DATI
Titolo: Kaze
Capitolo:
Parte I° -
Parte II° - Parte III° -
Parte FinaleGenere: Drammatico, Romantico, Angst
Pairing: Matsumoto Jun x OC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: "... poi si getto in mare e sentì che il suo corpo si scioglieva in schiuma. Il sole sorse alto sul mare, i raggi battevano caldi sulla gelida schiuma e la sirenetta non sentì la morte" [H.C. Andersen "La Sirenetta"]
NOTE
I titoletti nella fic sono tutti in francese
Quando vedete un * significa che c'è un nota alla fine del testo del capitolo
Seguirono il monaco che camminava a passo sicuro lungo il sentiero. «Adesso ci tocca fare da intrattenitori?» bisbigliò uno di loro
«Ne dubito» commentarono gli altri «Comunque io non sono dell'umore adatto per improvvisare un qualsivoglia numero»
«Un tempio buddhista non è lo scenario adatto ad fare un ballo. Immaginaci a cantare "Allergy"» e alcuni ridacchiarono
«Con delle verdure giganti in mano? E' proprio l'ideale» ma dovettero abbandonare quello stupido discorso quando arrivarono in prossimità del tempio. Gli ospiti erano tutti vestiti eleganti e chiacchieravano tra di loro anche se con poco brio data l'afa incontenibile di quel pomeriggio: sfiancava chiunque e faceva passare la voglia di impegnarsi in qualsiasi attività. Anche parlare era stancante e si sudava persino a stare fermi. «Potete attendere qui con gli altri?» domandò il monaco «Lei vuole venire con me dentro nel frattempo?» aggiunse con un sorriso sereno. Il ragazzo annuì timidamente e lo seguì.
L'intero tempio profumava di legno dato che l'acqua ne aveva bagnato le colonne e il tetto, mentre l'odore di erba bagnata gli riempiva le narici tutte le volte che si volgeva a guardare la foresta intorno. «Prego» fece quello aprendo una porta scorrevole e lasciandolo entrare da solo nella sala decorata, dopo che si fu tolto le scarpe. Si guardò intorno osservando la sala addobbata e perfettamente immobile: era difficile pensare che entro pochi minuti sarebbero entrate lì tutte le persone che stavano fuori. Si avvicinò ad una delle finestre e l'aprì lentamente, dato che risultava dura da far scorrere,: non si muoveva una foglia, l'aria era immobile. Così ferma che sembrava essersi fermato anche il tempo.
Rendez-vous
Osservava il paesaggio tokyota dietro le vetrate dell'alto edificio a più piani, sede della JS, l'etichetta. Teneva la fronte appoggiata al vetro e il suo bel profilo dai tratti morbidi rivelava un'espressione triste e pensierosa insieme. Un paio di ciocche ondulate nere si piegavano in morbide onde arrivando a dondolargli davanti agli occhi. Teneva le mani nelle tasche dei pantaloni ed la silhouette della sua figura magra spiccava contro il blu del cielo di quella tersa giornata autunnale. Migliaia di donne si sarebbero sciolte alla vista del bel ragazzo, malinconico e pensieroso: i raggi del sole lo investivano in pieno accentuando i colori degli abiti, illuminando il suo viso, ma rendendo anche più evidente l'ombra delle sopracciglia corrucciate. Nessuno le avrebbe viste, comunque, dato che era rivolto verso il vetro. Erano trascorsi due giorni da quando aveva incontrato Kintaro in giro con un'altra donna e da quella sera l'amico non si era più fatto sentire. A voler essere sinceri nemmeno Jun aveva voglia di sentirlo. Non ce l'aveva con lui, ma era profondamente turbato.
«Eeeeh? Matsujun?!» esclamò la ragazza i cui occhi, se fosse stato possibile, sarebbero facilmente saltati fuori dalle orbite tanto era sbalordita
«Sssssh, sei pazza?» domandò Kintaro mettendole una mano sulla bocca, ma senza premere, era troppo sbronzo per farlo
«Per favore non urliamo» fece il moro, più diplomatico «Kintaro, cosa ci fai qui?» domandò in un primo momento, poi però ripensò alle priorità e scosse il capo. «Ti aiuto a metterlo in macchina» disse quindi alla giovane prima di fare il giro intorno alla macchina e alzarlo dall'altro braccio. Lo sollevarono entrambi e lo lasciarono accasciarsi sui sedili posteriori. «Lo riporto a casa, tu stai bene?» domandò alla ragazza
«Oh si, io sto bene. Kintaro kun mi aveva detto di conoscerti, ma non gli avevo creduto» balbettò lei confusa. Gli venne da sorridere a quella frase, ma non era quello il momento giusto per prenderlo in giro con quel discorso. «Ascolta, vai a casa. Non credo che andrà da nessun'altra parte stasera» le spiegò indicandogli l'amico in macchina con un cenno del capo
«Oh veramente... non so dove siamo» quella ragazza non era brava come Shiori a mentire, si vedeva bene che si fingeva sperduta solo per strappare un passaggio a Matsumoto Jun. «Guarda, quella è la stazione» le indicò l'edificio illuminato ad una cinquantina di metri da loro: il rumore dei treni era perfettamente udibile. «Non è nemmeno tardi. Io lo riporto a casa perchè credo che abbia proprio bisogno di un letto, non vorrei che peggiorasse» disse usando l'amico come scusa «Mi spiace»
«Capisco» fece delusa lei. Jun sapeva simulare sincera preoccupazione per convincerla che era una situazione urgente e pericolosa se non lo riportava a casa: era un attore, accidenti! Si salutarono rapidamente, lei gli chiese di stringergli la mano e dopo averla accontentata si mise alla guida. Fece inversione per prendere la strada di casa. «Come al solito sei un genio per liberarti delle fan» commentò dopo qualche minuto Kintaro, stava semi disteso sui sedili posteriori. Poteva vedere il suo viso in un angolo dello specchietto retrovisore. «Grazie» rispose semplicemente, il tono era gelido e in un primo momento se ne stupì persino lui, ma era normale: appena aveva ammesso con se stesso di essersi innamorato di una ragazza fidanzata e si era ripromesso di scordarsene dato che il suo ragazzo era un suo grande amico, aveva scoperto che lui la tradiva! Qualcuno avrebbe dovuto stabilire, per legge, un limite massimo di emozioni a serata. «Mi vuoi spiegare cos'ho appena visto?» domandò lentamente, non sapeva se Kintaro sarebbe stato in grado di parlare
«Solo se tu mi vorrai spiegare perchè ho visto la mia ragazza uscire dalla tua macchina». Strinse il volante in uno spasmo di sorpresa: li aveva visti? «E' presto detto» gli rispose. Di cosa si stava preoccupando? «Kumagawa san mi ha chiamato oggi per chiedermi di uscire dato che "voleva cambiare compagnia"» ripetè le parole della ragazza «E non ha voluto dirmi come mai non usciva con te»
«E quando gliel'hai dato il numero?» domandò spaesato Kintaro, era ubriaco ma riusciva a ragionare, o così sembrava
«Gliel'hai dato tu» rispose preoccupato Jun
«Ma che dici? Lo so da anni che non posso dare in giro il tuo numero di cellulare, ne va della tua sicurezza e della tua privacy. Mi potrebbe supplicare per mesi, ma non lo darei nemmeno a lei»
«Ah no?» domandò sollevando le sopracciglia, incredulo
«Piuttosto l'avrei fatta chiamare dal mio cellulare, ma: no, non gliel'avrei dato»
«A me ha detto che sei stato tu a darglielo» ribattè Jun con decisione: non aveva fatto nulla di male, non doveva dare l'impressione -tra l'altro sbagliata- di essere stato colto in flagrante con Shiori, ne andava della loro amicizia. «Mai fatto. Ne deduco che l'abbia preso da sola dal mio cellulare» sbuffò l'amico sistemandosi meglio sul sedile «Merda... mi gira la testa»
«Io ho risposto alla tua domanda, ora vuoi rispondere tu alla mia?» insistè il ragazzo. In quella storia c'erano sempre meno cose che gli quadravano e voleva cominciare a vederci chiaro. «Hai visto quel che hai visto, Jun» si strinse nelle spalle «Ero in giro a divertirmi con una ragazza»
«Tu sei fidanzato, Kinta» gli disse chiamandolo come si chiamavano ai tempi del liceo dato che aveva cominciato a farlo anche lui «Perchè sei uscito con un'altra ragazza?»
«Anche Shiori è fidanzata, perchè è uscita con un altro ragazzo?»
«Perchè il suo era già occupato, ne deduco. Non so se è a conoscenza del motivo, però. E in ogni caso noi due abbiamo solo cenato e poi ci siamo mandati a quel paese, mentre mi pareva che tra te e quell'altra ragazza ci fosse parecchio feeling»
«Magari sono solo tue impressioni»
«Mi credi fesso?» domandò lanciandogli un'occhiataccia nello specchietto. L'amico deglutì e si fece improvvisamente serio, guardando fuori dal finestrino «Senti Jun... non è facile. Io la amo, d'accordo?»
«Ti riservo il beneficio del dubbio» gli rispose glaciale
«No, sul serio... Shiori chan è bellissima, è una persona intelligente. Si diverte con niente, anche se poi davanti agli altri fa i capricci per ottenere sempre più cose... in realtà sta bene così com'è, non è pretenziosa. E' molto più semplice di tante altre ragazze. La amo, sto bene con lei» spiegò Kintaro, snocciolando ancora una volta tutte le buone qualità della fidanzata
«Ma?» incalzò Jun
«Ma... Jun, siamo tra amici, quindi non mi faccio problemi a dirlo, ma che non esca da qui» specificò rapidamente
«Ho la bocca cucita»
«Non poter andare a letto con la tua ragazza alla lunga ti stanca» ammise quello mordendosi le labbra «Puoi amarla quanto ti pare ma... insomma, c'è bisogno anche di quello no? Intendo, sia per far funzionare una coppia, sia fisicamente. C'è un bisogno»
«Non mi dirai allora che quella di prima era un'accompagnatrice?» chiese sbalordito il moro
«Ma che cazzate dici? Kaori è una mia compagna di corso» si affrettò a specificare «Usciamo insieme da circa un mese. Non è bella quanto Shiori, ma anche lei è una brava ragazza e poi... possiamo divertirci»
«Diamine, Kinta! Ma che idiozie stai cercando di propinarmi per giustificare il tuo tradimento?» disse Jun, pieno di rabbia «Non sono un prete e nemmeno tua madre. Se ti sei stufato e vuoi farti un'altra puoi dirmelo, non sono mica qui a giudicarti, ma risparmiami qualsiasi balla tu possa inventarti e taglia corto: questo discorso ha dell'assurdo»
«Non è una balla Jun, è vero» ribattè quello con decisione «Shiori è malata. E' sempre stata di salute cagionevole e si sapeva che aveva problemi al cuore, poi a Novembre dell'anno scorso, ad uno dei suoi soliti esami di controllo, le hanno diagnosticato un qualcosa... una... una Sindrome di uno francese» spiegò confuso, stringendo le palpebre per ricordare «Boh, un tizio... al tempo le hanno detto che c'era almeno il 50% di possibilità di non sopravvivere per altri due anni»
«Co...» farfugliò l'altro
«Bada bene che non lo sa nessuno in università o tra i nostri amici. Sanno solo che è molto debole e non può fare sforzi» specificò Kintaro. Quel discorso sembrava ancora più assurdo del primo, ma non si sarebbe mai messo a scherzare su una cosa così seria. «L'ha scoperta poco dopo che ci siamo messi insieme. Fino a quel momento io avevo pensato di aspettare qualche mese prima di fare un primo passo con lei... in quella direzione, dico. E poi non mi pareva vero che una come lei avesse accettato di stare con me e avevo paura che correndo troppo avrei fatto brutta figura e mi avrebbe lasciato: in quel caso sarei diventato lo zimbello del corso!» parlava a ruota libera grazie all'alcool «E poi, zack, a due mesi da quando ci siamo messi insieme le dicono sta cosa. Se almeno non avessi aspettato... mi ha anche chiesto di lasciarci sai? Non è che le abbiano detto letteralmente di non andare a letto con qualcuno, ma lei non se la sentiva e capiva che poteva essere un problema. Io però ho pensato che non fosse corretto mollarla solo per... per del sesso. Voglio dire, al massimo sarebbero stati due anni no? Potevano essere gli ultimi due anni della sua vita, quale persona l'avrebbe lasciata da sola? Ho pensato di rimanere al suo fianco e di assecondare ogni suo capriccio per questo periodo, ma ormai è un anno che stiamo insieme e... non credevo, ma non ce l'ho più fatta» sospirò tirandosi su a sedere più comodo «Pian piano il mio amore per lei è diventato affetto, ora la vedo solo come una bellissima amica che ha bisogno di me in un momento difficile, mentre io ho bisogno di altro e poi... poi se dovesse andare male? Le probabilità sono del 50% ma siamo ormai nel secondo anno e la prospettiva che potrebbe morire tra qualche mese mi spaventa». Jun guardava la strada con gli occhi fissi al confine tra la luce dei fari della macchina e il buio della notte nella quale guidava. Era questo che intendeva Shiori quando aveva detto di non aver tempo? «Non voglio...» disse Kintaro con un filo di voce, appoggiando il mento alla sua spalla, piegandosi in avanti. Jun sobbalzò, per poco non gli faceva prendere un colpo! «Non voglio dover accendere l'incenso sull'altare della mia ragazza» ammise prima di mettersi a piangere in silenzio: era passato alla fase triste della sbornia. Dopo i primi minuti di pianto era caduto addormentato, con la testa in bilico sulla sua spalla.
Il telefono si mise a suonare e Jun staccò la fronte dal vetro. «Pronto?» domandò tornando a guardare il freddo paesaggio di palazzi grigi oltre la finestra
{Matsumoto san? Ti disturbo?} era la voce di Shiori. L'aveva sentita al telefono solo una volta e già la riconosceva. Ancora non aveva salvato il suo numero in rubrica, quindi continuava ad apparirgli anonimo «No, dimmi pure» rispose a mezza voce mentre osservava il volo di un uccello alcuni piani più in basso
{Quand'è il tuo primo giorno libero?} domandò
«Non saprei... così su due piedi direi, Mercoledì» riflettè. Non sapeva con che tono rivolgersi a lei «Non so dirtelo con certezza perchè non ricordo tutti gli impegni»
{Va bene, ti mando un messaggio con il mio indirizzo mail allora. Così controlli sulla tua agenda e mi fai sapere quand'è} la sua voce suonava tranquilla, ma come la prima volta che lo aveva invitato non era nè squillante e allegra, nè triste
«Che vuoi fare?»
{Ti sto chiedendo un appuntamento. Ti va?} com'è che non glielo imponeva? Rimase in silenzio qualche attimo. Un "appuntamento" non era un'uscita "per cambiare compagnia", piuttosto un incontro tra "un uomo e una donna che flirtano"... o no? Aveva saputo qualcosa di Kintaro? Lui aveva confessato prima che Jun dicesse qualcosa?
«Andiamo» acconsentì prima di chiudere la comunicazione: il ricordo dell'amico con l'altra ragazza gli cancellò qualsiasi ripensamento. Sarebbe andato. «Ti sei già impegnato eh?» domandò d'improvviso Aiba alle sue spalle
«Ah si... avevi qualcosa in mente?» fece Jun rimettendosi il cellulare in tasca e allontanandosi dalla finestra nel tentativo di cancellarsi quell'aria depressa di dosso
«E' qualche mese che non andiamo a berci qualcosa tutti insieme» disse quello stringendosi nelle spalle
«Mi sono impegnato per la giornata, non per la sera» specificò mettendogli una mano sulla spalla «Birra al Keikarou?» propose con un sorriso
«Andata» ridacchiò furbescamente l'amico «Vado a proporlo agli altri». Avevano cominciato qualche mese dopo il loro primo concerto nel 2000: Aiba si accordava con un cameriere del ristorante dei suoi genitori per farsi lasciare aperta la porta sul retro, dopo che tutti se n'erano andati a chiusura terminata, dopodichè i cinque si intrufolavano silenziosi e si bevevano qualcosa insieme seduti ad un tavolo del ristorante. Passavano tutta la notte a parlare, ecco perchè l'avevano sempre fatto la sera prima di un giorno libero, così da poter dormire la mattina. Con gli anni erano diventati grandi per simili bagatelle e ormai era risaputo, tra lo staff del Keikarou, che ogni tanto ci andavano tutti quanti senza chiedere il permesso a nessuno, ma continuava a non cambiare nulla e a loro rimaneva sempre quel sapore di trasgressione. Jun non beveva, ma quella era una delle poche volte in cui si concedeva una o due lattine di birra. «Pietà...» singhiozzò Sho uscendo in quel momento dalla sala riunioni
«Novità?» domandò preoccupato
«Il servizio di questo pomeriggio è stato maledettamente confermato. Abbiamo due ore e poi dobbiamo andare lì. Come facciamo?» domandò avviandosi verso la sala del piano, dove c'era un piccolo bar per i dipendenti e dove gli altri due li aspettavano. Aiba trottava loro dietro «Nino ha le riprese del film alle quattro ma deve andare prima per il trucco e il costume, Ohno ha un intervista per le tre e mezza, tu devi registrare in radio e la sede è dall'altra parte di Tokyo, mentre io tremo al solo pensiero di tutti i fogli che troneggiano sulla mia scrivania»
«Ancora non hai finito il report per NEWS ZERO?» domandò Aiba alle sue spalle
«Macchè. Non ho nemmeno avuto tempo di leggere il primo foglio. A malapena ho tempo di respirare!» scosse il capo per poi avviarsi al tavolino dove stavano seduti Ohno e Nino. «Ok, la tua faccia mi dice che hanno confermato il servizio» pronunciò infatti quest'ultimo, con la speranza di sbagliarsi che gli vibrava nella voce
«Già» piegò le labbra in una smorfia
«Andiamo adesso» propose Jun, gli altri lo osservarono interrogativi. «Andiamo e cominciamo a prepararci così andremo subito al trucco. Faremo prima le foto di gruppo, poi lavoreranno Nino e il Riida, quindi andrai tu» spiegò a Sho «Io e Aiba chan siamo i più liberi in questo periodo, quindi possiamo anche fermarci di più»
«Ha ragione, lasciate fare a noi gli scatti singoli per ultimi, io non ho problemi» concordò l'altro
«Ma.. e la radio?» domandarono
«E' una registrazione, non è in diretta, quindi possono anche aspettare un po'. Andrò io prima di Aiba chan, a te sta bene?» e quello annuì
«Possiamo chiederlo al fotografo? Quel Hisaya san è uno severo, ci tiene alla sua tabella di marcia» fece osservare Ohno
«Ci parlo io, una volta siamo andati a mangiare qualcosa insieme. So come prenderlo» spiegò Jun, il che gli procurò gli applausi degli altri. «Che drago Matsujun» «Come faremmo senza di te?» «Hai capito il furbastro? Se li lavora fuori dall'orario d'ufficio» «Non abbiamo orari d'ufficio!» ridendo si avviarono tutti verso l'uscita. La sua quotidianità era meravigliosa, il suo presente era pieno di impegni e stimoli, il suo domani era sicuro. Lui stesso lo dava per scontato, non pensava mai che per qualcuno non fosse così. Che vita faceva una persona che, impotente davanti all'inevitabile scorrere dei giorni, sapeva che un giorno non si sarebbe più svegliata, non sarebbe più stata nella vita degli altri?
Il mercoledì, tre giorni dopo, era il suo giorno libero e uscì con Shiori, come promesso. Erano di nuovo loro due e quello aveva più l'aria di un appuntamento, però a lui non risultava che si fosse lasciata con Kintaro. In realtà non sapeva nemmeno se sapesse del suo tradimento. «Guarda com'è grande!» esclamava lei di continuo, rimanendo in bilico sugli scogli a lato della strada. Guidando, Jun aveva seguito la Tokaido per poi girare a sud, verso Enoshima. La macchina era parcheggiata in una piazzola di sosta sabbiosa lungo la statale che seguiva la costa, pochi metri più in là c'era la spiaggia, ma Shiori si era impuntata che voleva salire su uno scoglio nonostante il forte vento. «E' enorme! Ogni volta che vedo l'oceano non posso credere che esista tutta quest'acqua» il vento le scompigliava i capelli leggermente mossi dalla permanente che coi giorni scompariva. Quella era la prima volta che la vedeva indossare una minigonna. Era scozzese, verde e azzurra come se l'avesse scelta per intonarsi al mare. La maglia a maniche lunghe era nera e a collo alto, ma sopra indossava un caldo maglione di lana bianca sottile, intrecciata. Lo aveva chiuso con i bottoni ed era abbastanza lungo da coprirle anche metà della gonna, ma il vento era tanto forte che ogni tanto alcune pieghe si alzavano lo stesso. «Non è oceano, è la Baia di Sagami» spiegò Jun distogliendo lo sguardo da lei per evitare di guardarle sotto la gonna
«Peccato che non si veda il Fuji san oggi» lo ignorò guardando alla sua destra, verso i monti ad ovest oltre i quali si sarebbe dovuto scorgere il monte Fuji, ma che in quel giorno non proprio terso non era possibile vedere. Avevano passato tutto il viaggio -circa due ore- a parlare di cose senza importanza e a cantare le canzoni della radio. Si era particolarmente divertita a sentirlo cantare in diretta canzoni non degli Arashi: non era una loro fan, ma conosceva il gruppo e alcune loro canzoni dato che si sentivano in pubblicità televisive, sigle e spazi radio. «Hai fame?» domandò mettendosi le mani nelle tasche della giacca a vento, tirava una brezza fredda per niente lieve
«Voglio degli ebi-furai*» annunciò Shiori spalancando le braccia «Tanto riso così e una zuppa di miso» ridacchiò «L'aria di mare fa venire appetito. Per merenda cerchiamo un posto dove facciano yaki hamaguri?**»
«Puoi mangiare tutta quella roba?» domandò Jun dubbioso. Lei gli rivolse uno sguardo interrogativo e il ragazzo scosse il capo: cosa ne sapeva lui se i malati di cuore potevano mangiare normalmente o meno? «Mangio quanto e quello che mi pare» rispose lei picchiando il tacco dello stivale sullo scoglio «Tu piuttosto, vuoi venire quassù o no?»
«Fa freddo, Kumagawa san, perchè non scendi? Potresti prenderti qualcosa» le ricordò
«Ma che dici? Che hai improvvisamente da essere così premuroso?» fece lei imbronciandosi, continuava a tenersi i capelli con le mani perché non le andassero davanti al viso. Preda della brezza marina, la sua minuta figura stagliata contro il cielo grigio pallido di quella mattinata era bellissima per lui. «Sono solo preoccupato» si giustificò. Shiori si comportava come se niente fosse, ma Jun era in apprensione per la sua salute ora. La vide distogliere lo sguardo di scatto e poi fare qualche passo per cambiare scoglio e spostarsi su uno più in avanti. Rimasero in silenzio ad osservare il mare per qualche minuto. «Conosci la storia della Sirenetta?» domandò lei dopo un po'
«Ho visto il film da bambino» rispose tirando su la zip della giacca per il freddo
«Dico la fiaba» specificò «Secondo la storia il principe prende in sposa un'altra donna e la sera prima delle nozze la Sirenetta riceve un pugnale dalle sue sorelle: se lo ucciderà, riuscirà ad evitare la morte che al contrario invece toccherebbe a lei. Ma è troppo innamorata di lui e si rassegna alla sua sorte. Si getta nel mare e si dissolve in schiuma»
«E' triste» fece notare Jun osservando i riflessi azzurri e grigi delle onde
«Sì, ma alla fine viene premiata per la sua bontà e si trasforma in uno spirito dell'aria» lei allungò la mano nel vento, come se potesse afferrare la brezza, come se fossero nastri «Una volta, da piccola, ebbi la tentazione di suicidarmi. Ero su una scogliera come questa e volevo gettarmi in acqua per diventare schiuma. "Se sparisco non starò più male, come la Sirenetta" mi dicevo "Non darò più preoccupazioni a nessuno, ma potrò rimanere vicina alle persone trasformandomi nel vento che soffia loro vicino"» abbassò il braccio e fece una smorfia «Che bimba tetra eh?»
«Per un attimo ho pensato che volessi suicidarti ora» borbottò Jun che si era seriamente spaventato al sentirla fare quel discorso «Però era un bel pensiero per una bambina»
«Quello del vento? Sì, quello era bello. Voler morire un po' meno, direi» ammise Shiori con una punta d'amarezza
«Vuoi ancora sparire?» le domandò lentamente, alzando lo sguardo su di lei
«No» rispose dopo un secondo di esitazione. Erano due giorni che se lo chiedeva: cosa passava per la mente di una persona consapevole che le rimane poco tempo da vivere? «Non andare» pronunciò piano
«Cosa?» domandò abbassando lo sguardo e tenendosi i capelli, il vento sembrava aumentato «Non ti ho sentito»
«Non andartene Shiori» ripeté più ad alta voce. Avrebbe voluto saltare sullo scoglio e stringerla a sé con tutte le sue forze per non lasciarla andare da nessuna parte, ma aveva l'impressione che più l'avrebbe trattenuta più sarebbe sfuggita o che si sarebbe dissolta in schiuma, come la Sirenetta. Rimase con i piedi nella sabbia. «No che non me ne vado» gli sorrise e quel tono di voce caldo, quell'espressione rassicurante, era forse lo stesso di una madre che rassicura il figlio che chiede di rimanere al suo fianco tutta la notte: "sì che rimango con te" rispondeva, ma quando il bambino si fosse addormentato lei sarebbe andata a riposare nel suo letto. Era una bugia. Una bugia bianca per rassicurarlo. Shiori scese con cautela dallo scoglio e rimise i piedi a terra, una qualsiasi altra persona forse sarebbe saltata giù. Si sedette vicino a lui, su un masso più basso e si massaggiò le gambe infreddolite. «Ti piaccio, Matsumoto san?» domandò alzando gli occhi scuri su di lui. La guardò a sua volta. Non era una domanda fatta per prenderlo in giro, era seria. Respirò lentamente e lasciò che alcune ciocche dei capelli gli pizzicassero le guance, spostati dal vento, non aveva voglia di tirare fuori le mani dalle tasche per allontanarli. «Ci sono cose che una persona qualsiasi non può capire di me» le rispose «Tutti siamo speciali per qualcuno, tutti abbiamo incontrato, nella nostra vita, qualcuno che si è innamorato di noi. Per quella persona noi siamo speciali e di solito è qualcuno che ci conosce: chi si è innamorato di noi fa parte del nostro ambiente, del nostro gruppo di amici, delle persone che frequentiamo, con cui abbiamo dei rapporti. Ma per me spesso non è così perchè io non faccio una vita normale» scosse il capo «Non è normale. Io sono una persona speciale per centinaia di persone che non so nemmeno che faccia abbiano, cosa facciano nella loro vita, come si chiamino, quale sia il loro colore preferito o il loro hobby. Sono lusingato dal fatto che qualcuno mi trovi bello, sono grato a tutti quelli che ci sostengono, ci seguono nelle nostre produzioni musicali, nei concerti o che guardano i miei film e drama per il solo piacere di vedere me, ma loro non sono nessuno nella mia vita e non potrò mai parlarci normalmente» gli sembrava faticoso articolare le parole, del resto lui non era mai stato uno di molte parole ed era raro facesse discorsi così lunghi «Nessuno sa che a volte sento il peso di queste migliaia di sguardi e non so più se è maggiore la gratitudine o l'odio per coloro che non mi lasciano vivere una vita normale. Spesso nelle mie relazioni manca qualcosa di semplice, di spontaneo e così mi sono convinto, negli anni, che sarebbe stato difficile trovare la persona speciale per me.
Anche se all'inizio non andavamo d'accordo e ci odiavamo non si può dire che quello non fosse spontaneo, naturale. Anche se è cominciata così sono felice ugualmente di non averti sopportato, di aver provato veramente fastidio, di aver sentito da parte tua una repulsione reale. So che suona strano, per quello dico che le persone solitamente non mi capiscono, però l'odio di prima mi fa sentire più reale quello che sento adesso» concluse deglutendo e lanciando uno sguardo alla macchina, per distendersi da quel momento di tensione, per distrarsi controllando se l'auto fosse ancora lì. Si era dichiarato alla ragazza di un suo amico e per quanto lui avesse agito male, tradendola, in realtà non si sentiva in diritto di farlo. A domanda diretta, però, non era riuscito a negare. «Io sto con Kinta kun» pronunciò Shiori lentamente
«Lo so» ammise socchiudendo le palpebre
«Anche se lui mi tradisce» aggiunse subito dopo. Esitò qualche secondo poi sospirò «So anche questo»
«Da quando?» domandò lei, per nulla sorpresa
«Tre giorni. La sera che siamo usciti l'ho incontrato con un'altra»
«Com'è?»
«Cosa?»
«Non "cosa", "chi". La ragazza» lo corresse. Continuavano a parlare senza guardarsi in faccia. Lui non ne aveva il coraggio, si era appena dichiarato e aveva quasi terrore di vedere che espressione avesse lei, nonostante avessero lentamente deviato su un argomento secondario. «Cosa ti importa?» domandò stranito, non capiva perchè gli interessasse con chi la tradiva Kintaro
«Rispondi alla domanda» si impose
«E' una... una sua compagna di corso» spiegò un po' a disagio nel dirle che probabilmente era una persona che conosceva
«Matsumoto san, non ti ho chiesto chi è, dato che già lo so. Volevo sapere tu cosa ne pensavi» spiegò con un sospiro «Lei va bene? E' adatta a Kinta kun?»
«Perchè mi fai queste domande?»
«E perchè ti ostini a non rispondere?» non mollava, voleva le sue risposte «Al tempo pensavi che io non fossi la ragazza adatta, lei invece lo è? Pensi che lo renderà felice?»
«Non devono mica sposarsi» fece notare Jun aggrottando le sopracciglia
«Ma stanno insieme, pensi che si debba stare con qualcuno che ti faccia felice solo se lo devi sposare? Io non mi metterei con qualcuno con cui sto male solo perchè "tanto non devo sposarlo"» ridacchiò prendendolo in giro
«Sì, mi è sembrata una brava ragazza» del resto, era preoccupata per Kintaro quella sera e si stava occupando di tenerlo in piedi anche da ubriaco. Avrebbe potuto abbandonarlo da qualsiasi parte se non le fosse interessato. «Forse sono felici insieme» era una pura supposizione, ma dato che Shiori insisteva col volersi far male allora che si disperasse! Sentì una pressione sul petto e quando girò lo sguardo vide che lei vi aveva appoggiato la tempia tenendo lo sguardo fisso sui flutti, stando in piedi davanti a lui. Non l'aveva abbracciato però. Dopo la prima volta che si erano incontrati e parlati nello stretto corridoio della casa di Kintaro quella era la seconda volta che stavano così vicini. Profumava di shampoo e sale. «Allora va bene così» mormorò lei «Se lo lascio in buone mani sono più tranquilla. Lo controllerai vero?» domandò
«Che discorsi assurdi, non dirmi che intendi lasciarlo» disse, in piccola parte dispiaciuto, ma in gran parte quasi speranzoso: ne era innamorato, la voleva per sè, se si lasciavano non avrebbe avuto alcun ostacolo. «Naturalmente» rispose annuendo, strusciando le fronte contro la sua giacca a vento. Resistere alla tentazione di abbracciarla era difficile: cingerle il corpo con le braccia, nascondere il viso nei suoi capelli, sentirla ancora più vicina. «Mi dispiace» disse poi Shiori
«Per cosa?» abbassò lo sguardo, ma non riusciva a vederla in viso, la frangetta le copriva gli occhi e teneva la testa sufficientemente abbassata perchè lui non potesse scorgere la sua espressione. «Non posso essere la tua persona speciale» gli confessò. Lo stava rifiutando. «Perchè?» domandò piano, tutta la sua speranza stava andando in frantumi
«Non fingere con me» gli intimò Shiori staccandosi e guardandolo seriamente in viso «Lo sai perchè. Ho capito che lo sai. Kinta kun ti ha raccontato tutto, ne sono certa». Jun sentì di non avere la forza di parlare, ma cos'avrebbe dovuto dirle? «Il vento mi ha impastato tutti i capelli» sospirò quindi lei volgendosi e avviandosi verso la macchina «Allora? Ci mangiamo questi gamberi?» chiese quindi allegramente, incitandolo a seguirla.
Dopo qualche minuto suonò la campana del tempio e la porta alle sue spalle si aprì. «Kintaro» disse vedendo che il primo ed entrare era proprio lui
«Ho portato in macchina i genitori di Shiori» rispose con un sorriso, inchinandosi verso di lui, quindi fece spazio ai due signori di mezza età che entrarono nella stanza «Questo è Matsumoto Jun, il fidanzato di vostra figlia» lo presentò con un gesto della mano ad indicarlo. Osservò la coppia stretta nei kimono neri e si inchinò profondamente, arrivando a toccare il tatami del pavimento con la fronte. Avrebbe dovuto spiccicare parola, ma fino a quel momento non era riuscito a dire molto e lì dentro, ora che stava per cominciare tutto, sentiva la gola riarsa e aveva la sensazione che avrebbe perso la voce e la voglia di parlare per il resto della sua vita. Anche la coppia si inchinò rispettosamente, poi si sedette dalla parte opposta della sala, di fronte a lui. Nemmeno loro parlavano, quando li guardò in viso gli sembrò di vedervi riflessa la sua stessa espressione: capì che anche loro sapevano perchè non si erano scambiati nemmeno una parola.
Dopo di loro entrarono gli altri invitati e attesero che tutti furono seduti. I ragazzi gli si sistemarono a fianco e alle spalle, rimanendogli vicini e mantenendo il silenzio ora che si stava per cominciare.
La campana suonò una seconda volta e cominciò la preghiera.
Coeur
Era rincasato tardi quel giorno e si era fatto cogliere impreparato da un prepotente acquazzone che aveva trasformato i marciapiedi di Tokyo in piccoli stagni artificiali. Dopo essersi tolto le scarpe all'ingresso lanciò le chiavi sul bancone in legno della cucina e si fiondò in bagno. Si tolse i vestiti dal primo all'ultimo, lasciandoli stesi sulle tavole che coprivano l'ofuro, e salì sul soppalco portando con sè solo un asciugamano con cui asciugarsi i riccioli neri: erano i vantaggi di vivere all'undicesimo piano di un edificio in un quartiere di case piccole, poteva fare quello che voleva davanti alle finestre e nessuno l'avrebbe visto. Questo comprendeva anche girare nudo per casa, quando ce n'era l'occasione. L'edificio dove viveva era sempre controllato, 24 ore su 24, da una guardia dato che vi viveva un alto numero di personaggi famosi e gli era sembrata la soluzione più comoda: in una casa normale non era protetto da eventuali eccessi di fanatismo (o anti-fanatismo) e i vicini lo avrebbero trattato sempre in una data maniera, lì invece erano più o meno tutti uguali, volevano tutti una vita tranquilla e normale almeno quando erano lontani dai riflettori. In ascensore e sui pianerottoli si accennava poche volte al lavoro, il più delle volte i contatti tra vicini erano per lo zucchero o le uova (quando miracolosamente qualcuno trovava tempo per cucinarsi qualcosa) o per passarsi le circolari. Aveva tentato di convincere anche Oguri Shin, attore e suo grande amico, a prendere un appartamento lì, ma non c'era stato verso: preferiva le case tradizionali a quei complessi più moderni. Anche a Jun piacevano gli ambienti tipici giapponesi, ma era convinto che andassero seguiti, curati e gustati come un giardino, un panorama meraviglioso, e lui non aveva tempo di occuparsi di nulla all'infuori del suo lavoro, della famiglia e degli amici, quindi un appartamento moderno che dava poche preoccupazioni era più appropriato a quel genere di vita. La porta d'ingresso dava su un corridoio stretto che aveva solo la porta del bagno e finiva sull'ampio doppio salone. Era una grande stanza dal soffitto alto con due divani ad angolo, blu notte, cosparsi di cuscini color carta da zucchero. Tra i due mobili, un tappeto color panna copriva il parquet e il quadrato formato era aperto dal lato opposto all'entrata, rivolto verso le ampie finestre a scorrimento che davano sul balcone. Non aveva televisore, solo in un angolo c'era una piccola e bassa libreria color legno, dedicata esclusivamente ad uno stereo e ai dischi. Alcuni erano anche dei vinili e in uno spazio in basso sopravvivevano delle musicassette. Infondo al salone, un quarto dello spazio era occupato dall'angolo cucina al di sopra del quale si trovava il soppalco. Sopra aveva messo il suo futon, l'armadio e una sedia. Le scale in metallo e legno scendevano lungo la parete bianca di sinistra, opposta alle finestre del balcone.
Aprì l'armadio e indossò uno yukata da casa, poteva permettersi di stare vestito leggero perchè teneva sempre il riscaldamento alto, detestava indossare indumenti pesanti anche lì. Chiuse l'obi sui fianchi senza stringere troppo la stoffa sul davanti, quindi scese e mise a bollire dell'acqua in una teiera. Si sedette sul divano per sfregarsi i capelli con l'asciugamano poi appoggiò i gomiti alle ginocchia e rimase con la testa sotto il tessuto, le braccia semi incrociate, piegato in avanti. Ascoltò il suo respiro e il leggero borbottare dell'acqua che cominciava a scaldarsi. Erano gli unici rumori della casa, mentre fuori aveva smesso di piovere quando era scesa la notte. Lei non aveva più chiamato. Lui non l'aveva chiamata. Era passato quasi tutto Ottobre, pochi giorni e sarebbe stato un mese che non aveva sue notizie. Nino era nel pieno delle sue riprese, Sho sarebbe partito in capo ad un paio di giorni per fare un servizio all'esterno, Aiba aveva firmato per uno spettacolo a teatro, Ohno stava riflettendo se accettare o meno la proposta per un drama, ma era probabile che l'avrebbe fatto dato che la base musicale della sigla d'apertura era già stata incisa ed era già stato proposto loro il testo. Entro una settimana usciva il nuovo singolo, mentre i solo del futuro album erano finiti, seppur lentamente, e ora avevano uno stop di un mese. Comunque non avevano fretta, sarebbe uscito dopo molti mesi. Oltre ai soliti, lui non aveva impegni extra, era un periodo di relativa calma e quella era una coincidenza fortunata: da quando era andato al mare con Shiori i suoi sentimenti si erano ghiacciati nell'attimo in cui era stato rifiutato e trovava più piacevole il lavoro alla radio che quello in televisione. Voleva comunicare con le persone solo tramite la sua voce, voleva essere apprezzato per quello che diceva, per ciò che trasmetteva, senza che la gente lo vedesse in faccia e cogliesse di lui solo lo sguardo malizioso che lanciava alle telecamere, o il passo di ballo ben coordinato, il bel viso o il sorriso (peraltro abbastanza falso negli ultimi tempi) che gli piegava le labbra.
Venne risvegliato dai suoi pensieri dal rumore del citofono. «Chi è a quest'ora?» si domandò ad alta voce tanto era sorpreso. Lasciò il divano e andò al citofono. Quando lo accese vide attraverso la telecamera istallata all'entrata che era Shiori ad aver suonato. I ricci neri le cadevano sul petto spuntando fuori dal grosso cappello di lana che si era calcata in testa. {Matsujun?} si sentì chiamare da una voce maschile, era il custode che spuntò al suo fianco
«Tooru san, buona sera» si conoscevano da svariati anni ormai, ma anche se lo chiamava per nome era comunque più anziano di lui e non dimenticava mai di aggiungere il "san" quando gli si rivolgeva. {Ascolta, la ragazza insiste col dire che ti conosce. E' circa un'oretta che sta qui fuori. Diceva che le avevi dato tu l'indirizzo e che vi conoscete... a questo punto non sapevo più cosa fare e allora...}
«Si, grazie Tooru san. La conosco, è un'amica. Puoi accompagnarla all'ascensore e farla salire? Per favore» effettivamente era stato lui a darle il suo indirizzo, il giorno della gita. {Certo, buona serata} rispose quello annuendo, sollevato dalla sua conferma
«Scusa l'incomodo e buona serata» spense il citofono e aprì la porta appoggiandosi all'uscio per attenderla. Cosa voleva a quell'ora della sera, dopo quasi un mese di silenzio? In un paio di minuti le porte dell'ascensore si aprirono e ne uscì lei: camminava incerta guardandosi intorno. «Numero 64» pronunciò indicandole la targa sulla sua porta
«Oh si» annuì distratta, avvicinandosi
«Non ti aspetterai che ti faccia entrare, spero» chiarì subito il ragazzo «Dopo quel giorno, dopo che ti ho dato il mio appoggio e il mio aiuto, nonostante tu mi avessi scaricato...» specificò abbassando la voce «... sei sparita nel nulla per un mese. Ti aspetti che ti dica "quanto tempo!" come se niente fosse?»
«Non vorrai farmi parlare sulla porta, i vicini potrebbero sentire» disse piccata lei, arricciando il naso. Aveva dimenticato quanto era carina la sua espressione quando cominciava a fare quelle smorfiette contrariate. «Quella di sinistra è una modella, la sera è quasi sempre fuori a bere con lo staff di fotografi e truccatrici. A destra vive un giornalista che è partito la settimana scorsa per Kitakyūshū»
«Oh» fece semplicemente, presa in contropiede da quell'imprevisto. Indossava un cappotto pesante a collo alto, un berretto di lana e una gonna lunga fino al ginocchio. Gli stivali erano completamente zuppi di pioggia, doveva aver camminato parecchio. Anche i ricci gocciolavano acqua, ma nel complesso non sembrava aver preso in pieno l'acquazzone come lui. «Per favore» disse a denti stretti «Mi faresti entrare?» chiese abbassando il capo
«No, parleremo qui» rispose deciso Jun, ma Shiori non aggiunse più nulla. Cos'era successo in quel mese? Come mai era lì proprio quel giorno e senza avvertire? Dato che aveva il suo numero avrebbe potuto farlo. «Io e Kinta kun ci siamo lasciati» cominciò Shiori
«Lo so: una settimana dopo la nostra gita. Sono uscito con lui qualche giorno dopo»
«Come stava?» domandò con un filo di voce
«Si sentiva terribilmente in colpa. Ha chiesto all'altra ragazza un periodo di pausa, ma credo torneranno insieme appena gli passa. Tutto sommato era sollevato» le spiegò con schiettezza. Sapeva che non erano parole cattive per Shiori, ma erano esattamente quelle che voleva sentire: tutto stava andando bene nonostante lei non ci fosse più. «Ho saputo che non frequenti più, pensi di smettere gli studi?» domandò cambiando posizione sulla soglia di casa
«In ogni caso avevo cominciato solo per salvare la faccia» spiegò stringendosi nelle spalle
«O per non rimanere sola?» insistè. Aveva avuto di che riflettere in quei giorni, ora gli era tutto più chiaro dopo averci riflettuto su tanto a lungo. «Ti sei iscritta per non finire a fare la malata chiusa in casa, per continuare a vedere persone. Kintaro mi ha anche detto che avevi un'amica al dipartimento di medicina. Ti facevi fare degli esami regolari nel loro centro ricerche?»
«Siamo amiche d'infanzia. E' per quello prendevo l'autobus davanti alla facoltà di medicina e non di storia»
«Mi sono anche spiegato come mai una corsa banale come quella ti abbia dato tanti problemi» annuì Jun passandosi una mano tra le ciocche di capelli ormai quasi asciutte «Mi vuoi dire cosa vuoi?» tagliò corto, ma anche quella volta non ricevette risposta. Aspettò qualche minuto e quando i minuti divennero cinque il rumore dell'acqua che bolliva si fece insistente alle sue spalle, quindi si staccò dallo stipite con un sospiro «Senti, ho da fare e sono stanco morto. Prometto che se mi chiami domani trovo un momento per incontrarci e ascoltarti senza che tu debba farmi delle improvvisate qui per costringermi ad incontrarti. Ora non mi sembra che tu voglia parlare, quindi torna a casa. Chiedi al portiere che ti chiami un taxi, ti ho anche...»
«Non hai chiamato» lo interruppe improvvisamente
«Prego?»
«Non mi hai chiamato» ripetè parlando piano
«Se è per questo nemmeno tu» ribattè infastidito
«Ma ti ho sempre chiamato io» gli fece notare «Ti ho invitato a cena una volta, ti ho proposto la gita... tu non hai chiamato mai invece». Davanti a quella frase dovette ammettere di aver torto. «Ma... ma tu mi hai rifiutato. Se ti avessi chiamato sarei sembrato insistente. Sta all'altra persona far capire se vuole mantenere comunque i contatti» provò a difendersi
«Il fatto che ti abbia invitato tante volte e che mi sia confidata non era sufficiente a far capire che avevo comunque piacere a parlare con te?» domandò premendo le mani sul fondo delle tasche della giacca, tirandone il tessuto. Continuava a guardare a terra. «Questo non spiega perchè tu sia qui oggi» ritentò, scaricarsi la colpa a vicenda non chiariva proprio nulla
«Ma magari può convincerti a farmi entrare» insistè lei
«Io ho il te sul fuoco, ci risentiamo» non voleva cambiare idea e aprì di più la porta per avere lo spazio di girare su se stesso e poi richiuderla. «Ti prego!» esclamò improvvisamente quando si era già girato per metà «Ti prego non chiudere questa porta» lo guardò supplichevole
«Risparmiami queste tragedie greche» borbottò Jun, contrariato. Vedeva le lacrime riempirle gli occhi, era caduta tanto in basso che stava usando i suoi mezzucci pure con lui? «Se la chiudi adesso non tornerò mai più» pronunciò lapidaria «L'acqua sul fuoco sta bollendo, ma non farà altro che evaporare. Apri il rubinetto e ne avrai dell'altra che in cinque minuti sarà calda esattamente quanto quella, tutte le volte che vuoi» gli spiegò posando una mano sulla porta «Chiudi questa e non mi rivedrai mai più. E non esiste modo di riavermi se dovessi evaporare come l'acqua»
«Che cosa stai dicendo?» la osservò confuso. Le dita dalle unghie ben curate e lucide erano a pochi centimetri dalle sue, avrebbe voluto prenderla per mano e trascinarla in casa con sè: si comportava da arrabbiato e scontroso, ma moriva dalla voglia di parlare di nuovo con lei, di scherzare, di prenderla in giro. Voleva tornare a giocare sul filo della loro pazienza, rischiando quel delicato equilibrio che avevano sempre avuto. Ne era ancora innamorato, non c'era dubbio. Sentiva ancora il desiderio di abbracciarla come quella volta sulla spiaggia, anzi era tornato forse più forte di prima. «Pensavo di fare la cosa giusta: "Se devo vivere poco allora voglio avere tutto quello che desidero ogni volta che mi pare, perchè io non ho tempo e gli altri invece sì: potranno lamentarsi quando non ci sarò più" la pensavo così. Era giusto, era corretto che le persone mi dicessero sempre "sì", perchè loro avrebbero avuto il tempo che io non avevo, quindi era mio diritto rubare un po' del loro per vedere esaudita ogni mia preghiera. Sapevo, dentro di me, che in realtà era sbagliato, che stavo diventando una persona odiosa che allontanava la gente sincera e attirava solo altri meschini, ma ero tanto terrorizzata all'idea di rimanere sola che andava bene anche stare con loro... io ero l'ultima che poteva biasimarli. E le persone dicevano sempre sì. "Sì, Kumagawa san", "Certo Shiori chan, tutto quello che vuoi"» gli spiegò appoggiandosi con la mano alla porta, segno che quell'ora passata in piedi fuori da casa sua l'aveva affaticata «Poi sei arrivato tu. Una di tante persone buone che ha subito intuito che razza di persona fossi, ma invece di disgustarti e allontanarti sei rimasto, anche se per il puro gusto di stuzzicarmi, prendermi in giro, cercare di farmi fare brutte figure davanti agli altri e svelare loro la mia meschinità. Hai capito che mi comportavo in quel modo solo per fingere, ma per un motivo o per l'altro hai capito anche che sotto la meschinità c'era solo una persona incapace di farsi amici in maniera diversa e sotto l'incapace si nascondeva una persona sola.
Pochi ci sono arrivati e tanti invece hanno amato solo una maschera, una persona che non ero io, o forse hanno amato solo il mio aspetto. Tu, come Kintaro, ti sei innamorato del mio aspetto ed entrambi, invece di scoraggiarvi una volta scoperto chi ero, avete amato anche tutto il resto. La differenza è che lui ha continuato ad assecondarmi, non è stato al mio fianco ma si è messo più avanti: ha solo detto "sì" e provato pietà. Per pietà è rimasto con me anche dopo la notizia, per pietà ha sofferto e sopportato finchè non ha retto più e ha deciso di tradirmi. Tu invece... Jun, tu hai detto "no". Tu dicevi sempre "no"» ridacchiò leggermente e, per assurdo, fu su quella risata che cominciò a lacrimare «Ti detestavo. Era sempre "no". "Piantala Kumagawa san", "Ma stai zitta scema". Non solo non sei scappato davanti alla mia falsità, ma sei stato uno dei pochi a trattarmi normalmente. Io mi sono sentita normale con te» tirò su con il naso e si passò il dorso della mano sugli occhi. Effettivamente nemmeno lei era mai stata una ragazza loquace, era buffo vedere come avvicinandosi sempre più cominciassero entrambi a buttar fuori fiumi di parole. «Mi fa piacere di essere stato un buon amico per te» pronunciò Jun, lasciando andare la porta e tornando a voltarsi verso di lei «Non l'ho mai vista in quest'ottica ma... sì, penso di aver fatto così» sorrise divertito, sperando di tirarla su di morale con quella frase
«Se una cosa non si può, allora non si può, e non importa che tu debba morire tra due anni o domani: siamo tutti uguali e nessuno ha il diritto di disporre della pazienza e della fiducia degli altri. Mi hai fatto capire questa cosa importante ed è per questo che non ti ho chiamato» spiegò con la voce che tremava per le lacrime «Ti prendevo in giro quando ti ho chiesto se ti piacevo, ma la tua dichiarazione è stata profonda, sincera. E' stata bellissima e mi ha commossa tanto che ho realizzato che, anche se non posso, vorrei essere io. Vorrei essere io la persona di cui parli» gli scappò un singhiozzo più forte degli altri e dovette fare una pausa mentre Jun tentava di seguire il filo di quel discorso straordinario. «Vorrei, ma non posso essere una persona speciale. Questa realtà mi ha fatto tanto male che ho deciso di non sentirti più. Ero tentata di fare di nuovo i capricci, di chiedere di essere mio proprio alla persona che mi aveva insegnato che non ho il diritto di pretendere niente da nessuno. E avevo deciso di non avere più niente a che fare con te perchè sapevo che questo, un capriccio da ostacolare come hai sempre fatto, sarebbe stato invece l'unico che avresti assecondato. Lo vedevo nei tuoi occhi, nell'espressione con cui mi hai sempre guardato, dai tuoi gesti, dalla voce e dalle parole che mi hai detto quel giorno al mare».
L'ascensore ripartì improvvisamente e fece sobbalzare entrambi, ma non bastò a farla smette di piangere. «Vieni dentro» le disse mettendole una mano dietro la schiena e spingendola ad entrare. Il cappotto era umido, non aveva preso tanta pioggia ma forse era comunque troppa per la sua salute precaria. La guardò togliersi gli stivali con difficoltà, data la vista offuscata «Togli anche i calzini, vado a prenderti dei vestiti e te li porto in bagno così puoi cambiarti». Quando la raggiunse aveva posato al lavandino calze, giacca, cappello e maglione. «Ti va bene uno yukata da casa? E' da donna, lo tengo per quando viene a trovarmi mia sorella»
«Sì, va bene» rispose con la voce che ancora tremava, tirando su con il naso «Posso fare una doccia?» domandò prendendo gli indumenti puliti dalle sue mani
«Certo, gli asciugamani puliti stanno in quel mobiletto, prendine quanti ne vuoi» annuì per poi lasciarla da sola. Se ne tornò in salone da solo, a riflettere, osservando la sua sudata tazza di te con lo sguardo perso nel vuoto. Il succo di tutto il discorso, per Jun, era che Shiori si era innamorata di lui. Era ricambiato! E lei aveva ragion: quella notizia lo rendeva talmente felice ed euforico che avrebbe accettato di mettersi con lei senza pensarci su. Anzi no, "di essere suo", come gli aveva detto prima. Gli andò il sangue alla testa: lì per lì si sentiva l'uomo più felice della terra. Forse era normale, dopo un mese passato a rimuginare sul fatto che era stato rifiutato -per la prima volta nella sua vita oltretutto. Quando Shiori uscì dal bagno lo trovò seduto a terra, appoggiato contro i vetri della finestra e il muro, ad osservare le nuvole che cominciavano a diradarsi e a far filtrare la luce della luna calante, alta nel cielo. Prima di raggiungerlo spense le luci del salotto. «Perchè?» domandò lui voltandosi a guardarla mentre si avvicinava a piccoli passi
«Ho gli occhi rossi e la faccia di una che ha pianto per alcuni minuti di troppo, non voglio che tu mi veda» rispose inginocchiandosi in posizione seiza davanti a lui, rivolta verso la finestra. «Ma prima avevi anche il moccolo al naso» la schernì ridendo. Riuscì a bloccarle la mano al volo, prendendola per il polso prima che potesse colpirlo sul ginocchio, in un moto di rabbia a quella presa in giro. «Ah! Cosa speravi di fare?» le domandò con lo stesso tono con cui avrebbe rimproverato una bambino. Le stringeva il polso, a mezz'aria, e Shiori lo fissò seriamente in viso. Quello sguardo lo attirava come la prima volta che l'aveva visto, nel corridoio della cara di Kintaro. Già allora qualcosa di lei lo aveva attirato, seppure la sensazione fosse stata troppo debole per realizzarla. «E tu?» domandò Shiori rompendo il silenzio «Tu cosa speri di fare?» concluse sollevando le sopracciglia, guardandolo dal basso verso l'alto. Strinse la presa su di lei e allungò l'altra mano passandole il pollice dalla tempia a mascella, accarezzandole la pelle. La ragazza continuava ad osservarlo senza battere ciglio, senza mostrare il minimo segno di cedimento. In quel modo non avrebbe potuto dire se quel gesto era gradito o no, continuava a guardarlo seria: era come se stessero ancora bisticciando in silenzio. Lo stava ancora sfidando e i suoi occhi sembravano dire "Forza, vediamo cos'hai il coraggio di fare". Le passò le altre dita dietro la nuca e appoggiò il palmo della mano alla sua guancia, mentre staccava la schiena dal muro chinandosi verso di lei. La costrinse a sollevare il capo, chiudendo le dita e afferrando ciocche dei suoi capelli. Quando premette la prima volta le labbra sulle sue non percepì alcuna reazione e per qualche secondo rimase fermo attendando che facesse qualcosa, ma nulla accadde: quel gioco stava durando troppo. Spazientito Jun si allontanò quanto bastava per guardarla in faccia, pronto a dirle qualcosa per smuoverla, ma quando la vide si accorse che aveva stretto le labbra tra loro, distogliendo lo sguardo. Era imbarazzata! Gli si strinse il cuore a vederla così in difficoltà. «Guardami» le sussurrò piano. Shiori sembrò rabbrividire, poi sbattè le palpebre un paio di volte, gli guardò la fronte, gli occhi e gli fissò le labbra: quella volta era chiaro cosa volesse. Il ragazzo la baciò nuovamente, un bacio completamente diverso dal precedente. Quando si toccarono avevano entrambi le labbra dischiuse, come impazienti di toccarsi, e parvero fondersi quando finalmente entrarono in contatto. Sentiva il sangue scorrergli sempre più rapido in corpo a mano a mano che i secondi passavano e la durata di quel bacio si allungava, la profondità del loro contatto aumentava. Le lasciò il polso quando Shiori mosse la mano per liberarsi: la sentì avvicinarsi, senza mai interrompere quel bacio, e passargli le braccia sulle spalle. Gli abbracciò il collo nel tentativo di stringersi a lui. Dopo pochi minuti, che parvero secoli, si fermarono. «A-aspetta un secondo» sussurrò Jun con voce roca, spezzata dall'eccitazione. La stava solo baciando, ma era bastato poco per sentirsi invaso dalla smania di toccarla. Lei lo osservò con gli occhi socchiusi: doveva essere ancora preda delle emozioni e stordita. «Se continuiamo non saprò fermarmi» spiegò arrossendo «E' meglio smettere»
«Sei stato tu a cominciare» gli fece notare Shiori sciogliendo l'abbraccio, ora era inginocchiata in una posizione più sciolta, rivolta verso di lui. Poteva ancora sentire l'odore del suo stesso bagnoschiuma che le profumava il collo. «Lo so, ma non avevo previsto che facesse questo effetto» deglutì cercando di regolare il suo respiro
«Quale effetto?» trattenne appena una risata: lo sapeva benissimo "quale effetto", si stava prendendo gioco di lui per vendicarsi della sua frase di prima. «Seriamente, Shiori» la chiamò per nome. L'aveva fatto solo il giorno in cui si era dichiarato. «Dato che non si può andare più in là, per il mio bene: fermiamoci»
«Chi l'ha detto che non si può?» domandò raccogliendo le gambe e alzandosi per gattonargli vicino
«Bhe io sapevo...» cominciò Jun confuso, torno ad appoggiarsi al muro e avvicinò le ginocchia al petto quando la vide avvicinarsi, come a proteggersi. «Sì, "tu sapevi" ma non è che me l'ha prescritto il medico» specificò Shiori posandogli le mani sulle spalle e avvicinandosi nel tentativo di mettersi a cavalcioni su di lui, costringendolo così ad abbandonare quella posizione rannicchiata e lasciarle lo spazio di sedersi. Quella mossa era un colpo basso. «Solitamente non posso fare degli sforzi fisici, mi stanco subito e se li prolungo finisco con lo stare male» spiegò accarezzandogli il petto attraverso la stoffa dello yukata «Ma... basta stare attenti»
«Ma a Kintaro hai detto...»
«Lo so cosa ho detto» lo interruppe «Hai ancora voglia di parlare? Oppure, dato che ti ho detto che non ci sono problemi, possiamo rimandare le discussioni a più tardi?» gli sussurrò con le labbra a pochi millimetri dall'orecchio. I suoi capelli, dalle punte ancora umide, gli solleticavano le guance e il collo, la pressione del corpo di Shiori contro suo glii faceva percepire più forti i battiti del cuore. Sentiva le sue gambe stringerglisi intorno ai fianchi e la loro pelle scaldarsi rapidamente a quel contatto intimo. Era sufficiente per lui. Allungò il collo per arrivare a baciarla di nuovo mentre con le mani slacciava l'obi della ragazza. Una sola, semplice mossa che permetteva di aprire lo yukata sotto il quale si indossa solo la biancheria. Voleva quella donna, la desiderava da quando aveva realizzato di amarla, ma ormai non gli bastava più desiderare di abbracciarla: quella piccola smania altro non era che il preludio per una sete più profonda e la paura di vedersela sfuggire dalle braccia era in realtà il timore di non poter appagare quella fantasia.
Tra le pieghe delle lenzuola, mentre alle sue orecchie arrivavano solo i loro respiri affannati e si riempiva gli occhi della visione della pelle bianca della ragazza, dei capelli ondulati sparsi sul cuscino, si gettò alle spalle qualsiasi dubbio: verso cosa stava viaggiando a gran velocità quella notte? Dove sarebbe arrivato? Cosa lo aspettava dopo? Non se lo chiese più. Si immerse dolcemente in quel corpo e sentì le unghie che gli graffiavano la schiena, le stesse che poche ore prima aveva innocentemente osservato posate sulla sua porta. Continuava a baciarla per tornarle vicina, si piegava su di lei per ascoltarle il ritmo del respiro e sentirle i battiti del cuore contro il suo petto.
*Gamberi impanati
**Vongole grandi alla piastra (una delle specialità di Enoshima)