Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Gabriel/Sam.
Rating: NC17/NSFW.
Beta: Koorime.
Chapters: 5/8.
Genere: Angst (?), Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spin off, Spoiler (7x12 - Time after time), What if.
Words: 4373/38218 (fiumidiparole).
Summary: L’Apocalisse è finita, Sam è salvo, Gabriel ha di nuovo tutte le sue ali e Castiel è vivo. Ma umano. E Dean - be’, Dean è quello che deve occuparsene, no?
Note: equel di
A Look from You and I would Fall from Grace. Il titolo della storia è preso in prestito all’
omonima canzone di Elisa e Giuliano Sangiorgi, anche se la storia non ha nulla a che fare con essa; ho sempre trovato che fosse un titolo meraviglioso, tutto qui :P
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Ti Vorrei Sollevare
Capitolo 5
Cas sonnecchiò per un’oretta sulla sua spalla, prima che Sam e Gabriel apparissero all’improvviso al centro della loro stanza, armati di quattro scatole di pizza.
«Aww» mormorò l’arcangelo, osservando i due piccioncini sul letto, e pure Sammy stava sorridendo. «Sono proprio una bella coppia» sussurrò, sorprendentemente serio.
«Sì, lo sono» ammise il minore dei Winchester.
«Vi sento, uhm?» gli notificò Dean. «Sono lontano, non sordo».
«Oh, smettila di tenere il muso, Brontolo» sbuffò Gabe. «Abbiamo portato la cena».
«Quattro cartoni? Non sono un po’ tanti perfino per te?»
«Nah, questa viene direttamente da Napoli, Dean-o. È tutta un’altra storia» gli assicurò l’arcangelo.
«Napoli. Intendi tipo quella in Italia? Sei andato a prendermi una pizza in Italia?» domandò, con uno scintillio entusiasta negli occhi.
«Lo so, sono il cognato migliore del mondo» si pavoneggiò, confermando implicitamente, prima di arrampicarsi sul letto, con confezioni della pizza e tutto il resto.
Sam arraffò qualche birra dal frigo prima di raggiungerli.
«Ehi, orsacchiotto, la pappa e pronto» disse intanto Dean, contro la fronte di Castiel, dandogli un buffetto sul naso.
Lui emise un mugugno scontento, frullando le ciglia e aprendo un solo occhio a mezz’asta, stropicciandosi l’altro con la mano. Gli rivolse uno sguardo blu e confuso, ancora assonnato, e il cacciatore trattenne a stento un sorriso divertito.
«Pizza» lo informò, contento. «Italiana».
Gabriel spinse un cartone sulle sue ginocchia e Cas si voltò per osservare da chi provenisse, mentre l’arcangelo ne passava un altro a Dean.
La pizza di Sam, manco a dirlo, era alle verdure. Il fratello fece una smorfia schifata, incredulo che riuscisse a mettere dell’erba perfino su una delizia simile, poi affondò i denti in una fetta della propria, gemendo deliziato; salsiccia, pomodoro e mozzarella - un’opera d’arte.
«Credo che Dean-o stia per avere un orgasmo spontaneo» osservò Gabriel, divertito.
Lui non si curò affatto di negare, chiudendo gli occhi e masticando deliziato. «Che diavolo c’è sulla tua pizza?» replicò poi, perplesso.
«Salsiccia e friarielli» rispose l’arcangelo.
«Fri-che?» fece il maggiore dei Winchester, sbattendo le ciglia confuso.
«Friarielli. Sono una qualità di broccoli. Deliziosi» spiegò Gabriel.
«Ewn» ribatté molto esplicitamente Dean. «Credo che Sammy abbia un brutto ascendente su di te» asserì, prima di scambiare una porzione della propria pizza con una fetta di quella di Castiel, che sembrava molto soddisfatto della sua.
«Fantastica» ammise, dopo averla assaggiata. «Come la chiamano questa?» chiese Dean, curioso.
«Diavola» rispose quel nerd del suo fratellino.
«Sul serio?»
«Yep».
Dean e Castiel si scambiarono uno sguardo, poi il primo iniziò a ridere senza vergogna, sotto il sorriso indulgente del secondo.
«Cosa c’è di tanto divertente?» chiese Sam perplesso, anche se era felice di vedere suo fratello ridere in quel modo, così genuino e spensierato; non accadeva da molto tempo.
«Non lo so. È solo che- una diavola per Cas?» rispose lui, divertito. «Insomma, guardalo» lo invitò, come se quello spiegasse tutto.
Per Sam non spiegava proprio un accidenti, quindi si voltò a cercare Gabriel, come se lui potesse capire meglio i meccanismi di quel fesso di Dean. L’unica risposta dell’arcangelo fu un bacio soffice sulle sue labbra, che sapeva ancora di sugo e farina bruciata. Lui gli rivolse uno sguardo confuso, ma sorrise, e l’amante gli fece l’occhiolino.
*°*°*°*°*
Fu solo quella notte che cominciò a comprendere quanto avessero sottovalutato gli effetti collaterali dell’intera faccenda.
Dean si trovava su un’altura e la città era in fiamme, case di legno che bruciavano e avvizzivano nel fuoco, urla strazianti di panico e dolore. L’aria puzzava e lui ne riconobbe subito l’odore familiare: zolfo. Pioveva dal cielo in fiamme vive. Il vento attizzava l’incendio e trasportava la cenere e il fetore di corpi umani bruciati.
Si voltò verso la riva del fiume e vide il suo protetto fuggire con la sua famiglia, come gli era stato concesso; pregò il Padre che non si voltassero, nessuno di loro.
Quello che stava accadendo era giusto, era il volere di Dio, il peccato della città era grande e il grido che saliva da essa era troppo alto. Dean aveva constatato personalmente quanto fossero empi.
«Non apprezzi il mio lavoro?» domandò suo fratello, fiero della sua opera d’arte.
«È stato ben svolto, Uriel» rispose Dean, atono.
«Eppure non sembri soddisfatto, Castiel».
Dean si svegliò di soprassalto, le urla della gente di Sodoma ancora nelle orecchie, Castiel accanto a lui tremava, immerso nel sonno. Si affrettò a scuoterlo per una spalla, forse un po’ troppo bruscamente. «Cas? Cas!» lo chiamò, preso dal panico.
L’amico aprì gli occhi, un grido bloccato in gola, il respiro febbrile. «D-Dean» gracchiò, la gola arida e annodata.
«Che cazzo era quello?» sbottò il ragazzo, stringendo una mano sul suo braccio fino a fargli male.
Castiel sbatté le ciglia, confuso, forse in parte ancora fermo sulle rive del Giordano, e - cazzo - Dean non aveva idea di come sapesse che quel fiume era il fottuto Giordano, ma lo sapeva.
«È uno specialista, hai detto, la prima volta che ti sei portato appresso Uriel» ricordò. Anche allora volevano distruggere una città. «Siete stati voi a distruggere Sodoma e Gomorra? Tu, Cas?» chiese, incredulo, spaventato.
Gli occhi dell’angelo divennero enormi, perfino nella poca luce che filtrava dalle persiane Dean li vide sgranarsi, terrorizzati. «Hai visto» comprese.
Lui rabbrividì da capo a piedi quando realizzò sul serio che, sì, aveva visto, era dentro il sogno di Castiel, era Castiel. «Cristo» imprecò, sottovoce, passandosi nervosamente un palmo sulla bocca. «È questo che sogni tutte le notti?»
L’angelo strinse le labbra in una pallida linea bianca e abbassò lo sguardo, le dita chiuse sulle lenzuola fino a far sbiancare le nocche. «Ho vissuto molto a lungo, Dean, visto troppe cose e combattuto innumerevoli battaglie» disse.
Dean deglutì, forse per la prima volta davvero cosciente di quanto fosse vecchio Castiel, di cosa si nascondeva dietro quel faccino buffo che solo poche ore prima aveva mangiato una pizza alla diavola su quello stesso letto. Scosse il capo, cercando di schiarirsi la mente. Non era come se avesse appena scoperto di cosa Castiel fosse - o fosse stato un tempo - capace; aveva sempre saputo quanto era potente, com’era pericoloso, cos’era in grado di fare. Fin dalla prima volta l’angelo era stato molto chiaro con lui: non era una creatura tenera e caritatevole, era un soldato di Dio.
Le spalle di Cas si piegarono in una curva triste e miserabile. «Se preferisci che mi sposti sull’altro letto, capirò» asserì. Sembrava imbarazzato. E terrorizzato.
Il cacciatore non aveva idea di come l’avesse capito, esattamente, ma sapeva che l’amico era spaventato. «No, è tutto okay» gli assicurò.
Castiel sollevò lo sguardo, sorpreso.
«Non basta un brutto sogno a farmi cambiare opinione sulle persone» disse il ragazzo.
«Non era solo un sogno, Dean».
«Lo so» rispose lui, stendendosi nuovamente e tirandolo giù accanto a sé. «Lo so».
*°*°*°*°*
Rimasero svegli a lungo. Castiel era rigido come una statua di sale, contro il suo fianco, e nonostante il cacciatore gli cingesse le spalle, non si sforzò in alcun modo di farlo rilassare.
L’angelo era pallido e teneva gli occhi fissi nel buio. Dean distolse lo sguardo e si lasciò scappare un sospiro tra i suoi capelli. Doveva chiedergli se aveva voglia di parlarne? Lui non era bravo con queste stronzate.
«Perché ti vergogni?» gli domandò in un sussurro.
Cas si agitò, nervoso. «Non capiresti. Non sono fiero di tutto quello che ho fatto in passato, Dean. Le genti di quelle città erano empie, ma non sono sicuro che meritassero di morire in quel modo. Non ne sono mai stato sicuro. Ho sempre avuto dubbi».
«Vi avrebbero stuprato, se avessero potuto, Cas». L’angelo sollevò lo sguardo, sorpreso, e lui sbuffò. «Ero dentro di te. In più, non sono del tutto ignorante, sai?».
La folla li avrebbe violati e massacrati, se ne avesse avuto l’occasione. Avevano perfino cercato di sfondare la porta di Lot, e loro li avevano respinti con la Grazia. I sodomiti avrebbero abusato di qualcosa di puro come un angelo, proprio perché era un angelo; sembravano trovarla un’idea esaltante.
Dan strinse la presa su Castiel, incontrando i suoi occhi blu nella penombra della stanza. Gli sembrava di capire un po’ di più perché non gli piacesse l’idea del sesso occasionale.
«È per questo che non vuoi andare a letto con gli sconosciuti?»
Lui frullò le ciglia, preso in contropiede dall’apparente cambio di argomento. «Sì. E no» rispose, dopo un lungo minuto di silenzio.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio in una muta domanda e Cas si pressò un po’ più contro di lui, azzardando a passare un bracco attorno alla sua vita; Dean non lo respinse.
«È complicato» esordì. «Ricordi la signorina al bordello, quello in cui mi avevi portato? Ho letto subito la sua mente, anche senza volerlo. Agli umani non piace» spiegò. Una persona che non lo conosceva, che non sapeva chi fosse, non lo avrebbe mai accettato.
«Quella volta sei stato scacciato solo perché non hai saputo tenere la bocca chiusa» osservò il ragazzo, divertito.
«Non- non voglio sentire tutto quello, stare così a contatto di uno sconosciuto. Unirsi con un’altra persona significa farlo non solo nel corpo, ma con ogni cosa. O almeno così dovrebbe essere».
«Non necessariamente, può essere anche solo- sai, divertente. E non hai più quei poteri, Cas».
«Dovrebbe essere un atto d’amore. Darsi completamente a un’altra persona. Non un divertimento vuoto» mormorò.
Dean sospirò, scegliendo di non dire niente malgrado il discorso da ragazzina. Non è che ci tenesse davvero a vedere Cas mettere su orge e inneggiare alla coscienza collettiva, come nel 2014. Era stato lui a chiedergli di non cambiare mai, quindi okay, si sarebbe tenuto il suo contabile piumoso così com’era.
*°*°*°*°*
«Sai che ti dico?» esordì Dean, quando si decisero ad alzarsi. «Usciamo».
La testa di Castiel scattò verso l’alto, cercando i suoi occhi. «Non credi che sia un po’- imprudente?» tentò di dissuaderlo.
«Ce la caveremo» gli assicurò Dean. «Ti avevo fatto una promessa. Oggi voglio portarti in un posto tranquillo e mantenerla».
L’angelo sembrava non avere idea di cosa lui parlasse, ma gli ubbidì e si vestirono in fretta. Dean arraffò le chiavi della Nova e si mise alla guida, dirigendosi fuori città. Il viaggio non durò molto, poco più di dieci minuti e, quando il disagio iniziò a farsi troppo intenso, spostò semplicemente la mano destra dal volante e la poggiò sul ginocchio dell’amico.
Cas la coprì con la proprio e il freddo tornò a essere un brivido a fior di pelle, sopportabile.
Presero una strada sterrata e fermarono l’auto all’ombra di un faggio, in aperta campagna. L’angelo ancora non aveva idea del motivo per cui fossero lì, ma essere immersi nella natura sembrava bastare a renderlo un po’ più felice, ad allontanare le ombre della notte.
Dean riusciva quasi a sentire la serenità che quel luogo - il profumo dei fiori selvatici, l’erba alta fino alle ginocchia, il cielo azzurro e terso sopra di loro - gli ispirava irradiarsi dal suo corpo. E sorrise, osservando i suoi occhi blu alzarsi verso l’alto, le sue labbra morbide incurvarsi appena.
«Allora,» esordì «so già che sei bravo con le armi da taglio, ma oggi- oggi imparerai a sparare» annunciò, sfilando la sua Colt preferita - quella con il manico di madreperla - dal retro dei jeans e offrendogliela.
«Io so già sparare, Dean» asserì Cas, forse un po’ offeso, chiudendo le dita attorno al calcio.
«No, amico. Tu riesci a colpire qualcosa di così vicino che è impossibile mancarlo» lo corresse. «Sai premere un grilletto, non sparare». Castiel si accigliò e quello sulla sua bocca a lui parve in tutto e per tutto un broncio. Nascose un sorriso divertito e gli circondo le spalle con un braccio. «Vieni qui, moccioso. Oggi si impara alla vecchia maniera».
Dean tirò fuori dal cofano della Nova la loro valigia-frigo, bevvero due birre fresche seduti sul muso della macchina, poi lui individuò un masso che faceva al caso suo e poggiò le lattine vuote su di esso, insieme a qualche vecchia paccottiglia inutile rimasta sul fondo dell’auto.
«Okay, vieni qua» ordinò, fermandosi ad una distanza media. «Fammi vedere che sai fare».
Cas evitò quantomeno di fare l’errore che facevano tutti i pivelli e impugnò la pistola con entrambe le mani, anziché con una sola. Stese le braccia e dopo un momento sparò, colpendo la lattina a sinistra.
«Non male» disse Dean.
«Avevo mirato a quella a destra» ammise l’angelo.
Lui si sfregò la bocca con una mano, imponendosi di non ridere. «Okay, avremo parecchio su cui lavorare».
«Torna in posizione» comandò, poi si spostò dietro di lui e infilò un piede tra i suoi, facendogli allargare le gambe, gli strinse le mani sui fianchi, sistemando il suo baricentro, gli raddrizzò la schiena, infine lasciò scorrere i palmi sulle sue braccia e li sovrappose ai suoi, correggendo lievemente l’altezza a cui teneva la pistola. «Devi guardare qui» spiegò, toccando con l’indice il mirino, poco sopra la bocca della canna. «E allineato con la lattina? Okay, tieni entrambi gli occhi aperti».
Castiel si agitò appena contro di lui, ma non si mosse.
«Su, spara» lo incitò Dean, senza accorgersi che il suo respiro e la sua voce gli stavano accarezzando l’orecchio.
«M-Mi distrai» ammise l’angelo.
Lui sbirciò le sue guance rosee d’imbarazzo senza comprendere cosa stesse succedendo, ma scrollò le spalle e si scostò di qualche passo.
Cas fece un respiro profondo, prese di nuovo la mira e sparò. Centrando la lattina al primo colpo.
«Wow» fece Dean, incredulo. «Be’, pare che ti servisse solo qualche dritta» sorrise, compiaciuto. «D’accordo, rendiamo le cose più difficili» decise, sfregandosi le mani.
Lo fece indietreggiare di dieci passi e riprovare, poi ancora e ancora, sempre un po’ più lontano. L’angelo le prese quasi tutte al primo colpo; sembrava che una volta capito il meccanismo non avesse alcun problema a metterlo in pratica. Dean lo invidiò un po’.
Si strinse di più nella giacca, rabbrividendo malgrado il sole caldo, e gli poggiò le mani sulle spalle; era da un po’ che stavano lontani per permettergli di esercitarsi. «Quindi- pare che tu abbia un talento naturale» osservò.
Castiel fece appena un passo indietro, poggiandosi contro di lui, dopo aver reinserito la sicura. «Ho freddo» mormorò, e Dean strinse le braccia attorno ai suoi fianchi.
«Chiaramente in azione, quando avrai poco tempo per prendere la mira, sarà tutta un’altra cosa. Però- ottimo lavoro, moccioso» ammise, poggiando il mento sulla sua spalla.
Cas sorrise, in quel suo modo sempre un po’ esitante, e si affossò un tantino di più nel suo petto, sollevando gli occhi blu al cielo terso, riempiendosi di azzurro e luce.
*°*°*°*°*
«Quindi- basicamente avete avuto il vostro primo appuntamento» disse Gabriel, affondando un cucchiaino in un immensa coppa di gelato.
Dean quasi si strozzò con il suo hamburger, mentre Sam si infilava una forchettata d’insalata in bocca per nascondere un sorriso e Castiel inclinava la testa, perplesso.
«Non- non era affatto un appuntamento!» esclamò il primo, cominciando a pentirsi di aver raggiunto quei due per pranzo.
«Credo che Dean-o non abbia un’idea molto chiara di cosa significhi appuntamento» asserì l’arcangelo, scambiando uno sguardo con il suo ragazzo, prima di tornare a guarda il maggiore dei Winchester. «Sai, uscire con una persona, passare del tempo insieme, divertirsi. Senza necessariamente fare sesso» elencò.
«Lo stai spaventando» disse Sam, dandogli una leggera gomitata, in quello che voleva passare per un aiuto e invece era una presa per il culo ancora peggiore.
«Io non sono affatto spaventato» ringhiò Dean. «E abbassate il tono, vi dispiace?» aggiunse, guardandosi attorno con circospezione. Fortunatamente nessuno sembrava essere interessato a loro.
Gabe ridacchiò. «È perché state procedendo con un ordine tutto incasinato» osservò. «Prima amici, poi avete iniziato ad andare a letto insieme e ora uscite in coppia».
«Noi non- non andiamo a letto insieme, dormiamo nello stesso letto, tutto qui» sibilò il maggiore dei Winchester.
Castiel accanto a lui era silenzioso e tranquillo, concentrato sul suo cheeseburger. Il ragazzo gli rivolse uno sguardo seccato, affossandosi un po’ di più dentro la giacca di pelle per nascondere un brivido.
«Tu non hai niente da ridire, in proposito?» sbottò, incattivito.
L’angelo spostò gli occhi blu su di lui e mandò giù un boccone, prima di rispondere: «Non ci trovo nulla di offensivo».
«Tu non ci trovi nulla di- ma che diavolo, siete tutti impazziti?» disse lui, frustrato, pestando sul tavolo il suo bicchiere di coca-cola.
«Ritengono che il nostro legame sia tanto profondo da poter essere considerato una relazione. Mi pare una cosa tutt’altro che insultante» osservò Castiel, calmo come nessuno mai.
Dean boccheggiò, senza parole, e rabbrividì. L’angelo lasciò scivolare una mano sulla sua, sotto al tavolo, intrecciando le loro dita e scacciando un po’ il disagio.
Lui guardò un momento verso il basso, prima di risolversi a dire: «È colpa del rituale».
La stretta di Castiel ebbe una piccola contrazione nervosa. «Questo è offensivo» replicò secco, fissandolo accigliato, e il cacciatore ebbe il buon gusto di sentirsi un po’ in colpa.
Portò anche l’altra mano sotto al tavolo e la poggiò sopra le loro, coprendo quella dell’amico e trattenendola, sfiorandogli il polso in una muta richiesta di scuse; non voleva sminuire tutto quello che Cas aveva fatto per lui, che avevano passato insieme.
L’angelo sospirò, paziente, e rincarò gentilmente la presa in segno di perdono.
«Però è vero, no?» disse Dean. «Da dopo il rituale le cose sono diventate- un gran casino. Prima i problemi quando siamo lontani e i marchi, ora i sogni e questa- questa specie di cosa-» tentò di farsi capire, cercando il suo sguardo.
«Quale cosa?» domandò Castiel, perplesso.
«Questa- specie di sensazione nello stomaco. Te ne sei accorto anche tu no? Lo senti quando sono turbato, o spaventato o- quando provo qualcosa di forte» cercò di spiegarsi meglio Dean.
«Oh» mormorò l’angelo.
«Quali sogni?» chiese invece Gabriel, intervenendo per la prima volta da un po’.
«Stanotte Dean ha fatto il mio stesso sogno. Ha visto un mio ricordo» rispose Castiel, prima di voltarsi verso il ragazzo. «Hai ragione, non dovrei sentire queste cose, avendo perso la Grazia. Non ci avevo fatto caso» disse imbarazzato, stringendo leggermente le labbra.
«È- è okay, suppongo» rispose lui. Per il momento, almeno.
«Hai fatto il suo stesso sogno?» fece Sam, strabuzzando gli occhi. «Cioè, proprio lo stesso?»
Il fratello annuì. «Ero lui. Voglio dire- non ho solo assistito, come uno spettatore esterno, ero letteralmente lui. Vedevo quello che Cas vedeva, sapevo quello che pensava, capivo la lingua che parlava anche se sono abbastanza certo che non era inglese».
«Parlavamo enochiano, Uriel e io» confermò l’amico.
Gabriel era sorprendentemente silenzioso. Li scrutava con attenzione, accigliato, preoccupato.
«Che succede?» lo interrogò Sam, rendendosene conto.
L’arcangelo scosse il capo. «Non mi aspettavo nulla del genere» ammise. «Non ho davvero idea di quanto la cosa possa peggiorare. Forse Dean ha dato a Castiel una parte di sé più grande di quella che pensavamo».
La presa di Cas sulla mano del ragazzo di strinse, apprensiva. «Questo cosa vuol dire?» domandò, incupito.
«Non lo so» ammise Gabriel.
*°*°*°*°*
Nel pomeriggio tornarono al motel. Castiel si stropicciava gli occhi già da un po’ e anche Dean si sentiva insolitamente stanco. Diede la colpa alle ore di sonno perse quella notte, anche se era sempre stato abituato a dormire poco.
«Ci stiamo ancora rimettendo in sesto» disse l’angelo, tuttavia, rientrando in camera.
«Fantastico. Per quanto ancora ne avremo?» sbottò lui, seccato, lanciando le chiavi della macchina sul tavolo.
«Non essere troppo severo con te stesso. Questo genere di magie stressano molto il corpo e l’anima» spiegò, sfilandosi il trench e abbandonandolo su una sedia. Si spogliò anche degli altri vestiti, finché non rimase con addosso solo i boxer, e si spostò per cercare un paio di pantaloni morbidi con i quali dormire.
Dean osservò il suo petto asciutto, decorato dal tatuaggio, deturpato dal sigillo sul suo ventre e dall’impronta sullo sterno, provando un inquietante scintilla di desiderio; aveva voglia di toccarlo, di posare la propria mano su quel marchio.
Si voltò, dando le spalle all’amico per non vederlo più, e si tolse a sua volta la giacca nel tentativo di tenere le mani occupate. Dio, si sentiva così a disagio, con tutti i muscoli che tiravano, rigidi e freddi. Era così fottutamente frustrante.
«Dean» lo chiamò Cas, da sotto le coperte, allungando una mano nella sua direzione.
Lui non voleva dormire, non voleva cedere a quegli impulsi assurdi, non voleva essere così dipende da un’altra persona, Cristo.
La fronte dell’angelo si aggrottò, mentre inclinava la testa con perplessità e lo scrutava con attenzione; studiava il suo silenzio, la tensione del suo corpo e forse qualcos’altro che solo lui poteva percepire. Lasciò ricadere il braccio e lo ritirò sotto le coperte, abbassando gli occhi sulle pieghe delle lenzuola.
All’improvviso il cacciatore sentì la gola chiudersi in un nodo e non c’era nessuna cazzo di ragione per cui dovesse provare una cosa del genere tutto d’un tratto. Quella sensazione non era sua. Rabbrividì, spaventato. Perché stava percependo una cosa del genere, come se fossero i suoi sentimenti? E che diavolo di problema aveva Castiel, ora?
«Non avrei dovuto lasciartelo fare» disse l’amico, come in risposta ai suoi pensieri, la voce un po’ strozzata, come se davvero avesse la gola chiusa.
«Che cosa?»
Cas deglutì. «Il rituale. Non sei pronto per una cosa così intima, per essere legato a qualcun altro. A me» disse, ora in tono più chiaro ma piatto, lo sguardo basso.
Lo stomaco di Dean si contrasse in un moto di rabbia così violento da sembrare una morsa, e strinse i denti, cercando di non cedere all’impulso di prendere l’amico a pugni. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, stropicciandosi il viso e i capelli in un gesto nervoso.
«Senti, questo va oltre quanto avevo immaginato, okay» ammise. «Ma è stata una mia scelta. Ho solo- ho solo bisogno di un po’ di tempo per abituarmi».
«Non ti abituerai mai» sostenne Castiel, portandosi le ginocchia al petto e circondandole con le braccia. «Tu semplicemente non riesci a lasciarti andare. Nemmeno con me. Soprattutto con me».
Il ragazzo si strinse nelle spalle, passando il peso da un piede all’altro. «Il problema non sei tu» replicò. Sono io, finì tra sé, e - Dio! - quella non era la scusa più patetica del mondo? Era così che le ragazze cercavano di scaricarti e, quando succedeva, potevi star certo che, sì, il problema eri proprio tu.
«Il problema è che io sono un maschio, ora» disse infatti l’angelo.
«No. No. È solo che- è tutta la vita che mi occupo di me stesso da solo, Cas. Non riesco a-» tentò, incerto, frustato. «Questo non è nella mia natura. Non posso cambiare da un giorno all’altro» sbottò, infine.
Castiel serrò la mascella e voltò il viso dall’altra parte della stanza, chiaramente incazzato. Poi abbassò il capo e si infilò le dita tra i capelli, si artigliò la nuca, piantandosi le unghie nella pelle pallida. Dean sentiva un dolore sordo al petto e non capiva perché Cas stesse soffrendo così tanto; non voleva ferirlo.
L’angelo prese un respiro profondo, ispirando aria dalla bocca come se stesse affogando. «Dio, tiramele fuori» ringhiò, la voce soffocata, quasi impercettibile. «Liberami di queste emozioni». Le sue unghie grattarono la pelle delle spalle, lasciando lunghi solchi arrossati al suo passaggio, come se volesse strapparsi la pelle di dosso.
«Cas? Cas» lo chiamò Dean, arrampicandosi sul petto e fermando i suoi polsi. «Smettila. Smettila. Calmati!»
«Basta! Non posso andare avanti così» gridò lui, rialzando il capo, i capelli più sconvolti che mai, gli occhi blu lucidi, sofferenti, disperati. «Tutto questo- continuo sentire. Non c’è pausa, non lo posso fermare. E tu- tu- non capisci, non ci arrivi mai, cazzo. Sono così stanco».
Il ragazzo lo fissò stravolto, non capendo che diavolo stesse succedendo, perché fosse scoppiata quella crisi improvvisa. Andava tutto bene fino a poche ore prima e all’improvviso Cas stava cadendo a pezzi. Chiuse gli occhi e si diede del coglione, dell’infinito coglione, perché avrebbe dovuto sapere che presto o tardi sarebbe successo, avrebbe dovuto immaginarlo fin dalla prima volta, quando l’angelo l’aveva chiamato da un ospedale di Dellacroix, che prima o poi sarebbe esploso. Era solo successo a scoppio ritardato, scatenato da qualcosa di apparentemente insignificante.
«Cas, guardami. Guardami» ordinò, scuotendo le sue braccia per fargli alzare di nuovo lo sguardo, mentre lui ispirava a fatica, il respiro raspante come se stesse per andare in iperventilazione. «Andrà tutto bene. Te lo prometto» scandì, stringendo di più la presa sui suoi polsi. «Sistemeremo tutto. L’hai detto proprio tu: non essere troppo severo con te stesso» riprese le sue parole, guardandolo fisso negli occhi, cercando di imprimerle in essi, di spingergliele dentro. «Le cose miglioreranno».
Castiel scosse la testa, affranto, e Dean lo tirò contro di sé, stringendoselo addosso, premendogli il viso sul suo petto e poggiando una guancia ai suoi capelli, cercando di soffocare i tremiti del suo corpo. «È tutto okay. Stai bene. Staremo bene» mormorò in una roca cantilena.
*°*°*°*°*
Rimasero così a lungo, e onestamente Dean non avrebbe saputo dire con esattezza quanto, eppure continuò a stringere Castiel finché non smise di tremare, finché il suo respiro non tornò normale. L’angelo non aveva versato nemmeno una lacrima, ma tirò su col naso, come un bambino. Aveva tenuto le braccia strette attorno alle proprie ginocchia per tutto il tempo, però alla fine le sciolse lentamente e circondò il corpo di Dean con esitazione.
Lui allentò appena la presa, giusto il tanto da non essere più così soffocante, e poggiò il mento sulla sua testa, senza dire una parola.
«Mi dispiace» mormorò Cas, con la guancia ancora spiaccicata sulle sue clavicole.
Dean scrollò le spalle. «Vivo con Samantha da quasi trent’anni, sono abituato ad avere a che fare con adolescenti mestruate» rispose leggero, e poté giurare di aver sentito uno sbuffo divertito contro il proprio collo.
Poi l’amico si scostò leggermente, tirando fuori la testa da quella comoda nicchia per incontrare il suo sguardo. Gli occhi blu che lo osservarono tra le ciglia lunghe, liquidi e imbarazzati. «Mi dispiace davvero, Dean. Non ho il diritto di pretendere altro da te, quando fai già così tanto» disse, chinando il capo.
Lui non sapeva bene cosa dire e storse la bocca in una smorfia imbarazzata. «È tutto okay» borbottò infine. «Infilati sotto le coperte, su» sbuffò poi, dandogli una spintarella.
Castiel fece come gli era stato detto e Dean si liberò di scarpe e jeans, prima di raggiungerlo. Dopo un momento di indecisione, scavalcò il suo corpo e si stese alle sue spalle, poi tirò l’angelo contro di sé, finché non sentì la sua schiena poggiata sul proprio petto.
«Se ne fai parola con qualcuno, sarò costretto a ucciderti» si sentì in dovere di avvisarlo, mentre intrecciava le caviglie alle sue.
Cas fu abbastanza furbo da non commentare, limitandosi ad allungarsi per spegnere la luce, prima di tornare giù.
Nel buio l’unico suono era il suo respiro tranquillo, Dean lo sentiva gonfiarsi e sgonfiarsi contro il proprio torace. Inspirò il profumo del suo shampoo e chiuse gli occhi. La stanchezza dell’intera giornata, delle ore di sonno sottratte e di quella crisi improvvisa gli caddero finalmente addosso ed entrambi di addormentarono in pochi minuti.
*°*°*°*°*
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