Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson , rpf (non vi dico chi è…sorpresa)
Pairing: Holmes/Watson
Rating: NC17
Genere: introspettivo, romantico e… boh non saprei dire.
Beta:
minnow90 che mi ha salvata in extremis (adesso mi sopporti cara)
Summary: “… Avevo sempre creduto che, vivere in un paese libero, significasse poter essere se stessi senza nascondersi, indipendentemente da quello che si era, ed invece questa Inghilterra così conservatrice e moralista, puniva chi non era uguale agli altri.
Tutti dovevano essere sudditi dello stesso Impero, senza distinzioni caratteriali o opinioni personali: e questo era sbagliato”
Note: Fa parte della
mia tabellina di
Holmes_ita scritta per il prompt “Prigione’’
Parte 3 Il mio amico si chiuse la porta della propria stanza alle spalle, girando la chiave nella serratura e sorridendo in una maniera tale che - per un breve istante - mi parve di non riconoscerlo.
“Sembri avere intenzioni serie.”
“La tua ironia mi scivola addosso.” Mormorò togliendosi la giacca e lasciandola cadere senza alcuna cura sul pavimento. Quando fu ai suoi piedi la scavalcò, tornando a concentrare la sua attenzione su di me.
“Non avevi detto di avere mal di schiena?’’Chiesi.
“La tua presenza nella mia stanza mi allevia i reumatismi.” Mi sentii spingere delicatamente verso il letto fino a che non mi sedetti sulle coperte e il materasso affondò sotto il peso del mio corpo. “Semplicemente diventano un pensiero secondario.” Continuò in un soffio.
“E il primario quale sarebbe?’’ Lo provocai. La sua risposta fu più che eloquente: posò una mano gelida sul mio volto e le sue labbra si poggiarono sulle mie, in un tocco tanto delicato e leggero che - se non avessi sentito io stesso il suo odore di trinciato forte e la sua brillantina - avrei detto si trattassero di labbra estranee.
Passò una mano fra i miei capelli fino a scendere con il pollice lungo le guance e lo zigomo ed io mi aggrappai alla sua camicia leggera, sentendo sotto le mie mani le sue scapole e la sua schiena inarcata.
Prima che mi fosse dato capire in che modo tutto ciò si stesse passando ero disteso nel letto - Holmes che mi si posizionava sopra, bloccandomi le gambe. Soltanto lui, al mondo, poteva vantare questa capacità di ottenebrarmi i sensi a un punto tale.
“Non riesco a muovermi.’’ Mormorai sul suo collo. Lo sentii sbuffare divertito.
“Era esattamente il mio intento.’’ E di nuovo mi baciò mentre - con le mie dita frettolose ed esperte - cercavo di sbottonargli il gilet. Vanificando le mie aspettative arretrò di un paio di centimetri - pur mantenendo il contatto con la mia bocca - segnale inequivocabile di come non avesse la benché minima intenzione di lasciarsi spogliare o ad ogni modo, non in quell’istante.
La sua mano sottile e diafana si insinuò fra i miei capelli, potevo sentire il suo respiro a pochi centimetri dal mio viso ed io ripercorrevo con entrambe le mani tutta la sua schiena, cercando di trovare una fenditura fra il tessuto, sì da poter avere libero accesso alla sua pelle.
A volte la sua calcolata lentezza sapeva essere estenuante. Ti consumava pian piano, logorava ogni tua reticenza intanto che con le labbra percorreva ogni singolo centimetro del tuo corpo - dall’incavo del collo fino ad ogni estremità delle dita - e così stava facendo anche in quel momento baciando con riverenza la vena pulsante del mio collo e discendendo con snervante lentezza lungo la clavicola, oramai libera dalla costrizione del colletto.
A me non era dato nient’altro che restare lì e stringermi alla sua camicia, consumandomi nell’attesa e riflettendo su un modo per far pagare cara ad Holmes questa sua abitudine a dir poco sfibrante.
Lo sentii farsi spazio lungo lo scollo della mia camicia e dopo poco due dita scattanti erano sui bottoni. Prima uno, poi due finché non si creò un varco sulla mia pelle accaldata e la sua bocca prese a discendere fino all’addome.
E, per quanto non desiderassi altro che spogliarlo di ogni suo indumento, non riuscivo - o meglio, non volevo - oppormi a quella imperiosa scia di baci.
Fu in quel momento - all’ultimo di ogni suo bacio sulla mia pelle prepotentemente eccitata - che Sherlock Holmes decise di annullare ogni mia, seppur minima, capacità logica e prendere a sganciare la fibbia della mia cintura.
Ritengo di essere un uomo abbastanza ponderato e controllato ma se c’è una sola cosa a questo mondo che possa farmi perdere la ragione sono le mani di Holmes che armeggiano con la mia cinta.
Lo afferrai per lo sparato della camicia, che al tocco risultò inamidato, e lo tirai di nuovo sopra di me costringendolo a baciarmi.
Ricordo ancora oggi che fu un bacio frettoloso, rapido e pieno di desiderio mentre un gilet cadeva riverso sull’impiantito e le mie mani facevano scivolare la camicia di Holmes lungo le sue spalle magre. Mi stava ancora baciando quando sentii le sue dita scivolarmi sui fianchi e trascinare con esse i pantaloni e la biancheria intima.
Di norma avremmo dedicato più tempo a baciarci, a scoprire quei corpi che in realtà conoscevamo in ogni loro più piccolo e insignificante particolare, avremmo impiegato del tempo solo per spogliarci a vicenda e sentire i nostri respiri confondersi. Quella volta, invece, fu tutto molto più rapido e carico di desiderio tanto che a un certo punto mi ritrovai nell’incapacità di giustificare la mia nudità. Holmes si era mosso con rapidità e precisione, spostandosi sul mio corpo e portando con sé i miei vestiti.
Sotto certi aspetti, mi ricordò il nostro primo incontro, quando - entrambi più giovani e desiderosi di approfondire la reciproca conoscenza - ci eravamo trovati ad essere travolti da quel tumulto di sensazioni, senza riuscire a trovare una giustificazione la mattina successiva.
In realtà non l’avevamo neanche cercata una spiegazione. Quella bramosia e quel desiderio erano state la più valida spiegazione possibile.
La mano di Holmes mi ridestò dai miei pensieri, insinuandosi in posti che è meglio non ripetere - anche solo per amor di narrazione - smorzandomi il fiato.
E poi lo vidi. Lo vidi quel sorriso appena percettibilmente accennato. Niente di troppo sfacciato o palese, sia chiaro, ma io l’avevo visto. Conoscevo quel volto in ogni suo tratto perché potesse sfuggirmi un evento tanto eccezionale.
Non un sorriso irriverente o beffardo, cui ormai mi aveva abituato, ma un sorriso vero.
“Perché sorridi?’’ Chiesi sulla sua bocca, sfilandogli le Oxford, che caddero sul pavimento con un tonfo sordo.
“Tu hai la seccante tendenza a parlare nei momenti meno opportuni.’’ Il tessuto dei suoi pantaloni strofinava contro la mia pelle nuda, provocandomi una sensazione piuttosto fastidiosa, cui decisi di porre rimedio disfacendomene. Un istante dopo i suoi calzoni erano ai piedi del letto.
“Sappi che non ho assolutamente intenzione di tacere finché non mi dirai perché stai sorridendo.’’
“Stavo pensando che nessuno è più fortunato di me: sei colui che un certo numero di uomini e la totalità delle donne vorrebbe al suo fianco. Onesto, intelligente , di nobili intenzioni senza contare il tuo attraente aspetto.’’
Non l’avevo mai sentito dire cose del genere e per un istante pensai addirittura che si stesse burlando di me, ma la sua espressione era onesta e sul suo volto non c’era traccia di quel suo particolare e tipico ghigno beffardo che riservava ai suoi momenti di sarcasmo. Quella sua ammissione mi stupì oltremodo giacché Holmes non era certo mai stato tipo che conceda quand’anche la benché minima e meritata lusinga. Anche nei momenti di maggiore intimità o nei nostri rapporti più privati esprimeva il suo desiderio e la sua passione attraverso gesti calcolati e accorti che mi portavano al piacere ma mai, mai aveva manifestato a parole quello che pensava.
Continuò a baciarmi in quella sua stessa maniera calcolata e precisa. Potevo sentire la sua bocca scorrere lungo ogni mio muscolo, ogni avvallamento del mio corpo e le sue mani scendere sui miei fianchi.
Sarebbe sconveniente descrivere nel dettaglio ogni gesto che contraddistinse quella serata d’altra parte, anche se volessi farlo, devo ammettere di non riuscirei a ricordare alcunché.
A volte riesco ad essere approfondito e minuzioso, ricordando anche le più piccole ed insignificanti inezie, molto più spesso in quei momenti, il desiderio ed il coinvolgimento sono tali da non permettermi di concentrarmi su nient’altro che non sia Holmes, dimenticandomi dei dettagli e ricordando solo il piacere che ho provato.
Quando ritrovai la ragione persa da qualche parte fra le pieghe del lenzuolo e il corpo del mio compagno, mi ritrovai a stringere la coperta tanto forte da far diventare le nocche bianche mentre Holmes mi teneva fermo, reggendomi con una mano sulla coscia e accogliendomi nella sua bocca.
I suoi vestiti erano sparsi sull’impiantito ed era coperto soltanto dalla sua camicia aperta che gli scendeva leggera a coprirgli i fianchi e lasciando scoperto il suo torace quasi glabro. Riemerse poco dopo e risalì sul mio corpo per tornare a baciarmi e potetti sentire vagamente il mio stesso sapore nella sua bocca.
“Sai ho scoperto una cosa importante dalla tua esperienza con Wilde.’’ Disse all’improvviso, distaccandosi dalla mia bocca.
“Ti sembra il caso di parlare di Wilde in un momento simile?’’ Lo ripresi io e vidi i suoi occhi brillare di divertimento nell’oscurità.
“Ti da forse fastidio? Non è certo estraneo a tal genere di attività.’’ In tutta onestà non riuscii a trattenermi e gli tirai una botta con la mano, andando a colpirlo su una spalla.
“Ahi!’’ Mugugnò scherzosamente.
“Non essere volgare.’’
“Non si tratta di volgarità si tratta di analizzare i fatti.’’
“Allora ti pregherei gentilmente di smetterla di analizzare i fatti... stavi dicendo?’’
“Prima che tu decidessi di attentare all’incolumità della mia clavicola?’’ Quel suo sguardo aveva in sé qualcosa di ribelle ed un brillio nei suoi occhi parve rivelare più di mille parole; non riuscii a resistere a quella visione e afferrato il colletto della camicia lo strattonai verso di me, baciandolo - mi si perdoni il termine da romanzetto d’appendice - come se potesse essere l’ultima volta.
“Se Wilde avesse incontrato una persona come te, allora sarebbe stato felice.’’ Mi disse ed io lo strinsi a me facendo aderire perfettamente i nostri corpi nudi.
“Holmes, mi ami?’’ Non riesco ancora a spiegarmi come mi venne fuori una frase simile, e sicuramente il mio amico dovette pensare che fossi del tutto uscito di senno. E non riesco a spiegarmelo anche perché io ero certo che Holmes mi amasse, era l’unica soluzione al suo comportamento.
Ma soprattutto non capivo perché gliel’avessi chiesto, quando sapevo perfettamente che non avrei ricevuto risposta.
Mi aveva permesso di conoscerlo meglio di chiunque altro, lasciandomi libero accesso alla sua vita ma soprattutto al suo cuore. Qualunque fosse la sua condotta nei miei confronti, nel mio cuore sentivo sempre di essere amato davvero. La sua personalità a dir poco singolare aveva destato interesse in me sin dall’inizio, e in seguito con il tempo avevo scoperto la sua genialità e le altre mille e una cose che avevano contribuito a rendere affascinante la sua persona. Queste erano, tutte insieme e singolarmente, caratteristiche che mi attraevano e mi facevano aggrappare ad Holmes, sentendo che mi amava molto di più di quanto avesse mai amato nessun’altro.
Intanto nella stanza regnava il silenzio, mentre Holmes ancora mi cingeva le spalle abbassando gli occhi come per evitare di incontrare il mio sguardo carico di aspettative.
“Holmes?’’ Si alzò da sopra di me e si sedette sul copriletto sfatto, mentre la tenue luce dei lampioni che filtrava dalla finestra rimodellava il suo corpo e le pieghe del lenzuolo, delineandone ogni dettaglio ed ogni minuzia.
“Mi ami?’’
“Trovo stupido che dopo tutti questi anni tu ancora me lo chieda. Sai che non posso risponderti.’’
“Ma che vuol dire che non puoi rispondermi?’’
“Andrebbe contro la mia natura, eppure razza di stupido, ingenuo e sciocco dottore, dovresti saperlo.’’ Si sporse verso di me e mi baciò lieve poi, inaspettatamente, mi strinse a sé tanto forte che mi fu impossibile continuare a guardarlo in faccia e poggiai la testa nell’incavo del suo collo.
“Sei uno stupido John Hamish Watson.’’ Abbozzai una risata sulla sua pelle accaldata e lui continuò a parlare al mio orecchio. “Ti conosco da 13 anni e da allora tutto è cambiato: riesci a immaginare una città che sia stata sotto assedio per vent’anni? Adesso considera il giorno in cui le porte vengano aperte e la popolazione si possa precipitare fuori euforica, finalmente libera...”
Conoscevo bene quell’emozione: fin da giovane quella sensazione di timore aveva albergato in me portandomi a temere e a nascondermi a causa della mia natura, preoccupato che qualcuno potesse venirne a conoscenza. Poi avevo incontrato Holmes ed allora avevo smesso di preoccuparmi. Quella mia natura che per anni mi ero obbligato di reprimere, convincendomi che fosse sbagliata, era riemersa appena aveva incontrato lo sguardo grigio del mio amico e allora avevo smesso di badare alla gente e a quello che avrebbero potuto pensare.
Avevo finalmente deciso che quella era la mia vita e come tale, che avevo il diritto di viverla come meglio ritenevo.
“Be’, io ti amo Holmes.’’ Eravamo abbracciati, eppure ad ogni nostra parola sentivo Holmes più vicino. Qualcosa che andava aldilà del semplice contatto fisico, che riguardava il livello emotivo.
“Ti amo.’’ Ripetei, come se per qualche motivo avesse bisogno della mia conferma.
“Lo so, per questo continuo a farlo anch’io.’’ Holmes mi amava soprattutto perché io ero stato il primo fra i due ad affidarsi totalmente all’altro e il mio amico aveva visto di potersi fidare di me.
Annullò quella minima distanza che c’era rimasta fra noi baciandomi nuovamente ed io sentii il sapore del tabacco e la sua lingua che imperversavano nella mia bocca; ero mosso da un desiderio irrefrenabile che mi portava a desiderare Holmes in maniera prepotente. Ogni suo gesto era capace di darmi piacere: dal semplice bacio fino all’amplesso.
Si allungò oltre di me per afferrare la manopola del cassetto ed io approfittai della posizione a mio favore per lasciarli un bacio nell’incavo del collo, mentre cercavo di far scivolare la sua camicia e liberarlo di quell’indumento che intralciava ogni mio buon proposito nei confronti di Holmes.
“Sta buono.’’ Per un secondo mi parve di sentire una traccia di divertimento nella sua voce. Il cassetto fu aperto con uno scatto e la mano di Holmes andò a ricercare frettolosa al suo interno per poi riemergere pochi istanti dopo con una vasetto di pomata.
“Detesto questo genere di interruzioni.”
“Stasera ti vedo mosso da una certa premura.” Non mi guardava, ma la sua voce era profondamente ironica. Si sedette sul lenzuolo candido e posò il vasetto fra noi, immergendo le sue dita affusolate nella crema. Gli lasciai tutto il tempo di cui necessitava per prepararsi.
Non mi dilungo ulteriormente nei dettagli che potrebbero rendere volgare questo mio testo ma quando questa necessaria operazione fu terminata, la mano del mio amico - a volte mi chiedo se sia ancora opportuno chiamarlo così - mi spinse di nuovo sul copriletto e questa volta io lo trascinai con me, aggrappandomi alle sue spalle. Il suo volto accaldato fu l’ultima cosa che vidi prima che il piacere divenisse troppo sfacciato ed io riuscissi a malapena a reprimere la voce in gola.
Sarebbe imbarazzante descrivere nel dettaglio tutto ciò che avvenne quella sera, anche perché in maggioranza si tratta di cose non ripetibili da un gentiluomo e perché, semplicemente, possiedo una natura piuttosto riservata soprattutto quando si tratta dei miei rapporti e della mie relazioni private.
D’altra parte non ho bisogno di imprimere quei fatti con l’inchiostro, per potermene ricordare: nella mia memoria rivedrò le mani di Holmes che imperiose e decise percorrevano ogni linea del mio corpo, così come il suo respiro affannato, il suo corpo schiacciato contro il mio o ancora i suoi fianchi capaci di procurarmi quel piacere quasi folle.
Quando mi spostai su un lato e occupai la mia metà del letto non avevo neanche la forza di muovermi e mentre il respiro riprendeva il normale ritmo e il volto era ancora madido di sudore mi sentii cingere i fianchi da dietro.
Mi voltai e trovai Holmes a pochi centimetri dal mio viso: aveva gli occhi chiusi, la testa poggiata sul mio cuscino e non sembrava intenzionato a proferir parola sebbene - in tutta franchezza - la sua espressione non aveva bisogno di parole tanto appariva appagata e soddisfatta.
“Sai…’’ alla mia voce aprì gli occhi e tirò su il lenzuolo fino a coprirci i fianchi.
“Parlando con Wilde oggi, mi ha detto che questo genere di sentimento che ci lega si potrebbe definire l’Amore che non osa pronunciare il suo nome ed è quel genere di sentimento che la gente ipocrita non capisce, o forse si rifiuta di farlo, solo perché diverso.
Ma nonostante quello che può pensare la gente, non c’è niente di sbagliato. Eppure siamo costretti a vergognarci con gli altri e ci ritroviamo a portare delle maschere come volti, o peggio ancora... dei volti come maschere.’’ Non disse nulla ma continuò a fissarmi mentre i suoi occhi grigi brillavano nell’oscurità della stanza.
“Tu non porti maschere.’’ Disse serio ed io sorrisi leggermente scuotendo la testa.
“Infatti... io porto un volto, ed è peggio ancora.’’ Mi sfiorò lo zigomo con il dorso delle dita e vidi una buffa espressione contrariata sul suo volto, mentre le sue sopracciglia sottili e corvine si inarcavano di disappunto.
“No, non è vero.’’
“Tu non ti sei mai preoccupato della gente e di quello che poteva pensare. Per quanto tu faccia prudenza ti dimostri sempre del tutto indifferente alle loro opinioni. Tu sei padrone della tua vita.
Omosessuale o no, tu non nascondi il tuo carattere. Celi la tua natura ma dimostri sempre la tua personalità io invece divento un altro uomo e non solo nascondo la mia natura - cosa doverosa da fare di questi tempi - ma anche la mia personalità, arrivando a costringermi di essere come gli altri.”
Ripensai a molti anni fa e rividi la navata della chiesa riccamente addobbata e piena di persone, un parroco, ed io che davanti all’altare giuravo fedeltà a Mary.
Quello era stato il classico esempio di una cosa fatta per assoggettarsi agli altri, per non far parlare di sé. Avevo la mia vita ed andava tutto bene poi improvvisamente qualcosa si incrinò - come quando si scheggia un vaso e per quanto tu possa fare attenzione, la scheggiatura diventa pian piano una crepa ed il vaso finisce per frantumarsi fra le tue mani.
Era successa la stessa identica cosa: all’inizio era stato tutto insignificante, sposai Mary per tacitare alcune voci sul conto di me ed Holmes, poi la situazione cominciò a precipitare ed io indossai il volto che avevo deciso di mostrare alla gente - quello dell’uomo affidabile e di sani principi morali - e diventai l’uomo che non avrei voluto essere.
L’uomo che la Società voleva vedere.
E questa mia vigliaccheria portò a far soffrire due persone che non meritavano assolutamente di patire neanche un giorno di angoscia. Il primo fu Holmes che cercò di nascondersi dietro una maschera di indifferenza e freddezza arrivando ad odiarmi e a nutrire una più che giustificata amarezza nei miei confronti - a distanza di tutti questi anni ancora mi domando come abbia fatto a perdonarmi - e poi ci fu Mary che scoprì la verità rovistando fra i miei diari.
Non amavo quella donna ma nutrivo per lei profondo rispetto e un affetto sincero che mi avevano portato a sceglierla come consorte e perciò arrecarle dolore mi faceva sentire un essere abbietto e meschino. Ricordo le sue urla e la sua rabbia dirompente quando scoprì di me ed Holmes.
Per la prima volta vidi il disgusto sul volto di un persona.
Quell’angelo biondo e all’apparenza indifeso, di fronte alla realtà diventò una belva furiosa con il solo desiderio di vendicarsi per il torto subito, arrivando a minacciare di denunciarmi. Quella mia abitudine di nascondere il mio vero carattere portò a far soffrire due persone che non lo meritavano e condusse me sull’orlo del baratro.
Per un istante fissai Holmes a pochi centimetri da me e poi gli afferrai il volto fra le mani baciandolo. Fu diverso dalle altre volte; di solito Holmes - anche quando colto di sorpresa - prendeva possesso delle mia labbra in maniera prepotente. Quella volta, invece, mi lasciò agire liberamente, limitandosi a sfiorarmi uno zigomo.
“Sai... Wilde mi ha detto anche un’altra cosa. Secondo lui nella vita ci sono solo due grandi tragedie: una è non ottenere ciò che si vuole, l’altra è ottenerlo. La seconda è di gran lunga la peggiore... la vera tragedia.’’
A quelle parole Holmes si allontanò da me, sistemandosi sul suo cuscino e portandosi le mani dietro la nuca, poi prese a fissare il soffitto un po’ contrariato.
“Mi permetto di dissentire. Se questo pensiero fosse corretto allora tu saresti la migliore tragedia che mi sia capitata nella vita.”
Ci misi un paio di secondi per elaborare quello che mi aveva detto, per comprendere quelle parole, ma quando ne compresi il significato rimasi basito e non potetti fare altro che voltarmi e guardarlo, come nella speranza o l’illusione che Holmes potesse ripetersi. Invece stava ancora fissando il soffitto quando lo baciai, perché il quel momento era l’unica cosa che volevo fare.
Fu quando incorniciai il viso di Holmes con le mani - approfondendo il bacio con trasporto - che mi resi conto che avremmo potuto essere arrestati per quello (dopotutto a Wilde era successo).
Poi capii, compresi finalmente quello che Holmes tentava di farmi capire da mesi e, egoisticamente, mi sentii sollevato - finalmente libero da un fardello di angoscia che mi aveva oppresso per mesi interi.
Io ed Holmes eravamo diversi.
Eravamo diversi da Wilde e Bosie.
È vero, il nostro era un amore fuorilegge, proibito, un Amore che non osava pronunciare il suo nome ma non era questo che importava. Nulla ci era mai interessato della società e non avevamo intenzione di cominciare a preoccuparcene adesso, perciò capii che la mia paura che potessimo fare la stessa fine di Wilde era la più insensata e illogica delle angosce.
A costo di ripetermi: lui ed io non eravamo come Wilde e Bosie. Era stato quest’ultimo a rovinare lo scrittore mentre nessuno di noi due si sarebbe mai sognato di abbandonare l’altro in una situazione tanto delicata, né tantomeno imporgli il suo volere.
Bosie non amava Wilde per l’uomo che era, per la persona che era dentro di sé, ma amava ciò che lui rappresentava.
Lo scandalo.
L’irriverenza.
La ricchezza.
Wilde era un uomo affascinante, soprattutto per questo suo carattere eccentrico, per le sue idee, per quel suo spirito irriverente che usava come un fioretto per trapassare i frac con lo sparato inamidato degli inglesi e metterli davanti ad uno specchio, facendoli confrontare con se stessi e con i loro peggiori difetti. Bosie si era avvicinato a lui affascinato da quell’aria bohemien e, con il tempo, aveva imparato ad apprezzare i suoi agi, il modo in cui lo viziava, le cene ai ristoranti costosi, le serate a pagamento negli alberghi, i giri in carrozza.
A Bosie non interessava Wilde, ma ciò che egli poteva offrirgli. Quando non è stato in grado di offrirgli più niente allora lo ha abbandonato, senza pensare che forse, dopo tutto quello che gli aveva fatto passare, l’unica cosa di qui Wilde aveva davvero bisogno era averlo vicino.
Per noi era diverso: non ricordo di aver mai passato un solo istante della mia vita da quando conosco Holmes, in cui lui non mi sia stato accanto nel momento del bisogno ed io ho sempre cercato di fare lo stesso con lui. Durante le sue indagini; durante i momenti più brutti e carichi di tensione; le notti in cui lo trovavo seduto al tavolo del salotto con la testa fra le mani, sprecando il suo sonno su qualche complicato caso - l’unica luce che brillava in Baker Street veniva dalla finestra del nostro salotto -; quando riponeva la siringa nella speranza che io non lo vedessi e quando mi sorrideva accondiscendente pensando di ingannarmi.
A volte mi trovavo a dimenticare il senso di tutto ciò, così abituato a quei gesti di normale quotidianità da considerarli consueti mentre in realtà rappresentavano semplici atti di rispetto che rendevano il nostro rapporto degno di fiducia reciproca.
Perché noi non eravamo come Wilde e Bosie.
E mi sentii incredibilmente sollevato.
Sentii il braccio di Holmes stringersi intorno ai miei fianchi e poggiai la testa sulla sua spalla. Sicuramente quando l’avevo incontrato non avrei mai immaginato di finire a questo punto - in particolar modo perché non avrei mai immaginato di innamorarmene. Era diverso da me, troppo sbagliato e non mi riferisco ad un fattore di legge bensì a quel suo carattere che per ogni dettaglio che mi affascinava ne serbava altrettanti che mi infastidivano.
Eppure l’amavo, sebbene pieno di difetti che sapevano davvero darmi ai nervi. Lo amavo anche se borioso; sprezzante; disordinato a tal punto da lasciare le sue sostanze chimiche nel piattino del burro - e se non eravamo ancora morti avvelenati è solo per benevolenza divina -; amavo che suonasse quel suo maledetto violino, anche nelle ore più improbabili della notte; che affumicasse il salotto con la sua calabash senza preoccuparsi di aprire le finestre e che pretendesse sempre l’ultima parola.
Non c’era niente di lui che non avessi accettato.
Inutile dire che l’incontro con Holmes aveva cambiato la mia vita in maniera radicale. Non era neanche paragonabile alle relazioni con gentiluomini che avevo avuto al College. Lì era diverso. Non sentivo il bisogno di loro, li desideravo.
C’era una differenza sostanziale nell’avere un rapporto con un compagno accademico, mossi da una certa curiosità e dal desiderio di scoperta, ad avere una relazione con una persona che conosce ogni cosa di te, e a cui avevi concesso non solo il tuo corpo ma anche - e soprattutto - il tuo cuore.
Non si trattava di semplice desiderio, bensì vero e proprio bisogno.
E Non c’era niente di sbagliato in tutto questo.
Non c’è mai niente di sbagliato nell’Amore.
Anche se si tratta dell’Amore che non osa pronunciare il suo nome.
Fine