Titolo: Tsuyogari no egao ni kakushita sono namida (Hai nascosto le tue lacrime dietro un sorriso forzato) [My girl - Arashi]
Fandom: RPF - Hey! Say! JUMP
Personaggio: Yaotome Hikaru, Inoo Kei
Pairing: Hikanoo
Rating: G
Genere: triste
Warning: slash
Wordcount: 1.69
fiumidiparoleNote: la storia è scritta per la community
10disneyfic per il Set Mix con il prompt “Sole”; per la
think_angst per la tabella Citazioni 2, con il prompt “Tu saresti in grado di rappresentare il sole per qualcuno?” e per la
500themes_ita con il prompt ‘sole morente’
Disclaimer: I protagonisti di questa storia non mi appartengono, non li conoscono personalmente e i fatti di seguito descritti non hanno fondamento di verità. La storia non è scritta a scopo di lucro.
Tabella:
Set MixTabella:
Citazioni 2Tabella:
500themes Hikaru entrò nella camera d’ospedale, dopo aver bussato piano con le nocche; quella sensazione di sconforto e frustrazione non lo aveva abbandonato neanche un istante negli ultimi giorni. Era la prima volta che andava a trovarlo dopo aver saputo della sua malattia, dopo aver saputo del suo crollo, dopo aver saputo che non gli restava ancora molto da vivere. Perché se anche per lui tutto sembrava essere accaduto così in fretta, per Kei, invece, era stata una lenta e dolorosa agonia; dover sfoderare falsi sorrisi giorno dopo giorno, dover lavorare, studiare,vivere una vita normale che sapeva non sarebbe durata per sempre.
E quando alla fine era crollato e non era più riuscito ad alzarsi, avevano reso partecipi tutti.
Hikaru aveva tergiversato, sperando che arrivassero altre notizie che smentissero quella terribile voce, sperava che si fossero sbagliati, sperava in un miracolo, ma sapeva dentro di sé che le sue preghiere non sarebbero state ascoltate.
“Dovresti andare a trovarlo.”
“Non fa che chiedere di te.”
“Potresti pentirtene poi.”
“Potrebbe essere troppo tardi.”
Le voci dei suoi amici gli rimbombavano nel cervello, sapeva che avevano ragione, sapeva che ormai non poteva fare più niente per impedire l’inevitabile, sapeva che doveva farsene una ragione e accettare la cosa; perché solo così sarebbe stato in grado di andare avanti e di continuare a vivere anche senza di lui.
“Hikka!” la voce allegra di Kei, sebbene molto fievole fu come un colpo al cuore e il suo tono strideva enormemente con la figura che Hikaru vedeva avvolta in quelle lenzuola bianche che tutto esprimevano, fuorché salute e allegria.
“Sei venuto finalmente” lo sentì affermare con un sollievo nella voce, come se avesse perso ormai le speranze di rivederlo.
“Scusa il ritardo, Kei-chan” gli disse, avvicinandosi e prendendo una sedia, accostandola al letto.
“Perdonami se non mi alzo, ma…” sorrise a malapena, accennando ai tubi collegati alle fiale che lo tenevano immobile, steso sul letto.
“Non ti preoccupare” Hikaru scosse il capo, cercando di sorridere, allungando una mano, accarezzandogli le dita, stringendone due tra le sue.
Era ancora morbida la sua pelle, fresca come la ricordava contro la propria, quelle rare volte in cui se aveva strette per gioco, durante qualche servizio; le sue mani erano ancora belle, nonostante tutto, nonostante i segni delle cure.
“Come stai?” gli chiese e si pentì subito dopo averlo chiesto, perché anche se non sapeva cosa dire, sarebbe stato meglio rimanere in silenzio.
Inoo sorrise debolmente, stringendo appena la stretta, come se volesse essere lui a incoraggiare l’amico.
“Sto bene, Hikaru, qui hanno molta cura di me e i ragazzi vengono a trovarmi ogni giorno. Ho accettato il mio destino ormai. Io sto per morire” concluse e Hikaru sollevò su di lui uno sguardo spaventato, gli occhi leggermente lucidi.
“Non… non dirlo! Non dirlo con tanta naturalezza, non dirlo come se fosse…”
“Come se fosse normale?” concluse per lui il più grande e poi mosse appena il braccio, posandolo sul lenzuolo.
“Ma è normale Hikaru… questo è quello che deve accadere, il mio corpo ormai è stanco e…”
“Ma tu devi lottare, Kei, non è tutto perduto tu… lo dicono sempre che la cosa migliore per i pazienti è non arrendersi, se ti arrendi allora la darai vinta alla malattia e…”
“Hikka” Kei cercò di introdursi nel discorso, sorridendo debolmente; capiva i sentimenti del compagno, capiva le sue parole, ma era stanco e Hikaru non stava dimostrando molto tatto nel rivolgersi a lui in quel modo. Credeva che non ci avesse provato anche lui a stare su? Credeva che non volesse continuare a sperare? Ma a cosa sarebbe servito, continuare a intestardirsi quando tutto era ormai perduto.
Non voleva litigare con lui, aveva voluto vederlo per un motivo ben preciso e doveva essere forte, anche se sarebbe stato doppiamente più difficile.
“Non pensi a Yabu?” gli chiese in un sussurro Yaotome.
“Non pensi a me?” mormorò dentro di sé.
“Hikaru…” lo chiamò Kei, facendo un grande sforzo per riuscire a posare la mano su quella del più piccolo. “Hikaru, ascoltami…” gli chiese e quando fu certo di avere la sua totale attenzione, continuò.
“Io ci penso a Yabu, penso ogni giorno a Kota e penso ogni singolo attimo che passo qui da solo a ognuno di voi. Penso a quanto mi sarebbe piaciuto vivere, a quando mi sarebbe piaciuto sperimentare tante cose, avrei voluto studiare, vedere il mondo, viaggiare, avrei voluto vivere, ma è impossibile” si affrettò a continuare prima che Hikaru potesse parlare di nuovo. “Ma che senso avrebbe per me sperare ancora in qualcosa che non può realizzarsi? Finirei per morire gradualmente un po’ dentro e sentirmi ancora più inutile e non voglio questo. Io voglio passare il tempo, sebbene sia poco, che mi rimane con voi, voglio vedervi sorridere e voglio sorridere con voi” spiegò.
Hikaru lo ascoltò in silenzio, cercando di non piangere, perché non sarebbe stato giusto nei confronti di Kei che tentava in ogni modo di non farlo; perché non era giusto che fosse l’altro a tranquillizzarlo e non il contrario.
“Ho una cosa da chiederti Hikaru” gli disse, dopo una breve pausa, riprendendo fiato.
“Dimmi, Kei, ti ascolto” lo incentivò Hikaru, chinandosi verso il letto, stringendogli piano la mano nelle proprie, posandosela sulle labbra, sentendo le dita di Kei sfiorarlo inconsciamente; non gli interessava quello che l’altro avrebbe pensato, ma aveva bisogno di sentirlo ancora un po’ vivo accanto a sé e avrebbe fatto qualsiasi cosa avrebbe voluto.
“Tu saresti in grado di rappresentare il sole per qualcuno, Hikka?” domandò, lasciando l’altro completamente spaesato da quella domanda così particolare.
“Cosa… cosa intendi dire?” gli chiese, facendogli posare di nuovo il braccio sopra il lenzuolo.
Kei sorrise, sbuffando appena.
“È una domanda strana, vero? Forse ti sembrerà egoista da parte mia quello che ti sto per chiedere, ma Hikaru, io vorrei che tu ti prendessi cura di Kota.”
“Come?”
“Lui… lui non sta bene. Quando io me ne andrò lui sarà solo, si sentirà solo, Hikaru, e io non voglio. Non voglio che pensi che l’ho abbandonato, non voglio che passi la vita a pensare a me. Io voglio che viva. Io ormai non potrò più stargli accanto, non potrò più essere il suo sole, non lo sono più da un pezzo. Sono molto più simile a un sole morente che a una nuova alba” sorrise mesto, prima di parlare ancora, con le sue ultime richieste. “Voglio che viviate tutti anche per me. E tu sei la persona che meglio conosce Kota, sai di cosa ha bisogno, sei sempre stato attento a tutti i nostri bisogni e ti ringrazio per averlo lasciato a me” confessò.
Hikaru spalancò gli occhi.
“Eh?”
“Tu lo ami…”
Hikaru lo guardò in modo ancora più confuso, sentendo il cuore salirgli in gola e le mani tremare.
“Io ho sempre avuto una strana sensazione in merito Hikaru e ti ringrazio per avermi permesso di essere felice con Yabu fino a questo momento. Sei stato un amico prezioso per noi, un altro al tuo posto non si sarebbe messo da parte come hai fatto tu. Ed è per questo motivo che adesso io ti chiedo di renderlo felice, ti chiedo di entrare a piccoli passi nel suo cuore e prenderlo per mano e convincerlo che ha ancora tanto amore da dare e non lo deve sprecare. Perché è una persona splendida, come lo sei tu e meritate entrambi di essere felici!” concluse, restando poi in silenzio, il fiato corto, anche se aveva cercato di regolarizzare il respiro e parlare piano per tutto il tempo. Quello era un chiaro sintomo che le sue forze stavano diminuendo sempre di più.
“Me lo prometti, Hikka?” gli chiese solo, guardandolo con occhi profondi e fiduciosi.
E Hikaru non poté fare a meno di annuire, in silenzio, sforzandosi di sorridere.
“Grazie” si sentì dire dolcemente, sollevato.
Hikaru rimase a osservarlo, mentre Kei socchiudeva gli occhi e piano piano si appisolava quasi senza accorgersene. Lo vegliò un poco, stando ancora un po’ con lui, accarezzandogli piano i capelli, prima di alzarsi e avviarsi verso la porta.
Quando se la richiuse alle spalle, vide Yabu nel corridoio che lo osservava, si avvicinò a lui, sedendoglisi accanto sulla panca.
“Perché non gliel’hai detto?” chiese d’un tratto il più grande, rompendo il silenzio.
“Che cosa?” domandò Hikaru, anche se molto probabilmente sapeva a cosa si stesse riferendo.
“Che si è sbagliato, che ha chiesto alla persona sbagliata di prendersi cura di me. Che non sono io l’unico che soffrirà così tanto tra noi per la sua morte” gli disse, guardandolo e vedendo una lacrima segnare il volto del più piccolo.
Hikaru se l’asciugò con il dorso della mano e parlò piano.
“Perché è meglio così, perché non voglio dargli altri pensieri, voglio che stia sereno, voglio che continui a fidarsi di me e a ritenermi una brava persona.” affermò, lasciando scivolare altre lacrime silenziose, stavolta senza curarsi di scacciarle.
Non aveva senso, aveva tenuto dentro troppo a lungo quelle emozioni ed era arrivato il momento che trovassero il loro giusto sfogo.
“Tu sei una brava persona, sei la persona migliore che conosca” lo rassicurò Yabu, passandogli una mano sulla schiena.
“Dovrei essere arrabbiato con lui perché non ha capito niente dopo tutto questo tempo e dopo il mio comportamento, vero?” chiese Hikaru, sorridendo tra le lacrime. “E allora perché? Perché non riesco ad avercela con lui perché non mi vede, perché non si accorge che esisto, perché mi sta lasciando solo!” si sfogò, coprendosi il viso con le mani, chinandosi in avanti.
Yabu si morse un labbro, ascoltando quell’amaro e disperato sfogo; si sentiva inutile e la persona meno adatta a consolarlo, perché Yabu aveva sempre sospettato che sentimenti Hikaru nascondesse per quello che era poi diventato il suo ragazzo; non ne avevano mai parlato, né ne aveva fatto parola con Kei, così come Inoo non aveva mai accennato al sospetto sui presunti sentimenti di Hikaru per Yabu.
Non sapeva cosa dire per consolarlo, non sapeva se ci fossero realmente parole per poterlo consolare, Yabu non sapeva nulla e non si sentiva neanche in diritto di parlare, sperando di placare il suo dolore. Spostò la mano dalla sua schiena alle spalle, circondandolo e attirandolo verso di sé lasciando che si sfogasse tutto il suo dolore per la persona che entrambi amavano.