Ti Vorrei Sollevare - Capitolo 6

Sep 19, 2013 19:48

Fandom: Supernatural.
Pairing/Personaggi: Castiel/Dean, Gabriel/Sam.
Rating: NC17/NSFW.
Beta: Koorime_yu.
Chapters: 6/8.
Genere: Angst (?), Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Sesso descrittivo, Slash, Spin off, Spoiler (7x12 - Time after time), What if.
Words: 5801/38218 (fiumidiparole).
Summary: L’Apocalisse è finita, Sam è salvo, Gabriel ha di nuovo tutte le sue ali e Castiel è vivo. Ma umano. E Dean - be’, Dean è quello che deve occuparsene, no?
Note: equel di A Look from You and I would Fall from Grace. Il titolo della storia è preso in prestito all’omonima canzone di Elisa e Giuliano Sangiorgi, anche se la storia non ha nulla a che fare con essa; ho sempre trovato che fosse un titolo meraviglioso, tutto qui :P

ATTENZIONE: Gente, in genere non mi piace anticipare cose sulla trama, ma voglio avvertirvi che il capitolo contiene una scena dai contenuti molto pesanti, riguardante i ricordi di Dean dell’Inferno. Non è affatto per stomaci delicati, anche se ho evitato di essere troppo descrittiva, quindi vi cambierò il colore degli asterischi in rosso, prima del paragrafo in questione e ne metterò un altro per avvertire che la scena è finita, per chi volesse evitare di leggere. Saltare quel pezzo - che non è molto lungo, comunque - non dovrebbe comportare grossi buchi per la trama, dato che la parte importante è la reazione di Dean e Cas al ricordo.

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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù

Ti Vorrei Sollevare
Capitolo 6

Dean si svegliò con la fronte contro la nuca di Castiel. Si mosse impercettibilmente, riprendendo coscienza del suo corpo, così aderente a quello dell’amico che faceva fatica a distinguerne le proprie parti.
Pensava che sarebbe stato imbarazzante, invece era stranamente caldo e confortevole.
Ancora assonnato e non del tutto cosciente, non poté resistere alla tentazione: lasciò scivolare una mano sulla sua pelle liscia, dal fianco lungo il petto, scorrendo il sigillo sul ventre, fino a poggiare il palmo sull’impronta sopra il suo sterno. Sospirarono entrambi, scossi da brividi bollenti, e l’angelo si spinse inconsciamente un po’ più contro di lui.
Era un peccato il modo in cui quelle cicatrici deturpavano il petto di Cas, erano difficili da nascondere e, se non fosse stato per esse, il suo fisico sarebbe stato perfetto. Ehi, Dean era etero, non cieco, vedeva benissimo quanto il corpo dell’amico fosse proporzionato e come le donne se lo mangiassero con gli occhi, quando si sfilava il trench, ora che indossava abiti che gli calzavano meglio. Quei segni però sarebbero stati problematici, un giorno, quando avrebbe trovato la tipa giusta.
L’angelo sfiorò gentilmente il suo braccio, scorrendo la peluria sottile. «Cosa c’è, Dean?» sussurrò. «Cosa ti preoccupa?»
Nonostante tutto, lui sussultò; pensava che Cas stesse ancora dormendo. Dopo un momento, si rilassò di nuovo contro la sua schiena.
«L’hai percepito, eh?» sbuffò, con voce ancora roca per il sonno. «Nulla, pensavo solo che sarà complicato, quando deciderai di rompere il tuo voto di castità. Non potrai scoprire il petto o sarai costretto a inventarti una scusa adeguata per tutti questi segni».
«Il problema non si pone, dal momento che non ho intenzione di giacere con qualcuno che non mi conosce più che bene» rispose Cas, quasi annoiato.
«Moccioso» grugnì, contro la sua nuca. «Dico sul serio, sai? Le donne possono essere piuttosto crudeli, non sarà facile per te fare coming out. La maggior parte ti riderà in faccia, pensando che tu stia scherzando, e le altre ti prenderanno semplicemente per pazzo».
«Sembra che tu parli per esperienza» osservò l’amico, e lui poté immaginare perfino nel buio la sua fronte aggrottarsi, perplessa.
«Ci ho provato, una volta» ammise, il ragazzo, dopo un lungo minuto di silenzio. «Ero giovane e- uhm, molto preso, sai com’è. Ho passato qualche mese con lei e, alla fine, le ho detto cosa facevo nella vita; pensavo di dover essere sincero, che fosse giusto così. Non è andata bene».
«Eri innamorato di lei?»
«Credevo di esserlo, sì. Ma, ripensandoci adesso, non penso che fosse quello con la A maiuscola. Ero troppo immaturo» sospirò, stiracchiandosi un po’. «Suppongo la si possa considerare il mio primo amore, però».
«C’è un amore con la A maiuscola e uno con la A minuscola?» replicò Cas, confuso.
Dean ridacchiò, chiedendosi vagamente che ci facesse a letto, abbracciato al suo migliore amico, a fare quei discorsi da ragazzine tredicenni. «È un modo di dire. L’amore con la A maiuscola dovrebbe essere, sai, quello vero. Tipo anime gemelle e stronzate del genere» spiegò comunque.
«Capisco» disse l’angelo, conciso.
Dean pensava che fosse quello che avevano avuto i suoi genitori, prima di scoprire che si fossero innamorati a causa di un fottutissimo Cupido. «E tu?» domandò, tanto per dire qualcosa, quasi in tono canzonatorio. «Sei mai stato innamorato?»
D’altronde non aver mai scopato non significava implicitamente non aver mai amato, anche se nel caso di quell’imbranato di Cas gli sembrava del tutto improbabile. Lui, però, rimase in silenzio tanto a lungo che il cacciatore cominciò a chiedersi se si fosse riaddormentato.
«Sì».
Dean sbatté le palpebre e si puntellò su un gomito, cercando di vederlo meglio nella poca luce che filtrava dalle persiane. «Sì, cosa?» fece, accigliato.
«Mi hai chiesto se sono mai stato innamorato. Sì».
Il ragazzo si irrigidì, pietrificato. Un brivido gelido gli rotolò giù per la schiena e smise di respirare. «Oh» mormorò stupidamente, la testa vuota, i pensieri congelati.
Castiel. Innamorato. Da qualche parte nella sua millenaria vita aveva amato. C’era da aspettarselo no? Che diavolo c’era di strano? A parte il fatto che era Cas, ovvio, che si faceva prendere dal panico se una donna ci provava con lui e chiamava luogo di perdizione un bordello.
Dean si schiarì la gola, cercando di riscuotersi, di ignorare quella sensazione orribile alla bocca dello stomaco. «E- uhm- com’era lei?»
Castiel allungò una mano davanti a sé, aprendo e chiudendo le dita, studiandola; nel buio era visibile solo la sagoma, più nera della finestra sullo sfondo, dalla quale filtrava un po’ di luce. «Dai per scontato che si tratti di una donna per via di questo tramite» osservò.
Lui si accigliò. «Be’, tu sei un maschio, no? Voglio dire- gli altri angeli ti chiamano fratello e so che hai delle sorelle, quindi…» lasciò in sospeso la frase, come se la conclusione fosse ovvia.
«Non ci sono differenze di sesso, tra gli angeli» spiegò l’altro. «La parola enochiana per fratello o sorella è una sola; la traduciamo in inglese quando siamo qui sulla Terra, declinandola a seconda del tramite che abbiamo di fronte».
«Oh» disse di nuovo, come un idiota. «Quindi era un- uomo? Un umano» comprese, dopo un lungo momento di silenzio.
«È un uomo» confermò Castiel, atono.
Dean percepì quella sensazione orribile risalirgli la trachea e chiudergli la gola. Il presente, Cas aveva usato il presente. Era ancora innamorato di questo tizio.
Be’, questo chiariva tutto, no? Il motivo per il quale Cas non voleva andare con una sconosciuta era, in realtà, che era innamorato.
Chi è questo tizio?, fece per chiedere, ma poi richiuse la bocca, nauseato. Non era sicuro di volerlo sapere.
Istintivamente pressò un po’ di più il palmo sul marchio che gli aveva lasciato addosso e chiuse gli occhi. La mano destra di Castiel scivolò lungo il bracciò che gli cingeva la vita e si fermò sulla sua impronta, generando di nuovo quel circolo di brividi così perfetto, così rassicurante. Era strano, ora che erano tanto stretti l’uno a l’altro, in qualche modo mille volte più intenso e più intimo.
«Va meglio, adesso?» domandò l’angelo, e per un momento lui pensò si riferisse alla brutta sensazione che aveva provato poco prima. «Dovrebbe essere più facile, ora che sai che non sono davvero un maschio».
Dean sbuffò contro la sua nuca. «Sì, la tua teoria ha giusto due o tre grandi falle: sei comunque nel corpo di un uomo perfettamente funzionante e mi hai - in pratica - detto che sei gay».
«Per essere omosessuali bisogno avere un sesso, Dean».
«Tu hai un sesso, ora» gli ricordò. E anche bello grosso, aggiunse tra sé. «Comunque non ha alcuna importanza, Cas. Non so che idea tu ti sia fatto di me, ma non sono omofobo» preciso. «Sì, ho qualche problema con gli abbracci, le coccole e tutte quelle stronzate là, okay? Ma questo non ha nulla a che fare con il fatto che sei un maschio. O che lo sembri. È solo- è solo così che sono fatto. Non- non so esattamente come funzionano questo genere di cose».
«E così anch’io» disse l’angelo. «Ma- mi piace il contatto fisico. Con te».
Anche a lui piaceva, gli era sempre piaciuto, proprio come il sesso. E con Cas era- sì, be’, era okay. «Lo so, sono fantastico» sogghignò.

*°*°*°*°*

Circa mezz’ora dopo, Dean fu costretto ad alzarsi, quando non riuscì più a soffocare l’urgenza di andare al bagno. Si districò dal corpo caldo di Castiel e raccolse i jeans dal fondo del letto, infilandoli alla bell’e meglio, prima di sgattaiolare silenziosamente nella stanza attigua. Fece i fatti suoi sulla tazza e aveva appena finito di asciugarsi le mani quando il cellulare cominciò a vibrare in una delle sue tasche.
Il ragazzo lo prese un po’ stupito; aveva dimenticato che nel resto del mondo era solo ora di cena.
«Ehi» rispose, soffocando uno sbadiglio.
«Dean, finalmente! State bene? È la terza volta che ti chiamo» esclamò suo fratello.
«Sì, Samantha, prendi un respiro profondo e pettinati i capelli. Ci eravamo addormentati» spiegò, annoiato.
«Oh. Bene» borbottò lui, con evidente sollievo. «Senti, volevo solo avvisarti che ho trovato un caso in Minnesota. Gabriel e io abbiamo intenzione di partire domani. Pensi che tu e Cas siate in grado di starci dietro? Altrimenti possiamo andarci in volo e tornare qui appena avremo finito».
Il maggiore stava per rispondere che ovviamente erano in grado di farcela - pffft, figurati! -, ma poi pensò al corpo di Castiel rannicchiato e tremante, che cercava di strapparsi la pelle dalla schiena, e si zittì.
«Dean, tutto okay?» domandò Sam, leggendo il suo silenzio.
«Sì, io sì, Sammy. Ma non credo che Cas sia pronto. Penso- penso che abbia bisogno di un po’ di tempo».
«È successo qualcosa?»
«Oggi ha- ha avuto una specie di crollo psicologico, o che so io. Così, dal nulla. Era isterico, Sammy, completamente fuori di sé».
«Che vuol dire così da nulla? Hai fatto qualcosa che l’ha fatto incazzare o-» cominciò suo fratello, ma si interruppe. Dean sentì un fruscio e una specie di Ehi! indignato in lontananza, poi a rispondergli fu una voce del tutto diversa.
«Che hai combinato, Dean-o?» lo interrogò Gabriel.
«Niente! Perché date per scontato che sia colpa mia?» sbottò lui.
«Perché si tratta di te e Cas» disse l’arcangelo, conciso. «Allora, di che stavate parlando, prima che avesse questa crisi?»
«Sai che è maleducazione origliare le conversazioni altrui?»
«Hai intenzione di rispondere o devo teletrasportarmi lì e tirarti fuori le parole di bocca?»
«Okay, okay, ho capito» sbuffò, seccato. Gabriel sapeva essere un figlio di puttana davvero spaventoso, quando usava quel tono serio. «Senti, non lo so, va bene? È successo tutto molto in fretta. Stavamo parlando del fatto che- non mi sento a mio agio, con tutta questa esigenza di contatto fisico. E gli ho detto che ci sto provando, ma che non posso cambiare da un giorno all’altro».
Ci fu un fu un lungo momento di silenzio, poi Gabe sospirò. «Oh, Dean. Sei un tale idiota» mormorò, affranto.
«Cosa? Sarebbe colpa mia, adesso?»
«Dean, quel ragazzino ha dato tutto per te, lo sai? Si è lasciato alle spalle tutto quello che conosceva, milioni e milioni di anni di vita sicura e monotona, la sua famiglia, i suoi amici, la sua intera specie, per te. Da un giorno a l’altro. E tu gli hai detto cosa, razza di fesso? Che ti senti a disagio per qualche abbraccio che è più per il tuo bene che per il suo».
«Io non-» strabuzzò gli occhi e rabbrividì, e all’improvviso scoprì di essere più incazzato di quanto avrebbe mai immagino. «Ehi, lo so, va bene? Ne sono perfettamente cosciente ogni cazzo di minuto della mia vita, gli ho dato un pezzo della mia anima per questo. E lo farei ancora. Quindi non venire a farmi delle lezioni su quanto Cas si meriti da me, okay?» ringhiò, cercando di tenere il tono più basso possibile.
«E allora qual è il tuo cazzo di problema, ragazzo? Ti ha chiesto un abbraccio, non di scopare con lui» ribatté l’arcangelo.
Dean rabbrividì ancora, e si strinse tra le braccia. Paradossalmente, il sesso sarebbe molto più facile, pensò. «L-Lo so. Cazzo, lo so».
«Stai bene?» chiese Gabriel, in tono ancora duro, ma più calmo.
«Sì, sono a posto, iniziò solo ad avere freddo» ammise il cacciatore.
«Da quanto siete lontani?»
«Non lo so. Ero in bagno già da un po’, quando Sammy ha chiamato. Diciamo, venti minuti? Forse di più».
«Okay, va da lui, ora. E. Non. Fare. L’idiota».
Il cacciatore sbuffò e chiuse la chiamata.
«Dean?» biascicò Castiel, assonnato, quando lui aprì con circospezione la porta del bagno.
«Ehi. Stavi dormendo?» lo salutò, avvicinandosi.
«Ho freddo» confessò l’angelo e lui si inerpicò sul letto, prendendolo tra le braccia.
Cas sospirò, tirandoselo addosso, finché il suo peso lo schiacciò completamente sul materasso, come una grossa pelliccia calda. «Tutto okay?» domandò allora.
Dean, con il viso poggiato sul suo petto, sospirò piano. «Sì. Ero al telefono con Sammy e Gabe. Pare abbiano trovato un caso in Minnesota, hanno intenzione di partire domani».
«Okay, imposto la sveglia» disse l’angelo, allungando un braccio verso il cellulare, posato sul comodino.
Lui afferrò il suo polso, frenandolo. «Noi non andiamo».
«Perché no? Hai trovato qualcos’altro?»
Dean puntellò gli avambracci al lato della sua testa per tirarsi su e guardarlo negli occhi. «Senti, credo che sia meglio se ci prendiamo un po’ di tempo, per sistemare questa situazione. Non credo che siamo ancora in grado di affrontare un lungo viaggio e, soprattutto, non penso che siamo pronti a combattere, in queste condizioni» spiegò. «Considerala una piccola vacanza. Staremo qui per un po’, diciamo un paio di settimane, e intanto ti farò sperimentare un po’ di quelle cose umane che non hai mai provato: possiamo andare al poligono, al lunapark, a pattinare sul ghiaccio, posso insegnarti un po’ di lotta corpo a corpo; questo genere di cose. Sarà divertente».
Castiel scrutò i suoi occhi, attento. «Lo stai facendo per quello che è successo oggi?» domandò, intuitivo. «Dean, posso farcela. È stato solo- solo un attimo di abbattimento. Posso-»
«No. Ascoltami, moccioso. Da quando sei Caduto ti sei subito lanciato in questa vita e hai scoperto più o meno tutti i lati peggiori dell’essere umano. E va bene, meglio stare con i piedi per terra. Ma non c’è solo questo, okay? A noi serve del tempo per riprenderci e tu hai bisogno di imparare a vivere».
«Va bene, ma non due settimane. Una al massimo» intermediò lui.
«Okay, andata» convenne il ragazzo. «Hai fame?»
«No, a dire il vero no. Tu?»
«Non proprio, no» disse Dean, stendendosi al suo fianco; più che altro, non aveva alcuna voglia di uscire a cercare qualcosa da mangiare.
L’angelo se lo tirò giocosamente di nuovo addosso e lui inarcò un sopraciglio, facendolo sorridere. Era bello il sorriso di Cas, sempre appena accennato, come se non avesse ancora imparato correttamente, ma molto più vero di tanti altri.
«Resta così» lo pregò e lui sbuffò, ma poggiò di nuovo la testa sul suo torace, permettendogli di infilare le dita tra i suoi capelli. Era una bella sensazione.

*°*°*°*°*

Dean sospirò mentre il vento passava tra le sue piume in carezze impalpabili. Spalancò le ali e si lasciò sollevare dalla corrente. L’acqua sotto di lui era una distesa cristallina e sconfinata sulla quale il sole creava arcobaleni di luce. L’oceano. Tutto il mondo era un oceano. E la terra si trovava a miglia e miglia da lì, un unico continente sconfinato che copriva quasi due emisferi.
Dean chiuse le ali e si lasciò cadere in picchiata, giù sott’acqua, il liquido gelido che scorreva tra le sue penne senza riuscire a penetrarle, senza mai bagnarle davvero. Poi aprì gli occhi.
Fuori era ancora buio. La luce dei lampioni filtrava tra le persiane, rischiarando a malapena la camera. Castiel, sotto di lui, tremava leggermente, e Dean sentiva il petto schiacciato da una nostalgia così intesa da fargli male al cuore.
«Cas» lo chiamò piano. «Cas?» ritentò, scostando i capelli dalla sua fronte.
L’angelo aprì gli occhi con qualche difficoltà, frullando le ciglia, finché non mise a fuoco il suo volto. Dean li vide inumidirsi e richiudersi dolorosamente, non appena Castiel si rese conto di dove di trovasse davvero.
«È tutto okay» sussurrò, come faceva sempre quando lo svegliava dopo un incubo, e si stese un po’ meglio sul suo corpo, pesando un po’ di più su di lui; Cas parve apprezzarlo.
«Hai visto?» domandò, circondando la sua vita con un braccio.
Dean annuì. «Era- wow» sospirò e, in qualche modo, quello riuscì a strappare all’amico un accenno di sorriso. «Sai una cosa, moccioso?» disse quindi, il cacciatore. «Hai poltrito fin troppo. Vestiti, usciamo».
«Dean, è ancora buio pesto» gli ricordò Castiel.
«Sì, ma per quello che dobbiamo fare è l’orario perfetto. E comunque ci vorrà un po’ per arrivarci» spiegò, scendendo giù dal letto con una capriola.
Indossarono degli abiti belli caldi e il ragazzo prese dal fondo del cofano dell’Impala una sacca che Cas non aveva mai visto e due sedie pieghevoli, prima di lanciare tutto sui sedili posteriori della Nova e mettersi alla guida. Presero la strada che portava fuori città e, dopo circa venti minuti, un breve sentiero sterrato. Stava albeggiando quando fermarono l’auto sulla riva di un piccolo lago artificiale, circondato da abeti verdeggianti.
Dean diede una pacca leggera sulle spalle dell’amico, incitandolo a seguirlo sullo stretto molo. Aprì le sedie, poi il borsone, che si rivelò pieno di attrezzatura da pesca. Quello non era come volare, ma era rilassante, e sperava che riuscisse ad allontanare per un po’ i cattivi pensieri di Cas.
«Tutto questo è sorprendentemente familiare» osservò l’angelo, ancora in piedi, abbassando lo sguardo su di lui, che stava sistemando la canna davanti a sé. Somigliava al sogno in cui si era intrufolato una volta per consegnargli un biglietto e pregarlo di vedersi, prima che i suoi fratelli lo catturassero per fargli il lavaggio del cervello.
Il ragazzo fece un mezzo sorriso, aspettando che lui si sedesse. «Quand’ero piccolo, qualche volta - se si presentava l’occasione - mio padre ci portava in uno di questi posti. Succedeva soprattutto dopo che litigava con Sammy, quando si rendeva conto di quanto questa vita lo stesse esasperando. Papà e io piantavamo le canne e ci facevamo insieme due birre, chiacchierando di stronzate o non parlando affatto, mentre Sammy si stendeva al sole a leggere, ed era tutto- sai, molto semplice» raccontò, scrollando le spalle.
Quando si voltò a guardarlo, gli occhi blu dell’angelo erano morbidi e sorridenti. Castiel poggiò una mano sul suo ginocchio e lo strinse leggermente. «Grazie» disse solo, e Dean annuì, un po’ imbarazzato, poggiando il palmo su di essa.
Qualche ora dopo, circa alle nove del mattino, Sam li chiamò per chiedergli che fine avessero fatto e comunicargli che lui e Gabriel stavano per partire. Dean gli disse dove fossero e gli spiegò brevemente la sua decisione in merito alla prossima settimana. Suo fratello non ebbe nulla da discutere.
Dopo un tempo imprecisato, quando il sole era ormai al suo apice, Castiel avvicinò un po’ di più la propria sedia a quella di Dean e poggiò la testa sulla sua spalla, gli occhi socchiusi e lo sguardo puntato su l’acqua limpida.
Non avevano tirato su un accidenti, ma nessuno dei due sembrava preoccuparsene.
Il cacciatore si voltò leggermente verso di lui, incontrando i suoi capelli con le labbra. «Ehi, vuoi che andiamo? Possiamo fermarci a prendere qualcosa da mangiare, prima di tornare al motel».
«Non siamo riusciti a pescare nulla» osservò lui.
Dean scrollò la spalla libera. «Ho fame, mi sono stancato di aspettare i pesci» sbuffò.
Al ritorno presero fish and chips in un chiosco sulla strada e l’angelo sorrise un po’, con le labbra macchiate di salsa al limone. Tornando in città, il cacciatore prese a smanettare con l’autoradio, finché le casse non cominciarono improvvisamente a sputare fuori le note di Livin’ on a prayer. Tamburellò il ritmo sul volante, muovendo la testa a tempo di musica con un broncio soddisfatto e, dopo qualche attimo, si accorse - non senza shock - che Cas stava canticchiando le parole.
«She says: We’ve got to hold on to what we’ve got. ‘Cause it doesn’t make a difference if we make it or not. We’ve got each other and that’s a lot for love - we’ll give it a shot».
Aveva una bella voce e teneva il tempo battendo inconsciamente un piede. Dean gli gettò un’occhiata tra il divertito e lo stupefatto; fino a pochi mesi prima, quando avevano recuperato l’anima di Sam dalla Gabbia, Castiel aveva guardato loro due e Gabriel cantare una canzone degli stessi Bon Jovi senza avere la più pallida idea di cosa stessero facendo, e ora conosceva le parole quasi a memoria.
«Oooh! We’re half way there. Wooooh, livin’ on a prayer» si unì a lui, cantando a squarciagola, perché quella canzone andava gridata al vento, non solo cantata. «Take my hand and we'll make it - I swear. Woooh, livin’ on a prayer».
Castiel gli regalò un sorriso accecante, i capelli arruffati dall’aria che entrava dai finestrini abbassati e gli occhi pieni di sole, mentre lui pigiava il piede sull’acceleratore.
«Ti piace?» gli domandò Dean, curioso, perché aveva dato a Cas qualche lezione di musica, mesi prima, ma non si era accorto che nel frattempo l’angelo avesse sviluppato i propri gusti. E pensando bene al testo, be’ sì, come diavolo sarebbe stato possibile che quella canzone non gli piacesse? Era una cosa così tanto da Cas, Cristo.
Questi annuì, continuando a canticchiare, finché il brano non fu concluso. «We’ve got to hold on, ready or not».
«You live for the fight when it’s all that you’ve got!» Dean cantò - okay, urlò - con lui.
«Credo che sia una delle mie preferite» disse poi Castiel, quando ormai la musica sfumava e il DJ iniziò a presentare la nuova canzone.
«E quali sono le altre?» domandò il ragazzo, gettandogli un’occhiata, prima di riportare lo sguardo sulla strada.
«Mi piacciono i Bon Jovi in generale» rispose e Dean sbuffò.
«A tutti piacciono i Bon Jovi in generale!»
Castiel allora ci pensò, ci pensò seriamente, come se stesse scorrendo una lista mentale. «November rain» disse, dopo una breve riflessione. «Back in black» continuò, strappandogli un battito di cuore. «E…»
«E...?» lo incitò.
«Riderai» sospirò.
Dean sogghignò, ma si contenne. «Sputa il rospo, avanti, stavi andando bene».
«Strangers in the night» ammise infine, con una piccolo smorfia, come a dire avanti, ridi pure.
«Così abbiamo i Bon Jovi, i Guns ‘n Roses, gli AC/DC e Sinatra, uhm? Non male, moccioso, niente affatto male» considerò, segretamente molto fiero di lui.
Castiel piegò le labbra in un sorriso incerto, un po’ timido, come un ragazzino contento di aver preso un bel voto a scuola.
«Dobbiamo tornare subito al motel?» domandò poi, con l’aria di non esserne particolarmente contento.
«Pensavo fossi stanco» disse il cacciatore, lanciandogli un fuggevole sguardo.
«Non così tanto. Tu?»
«Sono okay» rispose Dean, scrollando le spalle. «Quindi, qual è il piano?»
«Mi piacerebbe stare ancora all’aria aperta» ammise Castiel.
Uh, e glielo diceva ora che erano tornati in città?
«Forse potremmo andare in un parco o- qualcosa del genere» propose l’angelo con esitazione, come se gli avesse letto nel pensiero.
Dean scrollò le spalle. Era pomeriggio, una bella giornata calda e soleggiata, nonostante fossero alla fine dell’autunno, e non aveva alcun impegno; non è che morisse dalla voglia di chiudersi in una stanza ad ammuffire. «Okay».
Si fermarono nel parco vicino al motel, sorprendentemente affollato a quell’ora. I bambini erano appena usciti da scuola e schiamazzavano nella zona giochi, sorvegliati dalle mamme o dai nonni; un paio di persone facevano jogging, approfittando del bel tempo; qualche anziano giocava a scacchi all’ombra degli alberi.
Dean scovò una coperta leggera nel cofano della Nova e la stese sull’erba, lasciandosi cadere su di essa. Castiel inclinò la testa, fissandolo incuriosito, e lui batté qualche colpetto sullo spazio libero accanto a sé, invitandolo a fargli compagnia.
L’angelo si accucciò accanto a lui, tirandosi le ginocchia al petto e osservando i passanti. Una mamma allattava un neonato seduta su una panchina; due adolescenti - un ragazzo che, a quanto pareva, cercava di acchiappare la sua ragazza - si rincorsero sul vialetto, quasi scontrandosi con una coppia di mezz’età che passeggiava con calma, a braccetto, e li seguì con lo sguardo, borbottando sui bei tempi. Castiel sorrise e Dean tossì qualcosa che somigliava sospettosamente a stalker.
Si era steso di schiena, le braccia incrociate dietro la testa e la giacca di pelle aperta sul petto, a rivelare la maglietta arricciata intorno ai fianchi. Inarcò un sopracciglio, quando l’amico si voltò a guardarlo, percorrendo con gli occhi tutta la sua figura e soffermandosi un attimo di troppo sulla striscia di pelle nuda sopra la cintura. Dean sì agitò un po’, sentendo uno strano calore risalirgli al collo e alle guance, e distolse lo sguardo, concentrandosi sulle nuvole di passaggio.
«Quella laggiù sembra una ciambella» osservò, puntandola con il dito.
Cas alzò il naso al cielo, seguendo la direzione indicata. «Sembra più la sagoma di un cuore» obbiettò.
«No, non quella a culo di papera. Quella laggiù» disse, tirando una manica del suo trench.
L’angelo si allungò accanto a lui per vedere dalla sua stessa prospettiva. «Oh, sì» disse quindi, spiaggiato di traverso sulla coperta, un braccio abbandonato sul petto di Dean e i capelli vicino alla sua spalla.
Una bolla di sapone passò sopra le loro teste, fluttuando verso l’alto, e Castiel si accigliò incuriosito, sollevando una mano e facendola scoppiare con l’indice. Una risatina attirò la loro attenzione; una bimbetta di due o tre anni era ferma sul vialetto, con il flacone di bolle in una manina e la cannuccia nell’altra.
Soffiò ancora, producendo un flusso di piccole bolle che la brezza leggera trascinò nella loro direzione, brillanti come tanti arcobaleni rotondi. Perfino Dean cercò di acchiapparle, ma Castiel fu più veloce.
«Joanna, dobbiamo andare!» chiamò una voce maschile, attirando l’attenzione della piccola.
Lei, però, corse nella loro direzione e offrì a Castiel un papavero rosso, prima di scappare via.
«Sembra che tu abbia una fan, Principe Azzurro» sbuffò Dean, mentre lui si rigirava il gambo del fiore fra pollice e indice, osservando la bimba risalire una collinetta e gettarsi tra le braccia del papà.
L’angelo non disse nulla, così lui sfilò il papavero dalle sue dita e glielo infilò dietro l’orecchio, come avrebbe potuto fare con una ragazza, giusto per prenderlo un po’ in giro. «Adorabile» sogghignò, ma era stranamente vero, con quel rosso acceso che risaltava contro gli occhi blu.
Non essendoci capelli lunghi a trattenerlo, dopo qualche secondo in bilico, il fiore cadde giù, atterrando sul suo petto. Castiel lo infilò nel taschino della camicia, prima di rotolare su se stesso fino a uscire dalla coperta e stendersi sull’erba fresca.
«Ti macchierai i vestiti» gli fece notare il cacciatore, osservandolo abbandonato lì a braccia spalancate.
Cas lasciò cadere la testa nella sua direzione e gli sorrise, il volto per metà affondato tra gli steli verdi e il trench tutto spiegazzato sotto di lui. Raccolse qualcosa sotto una foglia d’acero e allungò una mano verso l’amico per mostrargliela: una coccinella ferma sulla punta del suo indice.
«Quanti puntini ha?» domandò Dean, accostando una mano alla sua, fino ad unire le loro dita; il piccolo insetto colorato passò gentilmente dal polpastrello di Castiel al suo, facendogli un po’ il solletico.
«Le coccinelle hanno sempre sei macchie, tre per ala» rispose l’angelo.
«Se ne trovi una che ne ha sette, ti porterà fortuna» ribatté Dean, scrutando da vicino la loro nuova minuscola amica. «O almeno così diceva mia madre».
«È quasi impossibile, come l’esistenza dei quadrifogli; sono un aberrazione del trifoglio» spiegò Castiel. «Come un umano con sei dita».
Il ragazzo fece una smorfia. «Ewn, grazie per la bella immagine, Cas» ironizzò. La coccinella scosse le ali, rivelando le piccole membrane trasparenti sotto quelle rosse, e volò via. «Visto? L’hai offesa».
Lui corrugò la fronte, poi strinse la sua mano e lo attirò a sé.
«Sul serio?» borbottò Dean, ma lo seguì sull’erba, fino a poggiare la testa sul suo fianco.
«Meglio» sospirò Castiel, le dita ancora intrecciate alle sue.
«Hai freddo?» domandò l’altro, premendo un po’ di più la nuca sul suo ventre per incontrare il suo sguardo.
«Iniziavo ad averne» rispose, infilando i polpastrelli tra i suoi capelli chiari.
Dean chiuse gli occhi, respirando il profumo dell’erba, ascoltando le voci dei bambini poco lontano, assaporando il sole sulla pelle, il tocco familiare di Castiel.

*°*°*°*°*

Dean tese le braccia, cercando di sollevarsi quei due o tre centimetri che gli permisero di cambiare posizione; appena un po’, giusto il tanto da non sentire più tirare le spalle e cominciare a far gemere tutto il resto. Le sue mani tremarono per lo sforzo, strette attorno alle catene, e infine dovette lasciare la presa - piano, cazzo, piano, senza strattoni - e tornare allo stesso punto.
I muscoli trapezoidali erano in fiamme, a un passo dal perdere sensibilità, ma poco importava, poteva già sentire dei passi familiari avvicinarsi.
«I’d sacrifice anything come what might for the sake of havin’ you near» canticchiò una voce viscida e allegra, che ormai conosceva fin troppo bene. «In spite of a warnin’ voice that comes in the night and repeats, repeats in my ear: don’t you know, little fool, you never can win? Use your mentality, wake up to reality». Era sempre di buon umore a lavoro; un impiegato modello.
«Come sta il nostro principino, oggi?» esclamò, sfregandosi le mani.
«Una favola» rispose Dean, la voce che grattava nella gola riarsa; tra poco gli stiramenti muscolari sarebbero diventati un piacevole ricordo.
Alastair sorrise. «Dean, Dean, Dean» sospirò. «Sempre così carino. Mi scaldi il cuore. E, per premiarti, ho pensato che oggi potremmo fare qualcosa di nuovo, uhm? La frusta, le tenaglie e gli altri giocattoli ti stavano annoiando, così ti ho portato un regalo» disse entusiasta, contemplando i suoi ferri del mestiere ben allineati sul suo tavolo da lavoro, prima di prendere qualcosa per mostrarglielo: un oggetto fallico, grosso, pieno di spuntoni simili a chiodi, con una comoda impugnatura alla base.
Mi prendi per il culo? Devo essere appena caduto in un porno di serie B sull’Inquisizione Spagnola, ebbe la lucidità di pensare, e l’avrebbe anche detto, se avesse avuto abbastanza voce, ma era così stanco, tanto da non sentire più nemmeno la paura.
Il sangue gocciolava a terra con piccoli plic discontinui. Dean strinse i denti, rifiutandosi di urlare, mentre il demone rigirava il giocattolo nelle sue budella. I chiodi gli artigliavano le viscere come se volessero tirargliele fuori, il sangue caldo gli scorreva lungo le cosce, appiccicoso, nauseante. Plic, plic, plic.
Poi Alastair introdusse il suo primo ospite e Dean sorrise in un lampeggiare di denti mostruoso e folle, mentre quello si abbassava i pantaloni davanti a lui.
«Che succede, Dean? Avevo sentito dire che adori il sesso».
Alastair riprese a cantare, soffocando il rumore degli schiaffi dei fianchi che si scontravano, pelle contro pelle, il cigolio delle catene. Si divertì a guardare, mentre un demone prendeva il posto del primo, gli apriva le gambe e frugavano fra le sue cosce, leccandosi il sangue dalle dita. Poi un altro, e un altro, e un altro. Plic, plic-plic, plic.
Liquidi più densi e chiari gli colavano giù fino alle caviglie, ora, mischiandosi al sangue.
Alastair gli accarezzò i capelli, tirandoli via dalla sua fronte sudata. «Vuoi scendere dalla ruota, Dean?» sussurrò gentile. «Vieni a giocare con me e potrai riposare».
Lui gli sputò in faccia. «Fottiti» ansò, ormai privo di voce.
Alastair ghignò e non si disturbo a ripulirsi la saliva che gli rigava una guancia. «Allora ci vediamo domani, raggio di sole. Ti lascio il tuo regalo» chiocciò, impugnando di nuovo il suo giocattolo.
«But each time that I do just the thought of you makes me stop before I begin. ‘Cause I've got you under my skin». *
Dean si svegliò con un urlo intrappolato in gola.
«Shhh» mormorò qualcuno accanto al suo orecchio. «Shhh, è tutto finito. Sei salvo. Shhh».
Il cacciatore cercò di riprendere fiato, gli occhi sgranati, il volto per metà affossato nel cuscino, il cuore che gli rimbombava nelle orecchie, assordandolo. Qualcuno continuava a mormorargli gentili sciocchezze, senza toccarlo; non gli sarebbe piaciuto il risultato, se lo avesse fatto.
La stanza era illuminata dalla luce dell’abatjour. Dopo qualche minuto, Dean riuscì a mettere a fuoco il viso di Castiel, impenetrabile, il profumo della sua pelle, riuscì perfino a comprendere le sue parole.
«Cas?» gracchiò.
«Sono qui» gli assicurò. «Sei qui». Sfiorò con la punta delle dita il profilo della sua spalla e, quando vide che il ragazzo non lo respingeva, lo abbracciò con estrema cautela, senza aggiungere altro.
«Hai visto» soffiò Dean contro il suo petto; non era una domanda.
L’angelo lo strinse un po’ più forte, e lui glielo permise, lasciando andare un respiro tremante, perché era Cas, e se Cas era lì voleva dire che andava tutto bene, perché Cas l’aveva tirato fuori, quindi se era lì non poteva succedere niente. C’era Cas.
«Sono morti» bisbigliò questi, premendo le labbra tra i suoi capelli. «Mi senti, Dean? Sono morti. Li ho fatti a pezzi con le mie mani. Sono cenere. Tutti morti».
Lui annuì, premendo la fronte contro il suo sterno. Chiuse gli occhi e inghiottì, cercando di mandare un po’ di saliva giù per la gola secca. «Sto bene» disse. «È tutto okay».
Si impose di riprendere a respirare, di smettere di tremare. Non era come se non avesse mai avuto incubi sull’Inferno, cazzo. Questa volta era stato solo un po’ più vivido del solito, un po’ più vero del solito. Costrinse i suoi occhi ad incontrare quelli di Castiel, perché doveva, perché se avesse evitato ancora il suo sguardo non sarebbe mai più riuscito a guardarlo in faccia.
L’angelo era inespressivo, non c’era pietà sul suo volto, o lacrime, o rabbia, o un qualunque segno di ciò che aveva visto - e provato; era così volutamente impenetrabile da parlare già di per sé.
«Tu sapevi» comprese Dean. Sapeva già tutto, ovvio, aveva rattoppato la sua anima e visto ogni cosa nel momento stesso in cui l’aveva trovato.
Castiel non rispose, non ce n’era bisogno. La mano che teneva poggiata sulla sua nuca ora sembrava impossibilmente più grande, la presa salda, possessiva perfino. Ma per quanto cercasse di non mostrare nulla, Dean poteva sentirlo; il dolore al centro del suo petto, la frustrazione rovente, la compassione soffocante, e sopra tutto questo la collera divina a stento trattenuta. Castiel avrebbe voluto riportare in vita Alastair solo per ucciderlo di nuovo, in un modo ancora più doloroso, e poi fare tutto da capo.
«Smettila» ansò il ragazzo. «Falla finita, cazzo. Non ho bisogno di sentirmi ancora di più la dannata damigella in pericolo. Prendi il tuo fottuto cavallo bianco e vattene a ‘fanculo, Cas».
Ancora una volta lui non disse nulla, ma lo strinse contro di sé con tutta la forza delle sue braccia, finché Dean non sentì contro una guancia la pelle scabrosa del marchio sul suo petto, tra le ali del pigiama. Il cuore di Castiel palpitava veloce come lo sbattere d’ali di un uccellino in gabbia.
Lui afferrò il lembi della sua casacca e tirò, facendo saltare i bottoni, finché non ebbe la propria impronta sotto gli occhi, tra le labbra, contro la fronte. Artigliò i suoi fianchi, calcando i pollici nell’incavo delle ossa iliache, respirando pesantemente contro la sua pelle.
L’angelo gli poggiò di nuovo - con cautela - le mani sulle spalle, incoraggiandolo, premendolo un po’ più contro di sé. Dandogli spazio. Dandogli tutto.
Dean cedette e fece quello che desiderava da giorni: ricalcò il marchio con la lingua, con i denti, come se avesse voluto scavare la carne e ingoiare di nuovo la propria anima, strapparla via da Cas, liberarlo da quella cosa disgustosa.
I palmi caldi di Castiel scivolarono lungo la sua schiena, lenendo il dolore fantasma dei muscoli stirati. Tremava sotto di lui e si lasciò sfuggire un singhiozzo, ma non si lamentò.
Il ragazzo sollevò lo sguardo, osservando il suo pomo d’Adamo fare su e giù, gli occhi tremare sotto le palpebre chiuse, un labbro stretto tra i denti. Perché lo lasciava fare? Perché cazzo non lo buttava a terra o non lo colpiva in faccia? Cristo.
Cas socchiuse le ciglia, liberando un sospiro tremante. Raccolse il volto di Dean tra le mani e si arricciò per poggiare le labbra sulla sua fronte; non un vero bacio, solo una pressione leggera, come una benedizione.
Perdonaci, Signore, e liberaci dal male.
Le parole affiorarono alla mente di Dean come un ricordo lontano o un pensiero raccolto da qualche parte, non suo, solo ascoltato per caso. Chiuse le braccia attorno alla vita stretta di Castiel - ossa sottili e cave come quelle di un passero - poggiò di nuovo la fronte sul suo sterno e chiuse gli occhi.

*°*°*°*°*

Spazio Autore: Sono di nuovo in ritardo con l’aggiornamento, lo so. E non ho ancora risposto alle recensioni, lo so. Mi dispiace davvero tanto, giuro. Rimedierò il prima possibile. Purtroppo non sono stata molto bene questa settimana e Koorime mi ha consegnato il betaggio con qualche giorno di ritardo. Spero che l’attesa sia valsa comunque la pena e di non avervi traumatizzato troppo con questo capitolo.
Vi dirò la verità: io non reggo le non-con o le scene di abuso in generale, ma sembrava un po’ irrealistico che, condividendo i sogni, Cas non vedesse nulla che riguardasse il tempo passato da Dean all’Inferno, quindi era una scena un po’ dovuta. La cosa non mi ha resa affatto felice, se può consolarvi (?), e sono tuttora convinta che sia scritta malissimo, because of reason.

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