[FIC] Kaze: Parte I°

Feb 25, 2012 15:40

Rinfresco questo messaggio, non per altro, ma perchè in questi giorni ho revisionato la fic che per sua natura è stata scritta di getto e poi poco ricontrollata. Ora l'ho risistemato e... beh... per chi non l'avesse letta eccola qui.
Tra quelle che ho scritto è in definitiva la mia preferita, con un posto speciale nel mio cuore.



DATI
Titolo: Kaze
Capitolo: Parte I° - Parte II° - Parte III° - Parte Finale
Genere: Drammatico, Romantico, Angst
Pairing: Matsumoto Jun x OC
Rating: PG
Disclaimer: Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo
Trama: "... poi si getto in mare e sentì che il suo corpo si scioglieva in schiuma. Il sole sorse alto sul mare, i raggi battevano caldi sulla gelida schiuma e la sirenetta non sentì la morte" [H.C. Andersen "La Sirenetta"]

NOTE
Ok, forse chiamarla One-Shot è troppo ottimistico... come al solito non riesco ad essere poco prolissa e dettagliata. L'idea era di fare una one-shot infatti, mentre direi che la definizione migliore è fic breve! XD Purtroppo dovrò pubblicarla come se fosse una fic a capitoli perchè altrimenti per LJ è troppo lungo il post!
In teoria è una fic per il compleanno di Jun: scimmietto adorato, perdonami se sono in ritardo di ben 3 giorni nel consegnarti questo regalo eh >.< ごめんなさいね〜
Allora ho riscritto l'inizio 14 volte. Alla quattordicesima ero felicissima e soddisfatta: era proprio come lo volevo, perfetto! Salvo accorgermi che quell'inizio non c'entrava un fico con quello che avevo progettato! (solitamente io parto a scrivere le fic sapendo già come finiranno e poi costruisco il resto)(Zakuro è stata un'eccezione) Quindi ho messo da parte quell'inizio -so già per quale fic usarlo!- e ho ricominciato di nuovo. Fortuna che da lì in poi la fic mi è venuta fuori abbastanza scorrevole, senza riscrivere niente, al massimo spostando un paio di frasi e correggendo degli errori di battitura.
I titoletti nella fic sono tutti in francese
Quando vedete un * significa che c'è un nota alla fine del testo del capitolo

Pioveva talmente forte che usare i tergicristalli era utile quanto in una giornata di sole. Il fatto che quel giorno il loro passaggio spostasse l'acqua non sembrava renderli più funzionali: il secondo successivo il vetro era nuovamente coperto d'acqua torrenziale e si tornava a non vedere nulla. «Merda» imprecò il guidatore a denti stretti piegandosi sul volante e stringendo le palpebre per concentrarsi sulla strada
«Rallenta, è meglio» consigliò il passeggero al suo fianco che teneva le mani artigliate al sedile
«Ho già rallentato!» esclamò spazientito «Più lenti di così ci fermiamo»
«Sssst» sussurrarono dai sedili posteriori «Abbassa la voce»
«Scusa, scusa...» sospirò spostando le mani dal volante, erano completamente sudate «Sta dormendo?»
«Sì, da una quindicina di minuti credo» risposero da dietro dove una seconda voce si intromise
«Sentite, essere quasi fermi in mezzo alla strada non è sinonimo di sicurezza. Perchè non accostiamo e aspettiamo che si calmi un po'?»
«Hai ragione anche tu... mi fermo lì avanti, credo di vedere uno slargo abbastanza grande per levarci dalla strada». La Toyota rossa lentamente si avvicinò ad uno spiazzo sulla sinistra e si fermò con le quattro frecce lampeggianti.

Velours
Il cellulare era squillato alle nove di mattina. Non era un orario strano, ma la sera prima lui era stato sveglio fino a tardi per provare con il gruppo e poi si erano fermati a parlare tutti insieme davanti agli studi: erano dieci anni che lui e gli altri si conoscevano ed erano dieci anni che si vedevano un giorno si e uno no eppure ancora avevano qualcosa da dirsi, possibile? Per questo la chiamata di Kintaro era una sveglia che non avrebbe mai puntato a quell'ora e per questo si era parecchio infastidito, ma era riuscito a parlare normalmente e si era accordato con l'amico per la serata: sarebbe arrivato in ritardo, doveva solo avvisare i ragazzi che quella sera non avrebbe provato e dire a sua madre che non sarebbe stato con lei per cena. Era normale che disdicesse un impegno non troppo importante (e non riguardante il lavoro) il giorno stesso, quindi nessuno si sarebbe lamentato: lui era una di quelle persone che ne conosceva mille altre e che, pur di non escludere nessuno, si destreggiava tra gli impegni nella continua ricerca di tempo per tutti. A volte però si dimenticava di sé stesso.
Lui e Kintaro si erano conosciuti ai tempi del liceo, una scuola dedicata principalmente a giovani talenti destinati al mondo dello spettacolo (frequentata, tra l'altro, da molti Johnny's Junior), ed erano subito diventati grandi amici. Era una delle poche persone non famose che conosceva: si era iscritto lì solo per rimorchiare! Ormai l'amico frequentava l'ultimo anno di università, un corso di specialistica, e lui invece era completamente assorbito dal lavoro e dagli Arashi perciò si vedevano raramente, ma una delle occasioni che non si perdevano mai per incontrarsi erano i loro compleanni.
Raggiunse l'appartamento verso mezzanotte e mezza e gli aprì la porta proprio il suo amico, raggiante. «Tanti au...» fece per dirgli non appena lo vide, ma poi non ebbe più fiato
«Jun!» esclamò quello abbracciandolo forte in una presa d'acciaio «Credevo che non ce l'avresti fatta, sono felice che tu sia qui!» esclamò invitandolo poi ad entrare ed aspettando che si togliesse le scarpe nell'ingresso, prima di accompagnarlo fino in salotto
«Giochi ancora a basket?» domandò Jun sistemando le calzature in linea con quelle degli altri e poi seguendolo
«Si, si! Anche dopo l'ultimo incidente sono rimasto nella squadra dell'università e ho continuato. Avresti dovuto vedere che canestri che ho fatto nello scorso torneo! Peccato che abbiamo perso nella finale per le qualificazioni nazionali» spiegò con una punta di rammarico. Al liceo, nonostante lui non c'entrasse nulla con lo spettacolo, Kintaro si era distinto nell'ambiente scolastico per la sua altezza e la sua bravura sportiva. L'attività universitaria lo aveva aiutato a sviluppare un fisico solido in quel delicato passaggio dall'adolescenza all'età adulta: le sue spalle erano larghe quasi il doppio di quelle di Jun ed era molto più alto di lui. «Spero non ti dispiaccia se siamo andati in giro per Shinjuku senza di te» disse l'amico, nonostante sapesse che era la cosa migliore averlo fatto prima del suo arrivo dato che lui doveva evitare luoghi del genere «Siamo stati all'apertura di un nuovo club e siamo arrivati da poco, se suonavi dieci minuti fa in casa non c'era nessuno» spiegò con una risata «Gente! Lui è Matsumoto Jun, Matsujun per gli amici» lo presentò quindi agli invitati, una volta che raggiunsero il piccolo salotto. Alcuni erano ancora un po' brilli, altri si sporsero dalla cucina dove stavano preparando i rinfreschi, altri alzarono lo sguardo dai propri bicchieri osservandolo dal divano, dalle poltroncine o dalle sedie ammassate nel piccolo soggiorno del bilocale di Kintaro, per l'occasione sgombrato di tutta la mobilia inutile. Normalmente una persona si sarebbe sentita in imbarazzo ritrovandosi improvvisamente sotto gli occhi di così tante persone, fissata con curiosità, stupore o incredulità. Jun no. Era abituato: il pubblico era una costante nella sua vita. «Sono Matsumoto Jun, piacere di conoscervi» disse a voce alta e chiara mentre toglieva il cappello ben calcato sulla testa. Fece un inchino accompagnando le sue parole e sorridendo tranquillo. «Che bestia che sei Kinta kun!» esclamarono alcuni ragazzi alzandosi dal divano «Allora è vero che lo conosci!». Alcune ragazze entrarono in agitazione: certe lo spiavano dall'angolo dove parlavano tra loro, altre ancora dalla cucina dove stavano dando una mano. «Non ti credevano?» domandò Jun con un sorrisino di scherno verso Kintaro
«E no eh... non ricominciare, impiastro!» esclamò quello mettendogli un braccio sulle spalle e stringendoglielo intorno al collo, per torturarlo scherzosamente «Ti rovino la permanente altrimenti!»
«Fallo pure» rise divertito lui cercando di liberarsi «Nessuno crederà mai che mi conosci. Sono anni che ci provi e ogni volta tutti pensano che stai raccontando una bugia»
«Aaah... ma smettila!» cercò di metterlo a tacere scompigliandogli i riccioli neri fin quando non gli sfuggì dalle braccia come un'anguilla «Sono anni che vai avanti a dirlo!»
«E te lo ripeterò all'infinito» ribattè Jun piegando il capo per ringraziare un ragazzo che gli porgeva una lattina di birra appena aperta «Nessuno crederà mai che un ragazzaccio come te conosca uno del mio calibro» pronunciò solenne, prendendo un sorso di birra
«Non state a sentirlo» sbuffò l'altro «Si sta solo atteggiando»
«Siete suoi compagni di corso?» domandò Jun verso gli altri ragazzi che ridevano di loro «Ve l'ha raccontato cosa faceva al liceo? Adesso ve lo dico io: a fine serata Kintaro sarà un altro» rise divertito.
Passò una prima metà di serata particolarmente piacevole, le persone con lui erano simpatiche e alla mano: nessuno, nemmeno le ragazze (anche se ci misero un po' più dei maschi a farsi avanti e parlargli), lo trattò in maniera strana. Era quello che adorava delle feste di Kintaro: dato che si circondava sempre di gente simile a lui, che era una persona semplice e spigliata, ogni volta Jun trovava piacevole parlare con i suoi amici. Negli anni, però, aveva imparato a riconoscere che era anche grazie a se stesso se riusciva a legare con le persone. Sapeva conquistarle anche senza la risata e l'allegria di Kintaro e senza la sua parlantina tipica della regione del Kanto. Jun era il suo opposto, aveva sempre avuto un carattere pacato e tranquillo, ma era una vera e propria calamita: il suo carisma attirava le persone che rimanevano affascinate da lui e dalla sua piacevole tranquillità, dalla sua capacità di ascoltare con pazienza e dalla sua disponibilità, per cui raramente negava l'aiuto a qualcuno.
«Jun! Puoi venire un secondo?» domandò Kintaro ad un certo punto della serata, spuntando da dietro una porta. Non si era nemmeno accorto che si fosse allontanato «Me lo lasciate, vero ragazzi?» scherzò ancora vedendo come gli altri lo avessero circondato man mano che avevano continuato a chiacchierare. Risero tutti e Jun si alzò dalla poltrona, pronto a seguirlo «Che succede?» domandò incuriosito da tutto quel mistero
«Almeno è rimasto qualcosa da bere?» domandò una voce femminile, mentre si apriva una porta in fondo ad un corto corridoio. Jun rimase senza fiato: era la donna più bella che avesse mai visto. Era bassa e forse un po' troppo magra, quasi asciutta di fisico, ma aveva la pelle candida come porcellana. I capelli, lunghi fino alle spalle e scalati sul davanti, erano neri, perfettamente lisci e spazzolati. La frangetta era fissata di lato da una semplice molletta color perla che ben si abbinava alla fascia bianca che dava al vestito blu notte il caratteristico taglio all'imperiale, stringendolo appena sotto il seno. Il viso liscio, dai lineamenti delicati e la pelle chiara, era attraversato da un'espressione di fastidio che venne improvvisamente rimpiazzata da stupore. «Coca cola, Mitsuya, della Pocari e delle lattine di Sapporo» rispose Jun dopo i primi secondi ad osservarla senza fiato
«Oh...» fece lei, sbattendo le palpebre, sorpresa. Le risate di Kintaro lo fecero riprendere «Che stai dicendo? Tutto ok? Non sarà che la birra t'ha fatto male?» ridacchiò Kintaro, prendendolo in giro «Jun, questa è la mia ragazza, Shiori» disse presentandogliela
«Piacere, il mio nome è Kumagawa Shiori» disse lei in un lieve inchino ed un cenno del capo. Jun si inchinò a sua volta «Matsumoto... sono Matsumoto Jun» farfugliò
«Mi fai un bicchiere di Pocari?» domandò quindi la ragazza a Kintaro, arricciando il naso
«Sicura che non ti faccia male?» domandò quello, in apprensione
«Ma piantala» si strinse nelle spalle superando i due uomini. Mentre gli passava accanto, nello stretto corridoio, la ragazza alzò gli occhi per fissarli nei suoi. Neri, profondi. Ricambiò il suo sguardo trattenendo il fiato. Sentì frusciare la seta del suo vestito, mentre camminava al loro fianco, ed ebbe come l'impressione che il suo cuore fosse stato accarezzato da morbidissimo velluto. «Se dico che voglio berlo significa che voglio e posso. Fammelo eh?» concluse lei, smettendo di fissarlo. Sparì entrando in sala. Kintaro sospirò e si avviò lungo il corridoio, così Jun lo seguì riprendendo a respirare: per un attimo aveva quasi sentito l'impulso di seguirla attaccando discorso con una qualsiasi scusa. Ma era stato un attimo: era la ragazza del suo amico. Infatti fu lui che seguì, in cucina. «Che caratterino» commentò con nonchalance, respirando a fondo e prendendosi da bere da solo
«Oh beh... sì, è un po' capricciosa» annuì lui sorridendo leggermente. Ripensandoci, l'espressione scocciata della ragazza non era proprio quella di una che parlava con il fidanzato, né le sue parole erano state particolarmente cortesi come invece il suo aspetto delicato avrebbe suggerito. «Dispotica, se posso permettermi» suggerì prendendo un sorso e osservò la reazione dell'amico. Un tipo accomodante come Kintaro, dove l'aveva pescata una così irritante? «Va bene anche così» spiegò mesto «Sai... è una delle più carine di tutta l'università. Lo sai che ho un debole per quel tipo di donne...»
«Affiscinanti, bellissime e impossibili? Oh sì che lo so!» esclamò Jun, ricordando quante volte l'amico ci avesse provato al liceo, ricevendo solo due di picche
«Ecco! Poi, proprio quando avevo deciso di rivedere le mie pretese e abbassare il tiro... è spuntata lei» spiegava con gli occhi sgranati, come se stesse riaccadendo in quel momento
«Te l'ha chiesto lei?» domandò appoggiandosi al davanzale della finestra per mettersi in ascolto
«Non pensavo che mi avrebbe mai considerato e...»
«Kintaro?» venne interrotto dal richiamo di lei dal salone
«... e portale da bere, giuro che ti concederò dieci minuti del mio prezioso tempo per ascoltare la tua storia» ridacchiò Jun accennandogli alla porta perchè si sbrigasse a soddisfare la principessa con cui si era fidanzato.
Però non trovarono un momento libero. Cominciarono un gioco di gruppo, mangiarono tutti insieme e guardarono un film finendo solo alle quattro di notte. A Jun parve facile inquadrare la ragazza che era stata chiusa in camera di Kintaro per metà serata -un malessere, aveva spiegato lei evasiva. Tutti i ragazzi la trattavano con i guanti di velluto, probabilmente abbagliati dalla sua bellezza e contenti del solo fatto che lei rivolgesse loro una sola sillaba, alcune delle ragazze le stavano al fianco e le parlavano come amiche, ma in realtà erano solo felici di ricevere a loro volta attenzione, mentre le rimanenti si tenevano a distanza, forse perchè invidiose. La cosa che probabilmente faceva loro più rabbia era che Shiori non veniva minimamente intaccata dai loro sguardi malevoli: avrebbero potuto passare tutta la serata a parlare male di lei ad alta voce oppure avvicinarsi e fare le carine come tutte le altre, che a lei non avrebbe fatto differenza. Era chiaro che non le interessava essere odiata o amata da quelle persone. Dal canto suo Jun era rimasto stregato dai suoi occhi neri, profondi ed espressivi, ma si era tenuto a distanza perchè aveva intuito che Kintaro, nonostante non dicesse nulla, non sopportava le moine che gli altri facevano alla sua ragazza. Probabilmente il motivo per cui non si opponeva era che le parole degli uomini, così come quelle delle donne, sembravano scivolare addosso a Shiori come l'acqua su un impermeabile: per quanto fiato sprecassero lei sembrava avere occhi solo per se stessa.
«Grazie per essere venuto, quanti appuntamenti hai fatto saltare per essere qui stasera?» domandò Kintaro sulla porta di casa
«Oh, solo un paio di servizi fotografici, una registrazione e l'uscita con una bella conduttrice della NTV» gli rispose facendo spallucce. Scoppiarono entrambi a ridere. «Ascolta» cominciò quello, improvvisamente in imbarazzo «So che non dovrei, ma... se ti do un foglio puoi fare uno strappo alla regola e lasciarmi un autografo?». Per la sorpresa Jun non seppe se cadere a terra, slogarsi la mascella o perdere gli occhi per averli spalancati troppo. Non accadde niente di tutto ciò, ma comunque rimase di sasso: l'amico sapeva perfettamente che non gli era permesso fare autografi e dopo tutti gli anni che si conoscevano quella era la prima volta che glielo chiedeva, la prima volta, anzi, che lo trattava come un personaggio famoso... proprio Kintaro, che invece lui adorava perchè non aveva mai messo distanza tra loro. «E' una richiesta strana, come mai così d'improvviso?» domandò lentamente
«Oh io... non è per me. Ecco, è Shiori che mi ha pregato di chiedertelo»
«E perchè non viene a domandarmelo di persona?» improvvisamente si sentì irritato: ma quella tipa era così dispotica e cattiva da avere il cuore di piegare a proprio piacere la pazienza e la bontà di una persona così squisita come Kintaro? «Pensava che a me forse avresti detto di sì» spiegò lui tenendo gli occhi bassi
«Eppure tu sai che la mia risposta è sempre la stessa, chiunque me la ponga. Non è questione di affetto: da contratto io non posso» non avrebbe mai immaginato di doverlo spiegare proprio all'amico
«Lo so, lo so» annuì «Ma ha tanto insistito perchè ci provassi almeno una volta che ho dovuto accontentarla purchè smettesse di chiedermelo» spiegò avvilito. Jun fece un sospiro, misto di rabbia e delusione: Kintaro non aveva mai dovuto abbassare gli occhi davanti a lui e Jun stesso si stava sentendo improvvisamente diverso da lui, distante... era come se dall'amicizia fossero passati improvvisamente al freddo rapporto idol-fan. Era insopportabile. Si tolse nuovamente le scarpe e si fece spazio per tornare in casa «Che co...» fece l'altro spaesato
«Kumagawa san!» esclamò Jun riaffacciandosi al salotto dove rimanevano ancora pochi invitati tra cui Shiori che li salutava come fosse la padrona di casa: probabilmente sarebbe rimasta a casa del fidanzato dato che era la notte del suo compleanno. La giovane si voltò guardandolo nuovamente dritto negli occhi «Posso parlarti un attimo?» domandò facendo un passo indietro e tornando nel corridoio. La sentì che si scusava con gli altri lasciandoli soli e la vide raggiungerlo nello stretto passaggio del corridoio. Lo fisso e non disse nulla, in attesa. «Se hai qualcosa da chiedermi puoi farlo direttamente, non costringere un'altra persona a domandare favori se non se la sente» spiegò pacato Jun
«Non ho costretto nessuno» replicò Shiori fingendosi confusa «Gliel'ho chiesto e mi ha detto che ci avrebbe provato. Non pensavo si sentisse a disagio nel parlare con un amico di vecchia data» concluse facendo la gnorri
«Kintaro kun sa che non posso rilasciare autografi, sono anni che lo sa e mi ha visto dire "no" a tante persone. Dirò "no" a chiunque, ad un amico come ad uno sconosciuto: non posso per contratto»
«Capisco» annuì lei abbassando lo sguardo: voleva farlo sentire in colpa per averle negato l'autografo? Quella ragazza recitava? Tentava di fare la carina anche con lui per ottenere gentilmente ciò che capricciosamente pretendeva. «Bene» sospirò: che persona si era trovato Kintaro? «La prossima volta avrei piacere di sentire le tue richieste direttamente da te... se ricevere un rifiuto non ti fa stare troppo male, chiaramente» concluse tirandole quell'ultima frecciatina e facendole il sorriso più falso del suo repertorio
«Oh certo, starò più attenta» rispose lei con un sorriso che, ci avrebbe scommesso, era altrettanto di circostanza.
Tornò a casa in taxi ripromettendosi di trovare un pomeriggio per Kintaro e per la sua storia, ma non troppo presto: in quel periodo era pieno di impegni, se si trattava solo di ascoltare la storia di una coppia poteva aspettare.Quella ragazza poteva sembrare carina, ma in definitiva era terribile, non gli era piaciuta nemmeno un po'.

«Non accenna a smettere» fece osservare il guidatore. Erano ormai quindici minuti che stavano fermi attendendo che qualcosa cambiasse per potersi rimettere in moto. «Rischiamo di fare tardi?» domandarono da dietro
«No, no... siamo partiti in anticipo apposta. Abbiamo tempo»
«Meglio»
«Non se lo perdonerebbe mai se facessimo ritardo proprio oggi» sospirò il passeggero a fianco del posto di guida, prima di voltarsi a guardare gli altri «Non capisco, ma quando è cominciata questa storia? Io non ne sapevo nulla»
«Nessuno ne sapeva niente. Non ha mai accennato alla cosa e non c'è stato alcun cambiamento che facesse intuire alcunché»
«Credo che abbia detto qualcosa di molto vago ai manager della Johnny's una volta, ma anche loro poi non hanno saputo nulla» un silenzio pesante seguì quelle parole. Era una giornata veramente brutta.

Masque
«Tu?» domandò lei stupita, osservandolo con gli occhi spalancati. Quel giorno indossava un vestito a fiori, lungo fino al ginocchio, sopra una maglietta bianca a mezze maniche e un paio di sandali chiari. Aveva arricciato i capelli di modo che le scendessero in morbidi boccoli ai lati del viso e teneva la frangia di lato con una molletta con un piccolo fiocco rosso. «Sono sorpreso quanto te» replicò Jun con una smorfia: chiaramente non era felicissimo di incontrare nuovamente quella ragazza sgradevole.
Erano passate due settimane dal compleanno di Kintaro, e Jun era stato assorbito dal lavoro come al solito: doveva imparare le proprie parti per le canzoni del nuovo album e cominciare a pensare al suo solo. Ovviamente non l'avrebbe scritto lui, non era un bravo paroliere, né avrebbe composto la musica, non ne era capace, ma ormai erano uno dei gruppi di punta della Johnny's e potevano permettersi il lusso di decidere “cosa” esprimere nei loro pezzi, anche se poi a fare il lavoro erano altri. Ammirava Sho kun che scriveva i pezzi di rap da sé o Nino che aveva suonato il pianoforte e la chitarra per le loro canzoni o per i suoi pezzi da solista, le sue cover alla radio poi erano spettacolari. Inoltre era impossibile non riconoscere come Aiba chan riuscisse a riversare tutti i suoi sentimenti positivi e tutta la sua allegria in ogni cosa che cantasse, o che facesse! Per non parlare di Ohno che, per quanto silenzioso e riservato, metteva anima e cuore ogni volta che stavano sul palco: indubbiamente il miglior ballerino tra loro, e forse di tutta l'agenzia. Lui invece cos'aveva nel suo arsenale? Una bella faccia. Che gran soddisfazione!
Guardò fuori dalla finestra della sala relax degli studi televisivi, mettendosi la matita dietro l'orecchio: era una meravigliosa giornata d'autunno con gli alberi traboccanti di colori caldi sulle morbide foglie che presto sarebbero seccate per poi cadere. Stava esagerando, lo sapeva. Tanti professionisti invidiavano gli Arashi per avere Jun tra i membri per le sue capacità organizzative, per l'esperienza che si era fatto nel trattare con tecnici, conduttori e direttori di qualsiasi tipo, per il suo gusto nel preparare ogni cosa alla perfezione e... beh per la sua fama, indubbiamente superiore a quella degli altri quattro. Però quel giorno era in vena di autocommiserarsi e di sentirsi una schifezza: era sempre così quando si trovava davanti ad un foglio bianco, che fosse per la canzone di un album, per una campagna pubblicitaria o per l'allestimento di un concerto. Sbuffò e decise di andare a farsi un giro per i fatti propri dato che per quel giorno aveva finito le riprese. Mandò una mail a Sho avvisandolo che non sarebbe tornato in camerino, ma che li avrebbe raggiunti il giorno dopo in sala registrazioni, declinò gentilmente l'invito a pranzo di un registra suo conoscente che incrociò all'uscita degli studi e poi prese al volo un autobus, accomodandosi sul fondo, incrociando le braccia.
Osservò le vie di Tokyo da dietro gli occhiali da sole: erano colorate e piene di suoni, ogni cosa sembrava più chiara e visibile dopo che l'afa estiva era scomparsa e il freddo faceva sembrare l'aria più tersa, trasparente e pulita. Era tanto immerso nei suoi pensieri che dimenticò di scendere alla fermata che stava esattamente davanti al dipartimento dove studiava Kintaro. Scattò in piedi, ma era troppo tardi, le porte si chiusero e l'autobus ripartì. «'fanculo» imprecò a bassa voce, mordendosi il labbro inferiore, poi schiacciò il pulsante per prenotare la fermata successiva. Scese con uno sbuffo di fastidio e stava per avviarsi quando, mentre si chiudevano le porte alle sue spalle, sentì un urlo. «ASPETTI!» era il grido più soffocato e sofferto che avesse mai sentito. Raramente qualcuno faceva qualcosa del genere per strada quindi Jun volse lo sguardo per vedere chi fosse stato e individuò una figura che, una volta ripartito l'autobus, rallentò e si fermò piegandosi in due per il fiatone. Era probabilmente una studentessa. Sospirò, e avrebbe cominciato ad avviarsi verso la fermata precedente se quella non si fosse accasciata al suolo. Era ora di pranzo perciò non c'era molta gente in giro, erano tutte a qualche lezione -diabolicamente programmata in quell'orario- o nei locali vicini. Si decise quindi ad avvicinarsi di persona «Ehi, tutto bene?» domandò raggiungendola. Quella non rispose, fece solo un segno affermativo con la testa: era inginocchiata, con le braccia strette ai fogli che portava con sé e la borsa in tela, con i libri, abbandonata a terra dopo che le era scivolata dalla spalla. Continuava a respirare affannosamente e Jun si preoccupò perchè sembrava preda di un attacco d'asma. «Chiamo qualcuno?» chiese piegandosi a mettere una mano sulla spalla della ragazza «Non sembra che tu stia bene, ti accompagno da qualche parte... siamo davanti al dipartimento di medicina, avranno un infermeria» riflettè guardandosi intorno e vedendo le scritte sugli edifici universitari davanti alla fermata dell'autobus. Nuovamente ricevette un movimento del capo in risposta, stavolta di diniego, ma subito dopo vide il busto della studentessa piegarsi in avanti, improvvisamente, come se stesse per cadere a terra. Allungò un braccio per passarglielo davanti alle spalle e bloccare la caduta «Ehi, ehi... tu non stai bene!» ribattè cominciando a preoccuparsi sul serio. I fogli le caddero dalle mani, le aveva allungate per fermare la caduta, ma si avvinghiarono invece al suo braccio. Jun si risolse ad appoggiare un ginocchio a terra e mettere l'altra gamba, piegata, dietro di lei. «Mi senti? Respira a fondo ok? Con calma, intanto puoi appoggiarti a me. Va bene?» disse lentamente prima di far forza con il braccio per sollevarle il busto e riportarla lentamente in posizione eretta e poi leggermente all'indietro, così che si appoggiasse alla sua gamba e all'altro braccio, pronto a tenerle la testa se ce ne fosse stato bisogno.
«Tu?» fu la prima cosa che la studentessa riuscì a dire quando si appoggiò a lui: aveva ripreso un minimo di controllo sul proprio respiro. Era Shiori, la ragazza di Kintaro. Era gracile ma bellissima anche quel giorno, con il rosso dei fiori del vestito che ben si intonava alla stagione che avvolgeva la città, i boccoli neri che sembravano copiare l'arricciatura della gonna. «Sono sorpreso quanto te» replicò con una smorfia. In un primo momento aveva sentito riaffiorare i sentimenti spiacevoli che aveva provato per lei la sera della festa, poi il respiro ancora faticoso della ragazza lo fece riflettere rapidamente: che gli piacesse o no, quella donna aveva bisogno di un aiuto. «Come ti senti? Ti stai riprendendo o devo andare a cercare qualcuno?» la osservò chiudere gli occhi. Erano talmente vicini, talmente a contatto, che avrebbe potuto baciarla e farlo passare per un incidente, una perdita di equilibrio, un movimento mal calcolato. Scacciò quel pensiero e seguì i movimenti della giovane che tentava di rimettersi dritta e mantenersi da sola. «No, adesso mi rialzo» rispose con un soffio di voce. Lentamente, in tre buoni minuti e con il suo aiuto, tornò in piedi. «I fogli» la ascoltò lamentarsi mentre guardava a terra con una smorfia
«Lascia stare, te li prendo io se mi dici che riesci a stare in piedi senza che mi debba preoccupare di acchiapparti al volo» la rassicurò Jun: fingeva perchè voleva che li raccogliesse lui o quell'aria sofferente era autentica? Lei annuì e lui si abbassò a raccoglierli. «Grazie, scusa...» non l'aveva mai sentita ringraziare nessuno la sera che si erano conosciuti. Jun per primo era una persona riservata quindi raccolse i fogli senza far caso a cosa fossero, ma quando si accorse che alcuni erano lastre non potè fare a meno di incuriosirsi. «Ma non studiavi storia?» domandò riconsegnandole il tutto
«Sì, perchè?» chiese quella con voce tremante. Doveva ammetterlo: in tutto quel discorso non c'era ancora una frase che gli sembrasse costruita come quelle che le aveva sentito dire alla festa. «Scusa, è solo che ho visto delle lastre e pensavo di aver capito male, che facessi medicina e non storia» e a quelle parole la vide stringere nuovamente i fogli, una luce di paura e d'ansia le attraversò gli occhi neri. «Non sono affari miei» concluse Jun, messo a disagio
«Credo che mi siederò alla fermata ad aspettare il prossimo autobus. Scusami ancora» azzardò un lieve inchino e coprì con passo incerto lo spazio tra lei e la banchina dell'autobus. La osservò sistemare i fogli sulle gambe e tirare fuori un maglioncino arancione dalla borsa mentre ci passava sopra una mano per ripulirla dopo la caduta. Si appoggiò alla panchina della fermata e, respirando profondamente, strinse ancora i fogli al petto, rimanendo immobile. Sembrava un quadro o una foto per pubblicizzare... l'autunno! Era bella.
Tornò due minuti dopo porgendole un bicchiere «Prendilo dai bordi, scotta» le intimò guardandola corrucciato. Non era propriamente d'accordo con la parte di se stesso che aveva deciso di continuare ad aiutarla. «Cos'è?» domandò lei arricciando il naso
«Latte macchiato con molto zucchero: se hai avuto un capogiro ti farà bene qualcosa di dolce» spiegò, sempre più contrariato, ma dando al suo tono più neutralità possibile
«Non mi piace il caffè» ribattè lei girando lo sguardo dall'altra parte, chiaramente rifiutando la gentilezza che lui invece stava cercando di mostrarle a fatica «Era meglio un te»
«Vedo che stai meglio a sufficienza per riacquistare quell'atteggiamento snob e capriccioso che ancora non ti avevo visto usare oggi» la accusò non riuscendo a trattenersi davanti a quella scortesia
«E tu hai finalmente mostrato la tua insofferenza nei miei confronti. Non ho bisogno della tua ipocrisia» replicò quella a tono, volgendosi di nuovo a guardarlo. Quelle parole dure furono un'autentica sorpresa per Jun, era convinto avrebbe continuato a fingersi carina e a fare i capricci invece si era appena mostrata esattamente per ciò che era. Nei suoi occhi neri brillava una luce che rivelava una forza incredibile racchiusa in quel corpo sottile. «Non sono ipocrita» fece Jun, sbalordito ma sempre irritato
«Uno che fa il gentile con chi gli sta antipatico io lo classificherei proprio così: ipocrita» puntualizzò Shiori
«Allora sei l'ultima che può rimproverarmi una cosa del genere: tu sei costantemente ipocrita» si vendicò lui, ancora con il bicchiere caldo tra le dita
«Come scusa?» arrossì in viso
«Tratti bene la gente intorno a te, ma non ti interessa di loro, vuoi solo sfruttarla per qualcosa: farti versare da bere? Far aprire la finestra? Approfitti del tuo bell'aspetto e del fatto che tutti i ragazzi farebbero qualsiasi cosa per te» le spiegò pacato «Oh stai tranquilla! Lo nascondi benissimo, si potrebbe dire che i tuoi sorrisi siano sinceri, le tue parole gentili e genuine e il tuo interessamento per gli altri autentico» cominciava a prenderci gusto a schernirla in quel modo, soprattutto ora che, davanti a quella verità, chinava il capo e sembrava abbassare le orecchie come un cagnolino sgridato. «Dubito che Kinta kun se ne sia reso conto comunque. Io invece... non so... sono sempre stato molto sensibile: sono bravo ad intuire la natura delle persone. E adesso prendi questo accidenti di bicchiere prima che mi bruci le dita!» ordinò con forza nella voce, esasperato dal calore attraverso il cartone. Inaspettatamente la ragazza ubbidì e prese il bicchiere senza ribattere. Con un sospiro Jun le sedette accanto: forse aveva esagerato, infondo era una sconosciuta per lui e non aveva il diritto di accusarla su come si comportasse quotidianamente, eppure non poteva sopportare che una così meschina stesse al fianco di una brava persona come Kintaro. Per quanto fosse di buon cuore non poteva anche essere così sprovveduto da non vedere il poco riguardo con cui la sua fidanzata trattava lui e quelli che aveva intorno! Ma nessuno lo notava, né le amiche, né i ragazzi... era brava. «Le ragazze che mi si avvicinano solo per interesse sono migliori di me?» domandò improvvisamente lei, ancora non aveva toccato la bevanda «E quelle che mi sono amiche solo per essere notate al mio fianco? O i ragazzi che tentano di prendermi le mani, toccarmi i vestiti, solo per potersene poi vantare... mi fanno schifo» spiegò con una smorfia «Ma tu... tu sei peggio di tutti. Chi ti credi di essere per permetterti di giudicarmi? Oh già... Matsumoto Jun» pronunciò il suo nome con tono disgustato prima di versargli il latte macchiato caldo sulla gamba e lanciargli addosso il bicchiere vuoto. Salì al volo sull'autobus che era arrivato in quel momento mentre Jun rimase senza parole, in parte perchè quell'aggressività l'aveva spiazzato, in parte perchè era rimasto scottato dal latte. Osservò l'autobus finchè non lo vide svoltare un angolo: la ragazza non si girò mai a vedere la sua reazione. Probabilmente non le interessava nemmeno, era soddisfatta semplicemente di avergli risposto a tono e di aver avuto l'ultima parola!
Minuti dopo, mentre tornava a casa in taxi, dato che non poteva girare con i pantaloni e la scarpa gocciolante, gli squillò il telefono. «Pronto?»
{Ciao Jun, sono Kintaro}
«Ciao! Oggi ero passato dall'università per venire a trovarti, ma alla fine non ci sono riuscito»
{Sì, ho saputo} fece quello con voce greve. Non era un buon segno «Ti ha chiamato Kumagawa san?» domandò laconico
{Sì, mi ha raccontato tutto}
«Senti Kintaro kun... mi dispiace. Ho esagerato con lei, mi spiace sul serio. Non si ripeterà più e comunque credo che non ci saranno molte occasioni di incontrarla, quindi puoi stare tranquillo»
{Sì... non c'è da preoccuparsi} gli rispose blando
«Però siamo amici. Mi spiace doverlo dire, ma non capisco cosa ci fai con una così. Non posso dire di conoscerla, chiaramente, ma, scusami, non ci vogliono mesi di frequentazione per capire che non è una persona sincera con gli altri» gli disse, dentro di sé ancora sperava che Kintaro si rendesse conto del tipo di persona con cui stava: a Jun non serviva frequentarla per capire che non era adatta all'amico. {Senti Jun, lei non è come credi tu. So cosa le hai detto, ora è arrabbiata, ma la calmerò io. Tu però credimi: lo so che sembra una persona strana, che sembra...}
«Sembra indossare una maschera, Kintaro!» esclamò esasperato «Ma nessuno se ne accorge, possibile che nemmeno tu la veda?»
{No, Jun, la vedo benissimo. Per quello non dico niente} gli rispose quello dall'altro capo del telefono
«Non ti capisco allora»
{Tu meglio d'altri dovresti sapere che le persone portano più di una maschera, spesso una sopra l'altra}
«C'è dell'altro che non so?» domandò sempre più confuso
{Ha... ha i suoi motivi, Jun. Non giudicarla, per favore. Ora devo andare, ci sentiamo} spiegò mentre delle voci dietro di lui lo chiamavano
«M-mh» mugugnò semplicemente, prima di chiudere la conversazione. “Tu meglio d'altri”. Kintaro era uno dei pochi a saperlo: Jun ai tempi della scuola era diverso da quello che era diventato dopo l'incontro con il gruppo, era il ritratto vivente di quello che poi era diventato il personaggio che gli era stato assegnato da impersonare davanti al grande pubblico in veste di Matsujun, degli Arashi. Quel personaggio era magnetico, silenzioso, riservato, ma anche scorbutico e ombroso. Al tempo però non era una finzione, era lui che si comportava così con tutti: era un Johnny's Junior, la gente lo avvicinava per quello e non per altro e così aveva assunto quell'atteggiamento per allontanare le persone che in realtà non erano interessate a lui ma solo al suo successo, al suo futuro sotto i riflettori. Anche se solo un ragazzino aveva capito che non poteva mostrarsi sgarbato, rischiando di influenzare negativamente il suo pubblico, quindi aveva indossato una maschera di fredda gentilezza e di pura circostanza oltre la quale la gente percepiva una seconda maschera, silenziosa, scostante e sfuggevole, dalla quale non si poteva percepire nulla della sua vera personalità. Sotto ancora si era nascosto un Jun ragazzino alla disperata ricerca di qualcuno che lo apprezzasse semplicemente come essere umano e non per quello che rappresentava o avrebbe rappresentato. Solo gli Arashi e pochi altri erano arrivati fino a quello “strato” di sé. Con Kintaro inizialmente erano diventati amici proprio perchè non era mai stato interessato a scoprirlo, ma solo ad avere un amico, indipendentemente dal suo essere famoso o meno, e lo trattava come tanti altri: allora gli aveva dato l'illusione di aver trovato qualcuno che finalmente lo capisse, ma inizialmente nemmeno Kintaro aveva percepito le sue maschere. Con gli anni si erano conosciuti meglio e l'amico si era reso conto di non conoscerlo affatto, così, con pazienza, aveva scavato in lui fino a scoprire il vero Matsumoto Jun.
“Tu meglio d'altri”. Significava che anche quella ragazza stava nascondendo altri sentimenti dietro il disprezzo per chiunque che, a sua volta, era nascosto sotto una falsa gentilezza?

artist: arashi, main:jun, ff:[type]one shot, ff:[language]italiano

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