Chi: Nathan, Peter
Dove: Casa Petrelli
Cosa: Peter è tornato dal suo "ritiro" per impare a dominare i propri poteri, Natale è alle porte e Nathan non è cambiato di una virgola.
Quando: Lunedì 24 Dicembre 2007. Tarda mattinata. Pomeriggio. Sera. Notte.
Stato:
Finito (
La prima lezione che Nathan Petrelli avesse mai appreso nella sua vita di adulto era che i panni sporchi si lavano in famiglia )
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Questo avrebbe fatto, se non avesse avuto la capacità di sentire forte e chiaro i pensieri di Nathan, come fossero parole.
Aggrottò le sopracciglia, ancora più confuso (e la confusione stava cominciando a irritarlo), e ignorò le parole per concentrarsi sui pensieri.
"Di cosa stai - che cosa stai pensando? Cosa c'è da accettare? Dimmelo, Nathan."
E quello che Peter stava cominciando a pensare? Gli piaceva ancora meno di quello che stava pensando suo fratello.
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"Non adesso, Peter. Ne parliamo domani con calma. E senza tutta questa gente intorno. Okay? E perdio, smettila di fare quella cosa" sibilò, a denti stretti. "Non sono un juke-box."
Smettila di leggermi nella testa smettila di leggermi nella testa smettila di leggermi nella testa Dio sa che non ti voglio mentire ma smettila perché non sono in grado di controllarmi adesso.
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Peter non si rendeva davvero conto di stare alzando la voce. Non proprio. Ma se continuava ad alzarla, Nathan avrebbe preferito rispondergli piuttosto che essere fissato da duecento persone perchè suo fratello gli stava gridando nelle orecchie, no?
"Nathan, devi dirmelo."
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La situazione non era così grave adesso, ma Nathan era sicuro che Peter l'avrebbe presa peggio. Molto peggio.
Sospirò, non sapendo neanche da che parte cominciare. Cercò di ordinare i pensieri in una sequenza coerente.
Non possiamo farlo, Peter. Non ora. Non con... con la gente che c'è là fuori, pronta ad entrare nel panico e spararti un colpo in testa. Ci braccheranno, Peter. Come bestie. Come mostri. Tu non ti rendi conto...
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"Ma che cosa diavolo pensi, Nathan? Perchè -" abbassò la voce, ma dopo cinque parole era di nuovo sul punto di gridare. Dopo dieci, stava effettivamente gridando.
"Perchè pensi una cosa del genere. Come potrei non rendermi conto della situazione? Non è proprio per evitare il panico che persone come Sylar sono state eliminate, che avevamo stabilito che anche TU, Nathan ti saresti-"
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L'intera tavolata si zittì come un sol uomo, e a Nathan sembrò che l'aria tutt'intorno si facesse così pesante da togliergli il respiro. Si guardò intorno per un secondo, spaesato (spaesato in casa sua, coi suoi ospiti, con la sua famiglia. Dio, questo faceva male).
"Scusate. Non è niente. Torniamo subito."
Afferrò Peter per un braccio e lo trascinò fuori dal salone, fuori dall'atrio, fuori dalla villa, in giardino. Faceva freddo, ma non aveva importanza. Non lo lasciò fino a quando non furono arrivati a distanza sufficiente da coprire le urla e sperò che stavolta, almeno, Peter riuscisse a non esplodere.
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Una volta, pensando a questo, aveva pensato che anche Nathan gravitasse attorno a lui. E che, se era così, giravano sempre, non facevano altro che girare.
Aveva creduto che quando avevano salvato New York insieme, avessero colliso. Che quello era stato il momento.
Un'altra volta si era detto che, invece, quella cosa successa nel nulla (e che doveva rimanere sotto silenzio per sempre e sempre), era stata la loro collisione ( ... )
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"Proprio perchè sono successe queste cose dobbiamo fare qualcosa. Il mondo non sta cambiando in meglio, e non pensare che non lo sappia. Noi dobbiamo cambiarlo in meglio. e non mostriamo alle persone che non siamo quello che credono, come possiamo sperare che non ci trovino e ammazzino tutti in ogni caso?! Non voglio stare seduto a guardare, a ignorare che succedano queste cose! Non ne sono capace. Pensavo che neanche tu fossi capace, Nathan. Non mi hai lasciato esplodere, non hai mai lasciato che le cose succedessero e basta. Perchè questa volta è diverso? Di COSA hai paura?"
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"Il mondo non va così, Peter. Non puoi ragionare con una persona terrorizzata. Puoi solo uccidere o aspettare che ti uccida, ed è quello che dobbiamo evitare! Ma come fai a non capire? Non possiamo farlo, non adesso! Forse tra un anno, cinque, dieci, ma non adesso! Il mondo non è pronto. E se nel frattempo deve morire un'altra manciata di persone perché non è stata in grado di controllare i propri poteri o ha avuto la sfortuna di trovarsi troppo vicino, mi dispiace, Peter, ma evidentemente l'evoluzione è stata ingiusta con loro: che se la prendano con lei. Io devo pensare alla mia famiglia."
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Si fermò un secondo e imprecò, frustrato. Nathan era stato un avvocato, lo era stato per troppo a lungo. Era dannatamente cieco e lo era sempre stato. Peter aveva voglia di prenderlo a pugni finchè non capiva quanto fosse importante per Peter, che ora, in questo tempo e in questa città le cose potessero essere cambiate - e che loro facessero la differenza.
Nathan era incluso. Nathan era sempre incluso. Peter non voleva fare questo senza di lui. Ma se doveva, l'avrebbe fatto. Non sarebbe stata la prima volta.
"Siamo tutti collegati, Nathan. Tu puoi essere egoista abbastanza da pensare alla tua famiglia, che per metà non conosci e per metà detesti. Io non riesco a farlo! Tu sai voltare la testa e fare finta che le cose non stiano succedendo, che non siano successe -" lo guardò dritto negli occhi, perchè Nathan sapeva a cosa si stava riferendo.
"Se io so, e se io ricordo, non posso - ( ... )
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Lo strinse un po' più forte a sé, guardandolo negli occhi. "Nella mia famiglia ci sono cinque persone, Peter. Se tu non ne vuoi più fare parte non hai che da dirlo. Se vuoi mandare al diavolo tutti noi come hai fatto con papà devi solo dirlo. Dimmelo in faccia. Adesso."
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"Io non ho mandato al diavolo papà, Nathan. Non gli sarebbe importanto comunque, anche se l'avessi fatto! Sai meglio di me che lui non ha saputo che farsene di me dal giorno in cui sono nato, e questo non è mai cambiato. Non si è mai preoccupato di me."
Respirò forte, passandosi una mano sulla faccia, poi si avvicinò al viso del fratello, finchè le loro fronti non furono sul punto di toccarsi.
"Che differenza farebbe, Nate, se lo dicessi? Non saremmo più una famiglia, allora, uh? Sarebbe abbastanza?"
Guardami.
"Perchè non puoi fidarti di me, Nathan?"
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Poi si staccò da lui e fece due passi indietro. Stava iniziando a nevicare e faceva un freddo cane.
"Io mi fido di te, Peter. Quella volta, pensavo che sarei morto e tu mi hai salvato la vita. Ti affiderei i miei figli. E' della tua capacità di giudizio che non mi fido, perché quando hai un'idea in testa non vedi nient'altro. Non vedi neppure le persone. Quando hai un chiodo fisso, per te c'è posto solo per te stesso e la tua... patetica missione visionaria." Si umettò le labbra, secche come carta vetrata. "Sei mio fratello e ti amo, ma non posso lasciartelo fare. Non stavolta. Non con il rischio di rovinare tutto." La mascella si serrò con uno scatto. "Dovessi incatenarti con le mie mani di nuovo in quel fottuto bunker in mezzo al
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"Ti stai sbagliando, Nathan. Su di me, sul mondo, sulla missione. Su tutto. E io non posso lasciare che tu mi fermi. Se devo svanire dalla tua vita per fare quello che devo fare, lo farò. E se tu devi sentirti dire che non sono più parte della tua famiglia, perchè tu mi lasci andare, farò anche quello."
E Peter sapeva che era inutile pensare ti prego, ti prego, dimmi che andrà tutto bene e che sei con me, perchè Nathan non poteva entrargli nella testa, nè avrebbe cambiato idea - era Nathan. Nathan non cambiava idea. L'aveva fatto una sola volta nella vita, per lo 0,07% della popolazione mondiale e per lui - e Peter sapeva che era troppo aspettarsi di essere di nuovo la causa di un tale evento.
Dio, aveva voglia di spaccargli la faccia e di abbracciarlo di nuovo. Non necessariamente in quell'ordine.
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