Prompt: Heroes, Nathan/Peter, ufficio
Fandom: Heroes
Pairing: Nathan/Peter
Rating: NC-17
Conteggio Parole: 1576 (W)
Note: CHEAP P0RN. Tutta per
eryslash e grazie a
snopes_faith per l'insostituibile appoggio e infinita sopportazione.
Quando la porta del suo ufficio si aprì e venne sbattuta con forza, Nathan trasalì e alzò gli occhi dalle sue carte aperte sulla scrivania, dalle sue penne accuratamente incastrate nella fessura tra lo scrittoio e il portalettere, dalle sue pile ordinate di fascicoli ammonticchiate su entrambi i lati del tavolo.
Peter stava sulla soglia, con i capelli più arruffati del solito e l'uniforme scolastica addosso - la cravatta rossa allentata col nodo che penzolava da un lato e lo zaino appeso su una sola spalla. Da dietro la porta, Nathan sentì il rumore metallico della targhetta 'Nathan Petrelli, ADA' che precipitava rimbalzando due volte contro il pavimento.
Nathan corrugò la fronte. "Che ci fai qui?"
"Sono venuto a piedi" disse Peter avanzando nell'ufficio, col fiatone e le guance arrossate per la rabbia o la corsa, non si capiva bene, "perché qualcuno si è dimenticato di venirmi a prendere come aveva promesso." Si sfilò lo zaino dalla spalla e lo sbatté pesantemente sul tavolo, rovesciando il portapenne, le matite, gli evidenziatori, le cartellette e gran parte dei fascicoli sul pavimento. Nathan salvò per un pelo la lampada.
"Peter, ma che..."
"Ti ho aspettato per un'ora e mezza, okay? Una fottuta ora e mezza!" Gli occhi gli brillavano di una luce furiosa e aveva le labbra così rosse e gonfie che Nathan pensò che avesse passato l'ultima ora ad affilarvi contro i denti. "Ricordami di non chiederti mai più un favore. Mai più."
Nathan si passò una mano sulla fronte. Aveva le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti e così tanto lavoro da sbrigare che mai e poi mai avrebbe potuto farcela in tempo. Un fratellino incazzato non era proprio d'aiuto, ma per una volta Peter aveva ragione.
"Senti, scusa, okay? Me lo sono completamente dimenticato. Mi hanno affidato un caso nuovo, è roba grossa. Importante. Devo assolutamente finire per lunedì." Afferrò lo zaino dalla scrivania e lo lasciò cadere sul pavimento alla sua sinistra. I fogli al di sotto si erano sporcati di terra, e Nathan si chiese se Peter usasse lo zaino per giocarci a calcio o se se lo trascinasse in giro come la coperta di Linus. "Siediti da qualche parte e fammi finire di leggere questo rapporto. E dammi una mano" disse mentre raccoglieva le scartoffie terremotate. "Poi ce ne andiamo a casa."
Peter sbuffò e prese invece a camminare avanti e indietro per l'ufficio, blaterando di fratelli maggiori che sacrificavano fratelli minori sull'altare della carriera. Mentre lo ascoltava solo per metà nel tentativo di non ascoltarlo affatto, Nathan si chiese dove l'avesse sentita, questa - e mentalmente la mise da parte per un'eventuale, futura arringa.
"... almeno mi stai ascoltando?"
Nathan non alzò gli occhi. "No." Era tornato alla poltrona. Peter appoggiò una mano sul bracciolo e la voltò di lato con uno scatto, costringendo Nathan a guardarlo in faccia. Nathan aveva ancora i fogli tra le mani. "Non te ne importa niente, vero?" sibilò Peter, le guance ancora più rosse e lo sguardo ferito. "Ti ho aspettato per due ore sotto la pioggia e non te ne importa niente."
Nathan corrugò la fronte, ignorando una sottile fitta di senso di colpa. "I tuoi vestiti sono asciutti."
"Scusami se mi sono fermato sotto una tettoia."
Nathan alzò gli occhi al cielo per mezzo secondo. "Avanti, Pete. Ti ho detto che mi dispiace." Gli appoggiò una mano sulla guancia, dandogli uno schiaffetto leggero. "Ho avuto molto da fare, okay? Mi dispiace davvero." Lasciò la mano lì finché l'espressione di Peter non si addolcì, lentamente e con riluttanza. "Siediti. Non mi manca molto." Gli sfiorò il labbro inferiore con il pollice in una carezza passeggera.
Peter sbuffò e allontanò la sua mano. Ma invece di spostarsi su una delle sedie si accomodò con un salto sulla scrivania, provocando un nuovo terremoto tra i fascicoli appena rimessi a posto. Nathan sospirò e rinunciò a rimproverarlo.
Sembrava che il giro di sfruttamento della prostituzione fosse più largo e avesse radici più profonde di quanto si fossero aspettati all'inizio. Nathan rilesse una pagina, tornò indietro, sottolineò ed evidenziò un paio di righe. Accanto a lui, Peter giocherellò col bottone dei pantaloni fino a scalzarlo dall'asola.
Lo sguardo di Nathan cadde da quella parte, ma solo per un attimo.
A giudicare da alcune testimonianze, si sospettava che ci fosse un coinvolgimento da parte di una famiglia mafiosa...
Peter appoggiò il palmo della sinistra sul tavolo, a pochi centimetri dalle carte che Nathan stava leggendo, e sospirò tra i denti abbassando la cerniera dei jeans - lentamente, così lentamente che a Nathan sembrò di sentire ticchettare ogni dentino della zip.
"Peter, che stai facendo?"
"A te che sembra?" Peter infilò la mano dentro i boxer, sospirando esageratamente. Nathan sospettò che non fosse neppure eccitato.
"E' un ufficio pubblico, Peter, cazzo. Finiscila."
Peter si leccò le labbra, scoccandogli un'occhiata. "Hai ragione. Vai a chiudere la porta a chiave."
"Te lo puoi scordare. Ti dispiace ricoprirti?"
"Mi sono sempre chiesto come sarebbe se mi scopassi qui sopra" continuò Peter, la mano che si muoveva piano sotto la stoffa e la voce che lentamente, lentamente assumeva sfumature sempre più gravi. Nathan allungò una mano per afferrargli il polso, ma per qualche motivo e in una maniera che non gli fu chiara, le sue dita finirono invece catturate nella prigione di stoffa e quelle di Peter scivolarono a circondare le sue.
Adesso Peter era eccitato.
"Non puoi aspettare fino a quando arriviamo a casa?" Nathan gettò uno sguardo alla porta. "Potrebbe entrare chiunque."
"Sono le sette. L'ufficio è deserto. E poi," mormorò Peter, appoggiando un piede sul bracciolo della poltrona di Nathan, "il tono ragionevole non funziona così bene quando mi tieni il cazzo in mano."
Nathan sospirò, mentre le immagini della sua brillante carriera stroncata gli passavano nella mente una dopo l'altra. Per non parlare delle imputazioni, chiaramente - e poi dritto dritto in galera. E sua madre. Oh, sua madre.
Peter mosse la sua mano contro di sé e ansimò tra i denti, come se stesse facendo ogni sforzo per trattenersi. Nathan ritirò la mano e si alzò dalla poltrona.
"Aspetta" borbottò.
Peter gli rivolse un sorriso trionfante e scese dal tavolo, occupando la sua poltrona. Nel tempo necessario a Nathan per andare a chiudere la porta a chiave e tornare, si sfilò le scarpe e i calzini e i jeans, e quando Nathan gli tornò accanto aveva già tirato fuori dallo zaino un tubetto di lubrificante e un preservativo.
"Tu... vai a scuola con questa roba nello zaino?" Nathan prese il tubetto, la fronte corrugata. "E se qualcuno lo apre?"
"Oh, lo sanno" rispose Peter, noncurante, alzandosi dalla poltrona. Si sfilò i boxer e li lasciò cadere sul pavimento, poi si piegò appoggiando i gomiti sul piano della scrivania, le gambe divaricate.
"... che cosa?"
"Che..." Peter socchiuse gli occhi, guardandolo da sopra una spalla, "... che faccio sesso. Che ho un..." espirò, cercando di rilassarsi, "un ragazzo. Insomma, tipo. Oh, sì..."
Nathan gli accostò le labbra all'orecchio, spingendo le dita più a fondo. "Che ti ho detto riguardo al parlare di questa storia, Peter?" sibilò.
Peter spostò una mano sotto il tavolo, toccandosi mentre Nathan lo preparava. "Chi ti ha detto che parlavo di te?"
Per un attimo tutto rimase immobile. Poi Peter gli scoccò un sorriso con le labbra tirate e le guance sempre più rosse e mormorò, in tono di scusa: "Scherzavo".
Per tutta risposta, Nathan armeggiò coi propri pantaloni, infilò il preservativo, gli stampò una mano sulla bocca e lo penetrò così forte e improvviso che lo mandò a sbattere contro il piano della scrivania, in un caos di penne e scartoffie mandate a puttane. Peter gemette nel suo palmo, per il dolore e per la sorpresa, ma Nathan spostò la mano libera tra le sue gambe, muovendo via la sua, e prese a masturbarlo a ritmo con le spinte che si facevano più forti e precise e cercavano il punto esatto in cui colpire. Peter gemette più forte, sciogliendoglisi intorno quasi subito, e a Nathan dispiacque di non potergli lasciar fare tutto il rumore che voleva, perché Peter era sempre piacevolmente... vocale, e Nathan amava constatare l'effetto che aveva su di lui.
Peter non durò molto. Venne poco dopo nella mano di Nathan, sporcando il pavimento, e Nathan gli affondò il viso nell'incavo del collo e gli mormorò che lo amava, oh sì, il suo piccolo Pete, con un trasporto insolito per la situazione, mentre continuava ad affondare in lui - finché non fu troppo, finché non fu abbastanza, e finì a sua volta.
"Tu lavori troppo" gli disse Peter, dopo, mentre Nathan risistemava la scrivania travolta dall'uragano.
Nathan gli lanciò un'occhiata. "Sì, è proprio quello che avrebbe detto il procuratore se mi avesse visto dieci minuti fa."
"Che ne sai, magari avrebbe apprezzato." Peter rise della sua espressione, affondò comodo nella poltrona e allungò i piedi sul tavolo, col chiaro intento di farlo innervosire.
Nathan gli spinse via le gambe nude e andò a recuperare la giacca e le chiavi della macchina. "Se non ti sbrighi ti lascio qui" annunciò, raccogliendo i pantaloni di Peter dal pavimento e porgendoglieli.
"E se uscissi così?" obiettò Peter.
"Non ti farei salire in macchina. Ti lascerei in mutande in mezzo alla strada."
"Qualcuno più caritatevole di te potrebbe sempre raccogliermi."
"Quella si chiama prostituzione minorile."
"Sì, e tu sei un esperto, vero?" ghignò Peter infilandosi le scarpe.
Nathan alzò gli occhi al cielo e uscì dall'ufficio.