mi ci chiama Dai-chan” dovette ammettere Yamada e Inoo sorrise.
“Oh, beh non lo metto in dubbio” annuì, guardandolo con fare interrogativo. “Quindi è ancora il tuo Dai-chan?” gli chiese e Yamada chinò il capo, posando da parte la scatola con i dolci.
“Sì… noi non… non è successo niente di che, davvero, solo che…” prese un respiro più profondo degli altri, spiegando all’amico la situazione. “Hanno offerto a Daiki di continuare a lavorare presso l’azienda dove ha fatto il tirocinio con tanto di stipendio” iniziò.
“Oh, ma è una bellissima notizia per lui!” si lasciò scappare Kei oltremodo entusiasta per quella novità.
“Per nove mesi. A Kyoto” aggiunse poi Yamada, vedendo l’espressione sul volto del più grande farsi improvvisamente comprensiva.
“Oh, Ryo…” gli disse.
“Sto bene. Sto bene, Kei, davvero!” ci tenne a precisare subito. “Solo che… quando ieri me l’ha detto non ho reagito molto bene e abbiamo finito per discutere” spiegò.
Kei stette in silenzio, sicuro che l’altro avesse ancora qualcosa da dire, lasciando che si sfogasse, esprimendo tutto quello che gli era passato per la testa in quelle ore.
“Il fatto è che era appena tornato e mi era mancato tantissimo. Lo so che non è giusto che lo venga a dire a te perché ci sei passato prima di me e lo so che puoi capire come mi sento, ma io non me lo aspettavo. Sono contento per lui. Lo so che questa è un’occasione splendida e sono orgoglioso che sia stato richiamato, ma ho paura. Ho paura di non farcela. Tu mi hai visto, sono stato male per tre settimane, è stata dura non vederlo e io non lo so…” scosse il capo, sfumando sulle parole, come se si fosse accorto che qualsiasi cosa avesse detto, qualsiasi parere avesse espresso non sarebbe servito a nulla, non avrebbe cambiato le cose.
“Kyoto, Kei, capisci? Nove mesi…” realizzò, passandosi una mano tra i capelli.
Kei si morse un labbro, guardandolo con fare comprensivo, sapeva bene come l’altro si sentisse, l’aveva vissuto per troppo tempo sulla propria pelle, sentire la mancanza di qualcuno come se ti mancasse l’aria era una sensazione che non avrebbe augurato a nessuno, men che meno a Ryosuke.
“Io lo so, lo so, davvero” specificò ancora il più piccolo. “Lui deve andare, non gli chiederei mai di rinunciare per me, ma se solo ci penso sto male. Io vorrei poter stare sempre con lui, io non so se dipenda dal fatto che stiamo da relativamente poco insieme, ma non mi ero mai sentito così come mi sento ora. Mi manca. A volte stiamo separati solo per delle ore e mi manca incredibilmente, ma so che è qui, so che c’è sempre, capisci?” continuò a parlare, seguendo a quel punto un filo logico di pensieri tutto suo e Inoo lo lasciò sfogare, ascoltandolo. “A volte mi dico che esagero, che non è normale sentire tutto questo bisogno di qualcuno, ma io non vedo la mia vita senza Daiki. Non riesco a vedere, pensare, a fantasticare su un futuro senza di lui. E questa cosa che gli è capitata potrebbe essere un passo avanti che ci avvicina a qualcosa di più” spiegò, sollevando il volto verso Kei e guardandolo. “Io voglio crearmi una famiglia con Daiki, voglio un futuro con lui, Kei, ma forse non sono abbastanza maturo da fare dei sacrifici per ottenere quello che voglio” ammise, fermandosi, aspettando che Kei parlasse.
Inoo di contro era rimasto sorpreso dalle parole del più piccolo, non aveva idea che Ryosuke avesse fatto tutti questi progetti; lui, superficialmente, aveva sempre pensato alla loro storia come ovviamente qualcosa di importante: per lui Ryosuke e Daiki si erano trovati, si completavano, erano perfetti per stare l’uno con l’altro, ma non si era mai fermato a pensare a quanto, invece, quella stessa relazione, vissuta dai protagonisti potesse essere sentita.
“Daiki lo sa questo, Ryo?” gli chiese semplicemente.
Il più piccolo scosse il capo lentamente: “No… io non gliene ho mai parlato, io non voglio affrettare le cose. Non so cosa pensi Daiki e…”
“Ryo!” lo interruppe Kei, sorridendogli, prendendogli una mano. “Dovresti parlargli, sono sicuro che a lui non possono che far piacere questi tuoi pensieri e non ne sarà spaventato. Anzi. Quello che mi hai appena detto è una cosa bellissima, Ryosuke, questo è amore” gli disse e Yamada arrossì appena. “E ti dico anche che è assolutamente normale avere paura, essere spaventati ed essere egoisti, perché quando hai tutta questa felicità, quando ti senti bene, bene veramente, hai paura che possa sempre succedere qualcosa e che ti venga tolta. Ma non accadrà, Ryo, non accadrà a te e Daiki” espose.
“Grazie” mormorò Yamada, abbassando lo sguardo.
Poi lo guardò da sotto in su e chiese: “Kei, posso dirti una cosa?”
“Certo!”
“Una cosa che non posso dire a Dai-chan” precisò. “Ma ho bisogno di essere egoista in questo momento, solo ora” chiese, guardandolo negli occhi e Inoo annuì, avvicinandosi a lui, abbracciandolo, capendo forse di cosa l’altro avesse bisogno e sentendo il più piccolo stringerlo a sua volta. “Non voglio che se ne vada” mormorò, nascondendo il volto contro il collo di Kei, il quale sorrise, accarezzandogli la schiena.
“Lo so, piccolo, lo so” lo tranquillizzò con voce dolce.
Restarono abbracciati in quel modo ancora per un po’, prima che il campanello suonasse e li interrompesse.
“È Daiki…” spiegò Ryosuke e Kei sorrise, alzandosi dal letto.
“Sai, penso che andrò a trovare il mio fidanzato!”
“Kei, no! Non devi uscire fuori casa!” tentò di fermarlo Yamada, mentre lo seguiva per andare ad aprire, vendendo Kei prendere le chiavi.
“Non mi porto il telefono!” continuò Kei, imperterrito.
“No, Kei!” lo trattenne Yamada, ma l’altro aveva già aperto la porta.
“Daiki” lo salutò Inoo con tono fermo e sul viso una maschera imperscrutabile.
“Kei…” rispose l’altro con tono incerto, leggermente inquietato da quello sguardo, capendone poi il motivo quando vide Yamada alle spalle di Inoo e sorridendo interiormente.
“Ti tengo d’occhio!” lo ammonì il più grande, indicandosi gli occhi con due dita e poi puntando indice e medio verso di lui.
Daiki annuì, scostandosi dall’uscio permettendo all’altro di sorpassarlo, entrando a sua volta in casa, chiudendosi la porta alle spalle.
“Ciao Ryo” salutò il fidanzato, una volta rimasti soli e questi mosse un passo in avanti.
“Ciao… mi dispiace per Kei, non dargli retta…”
“Non importa, fa’ bene” annuì con la testa, avvicinandosi al fidanzato, allungando le braccia per stringerle attorno alla sua vita, posandogli un bacio sulla fronte.
Ryosuke chiuse gli occhi, sentendo il calore e la dolcezza di quelle labbra sulla propria pelle, intrecciando le dita con quelle del più grande quando Daiki gliele strinse: abbassò lo sguardo per guardarlo negli occhi e sollevò una mano, accarezzando con i polpastrelli la mascella del più grande, avvicinandosi a lui per sfiorargli le labbra, schiudendo la bocca, cercandolo in un bacio più importante.
Daiki stesso ne aveva bisogno di quel contatto: era stato male in quelle ore, la sera prima si era rimproverato non sapeva più quante volte per aver lasciato che Ryosuke se ne andasse a quel modo. Avrebbe dovuto aspettare a parlargli forse, in fondo non si vedevano da tempo e voleva stare con lui, eppure non si sentiva tranquillo a tacergli quell’importante novità che lui sapeva da qualche giorno ormai, ma aveva preferito aspettare per parlargli di persona. Non voleva prendere una decisione da solo e parlarne con lui al telefono.
Daiki lo strinse contro di sé, cercando la sua lingua con dolce urgenza, sentendo il più piccolo ricambiare e sospirare, mentre muoveva le labbra sulle sue e le suggeva delicatamente. Quando si separarono, Ryosuke chinò lo sguardo, passandosi la lingua sulle labbra, imbarazzandosi quando sollevò appena gli occhi verso quelli di Daiki e lo vide che gli sorrideva.
“Vieni…” gli disse, prendendolo per mano tornando nella sua camera e sedendosi sul letto, imitato dal fidanzato.
“Hai fatto merenda?” domandò il più grande notando la scatola dei dolci aperta sul materasso, prendendone uno.
“Sì, me li ha portati Kei” spiegò. “Sono buoni, vero?” gli chiese e Daiki annuì, richiudendo poi la scatola, sistemandola sul comodino, guardando il fidanzato.
“Ryo…” esordì, ma Yamada lo interruppe, precedendolo.
“Daiki, mi dispiace…”
“No, Ryosuke, è a me che dispiace.”
Yamada scosse il capo, prendendogli le mani, intrecciando le dita con le sue, riprendendo a parlare: “No, sono stato esagerato e non dovevo andarmene, non dovevo sentirmi offeso, ma è che non me l’aspettavo. Io sono davvero felice che tu abbia avuto questa occasione, ma mi sono spaventato io non voglio perderti, Daiki” disse, guardandolo negli occhi.
Il fidanzato sorrise, attirandolo contro di sé e poggiando la fronte contro la sua, accarezzandogli la guancia: “Infatti non era mia intenzione andare da nessuna parte senza di te, chibi” lo rassicurò.
“Ma tu devi andare a Kyoto, Daiki. Io ce la farò. Hai detto bene questi mesi passeranno in fretta e io posso…”
“Ehi, Ryo!” lo interruppe Daiki, posandogli una mano sulla guancia. “Amore, perché parli al singolare? Perché pensi che solo tu debba sacrificare qualcosa?”
“Non è questo, non intendevo in questo senso, io lo so che anche tu...”
“E allora? Io ti amo, Ryo e vorrei passare davvero ogni secondo della mia giornata insieme a te” confessò. “Mi manchi tantissimo quando non stiamo insieme, Ryo. Non voglio che pensi che io non tenga a te solo perché già da adesso penso al nostro futuro.”
Nel sentirgli pronunciare quella frase, Ryosuke rimase spiazzato.
“Il nostro futuro?” ripeté, con il cuore che gli batteva veloce nel petto.
“Sì, Ryo” annuì Daiki, sorridendogli. “Io ho intenzione di creare per noi un domani e voglio finire presto gli studi, voglio avere presto una mia indipendenza per iniziare immediatamente una vita insieme e mi sto impegnando molto per riuscirci nel minor tempo possibile” rivelò. “Non passa giorno che io non mi svegli con questo desiderio sempre più forte dentro di me e se non te ne ho mai parlato è perché aspettavo il momento giusto. Aspettavo il momento opportuno, perché so che può spaventare come cosa, siamo giovani, abbiamo poco più di vent’anni eppure…”
Daiki non riuscì a concludere perché Ryosuke si lanciò letteralmente verso di lui, cingendogli il collo e posando le labbra sulle sue, sbilanciandolo sul materasso.
“Ryo!” esclamò Daiki, quando il più piccolo si separò da lui, guardandolo con occhi finalmente sereni.
“Daiki, ti amo! Davvero, ti amo!” ripeté, sottolineando il concetto e sollevandosi da sopra di lui, permettendo al fidanzato di tornare seduto, attirandolo in avanti, intrappolandogli le gambe contro il proprio torace.
“Anche io ti amo, Ryo” sorrise.
“Non avevo capito proprio niente” ammise Ryosuke. “Credevo di essere l’unico ad aver fatto dei progetti e invece anche tu ci hai pensato e la cosa buffa è che anche tu hai avuto le mie stesse paure, le mie stesse incertezze e… Ti amo, ti amo, Daiki!” riuscì solo a dirgli di nuovo, abbracciandolo.
Daiki sollevò una mano, accarezzandogli il volto e i capelli e poggiando le braccia sulle sue spalle, intrecciando le mani dietro la nuca.
“Ricordi quei documenti che dovevo consegnare oggi?” gli domandò, allargando le gambe e incastrandole con quelle del più piccolo. Yamada annuì e Daiki continuò a parlare. “Mi sono informato se fosse possibile fare una sorta di trasferimento per lavorare qui…” spiegò.
Yamada spalancò gli occhi a quella notizia inclinando leggermente il capo, in attesa. “E cosa ti hanno detto?”
“Nulla ancora, dovevano valutare e decidere delle cose” fu sincero. “Non volevo metterti in agitazione, ieri, avrei dovuto avanzare prima questa proposta, ma…”
“Non importa, Dai-chan, hai fatto benissimo a parlarmene invece e anzi grazie. Lo so che non è giusto da parte mia chiederti una cosa del genere e metterti in difficoltà per questo.”
“Ma non lo fai, Ryo. Anche io sarei più felice se potessimo stare vicini, se potessi unire le due cose, quindi lo faccio per me. Anzi, no, lo faccio per noi” si corresse.
Yamada si tese a baciargli le labbra e poggiò la fronte contro quella di Daiki, parlando piano: “Sarebbe fantastico se fosse possibile, ma se anche non ti dessero il permesso, Daiki tu accetta questa opportunità, devi farlo, per noi” lo citò, arrossendo lievemente e sentendo il cuore decisamente più leggero dopo che avevano parlato e si erano chiariti.
Daiki lo strinse a sé, cercandogli le labbra, trascinandolo in un bacio profondo, lento, nel quale entrambi racchiudevano tutto ciò che provavano l’uno per l’altro.
Yamada gli accarezzò il collo con la mano, passandogli l’altra tra i capelli, spostando le gambe di lato, stendendosi sul letto e tirando su di sé il fidanzato, separandosi da lui solo per sospirare, tornando a baciarlo, lasciando che le mani scivolassero sulla sua schiena e le braccia, inarcando il busto quando quelle del fidanzato si infilarono sotto la maglia del pigiama.
“Daiki…” lo chiamò il più piccolo, sussurrando al suo orecchio e il ragazzo lo guardò, strofinando il naso contro il suo, sfiorandogli le labbra piano.
“Ryo, facciamo l’amore?” gli domandò con un intensità, un desiderio e una dolcezza tale che Yamada trattenne il fiato, incapace di rispondere, limitandosi ad annuire e stringerlo contro di sé, strusciandosi contro il corpo del fidanzato.
Il più grande rise, scendendo con le labbra a torturargli il collo, mentre le mani, intraprendenti, gli arrotolavano la maglia verso l’alto, fino a sfilarla, ma non permettendo che brividi di freddo gli accarezzassero la pelle, scendendo rapido con la bocca e con i palmi ad accarezzargli il torace e i fianchi, sentendo il più piccolo ansimare e agitarsi sotto di lui impaziente.
Daiki però non lo accontentò subito, anzi tergiversò, trattenendosi con le labbra sul suo stomaco, giocando con la lingua attorno all’ombelico mentre lentamente lo spogliava, portandogli via i pantaloni e la biancheria, lasciando poi che Ryosuke piegasse le gambe, allargandole, chiedendogli di dargli soddisfazione.
Il più piccolo premette le mani sulla testa del fidanzato, esortandolo a discendere su di lui, chinando il volto per guardarlo, non perdendosi una sola immagine di quelle labbra che, lasciata la sua pancia, scesero verso la sua erezione, seguendo le mani che iniziarono ad accarezzarlo, posandosi poi sulla punta, schiudendosi mentre scivolava sulla sua pelle tesa.
Yamada gemette, muovendo inconsciamente i fianchi in avanti e stringendo tra le dita i capelli del fidanzato, tirandolo e premendo ancora su di lui di modo che capisse come gli piaceva sentirlo ansimando pesantemente, cercando di trattenersi per impedire alle sensazioni di prendere il sopravvento.
“Daiki, Daiki, Daiki” lo chiamò con impazienza, cercando di allontanarlo da sé, scivolando indietro con il sedere, facendogli capire che voleva che si fermasse e Daiki obbedì: tenendo le labbra premute contro la sua pelle lo lasciò scivolare via da sé e si rialzò per guardarlo.
Yamada allargò le gambe, attirandolo contro di sé cercandolo d’urgenza per un bacio, privando entrambi del respiro.
Daiki si allontanò da lui il tempo necessario per spogliarsi e Yamada gli afferrò un polso, portandosi tre dita alle labbra, inumidendole, giocando con le falangi, lasciandovi scorrere la lingua su ciascuna per inumidirle, osservando Daiki che stringeva la mano sulla propria erezione, aumentando l’eccitazione. Lo lasciò andare, sistemandosi meglio sul materasso e Daiki si mise davanti a lui, portando le dita contro la sua apertura, forzandolo piano prima con una, poi aumentandone il numero, mentre con la mano libera gli accarezzava l’interno coscia facendo in modo che aprisse di più le gambe, portandosene poi una sulla spalla.
Yamada si volse leggermente di fianco per stare più comodo, mentre sentiva il numero delle dita dentro di lui aumentare, così come l’eccitazione, così come il sangue veloce scorreva nelle vene.
“Daiki” lo chiamò impaziente, spingendosi contro le sue dita e il più grande le sfilò da lui; gli sorrise, lasciando che posasse di nuovo la gamba sul materasso e si posizionò contro di lui con il proprio sesso, iniziando a spingere.
Ryosuke gli posò le mani sui polsi, accarezzandolo con le dita, andandogli incontro, cercando di escludere il dolore e il fastidio per quella intrusione, abituandosi ben presto a sentirlo dentro di sé, parte di sé, ben consapevole che quello che sarebbe poi seguito sarebbe stato bellissimo.
Daiki spingeva piano dentro di lui, volendo sentirlo, volendo gustare ogni attimo di quelle sensazioni, lasciando che si perdesse dentro quel calore familiare che lo faceva sentire incredibilmente bene.
“Ryosuke” lo chiamò, mentre entrava completamente in lui e Yamada strinse gli occhi, reclinando indietro la testa contro il cuscino, inarcandosi verso di lui.
“Daiki” mormorò di rimando, mai stanco di pronunciare quel nome, passandosi poi la lingua sulle labbra, mordendo quello inferiore e scrutando nello sguardo del compagno, muovendo i fianchi verso di lui impaziente.
Daiki lo capì e si mosse, adeguandosi ai suoi movimenti, ondeggiando piano il bacino, sfilandosi da lui e spingendo di nuovo, cercando di sfiorare il punto più nascosto in Ryosuke che sapeva avrebbe ben presto portato il più piccolo verso il massimo piacere. Infilò una mano tra i loro corpi, cercando la sua erezione, stringendola nel pugno, muovendo la mano dal basso verso l’alto, sentendo Yamada divincolarsi, diviso tra tutto quel piacere, e dopo poco venire nella sua stretta trattenendo un gemito che sfumò poi in un ansimo. Lo prese allora meglio sotto al sedere, puntandogli le unghie contro la pelle dei fianchi e muovendosi ancora dentro di lui, sfilandosi e penetrandolo con decisione, sentendo Yamada sollevarsi e cingergli il collo, sussurrando esausto tra gli ansimi il suo nome, eccitandolo come non mai, come solo lui era in grado di fare, spronandolo a muoversi ancora più veloce e a raggiungere a sua volta l’orgasmo.
Sfinito, Daiki lasciò andare Yamada che ricadde stremato sul materasso, puntando a sua volta le mani per reggersi e non gravare con il proprio peso sul corpo del compagno, riprendendo fiato, guardandolo da quella posizione, osservando il volto di Ryosuke rilassarsi, mentre il respiro piano piano tornava regolare e poi il più piccolo schiudere gli occhi e sorridergli.
“Ti amo” pronunciò Yamada, muovendo solo le labbra, sollevando una mano ad accarezzare il petto del più grande, posandola poi sul collo, muovendo le dita dietro la nuca, mentre gli chiedeva di abbassarsi su di lui.
Daiki si mosse, scivolando fuori dal suo corpo e poi chinandosi a baciarlo sulle labbra come desiderava, schiudendo piano la bocca giocando con la sua lingua, sentendo poi Yamada ridere e scostarsi da lui.
“Dai-chan” lo riprese divertito, cercando di voltarsi su un fianco, incastrandosi meglio con le gambe tra quelle di Daiki, il quale lo abbracciò, baciandogli appena il collo.
“Ti amo, Ryosuke” mormorò il più grande, sistemandosi poi meglio il cuscino sotto la testa, sospirando stanco, sbadigliando. “Posso restare a dormire qui, stanotte?” gli chiese, accarezzandogli la schiena con fare pigro.
Yamada annuì, accoccolandosi contro di lui, ricercandone il calore.
“Non andartene, Daiki, resta con me” mormorò, rispondendo alla sua domanda e non solo.
Il più grande lo comprese e sorrise, baciandogli la fronte augurandogli la buonanotte.
“Non vado da nessuna parte, te l’ho detto, chibi. Non vado da nessuna parte senza di te, amore mio.”

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