Fandom: Harry Potter;
Pairing: Albus/Gellert;
Rating: NC17;
Genere: Erotico, Romantico;
Warning: Slash, Sesso descrittivo, What if;
Beta: Narcissa63;
Summary: Se l’incidente che portò alla morte di Ariana non fosse mai avvenuto, cosa sarebbe successo? Uno scorcio di vita quotidiana sul sogno di gloria di Albus e Gellert.
Note: Scritta sul prompt 24 - Five o'clock Tea del
mio set, preso dalla
25 Senses - Taste di
kinks_pervs e sul prompt Blu - What if..? della
Ragenbogen Challenge di
grindeldore_ita (la mia tabella:
QUI). Inoltre risponde a
questa richiesta di
miki_tr della
Writers United di
grindeldore_ita.
Dedica: Ne approfitto per fare gli auguri a
zephan82 , anche se non so se questo pairing le piaccia O_O Tesoro, spero gradirai almeno il p0rn XD Buon Compleanno e 100 di questi giorni!
DISCLAIMER: Sapete di chi sono, ormai lo sanno anche i muri, e non ho ancora trovato nessuno disposto a pagarmi per ciò che scrivo, quindi…
Walking With Giants
Se mai si racconterà la mia storia,
si dica che ho camminato coi giganti.
Gli uomini sorgono e cadono come grano invernale,
ma questi nomi non periranno mai.*
Il vapore salì dalla tazza, arricciandosi in un rivolo fumoso nella penombra della stanza e spandendo nell’aria il singolare profumo della miscela inglese.
La scrivania sulla quale era posato il vassoio della colazione - appena portato da una giovane recluta - era ingombra di scartoffie e documenti. Tre quotidiani, fra i quali La Gazzetta del Profeta ed un giornale militare tedesco, erano stati consegnati insieme al primo pasto della giornata. Accanto ad essi, stesa sul ripiano, spiccava una cartina dell’Europa ed una pergamena su cui era disegnato il prospetto di un edificio torreggiante.
Gellert gettò un’occhiata distratta ai progetti di costruzione della loro prigione magica - Nurmengard, così si sarebbe chiamata - prima di riportare l’attenzione al foglio che aveva davanti: una lettera di Aberforth.
Avendo il sonno leggero, si era svegliato poco prima, quando il gufo aveva picchiettato alla finestra. Si era alzato, aveva infilato la vestaglia ed aveva ritirato la lettera indirizzata al suo compagno. Poi si era affacciato alla porta, aveva ordinato alla guardia che sorvegliava le loro stanze - un Mago in borghese, ovviamente - di fargli portare la colazione, e dopo si era seduto alla scrivania per leggere la missiva, spezzando il sigillo di ceralacca con familiarità, come se fosse indirizzata a lui.
Albus dormiva ancora profondamente, la sua figura s’intravedeva appena tra le tende del baldacchino, coperta fino ai fianchi dal lenzuolo candido, i capelli lunghi sparsi sulla schiena e sul cuscino come arabeschi infuocati.
Adolf Hitler, il loro burattino babbano, si preparava ad invadere la Francia, perciò loro - i Padroni della Morte, appellativo con cui ora li conosceva il Mondo Magico - avevano ritenuto opportuno trasferire Aberforth e Ariana in un luogo più sicuro, prima che il Ministero della Magia inglese li prendesse sotto custodia per usarli come armi di ricatto.
Abe aveva protestato per un po’, ritenendo che un trasloco sarebbe stato troppo traumatico per la delicata psiche della sorella, ma infine aveva concordato che fosse necessario per la loro sicurezza.
Avevano agito mentre Ariana dormiva, dopo averle opportunamente somministrato una pozione soporifera. Al suo risveglio, la ragazza si era ritrovata in un delizioso chalet sulle Alpi, immerso nel verde, sotto la custodia e le amorevoli cure del fratello e di Rose, una giovane, competente e dolce Medistrega fedelissima alla loro causa.
Da quasi un mese Aberforth li informava regolarmente sulla salute di Ariana, che si stava fortunatamente ambientando senza troppi problemi.
Due mani bianche e sottili scivolarono sulle sue spalle e una bocca soffice gli si posò sul collo, prima che una cascata di profumati capelli rossi gli piovesse addosso, distraendolo dalla lettura.
«Da quando leggi la mia posta?» domandò Albus al suo orecchio, con la voce ancora roca di sonno.
«Da oltre quarant’anni» rispose l’interpellato, sorridendo leggermente.
«Sì, ma da quando lo fai ancora prima che l’abbia aperta io?» insistette il compagno, facendo scivolare i palmi sul suo petto.
«Fa differenza?» ribatté lui, reclinando il capo per incontrare il suo sguardo.
«No» concesse Silente, prima di posare le labbra sulle sue «Buongiorno» soffiò su di esse, subito dopo, approfondendo il bacio. «Che notizie riporta il mio fratellino?» chiese poi, spostandoglisi accanto e poggiando i fianchi contro la scrivania.
«Va tutto per il meglio. Ariana si sta affezionando alla Medistrega che abbiamo scelto per lei ed Aberfoth le ha comprato un agnellino con cui giocare. Presto avranno un allevamento di capre, lassù» raccontò concisamente, ammirando il corpo sottile dell’amante, coperto solo da una vestaglia di seta blu.
«Bene. Perché non torni a letto?» propose questi.
«Sai che una volta sveglio, non riesco a riprendere sonno».
«Non ho parlato di dormire, infatti» replicò Albus, con uno scintillio malizioso nello sguardo indaco. Aveva lasciato gli occhiali sul comodino, quindi l’effetto era ancora più suggestivo del consueto. Le piccole rughe agli angoli degli occhi e le virgole ai lati della bocca erano fra i pochi segni che denunciavano la sua età, ma il compagno non era certo che fossero un difetto.
«Ho fatto portare la colazione» lo informò Gellert, intrufolando una mano sotto la veste da camera. La fece scorrere sulla sua coscia, prima di baciarla poco sopra al ginocchio.
«Oh, grazie» l’altro gli sorrise, prima di allungarsi a prendere una tazza e scrutare l’angolo dell’anticamera, dove era posto il trespolo d’oro di Fanny, al momento vuoto.
Grindelwald non si preoccupò troppo di dove fosse, le fenici avevano l’abitudine di fare quello che preferivano, quando i loro padroni non avevano bisogno di loro. Anche se quella in particolare appariva tutte le volte che Silente prendeva il tè. Albus l’aveva viziata, oppure - prospettiva ancor peggiore - riusciva ad attaccare le proprie abitudini a tutti, visto che ormai perfino lui si era convertito alla tipica bevanda inglese ed aveva abbandonato, almeno in parte, il suo amato caffè.
«Tu hai già mangiato?»
«No, volevo aspettare che ti svegliassi» Grindelwald gli sciolse la cinta della vestaglia, esponendo il suo corpo sottile e slanciato.
Non era un fisico atletico - Al non era mai stato uno sportivo - ma era asciutto e candido. Ogni tendine era intriso di magia più di quanto lo sarebbe mai stato un Mago comune, ogni linea era elegante e decisa, tipicamente anglosassone.
«Ma adesso intendo rimediare» concluse e, disegnando una strada di lievi morsi sulle sue ossa iliache, scese rapidamente sempre più in basso.
Le dita di Silente si strinsero attorno alla tazza bollente sino a far sbiancare le nocche ed egli mandò giù a fatica un sorso di tè, prima di reclinare la testa indietro, esponendo la gola e liberando un sospiro.
Gellert accarezzò con voluta lentezza quelle membra affusolate: solleticò le costole sporgenti, pizzicò i capezzoli chiari, sfiorò la linea curva delle clavicole e delineò con il pollice il pomo d’Adamo e la mascella resa ruvida da un accenno di barba, rimarcando ovunque il proprio possesso, mentre si dedicava con solerzia all’eccitazione dell’amante. Più di un soldato era stato spedito in Asia, alla ricerca di una fantomatica razza perfetta, per aver guardato con un po’ troppa insistenza il suo uomo.
Dopo qualche minuto, quando il compagno intensificò le cure che gli stava prestando, Albus si accasciò sulla scrivania ingombra di carte. Non badò alla pila di documenti ed alla cartina d’Europa che - a causa dei suoi gesti - caddero a terra, ed un sibilo sofferente gli sfuggì quando, senza volerlo, si rovesciò addosso parte del liquido caldissimo.
Gellert gli tolse la tazza dalle mani, posandola da parte con noncuranza ed infischiandosene del resto della bevanda, che si sparse sulle ultime pergamene rimaste sul ripiano. S’inerpicò sul suo corpo con una scia di baci e lenì la pelle arrossata con la lingua, poi soffiò gentilmente su di essa, ed infine sussurrò un incantesimo per prevenire la scottatura.
La bocca di Grindelwald sapeva di tè, quando Albus lo baciò di nuovo, intrecciando le dita ai sui ricci dorati. Ribaltò le posizioni e, dopo averlo pressato contro lo scrittoio di mogano intarsiato, strappò via la cinta della sua vestaglia.
Avrebbero dovuto prendere l’abitudine di sgombrare il tavolo ogni notte, prima di andare a letto, anziché continuare a parlare di politica fino a quando crollavano dal sonno o si distraevano in altri piacevoli modi. Quella pessima abitudine, che avevano preso sin da ragazzi, non era ancora cambiata.
FINE.
*La frase d’introduzione è tratta dal film “Troy”.
Potete trovarla anche su:
EFP;
Nocturne Alley;