Titolo: La casa degli spigoli
Fandom: Jeeves & Wooster
Pairing: Bertie/Jeeves
Rating: PG13
Conteggio Parole: 2266 (W)
Note: Questo racconto partecipa alla
V Disfida di
Criticoni (Aquilotti del Cielo FTW ♥), sottobando
Sfortunato, di nome e di fatto. La fic è stata scritta tra l'una e le due di notte dopo lunga disperazione e mancanza di tempo, metà con gli occhi a palla di fronte al pc e metà rannicchiata come uno scarafaggio alla luce di un cellulare. È quello che è.
I. In cui si discute dell’onore dei Fotheringay-Phipps
Fu con una decisione del tutto nuova che quella sera infilai la chiave nella toppa e varcai la porta del mio appartamento. Avevo passato una magnifica serata al Drones Club, e lì un certo racconto con cui Barmy aveva tenuto banco per ore mi aveva fatto venire un’improvvisa illuminazione.
Barmy si era fidanzato. Quale donna potesse decidere di buttare al vento la libertà del nubilato per incatenarsi mani e piedi a un tipo come Barmy, è al di là della mia comprensione, ma questa è la storia. La fanciulla, un “fiore di campo di nome Lily” (no, non era una battuta), apparentemente era stata conquistata dalla sua dichiarazione d’amore. Tale dichiarazione era avvenuta così: all’angolo sinistro immaginate Barmy Fotheringay-Phipps, in una mano un mazzo di fiori e nell’altra una canna da pesca (le ragioni della canna da pesca meriterebbero una storia a parte e le tralasciamo); all’angolo destro abbiamo Lily Bicester-Bicester, che avanza dal fondo del corridoio completamente ignara di quello che sta per colpirla.
Barmy dovrebbe posare la canna da pesca, ma dimentica di averla in mano, e nel frattempo le sue gambe hanno iniziato a muoversi e non c’è modo di fermarsi prima di finire faccia a faccia con la ragazza. A quel punto - e qui Barmy ci pregò tutti di immaginare la scena e tutti ci impegnammo per non farlo - a quel punto Barmy Fotheringay-Phipps, noto per aver baciato una sola ragazza nella sua vita, l’ottuagenaria Lady Chatfield, durante una mal pianificata incursione nella camera da letto di Bobbie Wickham, a quel punto dicevo, Barmy getta per aria capra e cavoli, o per meglio dire fiori e canna da pesca, e presa Lily tra le braccia la dà un bacio della durata certificata di cinque minuti. (C’è un giro di scommesse, al club, tra chi crede che il bacio sia fallito e piuttosto Barmy e fiancée si siano dati una solenne testata e siano rimasti svenuti per tutto il tempo.)
Ragazze più tradizionaliste o schizzinose avrebbero forse rifilato al povero Barmy una cinquina da tre tonnellate, ma non così la dolce Lily, futura signora Fotheringay-Phipps.
II. In cui si parla di Metodo, e al lettore viene fatta una tremenda confessione
Il racconto di Barmy aveva dato una robusta oliata alle rotelline del cervello Wooster. Se una cosa così improbabile era riuscita alla mente meno brillante del Drones Club - che quando si trattava di brillare raramente si offriva volontario - perché non aspettarmi che il Fato arridesse benigno anche a Wooster, B.? La fortuna aiuta gli audaci e così via.
Fu perciò con passo spedito che mi diressi a casa, dopo aver salutato tutti in maniera sbrigativa. Avrei messo in pratica la lezione quella sera stessa, stabilii, aiutato nella decisione da più di qualche bicchiere di whisky che aveva allietato la serata (sul conto del futuro sposo).
Ma scorgo già la confusione nei vostri sguardi, sento già le proteste rimuginate tra i denti: che sorta di amorevole fanciulla, che genere di fiore di campo, che ideale promessa sposa tieni mai nel tuo appartamento, Wooster, che stia lì e aspetti di lasciarsi baciare quando solo ti giri di farlo?
Devo rispondere negativamente. Nessuna amorevole fanciulla, nessun fiore di campo, nessuna ideale p.s. viveva, vive o vivrà mai nella dimora di questo Wooster. Su ben altro genere di bellezza avevo in mente di applicare il “Metodo Barmy” (così già ribattezzato al Drones Club, e in procinto di spopolare tra i giovani scapoli di tutta Londra, spedendo di lì a pochi anni un’orda di baciatori folli in giro per il mondo). La bellezza a cui pensavo era alta, larga di spalle come una quercia, scura di capelli e passava un’insana quantità di tempo a lucidare la mia argenteria.
Sì, miei cari lettori, sto parlando di Jeeves.
III. In cui si apprende che il buio ha molti spigoli
L’appartamento era così buio da non vederci a un palmo dal naso. (Ne sono certo perché mi sventolai una mano di fronte alla faccia, per controllare, e mi tirai una manata così forte sulla punta del naso che mi salirono le lacrime agli occhi.) Armeggiai con gli interruttori sulla parete, premendoli e ripremendoli tutti per almeno un minuto, ma nessuna luce sorse a dissipare le tenebre. Non c’è problema, dissi infine a me stesso, raddrizzando virilmente le spalle. È il tuo appartamento, Wooster! Non avrai problemi a raggiungere la stanza di Jeeves.
Questo dialogo (o forse dovrei dire monologo?) interiore ebbe luogo perché non appena messo piede nell’appartamento mi era balenata un’altra idea, che forse qualche bacchettone non avrebbe concordato con me nel definire “assolutamente geniale”, ma al diavolo i detrattori, come dice… be’, come dice qualcuno. Anziché afferrare la testa di Jeeves come un cocomero e applicare in toto il Metodo Barmy, ecco a voi, signore e signori, il Metodo Wooster: mi sarei infilato, lentamente e dolcemente ma soprattutto romanticamente (e qui la parola chiave è infilato), nel letto di Jeeves. Nel calore umano condiviso tra padrone e dipendente, tra il sonno, la sorpresa e l’ammirazione per l’audacia senza precedenti del sottoscritto, le difese immunitarie di Jeeves sarebbero state leggermente meno inespugnabili che in pieno giorno, e il mio fedele valletto avrebbe forse acconsentito a replicare il felice esito della liaison Fotheringay-Phipps-Bicester-Bicester piuttosto che rompermi un vaso di fiori in testa.
Stavo giusto assaporando il momento quando la rastrelliera si materializzò dal nulla tra i miei piedi e con un capitombolo assordante volai sul pavimento.
IV. In cui c’è un flashback, ma per fortuna è molto piccolo
Mi rialzai dolorante, massaggiandomi le parti offese dalla brutta caduta. Il corpo pareva, in generale, intatto, ma il ginocchio destro, sul quale ero stramazzato con tutto il mio peso, pulsava così forte che sembrava mi urlasse improperi in un silenzioso e poco forbito Ginocchiese. Zoppicavo. Così non va, Wooster, mi disse una vocina dentro la testa. Che ingresso lento & dolce & romantico vuoi fare in queste condizioni? Mettici un po’ di ghiaccio, almeno!
E così mi apprestai a zoppicare il più silenziosamente possibile in direzione della cucina.
Per quelli tra voi che pensano che l’erede dei Wooster si fosse improvvisamente tramutato in un villano che va infilandosi nei letti dei dipendenti imponendo loro attenzioni sgradite: mettete da parte la paura. La decisione era stata, sì, sollecitata da un’idea di Barmy e aiutata da vari bicchieri di whisky, ma il Codice di un gentiluomo non è roba che evapori insieme alla sua sobrietà. Avevo in effetti vari indizi del fatto che Jeeves ricambiasse in parte, se non in pieno, i sentimenti del giovane padrone.
Per prima cosa c’era la prolungata durata del tempo che Jeeves impiegava per annodarmi la cravatta, e il fatto che sempre più spesso, negli ultimi mesi, si fosse fatto avanti per provvedere egli stesso al compito cui di solito attendevo da solo. Per non parlare del modo in cui detta c. veniva annodata: con una quantità di contatti tra la pelle del collo del sottoscritto e quella delle dita di Jeeves assolutamente non necessaria, per non dire superflua, per non dire paradisiaca. Se solo avesse voluto, Jeeves avrebbe potuto annodarmi la cravatta ed entrambe le scarpe con una mano sola, mentre friggeva un’omelette e mi leggeva le notizie della mattina, e il tutto senza generare il minimo contatto fisico.
E non era il solo contatto superfluo che Jeeves aveva preso l’abitudine di generare: improvvisamente c’erano sempre pelucchi o capelli sul bavero della mia giacca, e il fiore al mio occhiello non era mai abbastanza dritto, e un ciuffo era sempre sfuggito alla brillantina, anche quando ero più che certo che la mia capigliatura fosse impeccabile.
E poi, il pezzo forte: lo Sguardo. Jeeves mi riservava lo Sguardo solo quando era assolutamente certo che non lo stessi guardando, ma io l’avevo colto almeno tre volte: una nello svegliarmi, trovandolo lì sulla porta col vassoio in mano; un’altra grazie a una fortunata angolazione degli specchi nella mia camera; un’altra ancora alzando lo sguardo senza preavviso dal mio giornale. Lo Sguardo era così strano, così poco da Jeeves, che la prima volta mi ero preoccupato e gli avevo domandato se non gli fosse venuto per caso il mal di pancia.
Forse, pensai avanzando a tastoni verso la cucina, c’era speranza per questo Wooster - se solo mi fosse riuscito di trovare il…
V. In cui lo stipite fa male
Chi ha progettato gli stipiti così solidi, esattamente? Fatemelo sapere e gli manderò una lettera molto, molto dura a riguardo.
Premendomi una mano sul naso, che aveva preso a sanguinare come una fontanella, caracollai dentro la cucina. L’elettricità mancava in tutto l’appartamento, ma dalla finestra entrava un po’ di luce naturale. Iniziando a sentirmi un po’ afflitto, mi tolsi lo spigolo di una sedia dal fianco (non so come ci fosse arrivato) e raggiunsi il frigorifero. Nella ghiacciaia c’era una formella convenientemente piena di cubetti, e mi trovai a benedire Jeeves per la sua solita previdenza. La gioia durò poco. Al primo colpetto, i cubetti schizzarono in tutte le direzioni, come schegge impazzite. Ne afferrai un paio nella mano, ma questi volarono letteralmente via lasciandomi dell’umido sulla mano, come lumache salterine, e si schiantarono sul pavimento in altri mille cubetti più piccoli. Tenendomi stretta la formella con i superstiti, estrassi il fazzoletto dal taschino e ve li versai dentro. Applicai infine l’impacco improvvisato sul naso, che neanche per un momento si era degnato di accogliere la mia richiesta di darci un taglio e smetterla di sanguinare.
Il ginocchio era passato dagli improperi alle rivolte di piazza con tanto di forconi e baionette. Agguantai la sedia più vicina, meditando di raggiungerla con un saltello sulla gamba buona e poi caderci sopra, ma la gamba buona decise che proprio quel punto tra tutti, sì, quello dove stava avendo luogo una riunione straordinaria del Club dei Cubetti di Ghiaccio In Fase Di Scioglimento, era apparentemente il migliore sul quale posarsi.
Chi ha progettato i pavimenti così duri farà meglio a non controllare la posta, di questi tempi.
VI. In cui si piange sul ghiaccio versato
Mi stavo rialzando senza neanche più un’ombra di dignità quando la luce, improvvisamente, rischiarò l’intero appartamento. Una mano sul tavolo e l’altra sulla sedia più vicina, riemersi dalle viscere ghiacciate del pavimento solo per trovare la figura di Jeeves, vestito di tutto punto, con ancora la bombetta in testa e i guanti, che mi scrutava dalla porta.
Fu troppo. Troppo per un Wooster, troppo per un gentiluomo, troppo per un uomo innamorato, troppo per chiunque. Jeeves mi aveva visto in ogni sorta di situazione imbarazzante, ma che adesso mi vedesse così, accovacciato sul pavimento come un bambino caduto dal triciclo, col naso sanguinante, zoppo, in un lago di cubetti di ghiaccio… Prima di rendermene conto avevo le lacrime agli occhi, e poi fuori dagli occhi, e improvvisamente tutto divenne molto caldo e bruciante e umiliante nella zona oculare. Per quanto mi riguardava il Fato e io avevamo chiuso, e che non tornasse a implorarmi di perdonarlo.
VII. In cui chi doveva capire ha già capito
“Signore?” disse Jeeves, venendomi incontro con un’aria così genuinamente preoccupata (quasi un centimetro di elevazione di sopracciglio) che mi venne da piangere ancora di più. “Si è ferito, signore?”
Ora ricordavo, improvvisamente, che quella era la serata libera di Jeeves: Jeeves non era mai stato nel suo letto, e niente di tutto quello che avevo fatto era servito a nulla, se non a farmi trovare nella posizione del perfetto idiota. Se anche Jeeves avesse mai nutrito sentimenti più che amichevoli nei confronti del sottoscritto, certamente dopo questo spettacolo penoso doveva essersi sciolti come il ghiaccio.
“Sono un idiota, Jeeves” dissi tra le lacrime, mentre mi aiutava a rimettermi in piedi.
“Signore?”
“Volevo solo… perché ci sono tanti spigoli in questa casa, Jeeves? Non mi sembra giusto. Che diamine, non mi sembra per niente giusto, Jeeves!”
Jeeves mi guardò come se fossi ubriaco. Con discrezione, naturalmente: sollevò un sopracciglio di qualche frazione di centimetro.
“Non guardarmi così, non sono ubriaco, Jeeves” gli dissi tirando su col naso. “Sono… sono solo… Oh, e va bene. Sono innamorato di te, Jeeves. Volevo dirtelo in una maniera che non mi facesse sembrare un perfetto imbecille, ma ormai che vuoi che mmmmmppphh…!”
Mi aggrappai al bordo del tavolo, premendo lo spigolo tagliente nel palmo.
Jeeves mi stava baciando.
VIII. In cui c’è un finale, e non soddisfa nessuno
A questo punto, cari lettori, mandate a letto i bambini e dite pure loro che la storia è finita. In realtà, ci sarebbe qualcos’altro da dire.
Potrei dirvi, ad esempio, di come Jeeves portò l’acciaccato Bertram e le sue eroiche ferite di guerra in camera da letto e procedette a svestirlo per la notte. Potrei dirvi della squisita fattura delle sue mani, e del modo niente meno che divino in cui le usa. Potrei dirvi della sua bocca, che non è fatta solo per citare Shakespeare, Burns e altri poeti del genere, per quanto il livello di poesia, in modi diversi, sia lo stesso. Potrei dirvi, non so, che quella notte per la prima volta Jeeves ed io fummo una cosa sola, e da quella fatidica data lo siamo stati ancora molte altre notti (e molti giorni) e in generale di solito quando più ci va, notte o giorno o sera o mattino che sia.
Potrei, ma sarebbe troppo lungo, e meriterebbe una storia a parte. E poi, come recita il vecchio adagio, un gentiluomo bacia e non dice. Non solo di baci si trattò qui, ma di una serie completa di amorose pratiche, che rendono quindi assolutamente fuori discussione la parte della dicitura.
Buona notte.