Titolo: Kore ijiou wa chikazukenai (Non possiamo avvicinarci più dicosì) [TORN - Ohkura Tadayoshi&Ryo Nishikido-]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggio: Yaotome Hikaru, Inoo Kei, Yabu Kota, Arioka Daiki, Yamada Ryosuke.
Pairing: Hikanoo; Inoobu; Ariyama
Rating/Genere: nc-17/AU, erotico, angst
Avvertimenti: slash
Wordcount: 8.566
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la comunity
think_angst per il set AU con il prompt “Medical!AU” e per la community
10disneyfic per il set Mix con il prompt “Immagino che dovremo dirci addio” e per la
500themes_ita con il prompt ‘spirito spezzato’.
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
AUTabella:
Set MixTabella:
500themes “Pronto?”
“Kei-chan!”
“Kota!”
Inoo sorrise ampiamente sentendo al telefono la voce del fidanzato, il quale rise appena.
“Come mai sembri sorpreso di sentirmi? Aspettavi la chiamata di qualcun altro?” chiese divertito.
Inoo usò un tono di voce quasi casuale: “In realtà sì e non posso stare molto al telefono, sai, sto aspettando che mi telefoni il mio ragazzo” disse vago.
Yabu sollevò le sopraciglia.
“Oh, perché? Stai ancora con quello là? Io sono molto più bello, lo sai!” gli disse con fare malizioso.
Kei si posò un dito sul mento, pensandoci un momento su, scuotendo poi il capo.
“Naa, non penso. È troppo poco per convincermi e sto per riattaccare, sai, lui è un tipo molto geloso e non vorrei che potesse trovare occupato e si preoccupasse, ciao!” fece per liquidarlo, sentendo l’altro richiamarlo.
“Ah, va bene, se proprio devi andare, perché io avevo una cosa importante da dirti…”
Kei si incuriosì immediatamente.
“Cosa?” chiese di fretta.
La risata di Yabu lo fece arrossire; odiava quando faceva così, non riusciva mai a spuntarla con lui.
“Sei bellissimo, Kei-chan!” gli disse l’altro, con tono dolce.
“Ko” si lamentò il più piccolo, attorcigliandosi il filo del telefono su un dito.
“Va bene, va bene… mi hanno dato libero il pomeriggio a lavoro, domani, pensavo di venire a trovarti, così pranziamo insieme e poi riparto nel primo pomeriggio” propose.
Kei sorrise maggiormente.
“Wa! Che bello, Ko! Davvero?” esclamò e se avesse potuto avrebbe saltellato, poi, però, si incupì un poco. “Ko, però…” iniziò e l’altro lo spronò a continuare.
“Ma?”
“Non posso ancora uscire…” gli ricordò.
Il più grande scosse il capo, guardando l’orologio.
“Non preoccuparti, Kei, compro del bento e lo mangiamo insieme, c’è un bel cortile nella struttura, no? Possiamo stare lì!”
Kei, anche se l’altro non lo poteva vedere, annuì.
“Hai ragione. L’importante è stare insieme, no?” chiese.
“Sì… non vedo l’ora di rivederti, Kei.”
“Anche io, Ko. Mi manchi…” ammise in un mormorio.
“Anche tu, tantissimo!” specificò l’altro, prima di proseguire. “Ora però devo andare. Ci vediamo domani. Ti amo, Kei!” lo salutò.
“Ti amo, anche io, Ko. A domani!” sorrise, rimettendo giù, sentendo il suono di interruzione della chiamata.
“Grazie!” disse alla segretaria allo sportello, tendendole il telefono e portando le mani sulle ruote, facendo manovra indietro con la sedia e spostandosi nel corridoio, per dirigersi nella palestra per fare la fisioterapia.
“Kei-chan!”
Un ragazzo che camminava nella direzione opposta alla sua, gli sorrise.
“Ryo-chan!” si avvicinò a lui Kei, spingendo con maggiore forza sulla sedia. “Hai già finito?” gli chiese.
Il più piccolo annuì, mostrandogli il braccio piegato, fasciato fino alla spalla.
“Oggi ho terminato questo ciclo e da adesso in poi inizierò l’idroterapia, Dai-chan mi sta aspettando in piscina!” gli spiegò.
Kei lo guardò con fare malizioso, sollevando un sopraciglio.
“Dai-chan?” mormorò, facendo immediatamente arrossire l’altro che iniziò a balbettare, tentando di spiegarsi e salvarsi così all’ultimo momento per essere stato poco accorto.
“A-Arioka-kun, ecco…”
“Oh, Arioka-kun… sì” ripeté, annuendo con il capo, incrociando le braccia al petto, sorridendo appena, mordendosi un labbro divertito, cercando di non scoppiare a ridere in faccia all’amico.
“Mi aiuta con la riabilitazione, dice che sono migliorato e si potrebbe provare questa nuova tecnica… per sai, per distendere i muscoli e magari poi la spalla e… e il braccio mi faranno meno male” spiegò.
“Oh, ma che solerte, vero?” domandò, spingendo la sedia in avanti e affiancandosi a Yamada.
“Ryo-chan?”
“Eh?” domandò il più piccolo, parlando con tono di voce che era di un ottava superiore al normale.
Kei sollevò il braccio, giungendo a sfiorargli la spalla anche stando seduto su quella sedia e ridacchiò.
“Lo so che ti piace e non intendo prenderti in giro per questo!” promise.
Yamada lo guardò e rilasciò un sospiro di sollievo.
“Si nota così tanto?”
Kei avvicinò tra loro indice e pollice della mano destra, mostrando a Ryosuke lo spazio lasciato tra i polpastrelli.
“Un pochino” disse. “Siete carini quando siete insieme!” continuò.
Yamada sorrise non molto convinto e scosse il capo.
“Guarda che dico sul serio!” si infervorò Inoo. “Secondo me hai delle possibilità. In fondo, da che ne sappiamo noi lui è single e, anche se lo stai pensando, non è gentile con tutti, per lo meno, non nel modo in cui è gentile con te!” sottolineò, per dare maggior rilievo alla propria tesi.
Yamada ridacchiò appena, per quanto avesse tanto voluto credergli aveva paura.
“Apprezzo lo sforzo Kei, ma non voglio farmi illusioni!” gli disse un po’ pessimista, avanzando di qualche passo. “Adesso devo andare davvero o farò tardi… ah, Hikka ti stava aspettando!”
“Uh, sì, corro!” gli disse, ridendo, fermandosi poi dietro di lui. “Yama-chan?” lo richiamò.
L’altro si volse restando in attesa, aspettando che parlasse.
“Abbi più fiducia, andrà tutto bene. Ci vediamo a cena!” lo salutò, sollevando una mano, vedendo un piccolo sorriso comparire sul volto dell’amico che annuì.
*
“Kei-chan, sei in ritardo!”
“Scusami, Hikaru! Ero al telefono e poi mi sono fermato a chiacchierare con Yama-chan in corridoio!” gli disse senza mentire, avvicinandosi al proprio fisioterapista che lo aspettava fermo vicino alle sbarre.
“Dai, iniziamo!” lo incentivò Hikaru, sorridendo, aiutandolo a sollevarsi, facendolo stendere supino sul tappetino di gomma.
“Allora, come ti senti oggi?” gli chiese, mentre gli piegava piano il ginocchio, attento agli eventuali cambiamenti di espressione sul volto del proprio paziente.
“Benissimo, Hikaru! Domani Kota viene a trovarmi!” lo informò e l’altro sorrise.
“Davvero?”
“Sì!” Kei annuì, piegando appena il volto per riuscire a guardarlo in viso, data la strana posizione che aveva assunto, stringendo appena gli occhi.
“Rilassati, Kei!” gli spiegò, mentre lasciava passare una mano dal ginocchio alla coscia, piegandogliela un po’, prima di tornare a stenderla e procedere con gli stessi movimenti con l’altra gamba. Kei sospirò, cercando di distendere i muscoli del corpo e poi tornò a parlare.
“Sì! Gli hanno dato un permesso, così può venire dalla mattina, pranzeremo in giardino, faremo un pic-nic!” riassunse, guardandolo di nuovo e rimettendosi seduto, facendo qualche piegamento, tendendo le braccia in avanti fino a toccarsi le punte dei piedi per distendere la schiena, mentre Hikaru preparava la sedia.
“Sono contento, Kei!” disse Hikaru, avvicinandosi di nuovo a lui e prendendolo per le spalle, accomodandolo nella propria sedia a rotelle, avvicinandolo alla seconda struttura.
Fermò le ruote di modo che la carrozzina non slittasse, aiutandolo a sollevarsi.
“Ci sei? Tieniti bene!” gli disse, superandolo e mettendosi davanti a lui, a debita distanza, chiedendogli di provare a camminare.
“Se non hai molto da fare” iniziò Kei, avanzando lentamente, strascicando i piedi. “Mi piacerebbe presentartelo!” gli disse, scivolando in avanti anche con le mani sugli appositi appoggi.
“Volentieri, mi parli sempre tanto di lui!”
Kei annuì, fermandosi un momento a riprendere fiato.
“Stai bene?” si preoccupò Hikaru, accostandosi.
“Sì, sì, voglio riuscire ad arrivare fino alla fine oggi, domani vorrei che Kota vedesse i miei progressi!” gli spiegò, voltandosi per sorridergli e Hikaru annuì dopo qualche secondo.
“Va bene, io sono qui di fianco a te, se non ce la fai…”
“Sì, sì, mi fermo, lo faccio sempre, no?” gli sorrise. “Sei troppo apprensivo!” lo prese in giro.
“Mi preoccupo per te… sai che ci vuole del tempo. Non devi strafare.”
“Sì, sì, lo so, Hikka, tranquillo” lo rassicurò, avanzando ancora e superando il punto in cui solitamente si fermava.
“Ah, senti… cosa ne pensi di Arioka-kun?” buttò lì Kei, per riempire il silenzio ed evitare di pensare troppo a quello che faceva il proprio corpo, cercando di allontanare la tensione e il dolore.
Hikaru lo seguiva attento, osservandone la postura, sistemandogli le gambe per compiere il giusto movimento, tornando al suo fianco.
“È un buon collega, ci troviamo bene, perché?”
Kei rise, tenendosi con entrambe le mani a un'unica barra, fermandosi.
“Non in quel senso, intendevo come persona, come… ecco, come ragazzo!”
“Kei-chan!” lo riprese divertito Hikaru, portando la sedia alla fine del percorso, vedendo Kei riprendere a camminare, ormai gli mancava poco. “Domani viene a trovarti il tuo fidanzato e tu mi chiedi queste cose?”
Kei sollevò il volto, cercando gli occhi di Hikaru, sconvolto.
“Ma cosa hai capito? Non è per me è… è per un mio amico!” restò sul vago, giungendo alla fine e, chinandosi in avanti verso la sedia, sostenendosi ai braccioli.
“Ce l’ho fatta!” disse contento, con un po’ di fiatone.
Hikaru annuì, prendendolo per la vita e aiutandolo a voltarsi per farlo sedere.
“Bravissimo. Come ti senti? Fa male da qualche parte? Sei stanco?”
Kei scosse appena il capo.
“Sono stanco, lo devo ammettere, e mi tira un po’ qui” indicò il polpaccio, vedendo Hikaru accovacciarsi davanti a lui e sollevargli la gamba del pantalone della tuta, iniziando a premere leggermente con la mano e le dita.
“Sei un po’ rigido, ma è una cosa normale… non dovevo farti procedere di testa tua!” si rimproverò, scuotendo la testa.
Kei si chinò in avanti, arrivando alla sua altezza, prendendogli il volto con le mani, in modo che lo guardasse.
“È tutto apposto, Hikaru, davvero. Mi sento bene e non devi darti nessuna colpa!” lo volle rassicurare, guardandolo con un sorriso.
Hikaru sbatté le palpebre un paio di volte, prima di scostarsi da lui e risollevarsi, risistemandogli i pantaloni e i piedi sugli appositi sostegni, spingendo poi la sedia verso i bagni della palestra; lo aiutò a sedersi sui gradini di marmo, accanto alla vasca, dove Kei si sarebbe potuto lavare, voltandosi quando questi iniziò a spogliarsi, tornando a parlargli solo quando lo sentì coprirsi le gambe con l’asciugamano e Kei rise.
“Che c’è?” gli disse, guardandolo confuso.
“Non capisco… sei divertente Hikka, lo fai sempre!”
“Cosa?”
“Ti volti quando mi devo cambiare… siamo entrambi maschi, non mi da fastidio, sai?” gli disse con fare ovvio, ma Hikaru non rispose.
“E questo tuo amico…” riprese, invece, il discorso lasciato in sospeso poco prima. “Mi dicevi… è interessato a Dai-chan e vuole che tu gli faccia la piazza?” chiese.
“Eh? No, no, Yama-chan non… ah!” si morse il labbro inferiore, portandosi le mani alla bocca con fare colpevole, e dire che aveva promesso che avrebbe tenuto il segreto.
Hikaru rise.
“Ti prego, non dirglielo! Non dirgli che te l’ho detto, mi è scappato, non l’ho fatto apposta e lui… ecco, lui non è molto sicuro, io volevo solo avere qualche informazione per fargli capire che non deve farsi problemi” iniziò a straparlare, fermato poi da Hikaru.
“Ehi, ehi, tranquillo, non dirò nulla a Ryosuke e poi l’avevo già capito da solo” ammise, ridendo dello sguardo che gli rivolse Kei. “Ma dai, è palese, lo guarda sempre con quel sorriso un po’ scemo e quando c’è Daiki ride molto spesso… è un modo per scaricare il nervosismo perché ha paura di venire scoperto, ma quello che ottiene è l’esatto opposto. È carino, comunque!” espose.
Kei annuì.
“È un bravo ragazzo. Pensi… pensi che abbia qualche possibilità?” lo interrogò Inoo, iniziando a lavarsi, lasciando scorrere l’acqua sulle spalle e massaggiandosi le braccia.
“Anche più di una, credimi!” affermò Hikaru.
“Eh? Dici sul serio?” si entusiasmò Kei, sporgendosi verso il bordo, prendendo Hikaru per un braccio.
“Sì, sì… ma adesso lasciami, sai, posso parlare con Daiki, se vuoi lo posso incentivare a confessarsi!” buttò lì.
“Davvero?” Kei ne fu ancora più entusiasta e l’espressione che fece divertì il più piccolo.
“Ti rallegri per poco!” rise. “Come i bambini!” gli disse, spingendogli la fronte con due dita, ridendo.
“Ehi!” sbuffò Kei, spingendo in avanti le labbra in un piccolo broncio e tirando improvvisamente Hikaru, con sé nella vasca, scoppiando poi a ridere.
“Ma sei pazzo?” lo riprese Yaotome, riemergendo, tirandosi indietro i capelli bagnati e allargando il camice. “Sono fradicio!” lo guardò con rimprovero, mentre sentiva Kei continuare a ridere e schizzarlo con le mani.
*
“Kota!”
Kei sollevò la mano, salutando il ragazzo che si avviava verso di lui lungo il sentiero.
“Più veloce, Hikka!” Kei si volse a guardare il suo accompagnatore che sorrise, aumentando il passo e spingendolo, lasciando che facesse da sé gli ultimi passi, spingendosi da solo con le mani.
“Kei-chan!”
Yabu lo accolse sorridendo ampiamente con tutto il viso, aumentando a sua volta l’andatura, sentendo poi Kei abbracciarlo in vita, poggiando il viso contro il suo petto.
“Mi sei mancato tantissimo! Non vedevo l’ora di rivederti, stanotte non ho dormito per l’emozione!” confessò come fosseun bambino che aspetta trepidante la mattina di Natale per aprire i regali.
“Anche tu mi sei mancato, Kei!” gli rispose a sua volta, chinandosi su di lui, baciandolo velocemente sulle labbra morbide.
“Come stai?” gli chiese Yabu e Kei annuì.
“Bene e benissimo adesso. Questo è per noi?” chiese, tendendo le mani verso il fagotto rivestito con un panno rosso.
Yabu annuì, mettendoglielo in grembo, sollevando poi lo sguardo verso Hikaru che li guardava stando un poco distante.
“Ah, Ko, vieni, ti voglio presentare una persona. Lui è Yaotome Hikaru, è il mio personal trainer, diciamo così, mi aiuta con la riabilitazione, siamo diventanti amici!” gli disse, prendendolo per mano, guardando poi Hikaru che si avvicinò ai due con un sorriso.
Si inchinò, tendendo poi la mano a Yabu.
“Piacere di conoscerti, il famoso Kota! Ho sentito tanto parlare di te!” gli disse, mentre prendeva il biglietto da visita che l’altro gli tendeva.
“Kei! Non ammorbare la gente parlando di me!” lo riprese affettuosamente Yabu.
“Se non posso parlare di te che sei il mio fidanzato, di cosa parlo? Qui è così noioso! Senza offesa, Hikka!” si rivolse all’infermiere che rise.
“Va bene, ragazzi, io vi lascio adesso, godetevi la giornata e, Kei, quando vuoi passare in palestra possiamo fare vedere a Yabu-kun i tuoi progressi!” gli disse, vedendo Inoo annuire. “Scusatemi!” si congedò, inchinandosi appena verso Yabu per salutare, sollevando una mano a fare un cenno a Kei.
Quando i due rimasero soli, Kei sollevò lo sguardo su Yabu, prendendogli di nuovo la mano nelle proprie.
“Vieni, ho chiesto se potevamo occupare uno spazio e mi hanno dato il permesso, c’è un grande albero dove mi fermo ogni tanto a leggere, si sta benissimo!” lo informò e il più grande annuì, spostandosi dietro di lui, spingendo la carrozzina, lasciandosi guidare da Kei che gli indicava dove dovesse svoltare e che sentiero seguire.
“Eccoci!” esultò Kei, quando intravide il proprio albero e Yabu fece passare la sedia sul prato, dopo aver chiesto conferma se non fosse vietato per loro camminarci.
“Non ti preoccupare!” lo tranquillizzò Kei, posando sull’erba il loro pranzo e quando Yabu si chinò davanti a lui per assicurare le ruote della sedia, prima che potesse rialzarsi, Inoo si sporse verso di lui, circondandogli il collo con le braccia e mandandolo disteso per terra, finendogli addosso.
“Kei!” si sorprese Yabu, venendosi però tacitato dall’altro che lo baciò sulle labbra.
“È tutto apposto, Ko, sto bene!” affermò, tornando a chinarsi su di lui, baciandolo con trasporto, sentendo le braccia del fidanzato, finalmente, stringerlo.
Si baciarono a lungo, Kei permise alla lingua di Yabu di esplorare la sua bocca e il più piccolo non fu da meno, lasciando che le proprie mani vagassero sul corpo del più grande senza meta; un gemito gli sfuggì dalla labbra e Yabu sentì contro la propria gamba l’erezione di Kei premere vogliosa. Si allontanò da lui, tenendogli ferma la testa, guardandolo negli occhi, divertito.
“Kei-chan, per così poco?” gli disse, vedendo l’altro tendersi verso di lui e guardarlo con desiderio.
“Ko, è da tanto tempo che nessuno mi tocca… mi sei mancato anche in questo senso” gli confessò con le guance leggermente rosse e il fiatone, tornando a baciarlo, lasciando scivolare una mano tra i loro corpi, verso le gambe di Yabu, il quale, però, lo fermò di nuovo, trattenendogli il polso.
“Kei… Kei-chan, aspetta” gli chiese, scostandosi da lui, cercando di mettersi seduto, riuscendo a poggiare appena le spalle al tronco dell’albero.
“Perché?” gli chiese il più piccolo, risollevandosi, per guardarlo.
“Non possiamo qui… e tu sei…”
“Sto bene! Sto bene” scandì, “se ti preoccupi per me, non farlo, Ko! Io… io ti voglio” gli disse, abbassandosi di nuovo su di lui, nascondendo la testa contro il suo collo, circondandolo con un braccio, aiutandosi in quel modo anche a tirarsi a sua volta a sedere accanto a lui.
Yabu gli prese le gambe, sistemandosele di traverso tra le proprie, accarezzandogli il ginocchio, lasciandola scivolare su una coscia, mentre con l’altra gli accarezzava il volto.
“Kei?”
“Non mi piaci quando fai così, Kota” esordì Kei.
“Mi dispiace, io… è che mi preoccupo per la tua salute” spiegò.
Kei non lo guardava in volto, gli prese il polso a sua volta, stringendogli le dita della mano, sollevando poi la testa, incontrando i suoi occhi.
“Pensi troppo, Ko. Sono tre mesi che non ci vediamo, tre mesi che… che io sono chiuso qua dentro senza vederti, accontentandomi di sentirti per telefono o qualche videochiamata. Dici che ti manco, ma non mi sembra che abbia così tanta voglia di stare con me” sbottò, cercando di non alzare tanto la voce, cercando di mantenere la calma, dopo tutti quei mesi di lontananza, l’ultima cosa che voleva era passare quelle poche ore a loro disposizione, a litigare.
Yabu ascoltò quel suo sfogo e lasciò scivolare la mano libera dietro la sua nuca, attirandolo verso di sé, baciandolo e per quanto Kei avrebbe voluto spostarsi, per fargli capire cosa si provasse a venire rifiutato e fare in modo che si rendesse conto che non poteva risolvere le cose in quel modo, non riusciva a farlo, perché di Yabu aveva bisogno anche e soprattutto in quel senso.
Ricambiò il bacio, sporgendosi verso di lui, infilandogli una mano sotto la camicia, cercando il calore della sua pelle, cercando di convincere l’altro a fare lo stesso con lui, spostandosi poi con le labbra a torturargli il collo. Sentì il più grande chiamarlo, cercare di fermarlo ancora, ma Kei non lo volle stare a sentire.
“Smettila di pensare Kota, lasciati andare… anche se è passato del tempo so ancora cosa ti piace” mormorò suadente, scendendo con la mano a slacciargli i pantaloni e infilando l’altra oltre la camicia, risalendo sul petto.
Yabu, a quelle attenzioni, non poté fare a meno di rilassarsi, in fondo, Kei non stava facendo niente che non avesse desiderato anche lui, per cui decise di lasciare da parte per un istante i propri sensi di colpa e di godersi il momento.
*
“Kei-chan?”
Kei sollevò lo sguardo dalla rivista che stava svogliatamente sfogliando senza comunque troppo interesse, riponendola sul proprio comodino, sistemandosi meglio contro i cuscini alle sue spalle.
“Ryo-chan! Ti serve una mano?” gli chiese, vedendolo chiudere la porta della loro stanza con il sedere, poiché aveva le braccia occupate.
Il più piccolo rise di quella domanda gentile, ma comunque impossibile da mettere in pratica e scosse il capo; Kei si rese conto dell’assurdità della cosa e ridacchiò a sua volta.
“Scusami, che scemo!” si rimproverò, vedendo l’altro avvicinarsi e, dopo aver poggiato la busta sul proprio letto, si accostò a quello del compagno più grande, tendendogli una lattina di tè e un pacchetto con dei mochi.
“Non sei venuto a cena stasera e mi sono preoccupato” gli disse Yamada, facendo perno con il braccio sano e salendo sul letto accanto a lui.
Kei aprì la confezione e si strinse nelle spalle.
“Non avevo molto appetito” spiegò, prendendo un dolcino e tagliandone un piccolo pezzo con le dita, portandolo poi alle labbra.
Ryosuke sorrise e annuì.
“Mh, me l’ha detto l’infermiera, ma ho pensato comunque che a stomaco vuoto non potessi andare a dormire e che un dolce non si rifiuta mai, fa bene all’umore” buttò lì, perché si era reso conto che il compagno di stanza non era al top e voleva fargli sapere che di qualsiasi cosa avesse bisogno poteva parlare con lui.
“Grazie!” sorrise Kei, prendendogli poi di mano la lattina che stava cercando di aprire usando il braccio infortunato come appoggio. “Faccio io” gli disse, stappando la linguetta d’alluminio, tendendogli poi la bevanda.
“Grazie!” rise Yamada, bevendo poi un sorso e continuando. “Certo che siamo proprio una bella accoppiata!” ironizzò e Kei concordò con lui.
“Sono buonissimi, grazie Ryo-chan!” ripeté di nuovo. “Mi ci voleva!”
Yamada annuì e ci fu un istante di silenzio in cui il più piccolo abbassò il capo, fissandosi le gambe, lasciandole oscillare nel vuoto, venendo poi richiamato dalla voce bassa di Kei.
“Ryo-chan, sono contento che siamo capitati nella stessa stanza. Mi trovo bene con te” confessò e Yamada sollevò su di lui uno sguardo confuso, non capiva il motivo di quella dichiarazione, ma non poté fare a meno di concordare con lui; si erano trovati bene sin da subito, erano entrambi persone discrete che non invadevano lo spazio altrui e, sebbene non avessero ancora avuto modo di parlare delle rispettive vite private per conoscersi meglio, Yamada credeva davvero che con Kei potesse nascere una vera amicizia.
“Scusami, ti sembrerà una cosa scema da dire così su due piedi!” gli disse Inoo, portandosi una mano alla fronte, ridacchiando e Yamada si affrettò a chiarire la propria reazione sporgendosi sul letto, piegando una gamba e sfiorandogli la spalla.
“No, no, io sono felice che la pensi così. Cioè l’ho pensato anche io. Stare qui dentro non è facile per nessuno e non è fortuna che hanno molti trovare qualcuno con cui condividere la stanza e andare subito d’accordo!” precisò, vedendo Kei sorridere e annuire lui stavolta.
“Come ti sei fatto male al braccio, Ryo-chan?” domandò il più grande, in effetti, da che si trovavano lì non avevano mai spiegato la loro presenza nell’istituto, inizialmente per educazione, poi perché, anche conoscendosi, era passato tutto in secondo piano.
“Se te lo dicessi ti metteresti a ridere e mi daresti anche dello stupido!” ironizzò Yamada, guardandosi la fasciatura al braccio, continuando poi. “Sono caduto dallo scooter! Lo so, lo so!” precedette qualsiasi commento dell’altro. “È stato uno stupido incidente, sono stato un idiota, volevo provare, credevo fosse come andare in bicicletta, ho convinto un mio amico a lasciarmi provare, mi ha spiegato tutto nei minimi dettagli, ma tra la prova teorica e quella pratica ce ne passa e, insomma, a dire il vero non so neanche io come ho fatto, ma la diagnosi è stata frattura della clavicola e il braccio rotto… insomma… ecco” arrossì, abbassando il capo.
Kei gli sorrise incoraggiante, posandogli la mano sulla testa.
“Però stai migliorando a vista d’occhio, no?”
Yamada sollevò di nuovo la testa e sorrise.
“Aah, sì, mi è andata bene nella sfortuna, la spalla è quasi apposto e il braccio sta pian piano guarendo, credo che tra qualche settimana mi faranno uscire. ‘Se farò il bravo’, così mi ha detto Daiki!” disse e nel pronunciare il nome del proprio infermiere arrossì.
Kei volle approfittare per introdurre quel nuovo argomento, ma Yamada lo comprese e lo precedette.
“La tua riabilitazione come sta andando?” si informò, posandogli una mano sulla coscia, da sopra il lenzuolo bianco.
Kei mosse le gambe, provando a sollevarle verso il proprio petto, scivolando con i piedi sul lenzuolo, come Hikaru gli aveva spiegato di fare qualora avesse voluto fare da sé qualche esercizio, ma non riuscì nel proprio intento, stendendole di nuovo, voltandosi e lasciandole penzolare, trovandosi seduto come Yamada.
“Direi bene, ieri sono riuscito a fare l’intero percorso, con un po’ di fatica. Oggi andava già meglio!” gli disse, guardandolo con la coda dell’occhio.
“Ah!” Yamada si mise dritto con la schiena, ricordandosi improvvisamente di una cosa; si sporse in avanti, scrutando il volto di Kei e sorridendo.
“Come è andata con il tuo fidanzato? Era oggi che doveva venire a trovarti, vero?” gli chiese. “Peccato, non ci siamo beccati, mi avrebbe fatto piacere conoscerlo!” si rammaricò della propria mancanza.
Kei scosse il capo.
“Mh, non preoccuparti. È dovuto andare via nel primo pomeriggio, aveva diverse ore di viaggio da affrontare.”
“Oh…”
Yamada si accorse che il volto dell’amico era tornato a farsi mogio e iniziava a comprendere per quale motivo Kei quella sera non si fosse unito a lui e tutti gli altri per la cena.
“Kei… non… non è andata bene?” tentò, non voleva sembrare indiscreto, né voleva farlo innervosire di più, ma era preoccupato per lui e sperava che Kei non fraintendesse quelle sue domande.
Il più grande tacque qualche istante, poi lo guardò, storcendo appena la bocca in un sorriso forzato.
“Non lo comprendo” disse e Yamada non domandò niente, voleva che Kei si sentisse libero di riordinare i propri pensieri e di sfogarsi se avesse voluto, senza pressione, senza sentirsi costretto. Inoo lasciò scivolare le mani lungo la coscia, fino al ginocchio per poi risalire.
“Si sente in colpa perché io sono qui…” rivelò senza guardarlo. “Stavamo rientrando a casa, eravamo andati a festeggiare insieme il nostro primo anniversario, quattro mesi fa. Non eravamo esattamente nel pieno delle nostre facoltà, avevamo bevuto un po’, ma ci siamo messi comunque in viaggio. Io ho insistito per voler guidare; Kota era contrario, ma non riesce a negarmi niente e quindi si è lasciato convincere” spiegò, guardando Yamada con un sorriso colpevole e l’altro attese ancora in silenzio che l’altro proseguisse il suo racconto.
“Stavamo cantando e io ero davvero su di giri, mi sono voltato quando ho sentito la sua mano tra i capelli e mi sono distratto un attimo. Non c’era nessuno sulla strada, non stavamo neanche andando così veloci, mi sono voltato per baciarlo e dal nulla è spuntato un camion che veniva dalla parte opposta. Kota se n’è accorto per primo, ha sterzato di colpo e non so, siamo usciti fuori strada. Devo aver perso i sensi, perché quando mi sono risvegliato ero all’ospedale con una fasciatura alla testa, qualche graffio sul volto e sulle mani e non riuscivo a muovere le gambe” terminò.
“Kei, mi dispiace…” fu l’unica cosa che Yamada riuscì a dire, prendendogli istintivamente la mano e il più grande lo guardò sorridendogli grato.
“Kota si sente in colpa. Dice che non doveva lasciarmi guidare e non mi doveva distrarre e che quello sulla sedia a rotelle sarebbe dovuto essere lui” riferì. “Non mi piace quando fa così. Io… io comprendo che lui sia preoccupato, ma ci hanno detto che potrò tornare a camminare, si tratta solo di stare lontani qualche mese. La fisioterapia non è tanto pesante o comunque lui non lo sa. Non voglio che si preoccupi più del necessario e certe cose le tengo per me, per cui non capisco dopo tutti questi mesi perché lui continui a fare così” si sfogò, amaramente.
“Oggi è successo qualcosa?” domandò Yamada, certo che dovesse esserci qualcosa che aveva fatto sì che l’incontro di quel giorno venisse rovinato.
Kei si strinse nelle spalle: “Ho chiesto a Hikaru se Kota potesse assistere agli esercizi, ma lui dopo avermi visto forzarmi tanto mi ha chiesto di fermarmi. Ho fatto molti progressi, io mi sento bene e lui…” scosse forte il capo, portandosi una mano davanti agli occhi e Yamada scese dal letto, sistemandosi davanti a lui, abbracciandolo come meglio poté, lasciando che si sfogasse.
“Scusami, Yama-chan” gli disse, quando si riprese un poco. “Non volevo farmi vedere così.”
Yamada scosse il capo e lo tranquillizzò, posandogli una mano sotto al mento, facendo in modo che lo guardasse.
“Ehi, va tutto bene. Sono felice che ti sia confidato con me… ti fa bene parlare dei tuoi problemi” gli disse, stringendogli una spalla. “Sappi che potrai sempre contare su di me!” lo rassicurò.
“Grazie, Ryo-chan!” annuì Kei, sorridendogli con più convinzione.
“Adesso andiamo a letto, è stata una giornata stancante per tutti e due!” propose Yamada, aiutando Kei, per quando poté, rimboccandogli le coperte, poi, mentre stava salendo sul proprio letto, la domanda di Kei arrivò inaspettata.
“Ryo-chan? Come è andata con Daiki?”
Il ragazzo ebbe un fremito e sebbene cercasse di dissimulare e avesse tentato di rifilargli una balla così su due piedi, non vi riuscì.
“Yamada Ryosuke” lo appellò Inoo in modo greve. “Io mi sono esposto con te, avanti, sputa il rospo! Sei troppo sospetto così!” gli disse, ridacchiando e Yamada dopo poco cedette.
“Daiki mi ha detto che gli piaccio!” buttò fuori e Kei si sollevò sui gomiti, guardandolo sorpreso.
“Ma è splendido Ryo-chan!” si entusiasmò. “Perché non me l’hai detto subito?”
“Sono scappato!” confessò.
Kei ricadde sul letto, rotolando poi sul fianco, guardandolo.
“Cosa? Perché?”
Yamada iniziò a gesticolare a disagio.
“Io non me l’aspettavo! Eravamo lì in acqua e stavamo facendo gli esercizi, poi abbiamo smesso e mentre mi stava aiutando a rimettermi il tutore se ne esce con questa cosa e…” nascose il volto nel cuscino, mormorando un “aveva un sorriso bellissimo” che fece sorridere Kei, voltandosi poi di lato, dalla parte del braccio sano, tornando a guardarlo, leggermente rosso in viso. “Non lo so perché l’ho fatto. L’ho ringraziato, mi sono scusato e sono andato via. Aaaaah” si disperò. “Perché sono così stupido! Chissà cosa ha pensato di me? Perché gli piaccio?” si interrogò, facendo scoppiare a ridere Kei.
“Scusa, Ryo-chan, ma sei troppo divertente e se potessi mi alzerei per venirti ad abbracciare!” gli disse e Yamada lo guardò con la coda dell’occhio, ancora rosso in volto.
“Cosa devo fare?” gli chiese consiglio e Kei sorrise, si stese sulla schiena e sporse un braccio, tendendo a Yamada la mano, il più piccolo lo imitò, stringendogli le dita e Kei parlò piano.
“Andrà tutto bene. Domani gli parlerai e gli darai la tua risposta. Devi essere felice, Ryo-chan, non lasciare che l’insicurezza ti freni” gli consigliò. “E poi Dai-chan ti piace, no? E tu piaci a lui, sei fortunato” gli fece notare.
Yamada annuì e gli sorrise grato.
“Kei…”
“Mh?”
“Mi piace tanto” confessò.
Kei rise, stringendogli la mano, prima di lasciarla andare.
“Io lo so… è lui che non ne è al corrente e devi farglielo sapere il prima possibile” lo spronò, augurandogli poi la buonanotte.
*
“Come va senza sedia, Kei?” domandò Hikaru vedendolo percorrere con sempre maggior scioltezza e sicurezza il percorso con le sbarre.
Kei si mise a sedere per fare qualche esercizio di distensione per le gambe, aiutato da Hikaru che, in ginocchio dietro di lui lo aiutava a scendere maggiormente verso il basso, attento ad assecondare i suoi movimenti naturali e non a forzarlo.
“Benissimo, mi sembra di essere rinato, sento la stanchezza per lo sforzo quando sto molto in piedi, però va molto meglio! Non vedo l’ora di riprendere a camminare da solo anche senza quelle!” disse, indicando con un cenno della testa le stampelle poggiate alla panca.
“Presto sarai completamente guarito e potrai uscire, riprendere la tua vita! Yabu-kun sarà contento!” gli disse, sedendosi di fianco a lui, dalla parte opposta, in modo da guardarlo in volto e si accorse del sorriso fin troppo forzato che Kei aveva fatto, annuendo.
“Che c’è, Kei-chan?” gli chiese, vedendolo fermarsi.
“Niente” scosse il capo l’altro, stringendosi nelle spalle, cambiando subito argomento. “Ah, oggi hai promesso che avremo fatto un po’ di fisioterapia in acqua!” gli ricordò e Hikaru parve riprendersi un poco, anche se non era convinto che l’altro stesse effettivamente bene, ma decise di non indagare oltre.
“Ah, sì, la piscina dovrebbe essere libera, l’ho prenotata apposta giusto stamattina. Devo solo andare a prendere gli asciugamani, se vuoi puoi precedermi e iniziare a cambiarti!” gli disse, sollevandosi, aiutandolo a rimettersi in piedi, porgendogli le grucce.
Kei annuì e si avviò verso l’uscita, lasciando Hikaru a osservare confuso e preoccupato la sua schiena.
Quando Kei uscì dagli spogliatoi indossava solamente i boxer da mare e si reggeva con entrambe le mani al muro; sebbene ancora dovesse servirsi di entrambi i sostegni, per i brevi tragitti Hikaru gli aveva concesso di provare a spostarsi in quel modo per abituarsi gradualmente a tornare a una forma fisica normale.
“Dai-chan, dobbiamo andare! Ho letto sul programma che tra poco la palestra servirà a Kei-chan!”
La voce divertita di Yamada fermò Kei che stava per entrare, costringendolo ad accostarsi alla porta e a sbirciare dentro; Inoo sorrise con tenerezza nel notare che il suo amico e Daiki stavano seduti vicini a bordo piscina: Ryosuke aveva le gambe nell’acqua e Arioka, di fianco a lui, una gamba piegata dietro la schiena del più piccolo e l’altra tra quelle di quest’ultimo, nell’acqua, lo stringeva in vita con le braccia.
“Adesso andiamo!” gli aveva risposto vago l’infermiere, accostandosi maggiormente a lui e baciandogli il collo, facendolo ridere.
“No” lo ammonì divertito Yamada, puntandogli l’indice davanti al volto. “No” ripeté con tono che voleva essere serio. “Non abbiamo tempo e…”
Daiki non lo prese per nulla sul serio, sporse in avanti la testa, mordendogli il dito, intrappolandolo tra i denti, facendo ridere Yamada quando gli solleticò il polpastrello con la lingua.
“Dai-chan” cantilenò divertito Ryosuke, abbassando il braccio e guardando il più grande, il quale si chinò su di lui baciandogli la spalla in via di guarigione, facendogli stendere il braccio, aiutandolo a muoverlo.
Yamada socchiuse gli occhi, chinando appena la testa, abbandonandosi a lui, piegando il gomito cingendo il collo del più grande, carezzandogli i capelli con una mano.
“Ryo, devo dirti una cosa” mormorò Daiki a bassa voce, ma Kei lo udì comunque, concentrandosi oltre che sulle parole del medico, sull’espressione che fece il suo amico che, era evidente, non sapeva cosa aspettarsi da un esordio del genere.
“La tua riabilitazione sta andando bene, anzi, direi che sei completamente guarito o meglio non hai più bisogno di stare qua. Dopo la prossima visita di controllo, molto probabilmente ti prescriveranno il foglio di dimissioni e potrai tornare a casa” lo informò.
Yamada smise di accarezzarlo e abbassò il braccio.
“Questa… questa è una buona notizia per me” disse, ma non sembrava assolutamente convinto. “Tornerò a casa…” constatò a bassa voce, chinando il capo. “E non potremo vederci più” affermò, iniziando a muoversi a disagio a bordo piscina, fermato però da Arioka che, invece di abbattersi, continuava a sorridere.
“Ryo” lo interruppe il più grande, prendendogli la mano. “Il mio è un lavoro impegnativo, i turni sono a volte pesanti e tu devi riprendere gli studi e rimetterti in pari dopo questi mesi di assenza, sarebbe difficile per noi continuare a frequentarci”esordì, accarezzandogli il volto e il collo con il dorso della mano. “Conosco davvero così poco di te ancora” continuò e Yamada sentì il proprio cuore perdere qualche battito; per quanto sapesse che sarebbe arrivato prima o poi quel giorno, non ci aveva mai pensato seriamente, stava così bene, era stato così felice in quelle ultime settimane che aveva dimenticato che fuori ad attenderlo ci sarebbe stato di nuovo il mondo reale.
“Sarà difficile, ma non è impossibile” affermò Arioka riportandolo al presente, attirando di nuovo la sua attenzione su di sé. “Non voglio perderti, Ryo. Voglio continuare a stare con te e, come ho detto, non ci conosciamo bene, ci saranno sicuramente tante cose di me che non sopporterai e questo potrebbe valere anche per me, però, se entrambi lo vogliamo io avrei pensato…”
“Sì!” gli rispose Yamada, voltandosi con il busto un po’ di più verso di lui.
“Non sai cosa ti voglio chiedere” rise Arioka, che non aveva finito il proprio discorso.
Yamada scosse il capo, ripetendo il suo assenso.
“Sì?” volle chiarire Daiki.
“Sì!” confermò il più piccolo senza indugio.
“Andiamo a vivere insieme” espose Daiki, sorridendo ancora più ampiamente al ragazzo, prima che Yamada si gettasse verso di lui, abbracciandolo, sigillando quella proposta con un bacio.
Kei si voltò di scatto, quando sentì una mano poggiarsi sulla sua spalla.
“Che ci fai ancora qui? Entriamo!” gli aveva detto Hikaru, facendo per aprire la porta, ma Kei che voleva dare all’amico ancora un po’ di tempo si volse di scatto, spingendo Yaotome verso il muro; dimentico però di non essere ancora completamente stabile sulle proprie gambe, perse l’equilibrio addossandosi contro il petto di Hikaru che, pronto, lo sostenne per le braccia.
“Ehi, Kei!” lo riprese preoccupato l’altro, dato che il proprio paziente aveva sul volto un’espressione quasi persa e sembrava sull’orlo delle lacrime. “Stai bene? Se non ce la fai rimandiamo… ho sbagliato a mandarti da solo, è stata una mia mancanza, vieni…”
Kei scosse il capo con forza, interrompendolo, afferrandogli la maglia con entrambe le mani, aggrappandosi a lui quasi con disperazione: non voleva, era stanco che qualcuno si sentisse in colpa nei suoi confronti per cose inesistenti, non voleva che Hikaru lo dicesse.
“No!” sbottò. “No, io sto bene, dannazione! Sto bene, ma nessuno mi crede! Voglio solo lasciargli un po’ di privacy, Yama-chan deve essere felice” parlò un po’ senza coerenza, scuotendo il capo, poggiando la fronte contro il petto di Hikaru, sentendo una lacrima scivolare sulla guancia, scacciandola via con le dita, ma bagnando ugualmente la maglia dell’altro che rimase confuso da quella reazione.
Yaotome lo sentì tremare contro di sé e, nel sentire le voci di Yamada e Arioka avvicinarsi, prese Kei tra le braccia, uno a sostenergli la schiena e l’altro sotto le ginocchia, spostandosi dietro una colonna, aspettando che gli altri due li superassero, fortunatamente senza accorgersi di loro, prima di entrare nella palestra e chiudersi la porta alle spalle.
Abbassò lo sguardo, vedendo Kei rannicchiato contro di sé, con lo spirito spezzato e arreso a non sapeva bene cosa. Si avvicinò a bordo piscina, chinandosi e facendo sedere Kei, il quale si riprese, sentendo l’acqua sfiorargli i piedi e poi le gambe.
Inoo guardò Hikaru che si era inginocchiato accanto a lui e lo osservava preoccupato.
“Mi dispiace” mormorò, passandosi una mano sugli occhi e le guance, sforzandosi di sorridere. “Scusami, Hikka” ripeté, guardandolo.
“Sei stanco di stare qui, Kei? Lo capisco, non deve essere facile, dopo tutti questi mesi, ma devi resistere ancora un po’” cercò di tirarlo su di morale e di incoraggiarlo.
“Non è questo… io mi trovo bene qui, anche se è una cosa assurda da affermare. So che sono qui per guarire e quando sono stato trasferito in questo istituto sapevo che avrei dovuto fare dei sacrifici, ma sembra che io sia l’unico a farli ed è questo che è pesante” ammise, muovendo i piedi nell’acqua.
Guardò Hikaru e abbozzò un leggero incurvarsi di labbra.
“Iniziamo? Anche tu sarai stanco, quindi meglio se finiamo presto” gli disse, passando da un discorso all’altro, come se quanto aveva appena detto non fosse degno di importanza o non meritasse di essere approfondito.
Hikaru non sapeva come comportarsi, avrebbe voluto chiedere, farlo parlare, ma aveva anche paura, paura di se stesso, di quello che provava fin dal primo giorno che aveva lavorato con Kei e paura di ciò in cui quei sentimenti si erano trasformati con il tempo.
Si tolse la maglietta ed entrò in acqua, mettendosi davanti al più piccolo, iniziando a procedere con gli esercizi di riscaldamento, massaggiandogli i polpacci e le ginocchia, in silenzio, fino a che non vide qualcosa cadere nell’acqua e sollevò lo sguardo, vedendo che Kei aveva ricominciato a piangere e sembrava non riuscire a fermarsi; a capo chino stringeva le mani al bordo della piscina e le spalle erano leggermente scosse da fremiti.
Si fermò, avvicinandosi a lui, facendosi spazio tra le sue gambe, sollevando una mano sul suo viso e poggiandogli l’altra delicatamente sul fianco.
“Scusami, scusami, Hikka. Io non riesco a fermarmi…” ammise il più grande e forse neanche voleva farlo, smettere di piangere, perché era da giorni che sentiva quella opprimente sensazione nel petto che non riusciva a scacciare: era davvero stanco.
Vedere Ryosuke e Daiki felici, pochi attimi prima, gli aveva fatto pensare a quanto fosse cambiato il suo rapporto con Kota, di quanto, a differenza loro, che avevano trovato una soluzione alla prospettiva di una possibile separazione, gli aveva fatto rendere conto di quanto lui e il proprio ragazzo non avessero avuto la prontezza di spirito per superare quel momento insieme, contando l’uno sull’altro; gli mancava Kota e vedere come poche settimane prima l’altro fosse stato così freddo con lui gli aveva fatto male. L’aveva portato a riflettere sul loro rapporto, sulla profondità del loro legame; svariate volte aveva cercato di far capire al fidanzato che quanto era loro successo non era stato poi così grave da portarli fino a dove erano adesso, ma l’altro sembrava non voler capire, continuava a incolparsi di tutto, senza pensare che Kei per primo si sentiva responsabile e per la propria condizione e per il senso di disagio e preoccupazione che infliggeva al compagno.
Yabu era solo un egoista, a differenza di quanto lui stesso potesse pensare, e questo faceva davvero rabbia a Kei.
Sobbalzò quando sentì la mano bagnata di Hikaru scivolare lungo la guancia e i pollici asciugargli le lacrime; lo guardò negli occhi, scoprendoli come se li vedesse per la prima volta. Sentì una mano spostarsi dietro la nuca e premere affinché Kei si abbassasse verso di lui, mentre a sua volta si reggeva alle sue spalle con entrambe le mani e le loro labbra si univano. Kei si abbandonò immediatamente a quel bacio, schiudendo la bocca, sentendo il proprio corpo sciogliersi e rabbrividire a contatto con il calore delle labbra di Hikaru che dolcemente lo spronavano a ricambiare il bacio, a incontrare la sua lingua, sentendo il suo fiato contro il viso. Inoo scivolò in avanti con il sedere, immergendosi quasi completamente nella piscina, incurante di essere ancora vestito, stringendo e abbracciando Hikaru, attirandolo maggiormente contro il proprio petto.
Si separarono solo un istante il tempo per Hikaru di sfilare la maglia bagnata a Kei, prima che si rigettassero l’uno tra le braccia dell’altro, ricercandosi in modo quasi disperato: l’urgenza dei loro gesti era la stessa, ma le intenzioni e le motivazioni differivano grandemente, eppure in quel momento nessuno dei due ebbe voglia di fermarsi a riflettere.
Hikaru discese con le labbra a baciare il petto di Kei, le spalle, mentre le mani del più grande si infilavano tra i suoi capelli e tornavano sulla schiena, cercando sempre di tenerlo vicino a sé, non voleva perdere quel calore, quelle sensazioni che provava e che facevano nuovamente battere più veloce il suo cuore, scaldandogli il corpo di sensazioni positive.
Hikaru lasciò scivolare le mani sulla schiena di Kei, abbassandogli il costume e sentendo l’altro imitarlo nei movimenti su di sé. Yaotome introdusse agevolmente un dito dentro il corpo di Kei, il quale aveva iniziato a gemere e ad ansimare contro il suo orecchio, emettendo suoni di puro piacere che lo incentivavano a continuare, a non fermarsi, a dargli sempre di più. Hikaru fece attenzione, quando le sfilò e si posizionò contro di lui con il proprio sesso: guardò un istante Kei negli occhi, lasciando scivolare le mani sotto le cosce, in modo che le sollevasse, facilitato dall’acqua per avvolgersele attorno alla vita, e lo penetrò piano, ondeggiando il bacino, muovendosi comunque in modo fluido, vedendo Kei arrovesciare il capo all’indietro e pizzicargli le spalle con le unghie, mentre cercava di trattenere i gemiti di piacere.
Hikaru infilò una mano tra i loro corpi, dedicandosi a stimolare il sesso di Kei, mentre iniziava a muoversi in lui sempre più velocemente, fermandosi prima che potesse venire, sollevandolo nuovamente fuori dalla vasca, issandosi poi sulle braccia, uscendo a sua volta e sentendo le mani di Kei attirarlo nuovamente a sé: lo prese di nuovo, spingendosi in lui, sentendolo gridare e venire nella sua stretta, seguendolo dopo che riprese ad affondare nel suo calore.
*
Yamada si svegliò nel cuore della notte infastidito da qualcosa, fece per accendere la luce, ma si trattenne, capendo immediatamente cosa l’avesse svegliato e si volse verso il letto del suo compagno di stanza. Kei era disteso, raggomitolato su se stesso e stava piangendo: sebbene attutiti dal cuscino, i versi erano facilmente riconoscibili. E non doveva essere neanche la prima volta che lo faceva, quando si erano ritrovati a cena, Yamada aveva visto come l’amico fosse sotto tono e i suoi occhi particolarmente arrossati, ma l’altro aveva avanzato come scusa la stanchezza e un’improbabile piccolo incidente avuto in piscina mentre faceva gli esercizi. Ryosuke aveva cercato di carpire da lui qualcosa di più, ma l’altro si era ammutolito e dopo aver mangiato pressoché niente, si era ritirato nella loro camera: Yamada avrebbe voluto seguirlo subito, ma Daiki l’aveva fermato dicendogli di pazientare e aspettare che fosse l’altro ad aprirsi se avesse avuto bisogno, inoltre, poco dopo, i due avevano visto Hikaru alzarsi dal tavolo e sparire nel corridoio, salendo le scale dove c’erano le stanze da letto dei pazienti. Quando poi si era ritirato a sua volta per la notte, Yamada aveva trovato Kei addormentato e sembrava avere trovato finalmente pace, che non lo volle disturbare.
Solo che adesso non poteva davvero ignorare il problema: si alzò dunque dal letto, avvicinandosi a quello di Kei, sfiorandogli una spalla con la mano, sentendo l’altro sobbalzare spaventato e asciugarsi svelto gli occhi.
Ryosuke però non aveva atteso che si voltasse e, salito a sua volta sul letto dell’amico, l’aveva scavalcato, distendendosi davanti a lui, infilandosi rapido sotto le lenzuola; Kei l’aveva guardato, incapace di comprendere e quando Ryosuke gli aveva sorriso, passandogli una mano tra i capelli, senza dire una parola, Inoo l’aveva abbracciato, nascondendo il volto contro il suo collo, liberando le lacrime, mugolando tutta la sua pena, come fosse un bambino piccolo.
Yamada aveva sentito il proprio cuore stringersi e si era morso un labbro, per non cedere anche lui alle lacrime, aveva preso a cullarlo, passandogli una mano tra i capelli e l’altra sulla schiena con fare dolce, mormorandogli parole gentili, assicurandogli che tutto sarebbe andato bene e che non aveva nulla da temere; continuò a parlargli a bassa voce all’orecchio, fino a che, lentamente, Kei non si calmò e smise di piangere, addormentandosi sfinito.
Ancora una volta fu Yamada a svegliarsi, scosso da qualcuno che gli toccava una spalla e si volse indietro con il capo, ancora assonnato, riconoscendo a stento il volto di Daiki che lo guardava. Yamada lo guardò confuso senza ricordarsi subito di dove si trovasse: provò a muoversi sentendo un dolore alla spalla e ricordando in un istante cosa fosse successo quella notte.
Si volse di nuovo verso Arioka e iniziò in un mormorio agitato: “Dai-chan non è…”
L’altro lo interruppe, posandosi un dito sulle labbra, facendogli cenno di tacere e aiutandolo a uscire dal letto di Kei. Yamada gli mise un braccio attorno al collo, tornando con i piedi per terra, sentendo le labbra di Daiki posarsi sulla sua fronte, prima che questo gli sorridesse, indicando poi con un lieve movimento della testa la porta.
Ryosuke si voltò e vide che Hikaru li osservava.
“Andiamo…” gli sussurrò piano Daiki, scortandolo via e, quando passarono di fianco all’infermiere più grande, Yamada lo trattenne per un gomito, guardandolo con cipiglio serio.
“Non ti azzardare a farlo piangere di nuovo” lo mise in guardia e Yaotome annuì, abbozzando un sorriso, rivolgendosi a Daiki che portò fuori il fidanzato.
Hikaru si chiuse la porta della camera alle spalle e sospirò, andando a sedersi sul bordo del letto di Kei, rimanendo qualche secondo a osservarlo, prima di allungare una mano verso il suo viso; si trattenne qualche istante, prima di passargliela delicatamente tra i capelli, svegliandolo piano.
“Buongiorno” gli disse quando Kei sollevò le palpebre, stropicciandosi poi l’occhio con una mano, rendendosi ben presto conto di dove si trovasse e con chi. Lo guardò spalancando appena gli occhi e mettendosi a sedere.
“Tranquillo, Kei, fai piano” si affrettò a dire l’infermiere, vedendolo poi voltarsi verso il letto vuoto di Yamada. “È andato a fare colazione con Daiki” spiegò l’assenza del compagno di stanza. “Mi ha sgridato” ridacchiò e Kei lo guardò confuso per un istante.
Poi Hikaru parlò di nuovo: “Mi dispiace, Kei-chan. Mi sono comportato male ieri con te… io non dovevo agire come ho fatto. Mi sono approfittato della situazione” iniziò.
“Per favore Hikaru, non farlo. Tu non-”
“Lasciami spiegare per favore. Io so che non dovrei dirlo, ma non mi pento di quello che ho fatto, perché lo volevo davvero, non lo rinnego e non vorrei dimenticarlo. Penso che io non lo farò. Ma ho sbagliato nei modi. Dovevo parlarti, dovevo…” attese e si morse un labbro, facendo un respiro, prima di continuare. “Dovevo dirti che mi piaci, Kei” confessò e l’altro lo guardò ancora più stupito.
Hikaru rise.
“Bé, credevo che fosse chiaro, no? Non sono solito saltare addosso alle persone così a caso” ridacchiò. “Mi sei piaciuto fin da subito e avrei anche voluto dirtelo, ma poi ho scoperto che eri fidanzato e allora ho cercato di farmela passare. Ci ho davvero provato e mi dispiace di non esserci riuscito, Kei. Perché adesso tu stai soffrendo anche per colpa mia” spiegò, abbassando il capo, prendendogli una mano, accarezzandone il dorso morbido, segnando le nocche con i polpastrelli, perdendosi di nuovo nei suoi pensieri. “Sai perché mi comportavo in modo strano con te? Perché sembrava che mi imbarazzassi quando stavamo insieme? Perché eri tu. Con gli altri pazienti non mi capitava, ma con te… ecco, per il fatto che mi piacevi, avevo paura che potessi accorgertene e mandarmi via. Sono stato egoista, perché ti ho tenuto nascosta una cosa così importante solo perché ho pensato a me stesso, perché volevo continuare a stare con te, a parlarti e ad aiutarti a guarire” spiegò. “Ieri hai detto che non vuoi che le persone si preoccupino per te. Che si prendano colpe che non hanno e lo capisco, capisco come ti debba sentire, ma in questa situazione io non posso fare altro che biasimare me stesso per quello che è successo. Perché avrei dovuto essere più professionale e non-”
Inoo stavolta dovette interromperlo davvero.
“Non è successo niente che non volessi anche io Hikaru, per cui se c’è una colpa in tutto questo è tua quanto mia, non voglio che le persone si assumano le mie responsabilità, sono grande abbastanza da sapere quando e dove sbaglio.”
“Lo so, lo so, Kei e non sto dicendo questo, solo mi sento in dovere di chiederti scusa, perché non ho agito bene, ecco… tu” lo guardò negli occhi, lasciandogli andare la mano e cercando di sorridere. “Tu lo ami” affermò senza fare il suo nome. “O non ti saresti ridotto così.”
Kei sobbalzò e si morse un labbro, passandosi poi la lingua su quello inferiore, annuendo.
Hikaru, sebbene sapesse già la risposta, provò un senso di smarrimento, il fatto che Kei avesse semplicemente annuito equivaleva a una confessione espressa a voce alta, faceva male allo stesso modo.
“Sii felice, Kei” gli disse, scendendo dal letto e lisciando le lenzuola, vedendo Kei guardarlo stranito, per cui spiegò.
“Non manca molto ormai, ti dimetteranno presto e mi perdonerai e spero che capirai il perché ho chiesto a Daiki di inserire anche te nella lista dei suoi pazienti. Yamada andrà via a fine settimana e tu subentrerai al suo posto. Io prenderò un caso nuovo” gli spiegò. “Daiki ha detto che comunque si prenderà cura di te fin da subito. Io…” fece una pausa e si portò una mano alla testa, indeciso. “So che è sbagliato ed egoista, ma preferirei così. Non voglio che ci siano disagi tra noi e vorrei che tu potessi riuscire a dimenticare quello che è successo ed essere felice, Kei. Felice con la persona giusta per te, con la persona che realmente ami” gli augurò.
Kei lo guardò e, adagio, sporse le gambe fuori dal letto.
“Immagino che dovremo dirci addio” mormorò, vedendo poi Hikaru annuire.
“Mi dispiace, Kei, davvero. Perdonami” ripeté Hikaru e Kei comprese per cosa si stesse scusando; scivolò giù dal letto, reggendosi appena al materasso, sporgendosi verso il più piccolo e prima che potesse andarsene e lo abbracciò. Yaotome rimase interdetto, prima di allargare le braccia e stringerlo a sua volta, forte, nascondendo la testa contro il collo di Kei, inspirando l’odore della sua pelle, sentendo il proprio cuore stringersi in una morsa di dolore.
Lo strinse per imprimersi nella mente e nell’animo quella sensazione di calore, per l’ultima volta, perché quello era tutto ciò che gli veniva concesso di poter provare.