Titolo: I Was a Stranger you Took me In
Fandom: Supernatural.
Pairing: future!Castiel/future!Dean, Lucifer, Chuck + comparse varie sul finale.
Rating: NC17.
Charapter: 2/5.
Beta:
koorime_yu &
waferkya.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo, Romantico.
Warning: Missing Moment 5x04 - The End, Possibile OOC, Sesso descrittivo, Slash.
Words: 4043/26043 (
fiumidiparole).
Summary: Anno 2014; Dean è morto, Castiel è in fin di vita e non vuole altro che raggiungerlo, e Lucifer comincia a rendersi conto che il gioco che ha intrapreso non vale la candela. Quindi il Diavolo propone un patto al suo fratellino caduto: una seconda possibilità per lui e Dean, ma il cacciatore non ricorderà nulla, nemmeno il proprio nome. Così si ritroveranno su un’isoletta dei tropici senza nome, perché la formula due cuori e una capanna non tramonta mai.
Note: Il titolo della fic è una strofa di
“Miracle Drug” degli U2.
Note importantissime: Mi raccomando, prima di iniziare a leggere, andate
QUI e scaricate il BELLISSIMO - sì, ommiodio è PERFETTO - fanmix che
arial86 ha creato per questa storia ed ascoltatelo durante la lettura, perché l’aMMMore ♥
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DISCLAIMER: Non mi appartengono e non ci guadagno nulla ù_ù
I Was a Stranger you Took me In
Capitolo 2
Castiel si svegliò con un grido intrappolato sul fondo della gola, il respiro affannato e gli occhi pieni di lacrime. Nella mente ancora l’immagine vivida delle iridi spente di Dean.
No, no, no, no, no, no, pensò convulsamente, è finita, finita! Si premette i palmi sulle palpebre e cercò di regolarizzare il respiro. L’amaca dondolò a causa dei suoi movimenti bruschi e lui si voltò a cercare l’amico al suo fianco, ma questi non era lì.
A Castiel non piaceva dormire, no, nemmeno un po’. La maggior parte delle volte che si era abbandonato all’incoscienza erano blackout causati dall’eccesso di alcool, e gli unici sogni di cui era pratico erano i viaggi causati dalle droghe. In realtà, spesso e volentieri ci dava giù così pesante proprio per evitare di sognare; seimila anni di vita erano un sacco di tempo a cui la fantasia del suo subconscio poteva attingere.
Si precipitò giù dall’amaca e quasi rischiò di spaccarsi la testa, impigliandosi un piede nella rete. Si salvò per un soffiò e si slanciò verso la porta della capanna. La prima cosa che vide, quando la spalancò, fu Dean chinato su un bacile d’acqua che si portava un coltello alla gola.
Non si fermò a ragionare, semplicemente entrò in azione: gli saltò addosso, buttandolo a terra e torcendogli il polso per allontanare il pugnale dalla sua pelle, facendogli lasciare la presa.
«Uoh! Che diavolo ti prende, Rambo? Stai cercando di uccidermi?!» esclamò il ragazzo.
«No, tu che cazzo stai facendo?!» sbottò di rimando.
«La barba! Stavo cercando di radermi il viso, deficiente!» gli urlò indietro lui e Castiel sì immobilizzò, ancora a cavalcioni del suo torace e con i suoi polsi intrappolati tra le mani.
Il suo petto si gonfiava e sgonfiava convulsamente e gli occhi tormentati si tinsero di confusione, prima di allargarsi per il sollievo. «Oh…» mormorò, in imbarazzo.
«Già, oh. Ora ti dispiace levarti di dosso?» si accigliò il cacciatore, irritato.
Il sollievo fu tanto che quasi Castiel non sentì le sue parole. Le sue spalle si abbassarono e tutto il suo corpo si rilassò, abbandonando la postura d’attacco e apparendo di colpo molto più piccolo. Avrebbe indirizzato una preghiera di ringraziamento a Dio, se solo suo Padre fosse stato ancora reperibile.
«Ehi, che ti prende?» domandò Dean più gentilmente, con quella singolare empatia che contraddistingueva i suoi momenti migliori.
«Nulla, io… uhm… ho solo fatto un brutto sogno» smozzicò, spostandosi finalmente.
Il ragazzo sorrise divertito. «Amico, cosa sei, un moccioso? Sembra che tu non abbia mai fatto un incubo in vita tua».
Quasi, pensò lui. Ma rispose: «Era un sogno davvero brutto» a mo’ di scusa. Non aggiunse altro e Dean non chiese, forse in rispetto all’orgoglio maschile; gli uomini non parlano di queste cose, gli aveva detto una volta. Castiel non aveva mai capito il perché. Insomma, gli sembrava abbastanza ridicolo, era chiaro a tutti che avessero anche loro dei sentimenti, quindi perché parlarne avrebbe dovuto farli apparire più deboli o delle donnicciole? Ad ogni modo, in quel momento gli tornava utile.
Il cacciatore sbuffò. «Dovrò raccogliere altra acqua» borbottò, osservando la bacinella che lui aveva rovesciato nel suo assalto.
«A che ti serve?» chiese l’altro, perplesso.
«Per riflettermi e pulire il coltello, no?» rispose, come se fosse ovvio; e in effetti lo era abbastanza, ma Cas era ancora mezzo addormentato.
Si sfregò energicamente il viso, strappandosi gli ultimi rimasugli di sonno che l’adrenalina non aveva ancora debellato, poi tornò a guardarlo. «Vuoi una mano?» sì offrì. «Sono bravo con i coltelli».
Dean gli rivolse un’occhiata scettica. «Non ti basta aver già tentato di uccidermi una volta, oggi?» ironizzò.
«Ehi, so quello che faccio!» protestò lui. «Sentì, non troverai lamette in giro, né specchi. È molto più pratico se ci radiamo a vicenda. Eviteremo di sfregiarci da soli, non trovi?» ritentò.
«Va bene, va bene» cedette il ragazzo, offrendogli il pugnale dalla parte del manico. «Sta attento, è molto affilato».
Castiel alzò gli occhi al cielo. «Sì, mamma» chiocciò, prima di sedersi a gambe incrociate davanti a lui ed inclinargli il viso per riprendere da dove aveva lasciato. Con pochi movimenti precisi e puliti finì di raderlo, sistemando anche i punti in cui la lama era già passata tralasciando qualche cosa, a causa del riflesso dell’acqua troppo vago.
«Grazie» asserì Dean, accarezzandosi il viso ed il collo notevolmente più lisci. «Ehi, Poison Ivy, conosci qualche pianta che possiamo usare come dopobarba?» chiese poi.
«Che si possa trovare in questo ambiente, solo l’aloe» rispose, pensieroso.
L’amico fece una smorfia. «Di nuovo la schifezza, no!» gemette.
«Allora tieniti il bruciore» scrollò le spalle indifferente, facendolo imbronciare, prima di restituirgli il coltello. Inclinò il capo all’indietro, quando il ragazzo gli fece alzare il mento, e rabbrividì impercettibilmente nel momento in cui sentì la lama fredda avvicinarsi alla pelle delicata del collo. «Non cercherai di uccidermi, vero?» scherzò.
«Uhm… l’amaca tutta per me, il doppio del cibo a disposizione, silenzio, scorte di carne…» considerò, punzecchiandolo su un fianco magro. «… no, forse quelle no. Ma non sarebbe una cattiva idea!» lo canzonò.
«Spiritoso, molto spiritoso» replicò l’altro, piatto, poco prima che il pugnale iniziasse a scorrere sulla sua pelle.
«Lo so, lo so. Ora fai il bravo bambino e chiudi il becco» gli raccomandò.
Osservò lo sguardo intenso di Dean, mentre gli radeva le guance con concentrazione. Sembrava così diverso, quasi il vecchio se stesso, molto più simile al ragazzo che era venuto a trovarli dal 2009 di quanto non lo fosse da anni. Sì chiese distrattamente se quel Dean stesse bene, poi tornò a quello davanti a lui, finalmente privo del peso del mondo sulle spalle e senza l’ombra delle perdite a scurirgli gli occhi. I loro battibecchi non erano così rilassati da anni, anzi, forse non lo erano mai stati, visto che ai vecchi tempi lui non era esattamente un tipo da compagnia.
Aveva temuto che ogni secondo in compagnia di un Dean privo di memoria sarebbe stato una tortura, invece il cacciatore era rilassato in sua presenza, a tratti sembrava perfino che ricordasse tutto. Castiel si chiese se quello fosse un segno, magari la prova che il loro legame poteva sopravvivere, malgrado tutto. Forse perfino che si sarebbero trovati ovunque, in qualunque tempo e dimensione, perché questi erano i loro caratteri, le loro anime.
Fingere di non aver sofferto per il degrado del loro rapporto sarebbe stato inutile: se non era uno dei motivi che l’aveva portato a bere, era senz’altro uno di quelli che gli avevano fatto venire voglia di continuare. A mente lucida era cosciente che fosse solo l’ennesima scusa per stordirsi, ma l’indifferenza di Dean sapeva essere più dolorosa della sua rabbia; si era sentito lasciato indietro, abbandonato, completamente solo in un mondo che non gli apparteneva e del quale lui l’aveva convinto a far parte. L’aveva odiato un po’, per quello, più di una volta, salvo poi notare la tensione dei suoi muscoli, il suo cipiglio scuro, la linea forte ma così esausta delle sue spalle… e scoprirsi incapace di andarsene, di lasciarlo a se stesso, come aveva fatto Dean con lui.
«Lo stai facendo di nuovo» lo riportò al presente proprio la voce di quest’ultimo.
«Cosa?» domandò lui perplesso.
«Non sei qui con me» chiarì l’amico, e pareva quasi offeso, come se Castiel l’avesse volutamente messo da parte. Di più, sembrava arrabbiato, e questo era tristemente familiare.
«Perché ce l’hai con me, adesso?» s’informò quindi.
«Tu… sei psicopatico, o cosa? Soffri di doppia personalità? Un momento prima stiamo scherzando e quello dopo… POOF!» il ragazzo schioccò le dita. «Sei con la testa da un’altra parte e sembri la persona più miserabile di questo mondo!» esclamò stizzito, e Castiel si ritrovò a fissarlo a bocca aperta. «Perché diavolo hai quello sguardo? Soffri di depressione? Cazzo, sono qui, non sei solo, che problema c’è? Cosa mi stai nascondendo?»
Castiel non sapeva sinceramente cosa dire, aveva bisogno di tempo per riflettere, quindi rispose semplicemente: «Finisci, poi ne parliamo» indicando il coltello.
Dean sbuffò dal naso, seccato e ancora accigliato, però poi strinse le labbra e riprese, con movimenti un po’ più sbrigativi, ma sempre precisi. Dopo qualche minuto, sciacquò il pugnale, poi tamponò il suo viso con un panno, controllando di non aver tralasciato nulla, e all’improvviso si fermò.
I suoi occhi tremarono mentre gli incorniciava il viso tra le mani, scrutandolo con un misto di terrore e meraviglia. Castiel lo osservò confuso e seguì i suoi movimenti con circospezione, mentre Dean si bagnava le dita e gliele passava tra i capelli, sollevandoli dalla fronte ed arruffandoli. Poi gli toccò le spalle e il collo, come in cerca di qualcosa.
«Non c’è…» infatti lo sentì mormorare, e all’improvviso Castiel capì, e fu il classico fulmine a ciel sereno.
Senza barba e con i capelli arruffati doveva somigliare molto di più all’angelo di un tempo. Dean cercava il trench.
Deglutì a fatica e gli strinse gentilmente i polsi. «Mancano un sacco di cose, Dean. Un sacco di cose» sussurrò, sconfitto.
«Chi sei tu?» chiese lui, guardingo, quasi spaventato.
«Castiel» rispose, serio, guardandolo dritto negli occhi.
«No, intendo, cosa sei tu?» precisò e lui si sentì morire. Questa conversazione gli era dolorosamente familiare.
Sono un angelo del Signore, gli aveva risposto al loro primo incontro - be’, il primo che Dean ricordasse. «Cas… sono solo Cas» asserì stavolta.
Dean scosse il capo, sfregandosi la bocca in un gesto nervoso che gli aveva visto fare milioni di volte, ma all’improvviso strizzò forte le palpebre e si premette i palmi sulle tempie. Castiel scattò immediatamente in azione, offrendogli la sua spalla su cui poggiarsi e sentì lo stomaco chiudersi una morsa, quando si rese conto che il dolore aveva accecato a tal punto l’amico da non indurlo nemmeno a protestare.
«Poco per volta, Dean, non faccio che ripetertelo. Non ti devi forzare» sussurrò nel modo più tranquillizzante che gli riuscì, nonostante un nodo di preoccupazione gli otturasse la gola.
«Ma tu sei qui. Sei sempre qui e io non so chi sei» ansò il cacciatore, riaprendo lentamente gli occhi per rivolgergli uno sguardo addolorato. «Mi dispiace» mormorò.
Se il mondo fosse stato giusto, se suo Padre lo fosse stato, Castiel sarebbe morto in quel momento, colpito da una folgore divina o qualcosa di simile. Avrebbe dovuto essere così, cazzo. Se lo meritava.
«Shhh… shhh… non essere stupido. Non è colpa tua» si ritrovò invece a dire, cingendogli la schiena. Perdonami se puoi, perdonami per essere così egoista, per essere incapace di vivere. Incapace di vivere senza di te. Avrebbe dovuto mandare Lucifer a farsi fottere e restare solo lui, se proprio il Diavolo non era disposto a lasciarlo morire. Seconda possibilità per Dean? E quando mai l’aveva chiesta? Era stato lui, Castiel, a decidere al suo posto.
«Invece è così» asserì Dean convinto, tirandosi i capelli, inconsapevole delle sue riflessioni «Sento che dovrei ricordarti, che non posso dimenticarti. È come se fosse colpa mia se tu sei qui» cercò di decifrare le proprie sensazioni. «Cosa ho fatto, Cas? Cosa ti ho fatto?»
E questi si sentì gelare. Un mondo che non gli apparteneva ed a cui Dean l’aveva convinto a far parte.
«Mi hai spinto a cambiare» ammise, incapace di mentirgli su quello.
«In bene o in male?» domandò lui accigliato.
«Non saprei. Direi che i lavori sono ancora in corso» cercò di sorridere l’altro.
*°*°*°*°*
Il mare era bellissimo quella mattina, piatto e calmo come una tavola. Castiel raggiunse Dean in spiaggia ed osservò la sua schiena nuda e muscolosa bagnata dal sole; aveva piantato una canna da pesca sul bagnasciuga e si era seduto ad aspettare che il loro pranzo abboccasse.
Lui lo studiò incuriosito, il cacciatore non era mai stato un tipo molto paziente, ma pareva che quello gli piacesse. Ricordava ancora il sogno in cui si era intrufolato anni prima, sorprendendolo a pescare sul molo di un lago; sembrava accaduto una vita fa.
«Colazione?» propose, accostandosi a lui e porgendogli la metà di una noce di cocco che aveva usato come tazza.
Dean osservò scettico il contenuto. «È quello che penso?» chiese, inarcando un sopracciglio.
«Sì, se intendi una macedonia» rispose lui, porgendogli anche un cucchiaio di legno; l’amico ne aveva intagliate due da alcuni rami teneri, la sera prima.
«Cosa avevo detto ieri sulla frutta?» domandò retorico, e Castiel sbuffò.
«Dammi un po’ di fiducia e assaggia» lo sollecitò poi. «Niente capricci, su. Non fare lo schizzinoso» aggiunse.
«Non sono un bambino!» esclamò oltraggiato, infilandosi una cucchiaiata in bocca a mo’ di dimostrazione. Masticò con determinazione, quasi in spregio alla sua insinuazione, poi sgranò gli occhi sorpreso. «Hai…» iniziò, ma s’interruppe.
L’amico sorrise soddisfatto. «Sì, ho mischiato la frutta al cioccolato» confermò, sedendosi accanto a lui ed attaccando la propria porzione.
Dean lo contemplò per qualche secondo, poi tornò alla propria macedonia. «Forse, dopotutto, potresti essermi utile» ponderò.
Castiel ridacchiò, ma non aggiunse niente. Un punto per lui.
*°*°*°*°*
La vegetazione era insopportabilmente fitta, al centro dell’isola, e faceva un caldo da safari. Con un ringhio ferino, Dean si schiaffò la mano su un braccio nudo, spiaccicando l’ennesima zanzara.
«Da quanto diavolo è che camminiamo, un’ora?» borbottò.
Castiel scostò l’ennesimo ramo con un braccio e sollevò lo sguardo per cercare il sole. «Non saprei, non riesco più ad orientarmi» ammise.
«Fantastico» sbuffò l’amico «Come pensi che riusciremo a tornare indietro?»
«Di quello non mi preoccupo, basta seguire le nostre impronte» rispose distrattamente «Ma se non troviamo una fonte siamo fottuti. Non sopravvivremo a lungo, se non arrivano presto le piogge».
Avevano a disposizione alcune giare d’acqua dolce, nella dispensa, ma non sarebbero bastate a lungo con quel caldo infernale. Già così la stavano centellinando ed avevano bisogno d’acqua potabile non solo per bere, ma anche per lavarsi e cucinare. Castiel sapeva che doveva esserci un fiume o una fonte; Lucifer non li avrebbe mai resuscitati per mandarli lì a morire lentamente, era uno a cui piacevano le esecuzioni rapide e pulite.
Fece ancora qualche passo, poi inciampò in un’infida radice nascosta dal terreno e dalle felci, venendo proiettato avanti dal suo stesso peso. Ruzzolò un paio di volte e poi si ritrovò dentro a qualcosa di molto bagnato e molto scuro. Acqua sporca, realizzò subito dopo. Erano le tracce fangose di un fiumiciattolo.
Malgrado ora fosse più lurido di prima, sorrise quando Dean lo raggiunse.
«Imbranato» lo apostrofò questi, senza troppa acredine, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Guarda cos’ho trovato!» esclamò lui entusiasta, indicandogli la poca acqua che continuava a scorrere verso est, in direzione del mare.
«Wow! La prossima volta ricordami di lanciarti, magari riusciamo a trovarla prima» ironizzò, e Castiel lo mandò allegramente a quel paese, mentre iniziava a risalire il rigagnolo, che andava via via ingrossandosi.
Camminarono ancora per un po’, forse un altro quarto di miglio, osservando il fiumiciattolo allargarsi e diventare sempre più profondo, finché il letto non divenne ghiaioso e l’acqua limpida. Infine sboccarono in una radura e Castiel rimase a bocca aperta davanti alla vista che si aprì ai loro occhi.
«Wow…» boccheggiò Dean.
«Già. Wow» convenne lui.
Il fiume si gettava con una cascatella, alta non più di un paio di metri, forse causata da un rialzo del terreno, in una concavità che era quasi un piccolo lago aperto. L’acqua era cristallina, il fondo chiaro, e tutt’attorno la vegetazione sembrava quasi abbracciarli.
Senza pensarci, Castiel gettò via la maglietta, scalciò gli anfibi ed iniziò a slacciarsi i pantaloni.
«Che diavolo stai facendo?!» esclamò il cacciatore, allibito, mentre lui sgusciava fuori dai jeans.
«Secondo te?» replicò, mandando i boxer ad ammucchiarsi con il resto dei vestiti, prima di tuffarsi in acqua. Era così fredda - specie in confronto alla sua temperatura corporea - che gli si rizzarono perfino i capelli corti sulla nuca. Riemerse dopo qualche secondo, sorridendo, e puntò lo sguardo sull’amico, ancora immobile a riva. «Che fai, resti lì?» gli domandò inarcando un sopracciglio.
«Sei nudo» osservò Dean molto acutamente.
«Capitan Ovvio è tra noi» ironizzò Castiel. «Siamo maschi» gli ricordò poi.
«È proprio questo il problema» sottolineò l’altro ragazzo.
«Senti, non è che non hai mai visto un uccello. Ne hai uno attaccato in mezzo alle gambe» sbuffò lui, iniziando a sciacquarsi la pelle impregnata di fango e sudore.
«E ci terrei a non vederne altri» asserì il cacciatore.
Castiel sospirò. «Fa’ come ti pare» lo apostrofò, prima di inclinare il collo indietro per lavarsi anche i capelli, offrendogli involontariamente la visione del suo petto asciutto, teso e bagnato. Con l’acqua ad otturargli le orecchie, non sentì i fruscii di abiti smessi provenire dalla riva, ma avverti perfettamente le mani forti che gli ghermirono la vita trascinandolo a fondo.
Preso alla sprovvista, ingoiò diversi sorsi d’acqua - per fortuna dolce, stavolta - prima che Dean gli permettesse di riemergere.
«Cazzo» ansò aspramente. «Possibile che tutte le volte che siamo vicini all’acqua tenti di uccidermi?!»
«Cosa posso dire? Istighi la mia vena sadica» ghignò lui, sfacciato.
Castiel lo spintonò, seccato, tornando a riva per afferrare i propri vestiti e dargli una rinfrescata, prima di stenderli ad asciugare sui rami, sotto il sole. Notò Dean allontanarsi dove l’acqua era più profonda, ma non vi badò più di tanto, almeno sinché non sparì dalla sua vista per un minuto intero.
Senza pensarci, si gettò di nuovo in acqua e si addentrò verso la zona in cui l’aveva visto sparire, peccato che lui non fosse esattamente quel che si definiva un nuotatore provetto. Conosceva la teoria ma non altrettanto bene la pratica, ed aveva avuto poche occasioni di nuotare in quegli anni, quindi quando si rese conto che non toccava più con i piedi, venne prese da un moto di genuino e umanissimo terrore.
Perse la coordinazione motoria, poi con la paura la dimenticò del tutto e, prima ancora di rendersi conto di cosa stesse succedendo, stava affondando. L’acqua dolce, più pesante di quella salata, non lo aiutò affatto a risalire, e più si sentiva andare giù, più si faceva prendere dal panico, senza riuscire a sincronizzare i movimenti. Una nuvola di bolle d’aria, causata dal suo stesso respiro perduto, gli offuscò la vista e per un agghiacciante momento sentì la gola riempirsi d’acqua, poi un braccio muscoloso gli circondò il petto e lo tirò su di peso.
Castiel si aggrappò alla spalla di Dean, mentre il proprio stomaco veniva scosso dai conati e vomitava più liquido di quanto si fosse reso conto di aver bevuto.
«Che cazzo volevi fare?!» ululò l’amico, furioso e spaventato, scuotendolo per le spalle. E a lui girò la testa, a causa del poco ossigeno che ancora gli circolava per il cervello.
«Credevo…» s’interruppe, tossendo un paio di volte «… tu stessi affogando…» cercò di spiegare con la trachea graffiata dall’acqua.
«Quindi hai pensato bene di venire a farmi compagnia?» ringhiò ancora il ragazzo, mentre lui riprendeva a tossire. Non riusciva a pensare, aveva le vertigini. «Cristo!» sbottò il cacciatore, passandogli un braccio sotto le gambe per tirarlo su, portandolo fuori dall’acqua, e solo allora lui si rese conto che Dean lo aveva trascinato in una zona più bassa. O magari, essendo più alto, era semplicemente agevolato.
«Mettimi giù» gracchiò. «Ce la faccio».
«Sta zitto. Sembri un uccellino, sei una palla di piume e ossicini vuoti! Non pesi un cazzo» osservò nervoso.
Quali piume?, pensò lui confusamente, poi cercò di nuovo di scendere, ma l’amico sembrava sordo alle sue proteste.
«Stasera mangi almeno due pesci, chiaro?» gli ordinò, sempre sullo stesso tono.
«Non riuscirò mai a mangiarne due» soffiò lui allibito. No, davvero, avrebbe finito per sentirsi male. A causa dell’alcool e del poco cibo a cui era abituato, il suo stomaco aveva le dimensioni di un francobollo ed era fin troppo suscettibile, appena mangiava più di un certo tanto, rimetteva tutto.
«Più pesce e meno frutta, sottospecie di pennuto» lo apostrofò allora Dean.
«Cos’è, una nuova tecnica per farmi fuori? Soffocarmi di cibo e d’imbarazzo?» ironizzò Castiel, mentre l’altro lo metteva finalmente giù e gli gettava addosso i vestiti ancora umidi che aveva lasciato ad asciugare su un ramo.
«Quando mi libererò di te, sarà in un modo più soddisfacente» asserì incazzato, sedendoglisi accanto, e solo allora lui notò che si era tuffato in acqua con i boxer. Si trattenne a stento dal ridere.
*°*°*°*°*
Nei giorni a seguire, si stabilì pian piano una certa routine. Castiel si svegliava sempre molto presto, perlopiù a causa della luce del sole - forte fin dalle prime ore del mattino - che entrava con prepotenza dall’unica finestrella della capanna e dal soffitto aperto. Tapparelle in un’isola deserta? Un miraggio.
Ma Dean si svegliava ancora prima di lui, e mentre Castiel cercava di schiarirsi la mente, ancora annebbiata da sogni cupi e quasi sempre impalpabili, l’altro ragazzo aveva già sistemato l’attrezzatura da pesca. Era una cosa che lo lasciava abbastanza perplesso; da che lo conosceva, il cacciatore non era mai stato un tipo molto mattiniero, in special modo considerando il fatto che lavorava soprattutto di notte. Si svegliava presto solo se costretto, ma in effetti era abituato a dormire solo poche ore per volta, quindi Cas smise semplicemente di farci caso.
Si facevano la barba a vicenda appena erano entrambi in piedi, poi Dean ritornava alla sua canna da pesca, mentre lui s’ingegnava per creare una colazione gradevole e sana, che consumavano insieme sulla spiaggia. Si era specializzato nella preparazione di spremute e cocktail di frutta - ovviamente analcolici, perché l’unica cosa che aveva per allungarli era il latte di cocco o l’acqua -, e stranamente l’amico sembrava apprezzarli. O, perlomeno, li beveva senza troppe smorfie.
In seguito Castiel lo lasciava alla cattura dei pesci e percorreva il sentiero - che stava via via diventando familiare - per raggiungere il laghetto che avevano scoperto e riempire d’acqua dolce una o due giare.
Durante il resto del tempo faceva di tutto per tenersi occupato.
La cosa più tremenda di quel posto, in effetti, era la noia incombente. Poteva essere rilassante per chi aveva trascorso tutta la vita a lottare, ma dopo qualche giorno di relax e poi qualche settimana, diventava semplicemente noioso, specie per due uomini d’azione.
Trascorrevano sempre qualche ora in spiaggia, la mattina o il tardo pomeriggio, quando il sole troppo forte non li costringeva a ripararsi dentro la capanna. E quello era abbastanza divertente. Castiel aveva scoperto di amare tantissimo il mare, specie all’alba ed al tramonto. Faceva lunghe passeggiate sul bagnasciuga e raccoglieva le conchiglie più belle. Dean lo prendeva in giro senza pietà perché la considerava una cosa da femminucce, ma si era appropriato di un braccialetto che lui aveva realizzato con un occhio di Santa Lucia e legno di cocco. [1] E aveva perfino iniziato a dargli lezioni di nuoto, che spesso si concludevano con esiti disastrosi - per Castiel - e estremamente esilaranti - per Dean.
Intanto lui aveva cominciato a coltivare un orticello dietro la capanna, trapiantando piante medicinali e frutta, e se ne prendeva cura ogni giorno.
Per contro, le emicranie del cacciatore si erano fatte più frequenti e le fitte ci impiegavano più tempo a scemare. Castiel iniziava a comprendere la natura di quell’amnesia: i ricordi non erano veramente cancellati, solo filtrati. Il Diavolo aveva posto degli argini che lasciavano passare solo quelli più innocui, cosicché Dean ne coglieva solo l’ombra ed il suo istinto cercava di sopperire a tutto il resto. I dolori non erano altro che i ricordi che tentavano di emergere, scontrandosi contro le barriere create da Lucifer, ma Castiel non conosceva modo per evitare il dolore o farlo scemare, se non pregare il ragazzo di smetterla d’angustiarsi. Però questo, aggiungendosi al nervosismo - di Dean per il mal di testa e suo per lo stress di tenergli nascosta la verità -, alla noia ed al semplice fatto di essere due uomini pieni di testosterone da soli su un isola deserta, li portava sempre più spesso a litigare, in un modo che gli ricordava orribilmente gli anni appena trascorsi.
Forse fu proprio grazie a questo - o almeno anche grazie a questo - che Castiel iniziò a rendersi conto di essere in astinenza.
Lucifer aveva purificato il suo corpo da alcool e droghe, ma c’era un’altra cosa di cui era diventato fortemente dipendente negli ultimi anni: il sesso. Oltre ad annebbiargli la mente come le altre sostanze, era stato una valvola di sfogo contro lo stress, la rabbia, la depressione, ed in generale tutta la situazione di merda in cui era infilato, non ultima la sua Caduta.
Scopava tutti i giorni, spesso più volte al giorno, per più ore del normale - o di quanto fosse possibile e salutare per un comune essere umano - e con più persone. Trovarsi di colpo a secco non era facile, per nulla.
Non era certo di come se la stesse passando Dean, a tal proposito, ma supponeva che non fosse messo molto meglio di lui; d’altronde non si era mai risparmiato in vita sua. Forse anche per lui il nervosismo, in parte, era dovuto a quello.
Poi arrivarono le piogge.
[1]
Occhio di Santa Lucia. Temo purtroppo che si trovi solo nel Mar Mediterraneo o - esagerando - sull’Oceano Atlantico, ma passatemi la licenza poetica. Mi piace l’idea perché si dice che porti fortuna e protegga dal malocchio.
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