Titolo: Mura di cartapesta
Fandom: DC Comics
Personaggi:
OC: Allan Wilson/
Mar'i Grayson/
Ibn Al Xu’ffasch (piccolo accenno Allan/Lena Luthor)
Beta:
cialy_girlRating: PG16
Prompt:
Perduto (15 febbraio) -
fanfic_italiaParte: 1/1
Parole: 1.808
Disconoscimento: Nulla è mio, non ci guadagno, semplice divertimento. Allan mio.
Note: - AAAAAAAAAAANGST *felice*
- Mar'i Grayson è la figlia di Dick Grayson e Starfire.
- Ibn Al Xu’ffasch è figlio di Bruce Wayne e Talia
- Lena Luthor è la figlia di Lex Luthor e della Contessa *_*
- Allan è amore ù_ù
La prima cosa a cui Mar’i pensa è che le mura di quell’albergo sembrano fatte di cartapesta. Per tutto il giorno ha dovuto sopportare le chiacchiere e le litigate di Allan e Leonor nella stanza accanto, sentendoli talmente bene da avere l’impressione che si trovassero in camera sua.
La seconda cosa è il letto che cigola, enfatizzato dal silenzio della notte - perché no, Boston decisamente non è Gotham City.
La terza è che deve ad ogni costo soffocare i gemiti: non vuole pronunciare il nome del suo ragazzo, non vuole perché c’è solo un muro di cartapesta a dividerla dal suo amante, ma Al rende tutto più difficile con la bocca che le succhia la pelle del collo e il bacino che sfrega contro di lei. Poi le sue mani cominciano ad accarezzarle il viso, scendono giù per il seno, e quando si infilano nelle sue mutandine Allan diventa un piccolo dettaglio disperso da qualche parte nella sua mente, un insulso ricordo del passato. L’ultimo pensiero è una domanda: si chiede se anche ad Allan sembri di avere lei e Ibn nella sua camera da letto.
La differenza principale tra il suo ragazzo - Ibn Al Xu’ffasch - e il suo amante - Allan Wilson - è il sonno. Al dorme pesantemente ed è difficile svegliarlo, cosa che gli è costata parecchi rimproveri da Bruce, perché rischia di non avvertire la presenza di un nemico; Allan al contrario non dorme mai, giusto due o tre ore a notte - così dice lui, Mar’i non ricorda una sola volta di averlo visto addormentato.
Quindi, quando il respiro di Ibn si fa pesante, Mar’i non si fa problemi a scivolare via fuori dalle lenzuola, infilare una maglietta a caso - una di quelle troppo larghe e troppo lunghe, probabilmente una maglietta di Ibn - e ad uscire dalla stanza, per bussare alla porta accanto.
Allan è sopra il davanzale della finestra, lo sguardo perso davanti sé.
“Ehi…” gli si avvicina cauta, quasi spaventata da quella che potrebbe essere la sua reazione. “Al…?”
“Chiami anche lui così.” La voce tradisce una certa dose di rabbia, e considerando che il mezzo demone è stato allenato a controllare le sue emozioni fin da bambino, le cose devono essere peggio di quanto la ragazza creda.
“È il mio fidanzato…” prova a difendersi, ma sembra che si stia scusando. “Non c’è nessun motivo per cui non debba passare la notte con lui.”
“Il motivo sono io.”
Adesso che Allan scende dal davanzale, adesso che comincia ad avvicinarsi, Mar’i nota le pupille prendere una colorazione rossastra.
“È il mio fidanzato.” Afferma, con convinzione, le spalle ben dritte e la voce sicura. Allan si ferma un secondo, forse colpito dalla fermezza dimostrata, ma riprende subito a camminare verso di lei. Quando le mani si posano sui suoi fianchi lo lascia fare, quando la guida contro il muro lo lascia fare, quando le infila la lingua in bocca prova a pensare a Ibn, a dirsi che deve spingerlo lontano, a tenere a mente che non è giusto, e invece lo lascia fare.
Perché quella decisione era solo una maschera, ed Allan lo sapeva bene.
Dopo il sesso con il suo amante, Mar’i ha i capelli scompigliati e l’umore sotto le scarpe. L’unica cosa che vorrebbe fare è tornare in camera sua, infilarsi sotto le coperte e dormire. Apre la porta, chiude la porta, guarda verso il letto ed Ibn non c’è. È seduto sulla sedia, sul volto un’espressione incredibilmente simile a quella che aveva Allan.
Le pareti di cartapesta.
Resta immobile, infreddolita e terrorizzata, gli occhi fissi sul suo fidanzato che, invece, non la degna di uno sguardo. Cerca di attivare il cervello nella vana speranza di trovare una soluzione, peccato che quello sembra essere andato completamente in tilt, e una soluzione per uscire da questo - da tutto questo - non c’è.
“Per favore,” comincia lui, “Fatti una doccia prima di tornare a letto. Odio che tu abbia il suo odore addosso.” Poi torna sotto le coperte, senza mai incrociare i suoi occhi.
Dopo un po’ si rende pienamente conto di cosa stia succedendo. È passato troppo tempo e né Allan né Ibn hanno intenzione di sopportare ancora questo triangolo in cui lei li ha trascinati. Probabilmente, avevano perso la pazienza molto tempo fa, e dovevano aver aspettato parecchio nella speranza che Mar’i si decidesse una volta per tutte. Poi hanno capito che lei non avrebbe mai scelto proprio niente, e che, di conseguenza, dovevano risolverla da soli.
Ragazzi normali si sarebbero presi a pugni, o almeno insultati; quei due invece hanno cominciato una gara di resistenza - dover sopportare i succhiotti che l’altro lascia sul corpo di Mar’i, i baci in pubblico, gli abbracci, e gli sguardi. Non capisce bene come si possa sistemare una situazione del genere con questo metodo, ma se dovesse metterci becco finirebbe con le spalle al muro e con la terribile scelta da compiere: o lui o me.
A questo Mar’i non vuole arrivare. Non vuole davvero.
Ibn Al Xu’ffasch mette il lavoro davanti a qualsiasi cosa, spesso anche davanti a lei, non capisce mai quando Mar’i è di cattivo umore, o, quando se ne rende conto, ignora totalmente la cosa, forse reputando normale che la vita non sia tutta rose e fiori, trova le tradizioni tamariane sciocche. È freddo, certe volte incredibilmente distante, sempre preoccupato di fare la scelta giusta e di essere il degno figlio di Batman, ossessionato dalla cattura di suo nonno, prende tutto sul serio, parte in missioni che lo tengono lontano da casa per mesi senza mai chiederle cosa ne pensa.
Lascia che lei spulci tra i suoi documenti, si fa aiutare nei casi chiedendo spesso e volentieri il suo parere, l’ammira moltissimo e glielo ha detto, adora accoccolarsi vicino a lei e gli piace la sua compagnia in generale. Passa insieme a Mar’i tutto il tempo che non usa per lavorare, sorride solo a lei in un certo modo e parla poco ma le ha detto ogni cosa riguardo alla sua vita, l’ascolta sempre quando ha un problema.
Allan Wilson non vuole assolutamente che Mar’i lavori con lui: ogni crimine avvenuto nella sua città è un problema dei Teen Titans, e i crimini avvenuti a Gotham non lo riguardano. La notte resta con lei giusto il tempo di farla addormentare, e quando si sveglia non lo trova mai al suo fianco - sempre sul tetto a meditare, o in cucina a preparare la colazione. Le nasconde molti segreti, qualcosa che davvero non ha voglia di rivelarle - dà l’idea di un gatto ferito, incapace di fidarsi di nuovo, e Mar’i ha l’impressione che Lena Luthor c’entri qualcosa. Le parla raramente ma quando attacca è tutto un bla bla bla, che di solito mira a farla ridere, riuscendoci. È sempre gentilissimo, la coccola e la vizia come pochi, ogni volta che percepisce il malumore di Mar’i si fa in quattro per rallegrarla, portandola in giro o raccontandole aneddoti sugli abitanti della Torre. Rispetta tutto quello in cui lei crede, la lascia parlare anche quando in realtà non sta dicendo nulla, non è mai invadente o gratuitamente crudele, e la sua presenza riesce sempre a calmarla.
La persona che più temono è la stessa che vedono ogni mattina riflessa nello specchio. Hanno il terrore di farle del male e di passare dall’altra parte, forse perché ne sono visibilmente attratti - ma Mar’i sa per certo che due persone del genere non possono diventare malvagie.
Però; è quel pugno di troppo a un semplice spacciatore, l’odio che prova, i movimenti secchi e il fatto che non la consideri più di tanto, in quei momenti, la mano posata sul coltello custodito nella cintura,
sono gli occhi di Allan che diventano rossi, è la sua voce che cambia tono diventando più cupa, il suo sorriso che svanisce,
sono questi i dettagli che le hanno permesso di comprendere quanto le loro paure siano fondate.
Sono queste i dettagli che di loro, la spaventano.
Giorni dopo è seduta al tavolo con Ibn, pranzano nel ristorante dell’hotel, poco lontani Allan e i Titani. È infuriata e spera che lo capiscano, si sente un giocattolo conteso da due marmocchi - sempre meglio del dover scegliere, ma nemmeno questo è il massimo.
Poi tutto finisce. Sta semplicemente chiacchierando con il suo fidanzato quando lui, sorridendo, le accarezza la guancia. Si sente il rumore di una sedia, con la coda dell’occhio vede Allan alzarsi rapidamente e uscire, visibilmente scosso.
“Vado un attimo…” cerca una scusa, non la trova, lascia perdere e semplicemente esce dall’hotel - Ibn non ha detto una parola, ma sembra quasi sollevato, come se avesse capito.
Allan sta fumando una sigaretta, e lo fa solo quando è terribilmente nervoso. Appena sente i suoi passi, dice: “Lo ami.”
“Amo anche te. Insomma…” risponde, in fretta, per la prima volta si sente terribilmente in imbarazzo e in colpa.
Il mezzo demone comincia a camminare, ancora più agitato. “L’ho avvertito bene, questa volta. Non l’avevo mai percepito con questa intensità.” Non ha la minima idea di cosa stia parlando, ma fermarlo non le sembra una buona idea. “Di solito tu sei sempre molto confusa, è difficile distinguere quello che provi tra tutto l’ammasso di emozioni che ti porti dentro.” È solo un dettaglio, ma Mar’i nota che Allan, ultimamente, non sorride più. “Chiaro. Era tutto chiaro. Lo ami.” Si ferma, per piantarle gli occhi addosso.
“Io…”
“Più di quanto ami me.”
Il silenzio arriva e la ragazza non ha la minima idea di come distruggerlo, o se debba farlo. Allan prende la sigaretta tra le labbra, lascia uscire il fumo e distoglie lo sguardo dal suo. Vorrebbe dire qualcosa, davvero, ma non trova nulla che possa salvarli.
Sono passati cinque giorni e fin’ora nulla è andato storto. Stranamente aver perso Allan così all’improvviso le ha impedito di soffrire, ancora non ha assorbito bene la notizia.
La quinta notte, le mura di cartapesta le sbattono in faccia la realtà sotto forma di gemiti, il nome del suo (ex) amante che viene detto da un’altra voce, il letto che cigola.
Sente il suo corpo irrigidirsi, gli occhi che si spalancano. Probabilmente, il dolore che avverte è lo stesso che hanno provato loro per molto tempo, e Mar’i non capisce da dove diavolo abbiano preso tutta quella forza per resistere. Stringe le coperte con una mano e si porta l’altra alla bocca, cercando di non piangere, perché le pareti non nascondono nulla e di fianco a lei dorme il suo fidanzato.
Ma le lacrime arrivano comunque, e con loro i singhiozzi. Ci prova davvero a soffocare i lamenti ma è tutto inutile. La mano di Ibn le sfiora la spalla.
“Mar’i?”
L’abbraccia stringendola forte a sé, dandole baci leggeri sul collo per tranquillizzarla,
e il cigolio continua.
Forse dovrebbe sentirsi fortunata, considerando che il suo fidanzato la sta consolando dopo essere stata lasciata dal suo amante.
Ma Mar’i non si sente fortunata, per niente.