[Sherlock Homes] L'accento di un passo

Jan 27, 2010 23:21

Titolo: L' accento di un passo
Fandom: Sherlock Holmes (in teoria i libri)
Personaggi: Holmes, Gladstone (sì, è un personaggio, bello ciccione bavoso del mio cuore!)
Prompt: “Il Paradiso non è più lontano” di Emily Dickinson @ holmes_ita
Rating: G
Conteggio Parole: 500 (con la citazione)
Riassunto: Holmes, ovviamente, sa riconoscere ogni passo che s'inerpica sulla scale dell'appartamento al 221B di Baker Street.
Note: POV di Sherlock Holmes. Mrs Hudson è la proprietaria e affittuaria dell’appartamento di Baker Street. Gladstone è il bulldog di Watson. Citazione da “Il mastino dei Baskerville”. Possibili errori rispetto al canon.



Il Paradiso non è più lontano
Della camera accanto
Se in quella camera un amico attende
Felicità o rovina
Che forza c’è nell’anima
Che riesce a sopportare
L’accento di un passo che si appressa
Una porta che si apre.
(“Il Paradiso non è più lontano” di Emily Dickinson)

Tra le tante capacità che un esperto di criminologia deve saper mettere a frutto, un posto importante spetta senz’altro al riconoscimento dei rumori: la fonte, la provenienza, la propagazione e così via. Nei lunghi anni della mia permanenza in Baker Street imparai a distinguere il passo di un amico da quello di un cliente. Udire un passo sulle scale ha sempre suscitato in me un’attesa carica di drammaticità: il fato si fa scricchiolio dello scalino sotto il peso di ignoti, essi porteranno gioia o sciagura nella nostra vita, ma non ci è dato saperlo in anticipo.
Quando, invece, si trattava di passi già noti, il divertimento stava nel comprendere quale conoscenza risaliva le scale fino al mio salottino. Tra molti, uno, in particolare, riusciva a catturare la mia più totale attenzione, anche quando era la terza o quarta volta nella stessa giornata che lo udivo: il tonfo di una suola di buona fattura, robusta, adatta a lunghe camminate in città, accompagnata dal picchiettare di un bastone da passeggio, usato e non più in ottime condizioni, mi faceva intuire, fin dal primo gradino, l’arrivo del mio amico, il dottor Watson.
Anche Gladstone, che certo non si poteva ritenere un cane di una qualche utilità per un criminologo, alzava la pesante testa dal tappeto e scomodava il suo grasso e lento corpo fino alla porta, dove attendeva paziente che il dottore varcasse l’uscio.
La scarpa saliva il primo gradino, poi si arrestava per un attimo o due (i dovuti saluti a Mrs Hudson), quindi continuava la sua ascesa. A causa della vecchia ferita di guerra la falcata di destra era leggermente più profonda, produceva un suono basso, grave; laddove la sinistra, appena più lieve, emetteva un mezzo tono più alto; seguiva la punta del bastone che assomigliava vagamente ad un gong di piccole dimensioni. Si creava, così, una sorta di breve e grottesco concertino: le scarpe, con l’accompagnamento del bastone, suonavano il legno logoro delle scale. Marcetta militare e gioviale al contempo.
Watson saliva con passo svelto e sicuro la strada arcinota, e io sapevo se portava buone o cattive notizie da come aumentava o rallentava l’andatura all’altezza del quintultimo gradino. Lì, per un motivo che non ho mai chiarito del tutto, il buon dottore cambiava l’andatura, come se solo all’altezza del quintultimo gradino avesse preso la sua decisione: scelta l’arma migliore, sorriso o severo rimprovero, affrontava il suo bizzoso coinquilino, che sarei io.
Il passo infine sostava un breve secondo davanti alla porta, già Gladstone accennava un lieve scodinzolio della sua inesistente coda ritorta, e io afferravo il primo oggetto a portata di mano, il Times o la pipa, non importa, per non lasciargli pensare che ero lì ad attendere il suo ingresso.

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