Ti Vorrei Sollevare - Capitolo 4

Sep 02, 2013 12:04

Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Gabriel/Sam.
Rating: NC17/NSFW.
Beta: Koorime.
Chapters: 4/8.
Genere: Angst (?), Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spin off, Spoiler (7x12 - Time after time), What if.
Words: 5119/38218 (fiumidiparole).
Summary: L’Apocalisse è finita, Sam è salvo, Gabriel ha di nuovo tutte le sue ali e Castiel è vivo. Ma umano. E Dean - be’, Dean è quello che deve occuparsene, no?
Note: equel di A Look from You and I would Fall from Grace. Il titolo della storia è preso in prestito all’omonima canzone di Elisa e Giuliano Sangiorgi, anche se la storia non ha nulla a che fare con essa; ho sempre trovato che fosse un titolo meraviglioso, tutto qui :P

« Capitolo Precedente | Masterpost | Capitolo successivo »

DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

Ti Vorrei Sollevare
Capitolo 4

Dovendo tracciare una formula sul pavimento e non volendo attirare l’attenzione, per effettuare l’incantesimo si spostarono in un vecchio capanno abbandonato.
Dean si guardò attorno con un vago sorriso, prima di riportare lo sguardo su Castiel. «Ti è familiare?» disse, divertito.
«Preferirei che non mi piantassi un pugnale nel petto, stavolta» rispose lui, incurvando appena le labbra.
Gabriel aveva tracciato dei sigilli sull’impiantito, formando un cerchio di protezione grande abbastanza da contenere tre persone. Li fece inginocchiare l’uno di fronte a l’altro, a distanza di braccio, e rimase in piedi accanto a loro, formando la terza cuspide del triangolo.
«Via i vestiti» ordinò.
«Cosa?» esclamò Dean.
«Oh, d’accordo, tenete i pantaloni» sbuffò, deluso «Ma mi serve che abbiate il petto nudo e sarebbe meglio che foste scalzi, in modo da essere in contatto con la terra».
Sam era in un angolo, poggiato contro un tavolo, e osservava con attenzione la scena, a braccia incrociate.
Castiel incontrò lo sguardo di Dean, mentre si sbottonava la camicia. Il ragazzo era calmo, almeno all’apparenza, e si liberò della maglietta con un gesto fluido.
«Hai paura?» sussurrò comunque l’angelo.
«No» rispose il cacciatore.
«Potrebbe fare male» lo informò Castiel.
Dean scrollò le spalle. «Be’, non è come se non avessi mai subito nulla di doloroso, no?».
«Siete pronti?» chiese Gabriel e, quando entrambi annuirono, scese un silenzio teso nella stanza.
L’arcangelo reggeva tra le mani una coppa di legno ricolma di sangue. Intinse due dita nel liquido scarlatto e cominciò a tracciare dei segni sulla schiena di Dean, sulla sua fronte, sulle braccia, sul petto, salmodiando qualcosa in enochiano. Poi fece lo stesso con Castiel.
«Fratello, poggia la mano sulla spalla di Dean. Ricalca l’impronta» ordinò. «Riesci a sentirlo?»
Castiel annuì e il ragazzo prese un respiro profondo quando percepì un familiare formicolio inerpicarsi su per il suo braccio.
«Dean, poggia una mano sul petto di Cas» continuò Gabriel. «Concentrati su di lui, cerca di percepirlo».
Il cacciatore poggiò una mano sopra il cuore dell’amico, poi sollevò lo sguardo verso l’arcangelo. «Cosa devo fare?» chiese incerto.
«Trovalo. Trova la sua essenza. Puoi riuscirci, Dean, concentrati solo su di lui» spiegò Gabriel con calma, scandendo lentamente le parole, come se volesse portarlo sotto ipnosi.
Lui chiuse gli occhi, nervoso, e cercò di focalizzare tutta la propria attenzione su Castiel, escludendo tutto il resto. La pelle sotto il suo palmo era liscia e glabra, i muscoli asciutti. Riusciva a percepire il suo battito cardiaco sotto i polpastrelli, forte e rapido, il suo respiro lento e tremante, il petto sollevarsi ogni volta che prendeva fiato. E… E basta. Tutto lì. Non riusciva affatto a sentirlo, l’unica cosa che era in grado di percepire era la fisicità di Castiel, il suo corpo, non lui. Scosse la testa, frustrato, e riaprì gli occhi.
«Non arrenderti» lo incitò l’arcangelo. «Lo conosci meglio di chiunque altro, Dean, oltrepassa quel contenitore e cercalo».
Anche Castiel riaprì gli occhi, incontrando i suoi. Strinse più forte la mano sulla sua spalla, spedendo un brivido giù per la sua schiena, toccandolo in un modo in cui nessun altro sarebbe mai riuscito a raggiungerlo. I suoi occhi erano così blu che per un momento gli diedero le vertigini. Seguimi, sembravano dire, vieni da me.
Dean rincorse quel brivido facendo la strada inversa, senza distogliere lo sguardo, si aggrappò a quella sensazione come se stesse seguendo un filo. Lo immaginò proprio così, un filo rosso - rosso come il sangue - che li legava, srotolarsi dalla mano destra di Cas alla sua, dritto dentro di lui, dentro il suo petto, dentro i suoi occhi blu.
E poi la bocca dell’angelo si aprì in un ansito e Dean vide una luce fortissima esplodere davanti a lui; non si era nemmeno reso conto di aver di nuovo chiuso gli occhi, ma la vedeva proiettata dietro le proprie palpebre. E c’erano calore e piume, e una sensazione così struggente e nostalgica che gli si accartocciò il cuore.
«Bravo ragazzo» sussurrò Gabriel, poi qualcosa s’infranse a terra - la fialetta di Grazia - e lui ricominciò a parlare in enochiano.
Dean sentì la Grazia arrampicarsi addosso a loro, liquida come acqua ghiacciata, la percepì legarli come una corda, tutta spire e nodi, e poi gli perforò il costato; un pugnale che gli affondava dentro e scavava e tagliava. Cristo, era come essere di nuovo su quella fottuta ruota, un dolore che andava oltre ogni umana concezione, inesplicabile a parole, che non aveva nulla a che fare con quello fisico e banale.
Urlò e urlò, e sentì la voce di Sam chiamarlo, molto lontano; vide confusamente il corpo di suo fratello venire sbalzato indietro dal potere di Gabriel, mentre l’arcangelo continuava sottovoce la sua preghiera in enochiano. E poi anche Castiel stava urlando, mentre la Grazia cuciva, ricamava, legava.
Dean sentì l’energia contrarsi sotto il proprio palmo, ustionante come lingue di fuoco, e all’improvviso la pelle sotto il suo tocco stava bruciando, bruciando sul serio, come se lui la stesse marchiando a fuoco.
«Ora, Dean. Staccati. Lascialo andare!» ordinò l’arcangelo.
Con gli occhi che lacrimavano per la luce e per il dolore, il ragazzo fu costretto a concentrarsi su quell’unico pensiero. Il braccio era rigido e pesava come un macigno, fuori dal suo controllo, la mano non voleva saperne di spostarsi e per un momento ebbe timore di portar via la pelle di Cas con sé. Ringhiò e diede uno strattone, e finalmente il suo palmo venne via, la Grazia si infranse come ghiaccio e tutto si fece buio.

*°*°*°*°*

Quando si svegliò era di nuovo mattina. Dean ci mise un po’ a capire dove diavolo si trovava e che diamine stesse succedendo, di chi accidenti fosse il corpo nudo e caldo intrecciato al suo e cosa cazzo fosse stato a disturbare il suo sonno.
Il sole filtrava debolmente tra le persiane e si rifrangeva sui capelli di Sam - come fottutissimi cristalli swarovski - stravaccato su una sedia accanto al suo letto e addormentato in quella che sembrava la posizione più scomoda del mondo.
Castiel si era scavato una tana nell’incavo del suo collo, come un coniglietto, e le sue braccia gli cingevano la vita. Dopo un momento di panico assoluto, Dean si rese conto che fortunatamente entrambi indossavano ancora le mutante, e poi ricordò perché diamine fossero K.O. e anche che - in teoria - avrebbero dovuto avere ancora i pantaloni addosso.
La testa gli doleva tanto che perfino quella poca luce gli faceva lacrimare gli occhi e gli sembrava di avere la bocca piena di ovatta, come dopo una brutta sbornia. Allungando una mano verso il comodino per recuperare una bottiglia d’acqua, si rese conto che ogni centimetro del suo corpo urlava e strideva dolorosamente, quasi fosse stato tirato da parte a parte. E senza volerlo, rimettendo giù la bottiglia fece abbastanza chiasso da svegliare Sammy, che sussultò e spalancò gli occhi, allarmato.
«Dean? Dean! Ti sei svegliato, finalmente» esclamò, precipitandosi su di lui.
«Shhh, Samantha, abbassa la voce, Cristo» sibilò il maggiore, perché gli stava facendo esplodere le tempie e perché a quel suono Cas si era affossato ancora di più contro il suo fianco, come se volesse sfuggire al rumore.
«Scusa, Dean, è solo che- hai dormito per più di ventiquattro ore, amico» spiegò suo fratello, con evidente sollievo.
«E Cas?» gracchiò il maggiore.
«Anche lui. A dire il vero non si è ancora svegliato» rispose l’altro.
«Sai dirmi perché diamine abbiamo addosso solo le mutande?» grugnì Dean.
«Oh. Gabriel ha detto che dovete stare a più stretto contatto possibile. A dire il vero ho dovuto insistere per far si che vi lasciasse almeno quelle».
«È per questo che Mr. Comatoso qui mi sta spiaccicato su un fianco?» domandò confuso, facendosi violenza per non richiudere gli occhi.
«Uhm- A dire il vero, non appena vi abbiamo messi a letto vi siete aggrovigliati l’uno a l’altro. È stato come vedere due calamite volare l’una verso l’altra» rivelò Sam, un po’ imbarazzato.
Dean era troppo stanco per discutere. «Okay, ho capito» sospirò, lasciando ricadere la testa sul cuscino.
«Allora io- uhm- vi lascio riposare» borbottò suo fratello, rimettendosi in piedi e prendendo la giacca dalla sedia.
Quando si chiuse la porta della camera alle spalle, Dean si era già riaddormentato.

*°*°*°*°*

La seconda volta che si svegliò doveva essere notte inoltrata, a giudicare dai lampioni accesi fuori dalla finestra. Ringraziando qualunque divinità passata e futura, la testa non gli faceva più tanto male da impedirgli di tenere gli occhi aperti.
Sospirò e si passò faticosamente una mano sul viso; il suo braccio sembrava ancora pesare una dozzina di quintali. Un fruscio di lenzuola lo avvertì che forse non era l’unico ad essere sveglio.
«Dean?» mormorò Castiel, scostandosi leggermente dal suo fianco per incontrare il suo sguardo.
Gli occhi dell’angelo erano cerchiati e ansiosi, le labbra pallide e più screpolate che mai.
«Ehi» gracchiò lui, dandogli un buffetto su una guancia. «Hai bevuto qualcosa?»
Cas scosse il capo e Dean gli passò la bottiglia d’acqua, osservandolo ingollare avidamente diversi sorsi. Una gocciolina sfuggì alle sue labbra e rotolò lungo il suo mento, precipitando sul suo sterno; lui ne seguì la caduta con distrazione, poi si irrigidì. Sul petto di Castiel, sopra il cuore, campeggiava un’ustione a forma di mano, vividissima e gonfia.
«Cristo» sussurrò. «Sono stato io?»
L’angelo smise di bere e abbassò lo sguardo per sbirciarsi il torace, prima di annuire.
«Pensavo fosse una cosa solo da- be’, sai- ti ho stretto e salvato dalla perdizione» lo citò il ragazzo, scimmiottando il suo tono.
Castiel si allungò sopra di lui, portando il petto fin troppo vicino al suo viso, per poggiare la bottiglia sul comodino. «Si può dire che tu abbia fatto lo stesso, Dean» rispose, stendendosi di nuovo al suo fianco.
Lui non sapeva cosa replicare, si limitò a guardarlo, entrambi puntellati su un gomito, le gambe ancora intrecciate. «Ha l’aria di fare un male cane» trovò infine. «Forse dovresti metterci del ghiaccio».
«Non importa» lo rassicurò l’angelo.
Il marchio era così rosso e vivido su quel petto pallido che Dean riusciva a distinguere ogni falange, ogni monte della mano; una perfetta replica della sua. Non riusciva a distogliere lo sguardo.
«Perché voglio toccarlo?» chiese allarmato, scoprendosi con le dita già allungate verso di lui.
Le labbra di Castiel si piegarono in un accenno di sorriso. «È normale» disse, facendo combaciare il proprio palmo con l’impronta sulla sua spalla.
Dean ebbe un fremito così violento da sentire la pelle d’oca rizzarsi dietro la nuca. «Cristo» ansimò.
«Toccami» lo incitò l’angelo.
«Sembra una cosa perversa» sogghignò lui.
Castiel lo incitò stringendo appena la presa su di lui, causandogli un’altra cascata di brividi, ma il cacciatore scosse il capo.
«No, ti farei male» disse, ma circondo la sua vita con un braccio, portandolo un po’ più vicino. «Pare che dovremo stare qui appiccicati ancora per un po’» lo informò.
L’amico annuì. «Lo sospettavo. Se ci separassimo così in fretta potresti risentirne».
«Davvero?» chiese lui, incuriosito.
«Ho un pezzo della tua anima, Dean. Il mio tramite la tiene già troppo lontana da te. Dovrai abituarti per gradi» spiegò. «Stai bene?»
«Sì, ho solo-» il ragazzo si prese un momento per esaminarsi, «un’emicrania pazzesca e tutti i muscoli contratti. Ma quello potrebbe dipendere dal fatto che abbiamo passato quasi quarantotto ore a letto. E ho freddo» disse stupito. «Tipo fin dentro le ossa».
Castiel annuì e sollevò di più la coperta, coprendolo meglio sia con essa che con il proprio corpo. «Anche io avevo sempre freddo, subito dopo aver perso la Grazia» gli ricordò. «Ancora adesso continuo ad avere più freddo del normale, nonostante siano passate settimane».
«Pensavo che fosse perché hai perso la tua parte scintillante» disse Dean. «Mi è parso di capire che voi angeli siate parecchio caldi».
«Sì. E lo stesso vale per le anime. Ho perso la Grazia, quella parte di me che mi caratterizzava come angelo; sono ancora me stesso, ma non ho più ciò che mi rendeva uno dei miei simili. Per te è lo stesso, in parte: sei ancora Dean Winchester, ma hai dato via un pezzo del soffio divino, quello che accomuna tutti gli umani».
«È solo un pezzetto» sbuffò lui, scrollando le spalle «E non l’ho perso. So esattamente dov’è». Sorrise a mezzo e poi Castiel fece qualcosa che lo lasciò completamente spiazzato: posò le labbra sull’impronta sulla sua spalla.
«Grazie» mormorò su di essa. «Grazie, Dean».
«Ehi, smettila» borbottò imbarazzato.
«Sei arrossito» osservò l’angelo.
«Mi stai sbaciucchiando. E siamo praticamente nudi. A letto» gli fece presente.
Quello sulla bocca di Castiel era un riconoscibilissimo sorriso divertito.
Dean grugnì e gli diede una leggera spinta. «Non prendermi in giro, moccioso».
L’angelo gli restituì il colpetto, lasciandolo basito. Come finirono a spintonarsi come ragazzini, tirandosi e stringendosi da una parte all’altra, lui se lo chiese per un bel pezzo.

*°*°*°*°*

Mangiarono merendine e caramelle, attingendo direttamente alla scorta segreta di Dean, visto che era troppo tardi per ordinare qualcosa. Sonnecchiarono e guardarono programmi spazzatura alla TV, stretti l’uno a l’altro come cuccioli in una scatola.
L’emicrania stava lentamente scemando e anche Castiel era un po’ meno pallido, e onestamente lui cominciava ad averne abbastanza di doverlo avere sempre addosso. A un certo punto, non poté più evitare la necessità di andare in bagno e ne approfittò per riprendersi un po’ del proprio spazio personale.
Strisciò fuori dal letto, rubando un lenzuolo per coprirsi, e scivolo nella stanza attigua. Rabbrividì, sentendosi inspiegabilmente a disagio; Cristo, la temperatura era scesa di dieci gradi tutta in una volta?
Fece quello che doveva, poi aprì il rubinetto per lavarsi le mani, e solo allora si accorse che stavano tremando. Si strinse di più il lenzuolo addosso, cercando di ignorare la brutta sensazione. Forse avrebbe potuto farsi una doccia. O magari no, decretò, quando vide il proprio respiro condensarsi e svolazzargli davanti alla bocca.
Qualche passo dopo, rientrando in camera, stava battendo i denti dal freddo.
«Dean» esclamò Castiel, allarmato, mettendosi seduto.
«Non- non è niente» smozzicò lui, arrampicandosi sul letto.
L’angelo lo strinse subito tra le braccia, attirandolo contro il suo petto e Dean si ritrovò il viso quasi schiacciato contro l’impronta della propria mano. Il sollievo fu immediato, come una doccia calda sulla pelle gelida. Gli cinse la vita, ancora tremante, e nessuno parlo per minuti interi, mentre lentamente la sensazione di disagio e il freddo si attenuavano, fino a diventare di nuovo sopportabili.
«Va meglio?» domandò Castiel, tra i suoi capelli.
Il cacciatore annuì, il respiro ancora difficoltoso e il cuore - il suo o quello di Cas? - che gli pulsava nelle orecchie. «Okay, ho capito, le coccole sono la nostra terapia d’urto. D’accordo. Niente passeggiate per un po’» borbottò amaramente.
Le mani dell’angelo scorrevano lungo la sua schiena, calde e rassicuranti, come se volessero consolarlo, ma Dean non si sentiva affatto meglio; non gli era mai piaciuto sentirsi così debole e disarmato.
Castiel sospirò, preoccupato. «Passerà» gli promise. «Dacci un po’ di tempo e ci abitueremo».
Quello attirò la sua attenzione. «È stato così brutto anche per te, poco fa?» domandò.
«Abbastanza» ammise l’amico.
«Era per questo che non volevi fare il rituale?»
«Anche. Sapevo che gli effetti collaterali sarebbero stati imprevedibili».
«Indiscreto, avevi detto» ricordò il ragazzo «Be’, comincio a capire».
«Temo che sia solo l’inizio, di quello, Dean» confessò Castiel, premendo le labbra in una linea pallida.
Lui si mosse leggermente, a disagio. «Puoi dirlo, sai? Te lo sento vibrare dentro il te l’avevo detto. Avevi ragione, okay? Ma non me ne frega un cazzo. Penso ancora che fosse necessario» sbottò.
«Non ho nessuna intenzione di rinfacciarti una cosa simile, Dean» asserì l’angelo, stringendolo un po’ di più a sé.
Già, quella è una cosa più da Samantha, pensò lui, cercando di scrollarsi via la tensione dalle spalle. «È davvero okay, per te? Tutta questa storia del contatto fisico gratuito, intendo. Non mi sei mai sembrato un tipo molto propenso, specie prima dell’Apocalisse».
«Ancora una volta, come per il legame, dipende dalla persona con cui devo avere questo contatto» spiegò Castiel. «Con te va bene. Con te va bene qualunque cosa» disse serio, e inspiegabilmente quello lo fece sentire un po’ meglio.

*°*°*°*°*

Le punte delle dita di Castiel scorrevano pigre sulla sua schiena, tracciando disegni astratti. Dean stava di nuovo cedendo al sonno, gli occhi socchiusi e il respiro lento. Pensò che, tutto sommato, quello non era così male; aveva ricevuto così poche attenzioni, nella sua vita, da sapersele godere quando arrivavano, malgrado fossero sempre imbarazzanti. E poi non era come se avesse una vera scelta, lì. Cas non stava facendo nulla di eccessivamente invadente ed era sempre meglio di vederlo irrigidirsi come se gli avessero infilato una scopa su per il culo.
«Perché gli umani provano imbarazzo per ciò che desiderano?» gli domandò l’angelo, la voce lenta, ammorbidita dall’indolenza della situazione.
Dean si stropicciò le palpebre, confuso. «Di cosa parli?» borbottò, con la bocca impastata.
«Si sentono in colpa se mangiano un cibo troppo calorico, nascondono i loro impulsi sessuali o quelli affettivi, come se fossero una debolezza. Non capisco. Sono queste le cose che li rendono più umani».
Il cacciatore sospirò, seccato. Perché doveva sempre fargli domande complicate nei momenti meno opportuni? Si sfregò la fronte e si prese un momento per pensarci. «Non lo so. Suppongo perché se cedessimo a ogni impulso, non saremmo umani, saremmo animali. Quindi, sai, ci si abitua a esercitare un controllo costante, forse a volte- eccessivo» spiegò, sbadigliando contro il suo petto. «E comunque, anche tu ti imbarazzi quando si parla di sesso, Cas» gli ricordò poi.
«Non è l’atto sessuale che mi imbarazza, Dean. È la tua insistenza nello spingermi verso gli sconosciuti».
«È difficile crearsi dei legami facendo questa vita, Cas. Per questo ti incito a sperimentare. È un peccato che tu ti perda la parte più bella dell’essere umani».
«Avrei potuto farlo anche quand’ero un angelo, le occasioni non mi sono davvero- mancate» ammise, dopo un lungo momento di silenzio, lo sguardo puntato sul soffitto.
«Allora qual’era il problema?» domandò il ragazzo, l’indice che sfiorava i contorni dell’ustione purpurea, senza mai toccarla davvero.
Gli occhi blu di Castiel tornarono giù, incontrando i suoi. «Nessuno mi ha mai fatto pensare che ne valesse la pena».
Dean lo fissò a lungo, senza dire nulla. C’era qualcosa che non gli quadrava lì; se in precedenza non avesse sentito il desiderio di Cas tentare di perforargli una coscia, probabilmente avrebbe pensato che l’amico fosse asessuale, ma non era così, quell’angelo aveva degli impulsi sessuali, anche se faceva tanto il virtuoso.
«Sai cosa?» sbuffò, divertito «Penso solo che tu sia uno di gusti maledettamente difficili».
Lui non rispose, riprese semplicemente a scrutare il soffitto, le unghie corte che scorrevano delicatamente sul suo braccio, provocando soffici brividi. In pochi minuti, il ragazzo scivolò di nuovo sull’orlo del sonno, dormicchiando sulla sua spalla.

*°*°*°*°*°*

Potevano essere passate ore o solo una mancia di minuti, quando sentì di nuovo la voce dell’amico. Fuori dalla finestra la notte stava sbiadendo in un’alba plumbea e la strada era completamente silenziosa. Tutto il motel sembrava essere immerso in un sonno profondo.
«Questo è piacevole» mormorò l’angelo, le labbra da qualche parte vicino alla sua tempia, il respiro che gli sfiorava l’orecchio.
«Cosa?» biascicò Dean, non del tutto cosciente.
«Questo» disse, infilando le dita trai suoi capelli. «Il calore. Il contatto» sospirò. «Non dovrei dirlo, ma- vale la pena ribellarsi e Cadere anche solo per questo» sussurrò, come se gli stesse confessando un segreto.
«Perché non dovresti?» chiese il ragazzo, un po’ più attento, incuriosito.
«Perché Cadere è la cosa più vergognosa che possa capitare a un angelo. Non dovrei trovarci nulla di… piacevole» ammise, un po’ accigliato, come se in effetti trovasse la cosa imbarazzante, o come se avesse dovuto trovarla tale.
«Non è poi così speciale. Avresti potuto farlo anche quand’eri un angelo».
«Non sarebbe stata la stessa cosa».
«Perché no?»
«È diverso. Il modo in cui percepiamo le cose attraverso un tramite non è così- così vivido. È come-» tentò di spiegare, in difficoltà.
«Come fare sesso con il preservativo» sogghignò Dean.
Castiel fece un piccola smorfia. «Per quanto rozzo, il paragone è perfettamente calzante».
Il cacciatore si sollevò su un gomito, incontrando il suo sguardo. I capelli di Castiel erano più arruffati che mai, dopo tutto quel tempo passato a letto, scuri come ebano contro la federa bianca; gli occhi blu lo spiavano attraverso le ciglia nere, fin troppo lunghe per essere quelle di uomo adulto; il naso piccolo e sottile; gli zigomi alti, dal taglio vagamente sovietico; la bocca rosa e piena come un cuore; il mento forte, virile; il collo pallido e lungo. Era un bel corpo. Cas avrebbe potuto avere un sacco di calore e contatto, se solo avesse voluto.
«Moccioso» sbuffò per l’ennesima volta, rimettendosi di nuovo giù, le coperte tirate quasi fin sopra la testa.

*°*°*°*°*

A metà mattinata Gabriel comparve nella camera, gli occhi coperti dalle mani e un ghigno stampato in faccia. «Okay, siete presentabili o devo tornare con una videocamera?» domandò, prima di sbirciarli attraverso le dita.
Ricevette in cambio solo un’occhiataccia da parte di Dean e uno sguardo perplesso di Castiel, che lo fissava con la testolina inclinata, in quella sua solita posa curiosa.
«Bene. Sono passato a portarvi un po’ di cibo» disse, schioccando le dita e facendo comparire delle buste di fastfood sul comodino. «E a controllare che vada tutto bene. E, per la cronaca, potevate rivestirvi già dodici ore fa».
Il cacciatore ringhiò, seccato, arraffando una delle buste per frugarci dentro. Passò un hamburger a Cas, prima di attaccare il proprio. «Quando diavolo potremo smettere di fare i gemelli siamesi?» lo interrogò, masticando a bocca aperta.
Gabriel fece una smorfia, ma non commentò, preferendo rubare una patatina dalla confezione. «Potete iniziare a sperimentare le distanze, ma senza lasciare la camera» concesse. «E se iniziate a sentirvi a disagio, riprendete il contatto fisico. Non è necessario che pomiciate, basta anche solo prendervi per mano. O almeno credo».
«Splendido» ironizzò Dean. «Quindi dovremmo stare qui per quanto, ancora?»
Castiel era troppo attratto dall’hamburger per commentare.
«Qualche giorno» rispose l’arcangelo. «Poi potrete iniziare a uscire, ma sempre insieme. E ovviamente, quando ci metteremo in viaggio, dovrete stare nella stessa macchina».
«Ci metteremo in viaggio?» sottolineò il ragazzo.
«Sì, per un po’ starò con voi. Non sei contento, biscottino?» chiocciò Gabriel, soffiandogli un bacio.
Dean grugnì e decise di ignorarlo.
«Va tutto bene in Paradiso, fratello?» domandò, invece, l’angelo.
«Sì, Cassie, non preoccuparti» disse Gabe, dandogli un buffetto. «La situazione è abbastanza sottocontrollo da permettermi di stare da queste parti per un po’».
Si prese il tempo di osservarli meglio, notando che i segni sulla gola di Dean non erano ancora scomparsi e che l’ustione sul petto di Castiel, per quanto vivida, era un po’ meno infiammata.
«Mi aspettavo di trovarvi più- stropicciati» ammise, un po’ deluso.
«Nei tuoi sogni» ringhiò il cacciatore.
«Oh, avanti, volete dirmi che nessuno di voi due ha allungato le mani? Nemmeno un pochino?» insinuò l’arcangelo e ridacchiò divertito quando vide le guance di Dean accendersi come lampadine.
Scomparve prima che il ragazzo ricordasse di avere una pistola nascosta sotto il cuscino.

*°*°*°*°*

Dean si infilò una maglietta con un sospiro, i jeans già chiusi sui fianchi e gli anfibi ai piedi, sollevato di potersi di nuovo coprire, dal semplice piacere di avere degli abiti caldi, veri - non delle stramaledette lenzuola - addosso.
Dall’altra parte del letto Castiel si stava allacciando le scarpe con qualche difficoltà, stando attento a non premere il petto contro le gambe, mentre si chinava. Lui osservò la sua schiena ancora nuda, la linea dritta delle spalle spiovere verso il basso, tracciando una vita stretta e piatta, i muscoli dorsali in rilievo sotto la pelle chiara.
Rabbrividì e si infilò una giacca pesante sopra la T-shirt, prima di sedersi al suo fianco; si sentì subito un po’ meglio. «Ti conviene mettere solo una camicia, per il momento, così potrai lasciarla aperta sul petto» suggerì.
L’angelo sollevò lo sguardo e annuì, prendendone una dalla propria sacca e chiudendo solo i bottoni più in basso, fino allo sterno. L’impronta risaltava ancora più vivida tra gli scacchi blu della stoffa.
«Fa molto male?» domandò Dean.
«Meno di quanto sembri» rispose Castiel. «Vuoi toccarla?» chiese, dopo un pausa.
Sì, diamine sì. Lo voleva ogni minuto, ogni secondo. Voleva scoprire cosa avrebbe sentito ricalcandola e vedere come avrebbe reagito Cas. Allungò una mano, esitante, poi si fermò a pochi centimetri dalla sua palle, le dita già oltre i lembi della camicia. «Cosa succederà?» lo interrogò.
«Non lo so, Dean» ammise lui.
Il cacciatore ruotò le spalle, cercando di sciogliere la tensione. «Okay, facciamolo» decretò, mangiando quegli ultimi centimetri rimasti e poggiando il palmo sul suo petto. Ansimò, sentendo un’ondata di calore risalire il suo braccio, fino ad esplodergli nella cassa toracica, il suo stomaco fece un salto carpiato all’indietro e il cuore accelerò di colpo.
Castiel rabbrividì visibilmente e chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro. Chiuse le dita attorno al suo polso, come se volesse trattenerlo lì e si leccò le labbra. «Lascia- lascia che io-» mormorò, insinuando la mano destra sotto la sua giacca, fino a raggiungere la manica corta della sua maglia ed infilarsi sotto.
Dean percepì un’altra sferzata di calore esplodere lì e unirsi alla prima, creando un circolo di brividi bollenti che gli diedero le vertigini; sentiva la testa leggerissima, come un palloncino ad elio, come se stesse galleggiando sulla superficie dell’acqua, o volando. «Dio…» mormorò.
La pelle sotto il suo palmo era rovente, riusciva a percepire il cuore di Cas sbattere contro le costole, il suo respiro tremare nei polmoni. Avrebbe potuto insinuarsi ancora più a fondo, toccare la sua vera essenza? Non si accorse nemmeno di aver chiuso gli occhi a sua volta; si sentiva così bene, così dannatamente bene, come se non ci fosse un posto migliore - o più sicuro - al mondo. E questo faceva un po’ paura, sì.
«È tutto okay» bisbigliò Castiel. «Non ti ferirei mai, Dean».
Lui riaprì gli occhi, incontrando quelli blu dell’angelo, tranquilli e soffici, e accoglienti, e gentili. «H-hai sentito quello che…» disse, stupito, e Castiel annuì, un’ombra di sorriso ad incurvargli le labbra. «O-okay, basta. Questo è troppo» smozzicò il cacciatore, staccandosi da lui.
Fu come essersi tirato via un pezzo di pelle, maledettamente doloroso. La sensazione di pace svanì e tornò con i piedi per terra, o - nel suo caso - con il culo sul materasso.
L’angelo strinse le labbra, deluso, e lasciò scivolare via la mano dalla sua spalla, più piano, così da evitargli quell’improvvisa sensazione di distacco.
«Quindi,» esclamò Dean, tirandosi in piedi per mettere un po’ di necessaria distanza tra loro, «cosa vogliamo fare? A quanto pare siamo ancora ricoverati, nonostante i miglioramenti».
«Suggerisco di occuparci delle ricerche, dato che almeno Sam e Gabriel sono liberi di cacciare» propose Castiel, guardandolo da sotto in su.
Il ragazzo pensò che Sammy poteva anche farsele da solo le ricerche, ma probabilmente quei due, con la scusa che loro non potevano muoversi da lì, ne stavano approfittando per darsi alla pazza gioia. Rabbrividì, stavolta semplicemente perché le immagini mentali erano troppo disturbanti.
«D’accordo, tanto a quest’ora non c’è nulla di decente alla TV» osservò, tirando fuori il loro laptop; sì, ne avevano preso un altro per sé e Cas.
Si sedettero al tavolo, lui al PC e l’angelo con una pila di giornali - tutti quelli dell’ultima settimana, che Sam aveva messo da parte per ricontrollarli -, in cerca di notizie bizzarre, accompagnati da due bottiglie di birra.
Minuto dopo minuto, la sottile sensazione di disagio che premeva sul suo petto si fece sempre più intensa, finché - dopo circa un quarto d’ora di lettura silenziosa e assenza di contatto - si costrinse a chiudere un po’ di più la cerniera della propria giacca, in cerca di calore.
Non è così male, si disse, cocciuto. Poteva ancora resistere per un po’, sì, ancora un po’, solo un altro minuto, e un altro ancora. Sì, non è nulla, cercò di convincersi, chiudendo un pugno per nasconderne il tremito.
All’improvviso, però, la mano di Castiel - fredda come il ghiaccio - cercò la sua, insinuandosi tra le sue dita.
«Sto bene» sostenne Dean, seccato.
«Io no» replicò lui, la voce un po’ affaticata.
Solo allora il ragazzo di accorse che le braccia di Cas, lasciate libere dalle maniche della camicia rimboccate fino al gomito, erano coperte di pelle d’oca.
«Merda» sibilò, intrecciando le dita alle sue, il pollice che accarezzava inconsciamente il dorso della mano dell’angelo, come lo sferzare nervoso della coda di un gatto.
«Mi dispiace» mormorò quest’ultimo, abbassando lo sguardo.
«Cristo, non possiamo davvero uscire, se non riusciamo a stare lontani nemmeno dieci minuti. Saremo costretti a fare i fidanzatini per tutto il tempo» sbottò Dean, incazzato con se stesso, più che con lui.
«Non è così male. Ieri sei stato via solo per pochi minuti, ma siamo stati molto peggio. Direi che la situazione sta decisamente migliorando» osservò Castiel.
Per lui non era comunque abbastanza. E, cazzo, aveva freddo, anche se si stavano toccando aveva ancora freddo. Rabbrividì e si affossò di più nella giacca; non si sentiva così dall’ultima volta che aveva avuto la febbre, più di dieci anni prima. Sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi blu dell’altro, che lo spiavano da sotto in su, innocenti ed esitanti, carichi di una muta richiesta.
«No» disse Dean, intuendo le sue intenzioni. E «Sì» subito dopo, perché - cazzo, cazzo, cazzo - stava iniziando a tremare sul serio.
Castiel si alzò e un attimo dopo era al suo fianco, usò le loro mani unite per tirarlo in piedi e lo strinse in un abbraccio. Sospirò al suo orecchio, le dita ancora intrecciate alle sue, il braccio libero attorno al suo collo, e lui cinse la sua vita sottile, premendoselo un po’ di più addosso. Il sollievo fu istantaneo; Dean poggiò la fronte contro la sua spalla e rimasero lì finché il gelo non sgocciolò via dai loro corpi.

*°*°*°*°*

«Potremmo metterci a letto» propose Castiel, circa un’ora più tardi, dopo che rischiarono per la seconda volta di andare in ipotermia.
«Non ha alcun senso vestirsi, se dobbiamo stare comunque tra le coperte» disse Dean, irritato, ancora stretto a lui.
«Possiamo sempre stare sopra le coperte» disse l’angelo con un accenno di sorriso.
Lui sbuffò divertito e scosse il capo. «D’accordo, moccioso. Facciamo a modo tuo» concesse.
Così trasportarono giornali e computer sul materasso, sedendosi contro la testata, fianco a fianco, la spalla destra di Dean che premeva contro quella sinistra di Castiel e le loro caviglie che si sfioravano di quando in quando. Con un sospiro sconfitto, il ragazzo dovette ammettere che così andava molto meglio.
Ogni tanto si leggevano a vicenda qualche notizia, chiedendo implicitamente l’opinione dell’altro - anche se il cacciatore gliene mostrò una o due solo perché erano troppo ridicole per perdersele -, ma almeno per il momento sembrava non esserci nulla che suonasse davvero come un caso; trovarli non era sempre così facile come poteva sembrare.
«C’è una cosa che non capisco,» disse Dean, più tardi, spostando lo sguardo dal laptop, «quando hai perso la Grazia tu non sentivi così tanto freddo all’inizio, no?»
«Sono stato in coma per giorni, in ospedale, non solo ventiquattro ore, come stavolta» gli ricordò l’angelo. «Non ho idea di quali fossero le mie condizioni iniziali, quindi. Ma dopo il mio risveglio mi sono reso conto di soffrire il freddo più di tutto il resto».
«Splendido» borbottò l’altro, incupito, tornando a spulciare internet.
Dopo un po’, sentì un peso leggero poggiarsi contro la sua spalla e voltandosi incontrò con la guancia i capelli di Castiel. Le ciglia dell’angelo frullarono, sotto il suo sguardo perplesso, poi sbadigliò come un bambino, assonnato. Un angolo della bocca di Dean si arricciò irresistibilmente all’insù.

*°*°*°*°*

Spazio Autore: Prima di tutto, devo scusarmi con voi per il ritardo deplorevole >_< C’è stato Gishwhes (il resoconto sulla settimana più folle della mia vita è QUI, se qualcuno fosse interessato XD) poi sono entrata in ferie e la mia beta era sempre a lavoro, quindi non c’è stato davvero modo di aggiornare prima ;__;
Ma passiamo alle cose belle: vedete QUESTO? Questo è merito VOSTRO, miei cari lettori, ne sono quasi certa ♥ Grazie a voi, i miei e-book sono entrati in classifica dei 100 libri erotici più venduti di Amazon e tutti a una posizione altissima *-* Non so davvero come ringraziarvi, credetemi. Sono commossa ;__;♥ Vi amo tantissimo, sappiatelo. Spero che vi siano piaciuti e se qualcuno volesse farmi sapere cosa ne pensa, c’è il mio profilo autore su Goodreads o Amazon stesso ;)

« Capitolo Precedente | Masterpost | Capitolo successivo »

Potete trovarla anche su:
EFP.
AO3.

serie: heat of the moment, supernatural, long: ti vorrei sollevare

Previous post Next post
Up