Titolo: Blessings of Babylon
Fandom: Sherlock Holmes
Rating: NC-17
Pairing: Holmes/Watson
Conteggio parole: 5656 (W)
Per:
_izu_, a cui l'ho promessa una vita fa.
Note: Sequel di
In the veil of the night. AU. Tentacoli. E guardate il rating. Sicuri di volerla leggere?
Mi destai verso le otto, troppo presto per le abitudini di Baker Street recentemente ripristinate, perché Holmes non era accanto a me. C'erano tutti i segni del suo passaggio nella stanza, perfettamente visibili se li si cercava, ma egli, il mio amico, era assente. La cosa mi allarmò e il battito del mio stesso cuore mi svegliò in un attimo, anche se in tutta onestà non ve n'era ragione; Holmes andava e veniva dalla mia camera da letto alle ore più strane, e non mi avrebbe meravigliato scoprire che qualche anima sfortunata e importuna aveva tirato Mrs. Hudson giù dal suo letto e questa il mio amico.
Tuttavia mi allarmai, temendo le cose più assurde, e se raccolsi la mia vestaglia e la indossai prima di precipitarmi giù per le scale fu solo perché la trovai sul pavimento di fronte alla porta, letteralmente in mezzo ai piedi. Ricordai brevemente il momento in cui era stata scartata in maniera così poco urbana, la sera prima.
Quell'estate del ’94 era degradata dolcemente in un autunno pallido e malato come una convalescenza; ne vedevo la luce gettare un pallore malsano, appena tiepido, sui lineamenti di Holmes seduto in poltrona.
Il colorito di Holmes dal suo ritorno da Reichenbach era per me fonte di ansia costante, e a nulla giovava che il mio amico mi assicurasse che era solo un altro dei tanti effetti della mutazione, e uno del quale non dovevo preoccuparmi. Il suo intero apparato circolatorio si era adattato di necessità alla diversa composizione chimica del suo sangue, e il pallore era la conseguenza normale del diverso colore che questo aveva assunto. La temperatura del corpo di Holmes - anche della sua parte umana - si era fatta sempre più fredda, fino a stabilizzarsi in un discreto gelo invernale, e anche se perlopiù Holmes appariva in buona salute, avevo studiato il problema e scoperto informazioni allarmanti. L’emocianina che aveva sostituito l’emoglobina nel suo sangue era una proteina poco efficiente, in condizioni di vita diverse dagli abissi acquatici. In situazioni di sforzo, Holmes aveva difficoltà a riprendere fiato, e a dispetto della sua forza sovrumana e della presa d’acciaio dei suoi tentacoli, si stancava molto più facilmente di prima. Aveva provato, scherzando, ad attribuire un piccolo mancamento di un mese prima alla vecchiaia incombente, ed io mi ero dovuto fare violenza per non ricordargli quello che entrambi sapevamo: che Holmes, il mio più caro amico, il mio compagno, aveva da poco compiuto i quarant’anni.
Adesso Holmes sedeva in poltrona con gli occhi chiusi, il capo dritto contro lo schienale e le mani sui braccioli, i tentacoli leggermente aperti sul tappeto di fronte a sé. Dormiva, o forse era in un leggero dormiveglia, perché i tentacoli erano immobili, mentre da sveglio le estremità erano percorse da maree di piccoli fremiti nervosi, inconsci.
Mi diedi dello stupido: che cosa avevo temuto? Holmes si era soltanto assopito in poltrona. La pipa abbandonata in grembo mi suggeriva che il mio amico si fosse svegliato col desiderio di fumare; poi il sonno aveva avuto la meglio. La presi delicatamente tra le dita, trovandola ancora tiepida, benché spenta, e la riposi silenziosamente sulla mensola del camino.
Il salotto era gelato. Dapprima la mutazione si era manifestata con una maggiore sopportazione di Holmes alle basse temperature, e questo mi era parso un incredibile vantaggio, ma col tempo - e con l’arrivo dell’autunno - mi ero accorto che Holmes non riusciva a tollerare temperature più alte di quindici o sedici gradi. Quando il camino era acceso, Holmes si chiudeva in camera da letto, o fuggiva da Baker Street. In quel periodo cominciavo a domandarmi con preoccupazione come saremmo riusciti a convivere nei lunghi mesi freddi che ci attendevano.
Stringendomi nella vestaglia, mi risolsi ad accendere il camino con la poca legna residua, quanto bastava per scaldarmi le mani. Il fuoco debole non avrebbe disturbato Holmes. Sedendomi sul tappeto, appoggiai la schiena contro la parte bassa del divano e allungai le gambe verso il fuoco, sfilando le pantofole dai piedi. Chiusi gli occhi.
Rinvenni con un leggero peso sulla spalla, e un odore di pomata e tabacco nelle narici. Anche se non feci un movimento, Holmes seppe subito che ero sveglio. Sentii le sue dita cercare il dorso della mia mano appoggiata sul tappeto e stringerla delicatamente in una presa di porcellana. Girai il palmo d’istinto, coprendo le sue dita con l’altra mano per scaldarle. Holmes, la guancia sulla mia spalla, ridacchiò sottovoce.
“Mio caro Watson,” mormorò, divertito per qualche ragione.
“Ti diverto?” replicai, di buon umore.
“Mi stavo solo domandando se esista un modo per mettere a tacere la tua preoccupazione. Dirtelo soltanto ha effetti controproducenti. Non che mi dispiaccia la compagnia, ma temo per la tua schiena.”
Ricordando la scomodità della mia posizione, feci un breve movimento per raddrizzare la colonna vertebrale e i muscoli contratti protestarono con veemenza. “Mmm,” ammisi, con un sospiro.
“D’altra parte, dubito che la tecnica opposta funzionerebbe meglio. Permetti?” Annuii senza sapere a cosa; poi sentii un arto sottile intrufolarsi tra la mia schiena e il divano e premere leggermente in un punto doloroso. Mi rilassai. “Dubito,” continuò Holmes, “che potrei dirti che è il caso che cominci a preoccuparti seriamente e aspettarmi che quindi tu ti decida a smetterla.”
“Dovrei?” replicai, con un leggerissimo fremito di ansia.
“Smetterla? Ma certo.”
“Preoccuparmi seriamente.”
Holmes sorrise. Mi appoggiò una mano sulla spalla e mi fece voltare, mentre la pressione sulla schiena si faceva più netta e profonda e si sdoppiava in due piccoli fuochi simmetrici sotto le scapole.
“Completamente inutile, come dicevo.”
Chiusi gli occhi. Non avrei voluto dargli altri motivi di rimprovero, per quanto bonario, ma non riuscii a trattenermi. “Forse la mia stanza era troppo calda?”
“No.”
“Avresti potuto aprire la finestra. Non mi avrebbe disturbato.”
“Watson, non ho alcuna critica da muovere alla tua stanza. È ampia, è comoda, e distante un piano intero dalle orecchie di Mrs. Hudson.”
“E calda.”
“Ti assicuro di no.”
La pressione sulla mia schiena si era trasformata in un massaggio caldo e uniforme. Persi il conto di tutti i punti di contatto in una generale sensazione di tepore.
“È stata la mia temperatura, allora,” osservai.
Holmes si fermò un attimo, poi riprese più lentamente. “Mio caro ragazzo, credevo di averti insegnato che è un errore teorizzare prima d’essere completamente svegli.”
“Mi dispiace,” replicai. “Probabilmente è una sciocchezza. Ma mi disturba non saperlo.”
“Hai ragione,” rispose. “È una sciocchezza.”
Mi voltai per metà. I tentacoli rimasero a contatto con la mia schiena, avvolgendomisi pigramente intorno al fianco. Holmes mi guardò con aria serena, ma questo non mi rassicurò.
“Conosco i tuoi metodi.”
Holmes sorrise, inclinando il capo nella mia direzione. Avvertii una presa gentile sulla coscia, appena sotto il ginocchio.
“Avresti potuto fumare in camera. Sai che non mi disturba, e, a parte questo, l’hai già fatto altre volte.”
“La mia pipa era qui in salotto.”
Scossi la testa. “Non è vero. E ti sei appena preso la briga di mentire su una sciocchezza.”
Il sorriso non mostrò segni di cedimento. “Mio caro, stai analizzando dove non c’è niente da analizzare. È un errore comune, tra i principianti di questo mestiere.”
“Allora dimmi cos’è,” risposi, appoggiandogli una mano sulla nuca. “Vuoi che smetta di preoccuparmi? Non fingere che non ci sia niente di cui preoccuparsi. Dimmi qual è il problema - dimmi cosa ti ha fatto fuggire dal mio letto all’alba - e come posso aiutarti.”
Holmes voltò il capo, evitando il mio sguardo per la prima volta, e mi appoggiò un bacio sul polso. “Bugiardo. Non smetterai di preoccuparti.”
“No,” ammisi. “Ma potrebbe aiutarmi a sentirmi meno inutile.”
Holmes chiuse gli occhi. “Che sciocchezza,” bisbigliò sulla mia pelle.
“Credevo che nulla fosse più importante delle sciocchezze?” suggerii, gentilmente.
“Dei dettagli,” ribatté, alzando gli occhi. “Quando hai preso l’abitudine di citarmi in maniera imprecisa per avere l’ultima parola?”
Gli sfiorai la gola con il pollice. Il cuore gli batteva pigramente nella carotide, con una lentezza che in qualunque altro essere umano sarebbe stata allarmante.
“Holmes.”
Sospirò. “Ho… avuto qualche problema a dormire. Mi sono svegliato e non sono riuscito a riaddormentarmi. Non volevo disturbarti, così sono sceso in salotto.”
“Un incubo?” domandai, in tono professionale, per non dargli l’impressione che la considerassi una cosa infantile. Talvolta, ma per fortuna sempre più raramente, Holmes era vittima di visioni terrificanti.
Mi parve che per un momento Holmes considerasse la possibilità di rispondermi di sì, ma poi scosse la testa. “Avevo sete,” rispose con riluttanza. “E bisogno di fare un bagno.”
Annuii. “E poi?”
Holmes si rilassò improvvisamente. “Non c’è altro. Tornato dal bagno mi sono addormentato in poltrona, e così mi hai trovato. Come vedi, mio caro, era la più banale delle banalità.”
Corrugai la fronte. “Talvolta non so se sentirmi offeso che tu mi consideri così stupido, Holmes, o invece - oh, non saprei - onorato. Vista da un altro angolo, potrei essere la prova vivente che anche tu sei capace di commettere errori grossolani.”
“Non ti ho mai considerato…”
“Allora dimmi cos’è successo,” lo incoraggiai, per l’ennesima volta. “Holmes, se vuoi sentirmi pregare, lo farò e volentieri, ma non per una cosa del genere.”
I tentacoli si erano ritirati dalla mia schiena, e ora stavano raccolti sul tappeto vicino alle mie gambe. Con la coda dell’occhio vidi un piccolo scatto nervoso attraversarne uno, prima che Holmes parlasse.
“Ultimamente, ho qualche difficoltà a restare… asciutto troppo a lungo.”
Battei le palpebre. “Asciutto?” ripetei, piano.
“Sì. La mia pelle… Ora non fare quella faccia, Watson. Non è nulla di grave. Ho solo bisogno di fare il bagno più spesso. Non è una cosa di cui vorrai lamentarti, spero.”
Ma non lo stavo già più ascoltando. Afferrandogli un braccio, tirai su la manica della sua camicia da notte fino alla spalla e ispezionai minuziosamente la distesa di pelle bianca dal polso al gomito. Passandovi le dita, mi accorsi che era screpolata in tante minuscole, quasi invisibili venature biancastre.
Holmes ritirò il braccio. “Non c’è umidità nell’aria, in questi giorni,” spiegò.
“E tutta l’estate, come…?”
“Se ricordi, è stata un’estate piuttosto umida,” rispose, rigido.
“È stato sempre così? Voglio dire,” esitai, “in questi tre anni?”
La faccia di Holmes mi scrutò senza la più piccola traccia di espressione. “Sì. Per quanto non in maniera così… intensa.”
Quando tacqui per quasi un minuto, vidi l’assenza di sentimento sul suo volto tramutarsi in qualcosa che invece conoscevo bene, un misto di disgusto e dolore cautamente atteggiati a sarcasmo. “Vedi bene che non c’era ragione di preoccuparsi per un po’ di pelle screpolata e un bagno fuori orario,” provò, ma quello che diceva la sua espressione era completamente diverso. Suonava: Che sta succedendo al mio corpo? Che cosa sto diventando?
“La mutazione è progressiva,” mormorai, tentando di riordinare le idee.
“Watson, no.”
“Ma non tutti gli effetti evolvono con la stessa rapidità. Alcuni sono già stabili. La visione notturna, per esempio.”
“Watson, non parleremo della mutazione,” disse Holmes, tagliente.
Gli sfiorai la mano, facendolo trasalire per Dio solo sa quale motivo. “Voglio solo dire che anche questo, come gli altri fattori, si stabilizzerà,” teorizzai. “Negli ultimi tre anni non sei mai rimasto per più di un paio di mesi nello stesso luogo, soggetto allo stesso clima. Forse… Certamente ti stai solo riadattando al nostro.”
Che accettasse o meno il mio suggerimento, Holmes non replicò. Appoggiò la schiena contro il divano accanto a me, espirando bruscamente.
“Mi dispiace di non essermene accorto prima,” offrii, sinceramente addolorato.
“Non era necessario che lo sapessi.”
“Sto pensando a una pomata che potrebbe aiutare; ho già in mente qualcosa. La comprerò in mattinata.”
Holmes tacque un istante, poi fece un cenno di assenso.
C’era qualcosa di tremendo nell’apatia che l’aveva preso all’improvviso, lo spettro di una depressione antica che un tempo solo la cocaina, o il lavoro, riuscivano a dissipare. Ma la cocaina non faceva più effetto, e il lavoro ristagnava. Disperato all’idea di averlo respinto nel baratro buio che Holmes costeggiava da tutta la vita, gli baciai la bocca. Le sue labbra erano asciutte e fredde, al contrario delle sue mani, che si erano infine riscaldate.
"A cosa devo questo piacere?" mormorò, senza rispondere per il momento ma senza neppure ritrarsi.
"Odio vederti soffrire," risposi, onestamente.
"Il che ci riporta al punto di partenza, non è così?"
"E quale sarebbe?"
"Tu ti preoccupi troppo."
Sorrisi. Ero disposto ad ammetterlo, se poteva servire a portare la conversazione su un piano più rilassato. Talvolta la necessità di muovermi intorno a Holmes come un funambolo era sfiancante; talvolta, la consapevolezza che egli faceva altrettanto nei miei confronti era più di quanto riuscissi a sopportare.
"Svegliami, la prossima volta," tentai -- un rischio calcolato. "Ho una preferenza per i bagni notturni, ma ti prego di non credere che questo mi porti a disdegnare quelli mattutini."
"Mio caro Watson, la tua equanimità trascende l'umano."
Sentii due o forse tre tentacoli sconfinare sulla mia coscia, tra le gambe incrociate, e una mano forzare aperti i bottoni della camicia da notte e cercarmi con le dita la cicatrice sulla spalla. Era un punto così delicato, coi suoi grumi di nervi in tensione che a volte sembravano esistere solo per bruciare di dolore, che mi meravigliò sentire un leggero fremito di aspettativa in risposta al suo tocco.
Presi un tentacolo tra le dita, accarezzando leggermente la fila di ventose col pollice, e forse inconsciamente Holmes si tese ancora nella mia direzione. Avevo scoperto facilmente che le ventose erano i punti più sensibili, quelli che talvolta suscitavano reazioni sorprendenti nell'autocontrollo del mio amico. Altri tentacoli mi sfiorarono le gambe, lo strisciare delle ventose fresco e morbido sulla pelle; li sentii passare il punto delicato all’interno del ginocchio senza disturbare la camicia da notte oltre una minuscola increspatura.
“Hai un vantaggio sleale su di me,” protestai, sollevando leggermente l’orlo della sua. Immediatamente un’appendice robusta mi si avvinghiò intorno al polso. Lo guardai in volto e aspettai che mi lasciasse. Negli occhi di Holmes passò un guizzo di colpevolezza, e la stretta si allentò. “Io non ho così tante mani.”
“Sei sempre pronto a lamentare vantaggi sleali,” replicò Holmes, direttamente nel mio orecchio, “per coprire le tue mancanze.”
“E quali sarebbero, di grazia, queste mancanze?”
Spostai d’istinto una coscia da un lato, per lasciargli maggiore accesso. “Sono nascoste bene.” D’improvviso Holmes fu su di me, ovunque avessi una percezione tattile, e a dispetto della sua temperatura più bassa sentii l’aria addensarsi e accaldarsi. Agevolmente, senza usare le mani, Holmes mi accartocciò e sollevò la camicia da notte. Obbediente, alzai le braccia per aiutarlo. Holmes gettò via l’indumento e mi inchiodò i polsi al sedile del divano alle mie spalle.
Per un istante mi domandai se non l’avesse fatto per impedirmi di spogliarlo a mia volta, ma Holmes riprese a baciarmi e il pensiero mi sfuggì completamente. Un tentacolo si insinuò sotto il mio ginocchio, sollevando leggermente la gamba da una parte; un altro già da qualche tempo aveva cominciato a tormentarmi avvolgendosi pigro intorno alla mia virilità. Ero acutamente consapevole del fiato di Holmes, caldo e umano se mai qualcosa lo è stato, che mi arrossava l'orecchio.
La sensazione non era del tutto nuova, perché anche in passato Holmes aveva amato, in alcuni momenti, prendere il controllo totale; tuttavia da quando la sua forza era aumentata a dismisura non c’era stata una volta in cui non mi fossi ritrovato, seppur piacevolmente, privo di qualsiasi libertà di movimento. Non voglio sottintendere che questo mi urtasse, o dare l’impressione che fosse un problema più grave di quello che era. Ma conosco gli uomini, e conosco Holmes, e nessuno, neppure egli col suo intelletto superiore, può vivere senza cedere il controllo neanche per un istante. Il solo fatto che vi tentasse era preoccupante, soprattutto se confrontavo il suo atteggiamento con quello di tre anni prima. Non era l’abbandono spericolato di certi incontri passati che rimpiangevo, benché a tratti ne avvertissi il desiderio, ma iniziavo a temere la ragione nascosta di questo comportamento.
“Holmes,” articolai, in una breve tregua in una devastante serie di baci, “non sono certo che sia essenziale al loro corretto funzionamento, ma credo non mi sia più arrivato sangue alle mani da un quarto d’ora a questa parte.”
Mi lasciò subito andare, ma non appena feci per appoggiare un palmo sotto l’orlo della sua camicia da notte si irrigidì con uno scatto, e ancora una volta un tentacolo salì a bloccarmi. Ci paralizzammo entrambi, presi dal terrore reciproco di aver commesso un errore fatale. Era nell’aria, del resto, e da molti mesi, la paura di rovinarci a vicenda.
“Dopo tutti questi anni,” mormorai, con infinita dolcezza. “La parte della verginella pudibonda non ti si addice.”
Non che fosse questo il problema, naturalmente. Ma non c’era modo di affrontarlo se non in maniera obliqua.
“Né a te il sarcasmo da due penny al pezzo,” ribatté, cauto, affettando normalità.
“Concedo il colpo e mi arrendo.” Gli baciai la spalla coperta dalla stoffa, di proposito, perché desiderasse togliersela. Vedevo così poco della sua pelle nuda, ultimamente. “Lasciami muovere,” lo pregai, con gentilezza. “Sembri in guerra con le mie mani.”
“Non ho nulla contro le tue mani,” rispose, immobile. “Sono brave mani da chirurgo, per quanto le preferisca quando ricordano di essere state mani da soldato.”
“Non chiedono di meglio che di ricordarlo.”
Libero per qualche istante, gli presi una natica nel palmo, saggiandone la consistenza forse con più violenza di quanto avessi inteso. Questo non parve dispiacergli, né si ribellò quando lo spinsi sul tappeto, sovrastandolo col mio corpo. Ma al minimo accenno di avere ragione della maledetta camicia da notte, mi ritrovai nuovamente immobilizzato.
“Holmes,” dissi, cercando di suonare ragionevole. “Non farò nulla che tu non voglia. Hai la mia parola.”
Egli distolse lo sguardo. Quando parlò, lo fece lentamente, così piano che tardai a distinguere le parole. “Ti disturba così tanto?”
“Non mi disturba. Ma…”
“Bugiardo.”
Sospirai. “Non mi disturba neanche la metà di quanto tu credi,” risposi. “Ma sono preoccupato.” Mi feci indietro, lasciandomi ricadere sul tappeto e stendendo la gamba lesa che non poteva più sopportare il mio peso. Holmes si tirò a sedere, o per meglio dire si sollevò in una posizione che permettesse al suo volto di trovarsi alla mia stessa altezza, e appoggiò una mano tiepida all’interno della mia coscia, massaggiandola lentamente.
“Tu sei sempre preoccupato,” mormorò.
“E tu credi che io non possa tollerare la tua vista.”
Holmes alzò lo sguardo di scatto, e per un attimo tutto sembrò congelarsi intorno a noi. Mi morsi la lingua, desiderando soltanto di non averlo detto in una maniera così oscenamente priva di tatto, e scoprendo che non ne conoscevo nessun’altra.
“Perdonami,” mi affrettai, inutilmente. “Non intendevo offenderti.”
“Non mi hai offeso,” ribatté, e tornò a quello che stava facendo.
“Volevo solo dire…”
“So cosa volevi dire.” Fermò la mano sulla mia gamba, che aveva smesso di dolere da un pezzo, e poi con una rapida torsione si abbandonò disteso sul tappeto, la guancia sulla mia coscia sana, il volto verso l’esterno.
Gli passai una mano tra i capelli, solo perché avevo desiderio di farlo.
“Sai anche che è un’assurdità?”
“Le assurdità non mi preoccupano.”
“Allora non lasciare che ti preoccupi neanche questa. Holmes, se ti giuro che non devi temere nulla da parte mia…”
Sospirò pesantemente, voltando il capo verso l’alto, verso di me. “Forse per te non è un gran rischio, Watson, o forse non comprendi. Non ti biasimo se è la seconda. Ma se ti sbagliassi? Se ti ingannassi su come stanno realmente le cose?”
“Non è così,” provai, ma mi interruppe.
“Se il risultato non fosse positivo, lascerei questa casa. Non dubito che tu saresti in grado di rifarti una vita; l’hai già fatto una volta; e per questo dico che tu corri un rischio infinitamente minore. Ma io non potrei…” Scosse la testa, con un minuscolo sorriso straziante sulla bocca. “C’è un limite al numero di volte in cui un uomo può morire.”
“Holmes…”
“Se sapendo questo puoi ancora chiedermi di provare, come se fosse un piccolo esperimento privo di conseguenze, ebbene, sono a tua completa disposizione. Qualunque momento è buono per me.”
“Non tentare di farmi passare per un insensibile per avere ragione,” gli rimproverai, dolcemente. “Se so che non è un piccolo esperimento privo di conseguenze? Certo che lo so. Ma so anche quello che voglio. Non osservi abbastanza, quando si tratta di me.”
“Non osservo abbastanza!” ripeté Holmes, sbuffando.
“O forse osservi, ma sei troppo timido nelle tue deduzioni.”
“Watson, è un gioco pericoloso quello in cui ti stai imbarcando,” mi minacciò in tono leggero, voltando il capo per guardarmi negli occhi. I suoi erano adombrati di un’ansia che, pur trattenuta alla perfezione dalla piega severa della bocca, tracimava intera nel grigio metallico dell’iride.
Gli depositai il capo sul tappeto e con una torsione resa inelegante dalla rigidità della mia gamba mi sdraiai, nudo, al suo fianco. Il calore fioco del camino mi accarezzava la schiena, già freddo nel raggiungermi. Una mano di Holmes salì a toccarmi il petto, mi sfiorò i capezzoli irrigiditi.
“Così per te è già freddo,” mormorò, pensoso. “E per me è già caldo.”
“Freddo va bene,” sussurrai baciandogli la spalla. “Ho avuto caldo in Afghanistan a sufficienza per tutta la vita.”
Holmes si ripiegò nella mia direzione, mi cinse le spalle con un braccio e passò l’altro sotto la mia testa, aprì i tentacoli in un abbraccio fresco e indagatore sulla mia vita e le gambe. Ne sentii più d’uno scivolarmi tra le gambe, scorrere in piccole carezze dalla parte del dorso o, invece, soffermarsi con le ventose, ognuna un bacio, ognuna un sollevarsi della mia pelle non usa a tanta stimolazione. Sentii una pressione leggera massaggiarmi la cicatrice nella coscia, tanto vicina all’inguine, e da questa migrare a quello e poi indietro, alternando brevi scariche di piacere a sprazzi di dolore bianco e appuntito. Raramente ero stato così eccitato in un momento del genere, così familiare, così tremendamente rilassato, e per giunta in piena mattina, col sopore del letto ancora stretto intorno alle membra. Un rapido sguardo mi confermò che per Holmes era lo stesso; c’erano marosi azzurrini nel fondo dei suoi occhi, una tempesta di preoccupazione, e uno sfavillio di desiderio selvaggio acuito da tanti anni di volontaria rinuncia.
Gli infilai una mano sotto la camicia da notte, sulla coscia e poi la natica, la schiena, il fianco, e portai via con me la stoffa, stavolta senza intoppi, senza impedimenti. Holmes si sollevò con agilità innaturale e se la sfilò egli stesso, cercando il mio sguardo subito dopo esserne emerso, e non trovandolo perché il mio volto era nella sua pancia, era nel cavo delle costole risucchiato insieme al respiro, a baciarlo e inspirare il suo odore ancora caldo di vestiti, imprigionato in una voluttuosa spirale discendente. Allontanai il capo quando egli mi prese il volto tra le mani e mi tirò a baciarlo, ma le mie dita tornarono lì e discesero fino alla transizione, col suo sconcertante trascolorare di una sensazione in un’altra, da ruvido a liscio, da opaco a lucido, da secco a umido, di un umidore leggero e voluttuoso come un sottilissimo velo di traspirazione. Mi sottrassi al bacio per guardarlo, e contemplai con ammirazione il passaggio dei colori dal rosa tenue, quasi bianco, a un violaceo rigoglioso venato di sfumature azzurrine, abbacinante nel suo splendore caotico e geometrico insieme, come quello di un fiore.
A quel punto della mia relazione con Holmes, non mi importava più di sentirmi perverso o deviato. Ora benedivo la mia perversione, benedivo i desideri oscuri che mai erano emersi prima ma evidentemente c’erano sempre stati, ben nascosti, in mancanza di un oggetto chiaro nel quale riconoscersi. Benedivo la mia perversione che mi faceva amare il corpo mutato del mio compagno, benedivo la voluttà intensa di averlo addosso e intorno e dentro la mia carne con ogni appendice, benedivo questo male, della mente o dell’anima non so, che me lo faceva desiderare ogni giorno con immutata, crescente intensità.
Appoggiai le labbra all’orlo della transizione, pelle umana sotto il labbro inferiore, pelle liscia e aliena sotto l’inferiore, e una cosa che era un po’ l’una e un po’ l’altra sotto la punta della lingua. Holmes contrasse gli addominali e mi si arricciò intorno in uno spasmo incontrollato. Dita puntute mi scavarono il cuoio capelluto, mi trascinarono in basso, il suo membro lasciò una goccia contro la mia tempia. Dove un tempo era stata la coscia sinistra di Holmes, ora si trovava un grosso tentacolo, dischiuso da una parte per lasciarmi accesso, con due file di ventose incastonate nella pelle delicata dell’interno che, più grandi vicino all’attaccatura, degradavano progressivamente fino all’estremità.
Accarezzai il circolo della più vicina con la punta della lingua. Mi parve che Holmes strozzasse un respiro: mi giunse un suono confuso alle orecchie accaldate dal troppo sangue. Ispirato, continuai a circuire lentamente il bordo della ventosa, che si contrasse e rilasciò in brevi spasmi come un muscolo. Quando vi affondai cautamente la punta della lingua, sentii distintamente ogni centimetro della pelle di Holmes che mi sfiorava sollevarsi in un brivido uniforme, come una serie di piccole onde che, dal centro, si dipartivano in tutte le direzioni. Holmes emise un gemito incontrollato, inaspettato, e fece come per sottrarsi, ma fermai il tentacolo con la mano - trovandolo ora tiepido, di un tepore che per Holmes era bruciante - e spinsi con decisione la lingua all’interno, verso il fondo concavo che non avevo ancora raggiunto. Lo toccai, mentre Holmes mordeva rumorosamente un sospiro, e con la punta raccolsi gentilmente la sostanza che vi si raccoglieva - più abbondante, mi sembrò, del solito - con una rapida carezza dal basso verso l’alto, ritrovandomi in bocca una goccia dalla consistenza vischiosa e dal sapore salino.
Approfittando di un mio attimo di pausa, Holmes mi sollevò il capo e lo allontanò dalla ventosa che, aperta e arrossata, risaltava ora indecentemente su tutte le altre.
“Basta,” bisbigliò, congestionato in faccia, con l’aria di soffrire un piacere troppo doloroso.
Mi leccai le labbra, e il gesto gli fece sgranare leggermente gli occhi, ora ridotti a un minuscolo circoletto metallico intorno alla pupilla dilatata.
“Voglio farti tutte queste cose, e altre,” dissi sfilando la sua mano dai miei capelli. “Lo sogno da tempo,” confessai, improvvisamente spogliato di ogni imbarazzo, di ogni vergogna. Non riuscivo più a ricordare cosa mi avesse impedito di dirglielo.
Lo stupore nei suoi occhi si sciolse lentamente in tenerezza. Sentii i tentacoli che nel momento di massima tensione si erano strusciati febbrili contro le mie gambe avvolgersi ora con calma sinuosa intorno e tra le mie cosce, e due ventose stringermi e baciarmi i testicoli mentre un’estremità sottile, strisciando al di sotto, mi penetrava facilmente. Una terza ventosa, più o meno a metà dell’intera lunghezza del tentacolo, lambì la punta del mio membro e poi vi si chiuse intorno in un bacio squisitamente intimo, accogliendone buona parte nel fondo cavo e ricco di umori.
Imprigionato nel groviglio dei tentacoli di Holmes, mi sentii trascinare e spingere verso l’alto, dove la bocca del mio amico attendeva la mia, e in essa lasciai un gemito gutturale, aggrappandomi alle sue spalle e imprimendovi i segni delle dita. Holmes era rosso in volto, con l’aria di ricavare tanto piacere quanto me dal nostro abbraccio intimo. Le sue labbra erano arrossate dalla ripetuta violenza dei denti e, quando la ventosa che mi tormentava il membro diede una leggera stretta, sussultammo entrambi in un ansito gemello.
“Dottore? Mr. Holmes? La colazione,” disse Mrs. Hudson dietro la porta, bussando.
Non riuscivo a credere di averlo dimenticato, e a giudicare dallo sguardo di Holmes, neppure lui. Mentalmente ripassai tutte le serrature che portavano al salotto, al terribile spettacolo che dovevamo costituire, e le trovai chiuse. Feci per muovermi, ma Holmes mi trattenne. Con una voce stentorea, nella quale tremava solo un minuscolo accenno di piacere, disse forte: “Il dottore dorme. Ripassi più tardi!”.
“Ma la colazione…!” ribatté Mrs. Hudson.
“Dopo!” comandò Holmes, con una scortesia piuttosto abituale. Mrs. Hudson non replicò, e sentimmo i suoi passi e borbottii scendere lentamente le scale.
Esalai un sospiro, abbandonando il capo sul suo petto. Lo sentii ridere sotto l’orecchio, sottovoce prima, poi sempre più forte. Lo seguii senza volerlo, finché non ci acquietammo entrambi. Mi sentivo euforico, e il cuore di Holmes sotto di me batteva alla velocità di un cuore normale, che intuii sintomo di profonda emozione. L’estremità di un tentacolo dei più sottili riposava sul tappeto lì accanto ed io lo presi tra le dita, accarezzando lentamente col pollice la fila di ventose minuscole, che mi depositarono sul polpastrello uno strato leggerissimo di quella stessa sostanza che sentivo colare lentamente lungo il mio membro.
“Forse è questa roba,” mormorai, portandomi il dito alla bocca.
“Che cosa?” ribatté Holmes, seguendo affascinato il gesto.
“Non mi sento del tutto in me. Forse è questo. Potrebbe avere un effetto stimolante…” Mentre parlavo, passai il palmo sulle ventose, ungendolo con la sostanza. Portai la mano giù, al membro di Holmes, che sospirò e spinse i fianchi nella mia direzione. Contemporaneamente, sentii due tentacoli robusti divaricarmi le cosce e tirarmi sulle ginocchia. Mi chinai per baciare Holmes, le reni alte nell’aria, mentre un secondo tentacolo mi penetrava e, mi parve, si intrecciava al primo in un moto sempre più rapido e profondo. La ventosa che mi suggeva avidamente il membro si ritirò, senza lasciarmi però il tempo di avvertire la privazione, perché un’altra, più fresca, ne prese subito il posto.
Le mie dita ricoperte della sostanza si portarono più in basso tra le natiche di Holmes e lo aprirono con cautela, trovandolo però rilassato e pronto dalle attività della notte, e cercarono goffamente di adeguarsi al ritmo che la sua penetrazione dettava nel mio corpo. Mai prima di quel momento mi ero reso conto di quanto il corpo umano fosse rigido e limitato nei movimenti, con le sue due sole mani, con le sue articolazioni a cerniera, con la massa ingombrante e compatta degli arti inferiori. Un improvviso quanto assurdo senso di inadeguatezza mi prese, e ritirai le dita, voltando il capo verso la mia spalla sulla quale, languido, riposava un tentacolo come un tempo, innumerevoli volte, aveva fatto una gamba di Holmes - ma infinitamente più leggero, infinitamente più aggraziato. Vi accostai il viso, le labbra, inspirai la traccia di sapone che si perdeva nell’aroma salino. Quando riaprii gli occhi, Holmes mi scrutava serio e affascinato dal suo giaciglio tra le ciocche del tappeto.
Avrei voluto parlare, spiegargli, ma egli aveva in serbo altri progetti per me. Sentii il tappeto sotto la schiena prima di accorgermi delle sue intenzioni, e i due tentacoli che erano ancora dentro di me torcersi crudelmente e affondare fino a farmi esplodere ogni colore dietro le palpebre. Sentii ogni stretta, ogni stimolazione abbandonarmi il membro, la carezza dell’aria fresca, e poi il peso di Holmes sopra e intorno il mio bacino e l’abbraccio infinitamente caldo della sua carne. Si ergeva su di me come un titano, un dio del mare, una creatura acquatica certamente. Solo in quell’istante mi resi conto di quanto fossi vicino al limite e di quanto lo fosse anch’egli, nell’affondare secco dei suoi fianchi nei miei, nel tremore nervoso dei tentacoli che non avevano smesso un attimo di violentarmi la carne.
Finii per primo, ed egli mi seguì dopo un istante - o forse fu il contrario. Per qualche momento esistette solo la percussione violenta degli spasmi, e poi il ronzio decrescente del piacere che scemava in un’ondata uniforme fino al silenzio. Holmes mi si abbandonò sul petto ed io alzai le braccia per stringerlo, con le poche energie rimastemi, prendendomi un polso con l’altra mano perché il torpore non le tirasse giù, verso il tappeto.
Mi ero quasi addormentato quando Holmes parlò, ma avevo le orecchie ovattate dal sonno imminente e dovetti chiedergli di ripetere.
“Mi stavo solo domandando quale ragione pensi di offrirmi per non avermelo detto prima. Diciamo settimane fa. E fa’ che sia una particolarmente buona.”
Parlava con voce strascicata e contenta, con un considerevole sottofondo ironico. Ora che la passione si era consumata, potevo pensare chiaramente, e perciò gli risposi con onestà.
“Temevo di perdere la tua stima,” gli dissi. “Se tu fossi qualsiasi altro uomo, ne sarei stato certo.”
“Watson, è la cosa più stupida che ti abbia mai sentito dire.”
“Lo spero,” mormorai.
“Perché mai… Oh. Certo. L’irreprensibile morale britannica. Stupido da parte mia chiedere.”
Lo guardai con un filo di preoccupazione. Ultimamente l’umore di Holmes era più imprevedibile del solito. “Sei irritato?”
“No,” rispose, alzando il capo per guardarmi a sua volta. “No, anzi. Mi sento così gloriosamente bene che temo qualcosa di orribile accadrà nei prossimi cinque minuti per riequilibrare il tutto.”
“Non accadrà nulla,” dissi in fretta.
Holmes ridacchiò, e si sollevò un poco per baciarmi. Fu lungo, affettuoso e ridicolmente domestico, dopo tutta quell’assurda mattinata.
“La colazione sarà fredda,” mormorai alla fine. Guardai l’orologio sulla mensola del camino. “Credo che a questo punto tanto valga trasformarla in pranzo.”
Holmes mi lasciò, spostandosi con decisione verso la porta della sua camera. Io rotolai sulla pancia per seguirlo con lo sguardo, data l’occasione senza precedenti di contemplarlo in totale nudità. Un sottile rivoletto di seme colava giù lungo la curva armoniosa di un tentacolo.
“Hai una commissione da fare?” mi domandò voltandosi, una creatura d’un altro mondo, disumano e bellissimo.
“Non prima di un bagno,” risposi.
Holmes sorrise un sorriso pensoso, ed io sentii ogni cellula del mio corpo fremere di anticipazione, perché l’unica cosa più attraente, per me, di osservare il mio amico impegnato a usare il suo magnifico intelletto è sperimentare il prodotto di tale attività.
“Mi sento molto meglio nell’acqua,” disse lentamente. “Più a mio agio. E ho bisogno di reidratarmi.”
Mi alzai, facendo leva sulla gamba sana. Gli occhi di Holmes sembravano catturare tutta la scarsa luce della stanza.
“Non troppo fredda,” contrattai.
“Non avrai freddo,” ribatté, obliquo, e scomparve nella sua camera - lasciandomi da solo a sorridere stupidamente all’ombra del suo passaggio.
Tutto sommato, si prospettava una bella giornata.