[Cesare] Omne trinum est perfectum

Mar 19, 2011 18:03

Titolo: Omne trinum est perfectum
Autrice: p_will
Fandom: Cesare
Personaggi: Cesare/Miguel/Angelo
Rating: NC17
Conteggio parole: 4127 (FDP)
Avvertimenti: slash, threesome, porno rinascimentale
Disclaimer: Sono tutti di Soryo sensei e non so chi potrebbe credere il contrario.
Note #1: Ambientata un pochino dopo il volume 6, in un momento in cui Angelo è ancora convalescente ma non troppo, Cesare NON è un vescovo vero e, uh... gli ormoni circolano liberi nell'aria?
Note #2: Allora, questa storia è tuttatuttatutta per la mia Mecenate, la donna che mi ha insultato finchè non ho iniziato a scrivere lemon e a cui devo tutta la mia carriera di porno; me l'aveva chiesta secoli fa, ma visto che non volevo darle una schifezza totale e scrivere su Cesare mi terrorizza completamente ci ho messo anni a scriverla. Il prompt tre personaggi al COW-T di maridichallenge, quinta settimana, è stato l'occasione per prenderla in mano, darle una bella strigliata e renderla presentabile. (Ciò non toglie che i miei tentativi di infilarci frasi in spagnolo siano penosi e se trovate qualcosa da correggere, VI PREGO FATELO PER FAVORE ;0;)
Quinnnnndi, buona lettura mentre io vado a nascondermi da qualche parte.

Erano ormai parecchi giorni che il giovane Angelo approfittava della gentilezza di messer Cesare, e nella sua confortevole stanza si stava abituando alle mattinate passate in ozio. Si era svegliato presto, con gli uccellini che cantavano dietro le pesanti tende tirate a nascondere la luce del sole, e nel torpore del risveglio e della noia si era chiesto chi sarebbe venuto a trovarlo quella mattina: non messer Silencio, perché le sue lezioni di spagnolo si tenevano nel pomeriggio; forse Maria, sempre pronta a riprenderlo qualora mangiasse poco o sembrasse deperito, oppure Alvaro a portargli notizie dell’università e a scherzare. Forse Miguel, cui piaceva passare del tempo in tranquillità nella sua stanza, o forse addirittura messer Francesco ad assicurarsi che tutto fosse come doveva essere. Ad ogni modo, era molto presto e nessuno si sarebbe presentato nelle sue stanze per ancora molto tempo.
«¿Cómo estás?»
Angelo sobbalzò, spostando gli occhi verso la figura che dominava con il suo regale portamento il vano della porta. «Messer… messer Cesare!» balbettò «Estoy bien, gracias..»
Le labbra di messer Cesare si incurvarono appena, e il ragazzo si fece avanti nella stanza. «Non avevo dubbi circa la tua inclinazione per le lettere» disse, sedendo alla sedia che tanto raramente in quei giorni era rimasta inoccupata.
Angelo abbassò il capo, segretamente compiaciuto, e si strinse le mani in grembo in imbarazzo. «Se padroneggio un poco di spagnolo lo devo interamente a di messer Silencio, non alle mie doti naturali.»
«Sottovaluti sempre la tua intelligenza.»
«E voi sottovalutate la pazienza di vostro cugino con un alunno lento come me.»
Messer Cesare rise appena, agitando una mano come a scacciare un argomento poco importante. «Lentezza o no, non ho mai visto nessuno imparare lo spagnolo in fretta come te, e per di più in certe condizioni.»
Angelo fece un piccolo sorriso timido, e attese una reazione guardando messer Cesare da sotto la frangia indisciplinata. Per qualche motivo, la menzione della sua ferita sembrava sempre mettere messer Cesare di uno strano umore.
Difatti ci fu un lungo silenzio, punteggiato solo dal leggero cinguettare dei passeri fuori dalla finestra, e quando messer Cesare parlò fu con una distaccata leggerezza che per nulla nascondeva la sua apprensione. «Come stai?»
Era una domanda che mille volte gli era stata rivolta in quel periodo, con mille intonazioni diverse, ed era sempre stato fin troppo facile rispondere con un credibile “Benissimo” anche quando la pelle tirava e la garza era sporca di sangue; ma con messer Cesare non era mai stato possibile fingere, perciò si ritrovò a riflettere per un attimo prima di rispondere. «Meglio» disse infine, perfettamente sincero «Non ho più bisogno del mio sostegno, qualche giorno e smetterò di essere un peso per tutti voi.»
Gli parve di vedere un’ombra scivolare sul viso di messer Cesare, ma fu solo per un secondo. «La tua incredibile velocità non si ferma alle lingue, vedo» mormorò, con forse più rammarico del necessario.
«La spalla si sta rimettendo perfettamente, ve lo assicuro» insisté Angelo, agitato dal timore di avere in qualche modo offeso il suo ospite «Guardate, la cicatrice è completamente rimarginata, quello che mi serve ora è solo riposo.»
Detto questo, sciolse il fiocco al collo della sua veste da camera - troppo larga, spesso si era domandato a chi appartenesse, se ad Alvaro o Miguel o uno dei servitori di messer Cesare così più muscolosi di lui - e fece scivolare giù un lembo fino a scoprire la spalla, il punto dove il pugnale si era conficcato nella sua carne solo poche settimane prima.
Lo sguardo di messer Cesare era intento e perforante come quello di un falco, e d’improvviso Angelo si sentì uno sciocco. Cosa voleva dimostrare, a scoprirsi così per una semplice domanda dettata dalla cortesia? Con le guance appena velate di rosso abbassò lo sguardo, e la mano esitò sull’orlo della stoffa, pronta a rimettere la veste al suo posto.
Ma un’altra mano la bloccò, una mano ferma e autoritaria che tirava ancor più giù la stoffa e metteva per intero in mostra le sottili linee bianche che formavano la cicatrice. Le dita di messer Cesare sostavano di un soffio sotto la sua ferita, sfiorando cuciture e lacci come a volerla incorniciare. Angelo strinse il lembo opposto dello scollo in un gesto insicuro e alzò leggermente gli occhi, per cercare di capire cosa stesse turbando il suo signore tanto da spingerlo ad una così attenta analisi di una semplice ferita. La sua espressione era illeggibile, e le sue dita così incredibilmente leggere…
«Ahem.»
Per la seconda volta in pochi minuti Angelo sobbalzò e corse a guardare chi fosse ora alla sua porta. Miguel, veste nera ed espressione fredda, squadrava a braccia conserte i due occupanti della stanza, con un sopracciglio sollevato ed uno sguardo che fece inspiegabilmente vergognare Angelo. Si affrettò a ricoprirsi, scacciando con un movimento involontariamente brusco la mano di messer Cesare, che si voltò lentamente verso il nuovo arrivato.
«Francesco mi aveva pregato di controllare che foste ancora a palazzo e con tutti gli arti al loro posto, dopo la vostra fuga dal tavolo della colazione.»
Messer Cesare scrutò con velato fastidio la posa rigida e ufficiosa di Miguel. «Ero venuto a controllare la salute di Angelo, come mi sembra ovvio» rispose, con un’intonazione della voce che sembrava quasi di sfida.
Gli occhi di Miguel si assottigliarono impercettibilmente, poi un sorrisetto sbocciò sulle sue labbra mentre abbandonava il contegno altero di poco prima e s’introduceva anche lui nella camera, chiudendo attentamente la porta alle proprie spalle e andando a sedersi al mobile di fronte al letto, come suo solito. «E come si trova il nostro valoroso malato?»
Angelo abbassò di nuovo lo sguardo. «Molto meglio» disse, «ma non c’è nulla di valoroso nella mia convalescenza.»
Non poteva vederlo, ma sentì lo sbuffo di Miguel ed era sicuro che il ragazzo stesse alzando gli occhi al cielo come ogni volta che Angelo ripeteva quelle parole; ma messer Cesare non l’aveva mai sentito fare certi discorsi, e Angelo poté vedere la sua espressione accigliarsi nella sua direzione. «Che sciocchezze vai dicendo, Angelo?» sbottò, con il tono imperioso di chi non è abituato ad essere contraddetto.
Angelo si ritrasse appena contro i cuscini, spaventato dall’idea di aver fatto infuriare messer Cesare, ma non ritrattò quanto detto. Aveva avuto molto, troppo tempo per riflettere, e non riusciva a vedere il proprio gesto come qualcosa di valoroso; stupido, forse, pericoloso e avventato, ma nulla di straordinario, nulla che qualsiasi altro compagno di messer Cesare non avrebbe fatto. «La mia ferita… con la mia irruenza ho costretto Miguel ad uccidere Roberto, dato modo a Draghignazzo di fuggire, ho rovinato i vostri piani…»
Cadde il silenzio. Sentiva su di sé lo sguardo penetrante di messer Cesare, uno sguardo indagatore capace di sondare ogni piega della sua anima, e intanto il ticchettare ritmato degli stivali di Miguel contro il mobile su cui sedeva scandiva i secondi senza che nessuno ancora parlasse.
«Ritieni forse» esordì infine messer Cesare «che salvarmi la vita sia un atto privo di valore?»
Angelo sollevò il capo di scatto, sgranando gli occhi, inorridito che messer Cesare avesse potuto pensare una cosa così vile di lui. «Me-messer Cesare, certo che- io- non direi mai nulla del genere! Non potrei mai pensarlo! Ma nella mia stupidità mi ero dimenticato dei vostri compagni, pronti a proteggervi, e ho finito soltanto per rovinare tutto!» La durezza delle parole di messer Cesare lo raggelava, era pronto a qualunque cosa pur di far capire al suo signore la verità… quando si accorse che messer Cesare sorrideva appena, e lo guardava con calore negli occhi. Miguel scoppiò a ridere della sua espressione spaesata.
«Angelo, la tua innocenza riesce sempre a sorprendermi.» Il suo sorriso si fece più marcato mentre si avvicinava al letto tanto da sfiorarne il materasso con le ginocchia. «Credi davvero che qualcun altro avrebbe fatto quello che hai fatto tu, nelle stesse circostanze?»
Angelo lo fissò senza capire. «Ma certo - i vostri uomini…»
«I miei uomini hanno l’ordine di proteggermi, ed il fantasma di una tremenda punizione aleggia sulle loro teste in caso di fallimento. Ma credi davvero che qualcuno, di sua spontanea volontà, senza esitazione, senza un ordine, avrebbe il coraggio di frapporsi tra me e la morte?»
Angelo non sapeva come rispondere. Per lui era stato naturale, come respirare e battere le palpebre, e non si capacitava che una qualsiasi persona, conosciuta la grandezza di messer Cesare, avrebbe potuto esitare un solo secondo di fronte alla possibilità di salvarlo. D’altronde, erano tanti gli uomini che avevano paura di lui. Cercò l’aiuto di Miguel con lo sguardo ma l’altro se ne stava semplicemente seduto immobile a fissarlo in rimando, le labbra incurvate appena in un sorrisetto furbo. Ancora senza parole, si voltò nuovamente verso messer Cesare.
«Quello che hai fatto per me, Angelo, è una cosa che farebbero in pochi. Ti devo la vita, e questa cicatrice» sfiorò con due dita la spalla di Angelo e il ragazzo sentì il proprio cuore sussultare «è il simbolo della tua lealtà.»
«Ma anche Miguel l’avrebbe fatto» balbettò senza pensarci, incapace di trattenersi.
Cesare lo studiò con una lunga occhiata, quindi si voltò verso Miguel. L’altro acconsentì all’ordine inespresso con un cenno del capo, scendendo elegantemente dal comò ed avvicinandosi al suo signore mentre scioglieva rapido i lacci del collo della casacca. Angelo non capì cosa stesse facendo finché non lo vide sbottonarsi la giacca e farla scivolare a terra in un cumulo di raso nero, calciarla via, e sollevare l’orlo della sottoveste chiara. Arrossì senza motivo quando messer Cesare prese nella sua una delle mani di Miguel e spinse in alto la stoffa, rivelando il corpo dell’amico. Nell’imbarazzo Angelo notò, allora, il motivo di quel gesto.
Il petto, il torace, i fianchi di Miguel erano tutti segnati da una ragnatela di cicatrici, alcune più piccole e sottili, altre più lunghe e spesse, cicatrici lasciate da spade e coltelli e armi cui Angelo non aveva il coraggio di pensare.
«I segni della mia lealtà» scherzò Miguel, ma tacque non appena Cesare lasciò andare la sua mano per toccarne uno in particolare, una brutta cicatrice nodosa sul costato di Miguel, non molto lontano dal suo cuore.
«Pamplona, il mio primo sicario» mormorò, con una voce bassa e ruvida che Angelo non aveva mai sentito. «Sapevi a mala pena tenere in mano una spada ma non hai indugiato un attimo, pur circondato da guerrieri più forti di te… y el terror en los ojos de aquel hombre, cuando que se levantò…»
Miguel chiuse gli occhi e il suo respiro si fece pesante mentre le dita di Cesare scivolavano lungo il suo torace, ignorando cicatrici e indugiando su altre fino a fermarsi su una lungo il suo fianco destro, quasi nascosta dall’orlo del suoi pantaloni. «Roma, invece, e un tradimento inaspettato» sussurrò. Miguel rabbrividì, ancora ad occhi chiusi, testa alta e spalle rigide, e Cesare sorrise di un sorriso tagliente. «Mi turno para protegerse…»
Angelo osservava la scena muto, come inchiodato al suo letto, senza la più vaga idea di come comportarsi. Non aveva mai visto nulla del genere, non aveva mai visto messer Cesare e Miguel in una tale intimità, non aveva mai visto due uomini comportarsi in questa maniera. Una parte di lui, una voce che sapeva di vecchio e di polveroso, sapeva che stava succedendo qualcosa di strano, di sbagliato, ma c’era anche un fuoco dentro di lui che si era svegliato e tutto quello che gli faceva pensare era che non era giusto, che si sentiva escluso, che entrare nel mondo degli altri due era la cosa che desiderava di più al mondo. Anch’io, vi prego, anch’io.
Quando Cesare si voltò verso di lui - una mano ancora sul fianco di Miguel con le dita che gli stringevano la pelle e scivolavano oltre la stoffa dei pantaloni, gli occhi profondi e scuri e quella forza nello sguardo -, si rese conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento e di avere il viso in fiamme.
«Tu hai fatto per me quello che solo Miguel avrebbe fatto, e questo è il segno del vostro coraggio. Lealtad, fidelidad, una promesa.» Miguel trattenne bruscamente il fiato quando Cesare strinse le presa attorno al suo fianco e intanto tendeva una mano verso il viso di Angelo, prendendogli il mento tra le dita per guardarlo negli occhi. «È per questo che siete preziosi, mi ejército. Con voi nemmeno il mondo è una sfida troppo grande.»
E a quel punto il fuoco dentro il petto di Angelo divampò, esplose con un rombo, e Angelo non poté fare altro che chiudere gli occhi e lasciarsi andare alla forza di messer Cesare, alle dita che gli accarezzavano la guancia e si perdevano tra i suoi capelli per trascinarlo in un bacio sconvolgente.
Non aveva mai baciato una fanciulla, aveva sentito solamente i racconti dei fiorentini più sbruffoni e voci caute, nell’ombra, che bisbigliavano di baci scambiati in gran segreto con altri ragazzi, ma non era niente del genere, ne era certo. Angelo non aveva mai sentito parlare di baci che toglievano il fiato, baci capaci di far tremare le gambe e perdere la ragione, di labbra calde e decise pronte a prenderti l’anima. Quello non era un bacio, non solo, era una promessa di fedeltà e un sigillo, ed ancora di più.
Un lamento lo scosse, e si chiese a chi potesse appartenere - a Cesare? a lui? Non era più sicuro di nulla - prima di capire che era stato Miguel, che ancora immobile e impettito li fissava con occhi scuri, come in attesa di un ordine per muoversi. Cesare si scostò da Angelo con una carezza sul collo e si alzò in piedi, sinuoso ed elegante, per avvicinarsi a Miguel, baciargli una guancia e sussurrargli all’orecchio: «Piensa en él.» Miguel chiuse gli occhi, quasi incapace di resistere alla vista del suo signore così vicino, e quando li riaprì erano carichi di bollente determinazione; si tolse del tutto la camicia e la gettò via, voltandosi a scambiare un piccolo ghigno con Cesare prima di puntare un ginocchio sul materasso ed abbassarsi verso Angelo.
Il fiorentino era disorientato, catapultato in una situazione che non sapeva come gestire, ma qualcosa nell’espressione di Cesare e nel modo in cui Miguel scioglieva i lacci della sua veste lo tranquillizzò, riempiendolo di sicurezza. Avrebbe seguito Cesare sino in capo al mondo, e se era a questo che voleva condurlo significava che era la cosa giusta, pensò Angelo assecondando i movimenti di Miguel, alzando le braccia per dargli modo di sfilare la veste da camera.
Cesare era nuovamente seduto accanto al letto, un gomito appoggiato al bracciolo della sedia e una gamba mollemente gettata oltre l’altro, e riusciva ad emanare regalità anche appoggiato così scompostamente mentre li guardava attento a non perdersi nemmeno il più piccolo movimento. Miguel si voltò brevemente e ricevuto un cenno d’assenso tornò ad Angelo, tentò un sorriso rassicurante e poggiò le labbra sulle sue. Non c’era nel bacio l’irruenza di Cesare, era più lento e attento, come in un gioco di cui si debbano ancora imparare le regole; dove Cesare si imponeva, Miguel voleva segnare la strada, e Angelo fu più che felice di seguire la sua guida. Cercò di imitarlo, ripetendo i suoi movimenti, ma appena credeva di averlo raggiunto Miguel faceva qualcosa di inaspettato - un morso leggero, un bacio sul collo - e Angelo tornava ad essere un ragazzino tremante alle prese con qualcosa di più grande di lui. Quando Miguel appoggiò le mani sul suo petto e fece pressione per farlo distendere Angelo cedette senza opporsi, trovandosi sovrastato da Miguel e completamente nudo quando il compagno scalciò via le coperte del letto.
Arrossì incontrollabile, resistendo a mala pena alla tentazione di coprirsi. Poteva esistere qualcosa di più imbarazzante? Ma lo sguardo di Miguel era caldo e pieno di ammirazione, e invece che farlo vergognare rinvigoriva il fuoco nel suo petto scatenando in lui reazioni inaspettate. Trattenne il fiato quando Miguel si abbassò sul suo petto e tracciò con le labbra la cicatrice sulla sua spalla, graffiandolo appena sui fianchi, e quando Cesare prese una delle sue mani dal bordo del materasso e ne baciò il polso Angelo gemette apertamente.
Miguel rise piano, una risata che vibrò contro la pelle di Angelo, e Cesare sorrise prendendo a baciare il palmo della mano del ragazzo, con delicatezza, per poi prenderne un dito tra le labbra e giocarvi con la lingua. Nessun gentiluomo per bene avrebbe mai dovuto lasciarsi sfuggire i versi cui si stava abbandonando Angelo.
«Ti stavi annoiando?» chiese Miguel sollevandosi dal corpo di Angelo per guardare Cesare negli occhi, beffardo. Cesare sorrise attorno alla mano del fiorentino e se ne staccò lentamente per rispondere, «Prego, continuate pure.» Detto ciò prese la mano di Angelo e la posò sulla schiena di Miguel, proprio sull’orlo dei suoi pantaloni, e si alzò dalla sedia iniziando a liberarsi della pesante stola che gli fasciava le spalle. Angelo avrebbe voluto seguire i suoi movimenti ma un improvviso morso sul collo lo costrinse a chiudere gli occhi, e trovò estremamente conveniente aggrapparsi alla schiena di Miguel mentre questi gli esplorava il petto con denti e lingua.
«Muy hermosos» sentì Cesare dire da qualche parte vicino ad una colonna del baldacchino, e aprendo gli occhi Angelo lo trovò ai piedi del letto, che dall’alto squadrava lo scenario sul materasso come se si fosse trattato di una qualche opera d’arte. Il ragazzo si allontanò dalla colonna e camminò lentamente attorno al letto fino ad arrivare alla testata, lo sguardo assorto di un predatore, e con due dita accarezzò la schiena di Miguel lungo tutta la spina dorsale, facendo alzare gli occhi al compagno. Si abbassò con un sorrisetto per sussurrargli all’orecchio qualcosa che Angelo non capì, ma che fece accelerare i battiti del suo cuore quando vide l’espressione sul viso di Miguel.
E poi Miguel si raddrizzò e prese ad armeggiare con i lacci dei propri pantaloni mentre Cesare tornava sereno ad appoggiarsi al muro, come uno spettatore, lasciando Angelo ignaro di come reagire davanti al corpo finalmente nudo di Miguel. Non aveva idea di cosa si aspettassero da lui, tutto ciò che sapeva era che le sue guance non erano mai state tanto scarlatte come ora e non aveva mai sentito un bisogno tale di essere vicino ad un’altra persona, abbracciarla, toccarla. Rimase qualche secondo a bocca aperta, spostando lo sguardo lungo tutto il corpo dell’amico, incapace di osservare altro, e dopo un’occhiata discreta scambiata con Cesare fu Miguel a toglierlo dalla sua miseria ed agire al posto suo.
Quello che fece fu chinarsi tra le ginocchia di Angelo e premere un bacio a bocca aperta sulla sua coscia, poi sotto il suo ombelico, e infine sulla sua virilità. Fu come non riuscire più a respirare, un piacere tanto forte da togliergli il fiato e costringerlo ad artigliare le lenzuola per avere qualcosa cui reggersi e non perdere il controllo; gemette forte quando Miguel si allontanò e poi di nuovo dovete serrare gli occhi quando l’altro si abbassò e si fece scivolare il suo membro in gola.
«Mi-Miguel-» ansimò, sollevando appena il capo per vedere i ricci scuri di Miguel muoversi pigramente avanti e indietro tra le proprie gambe. Vederlo così, sentire quello che stava facendo al suo corpo, essere imprigionato nel calore della sua bocca, era tutto troppo per lui, un piacere cui non avrebbe potuto resistere per molto ancora.
«Miguel, es suficiente» udì Angelo, come da una dimensione lontana, e quando Miguel si fu allontanato ed ebbe ripreso il controllo di sé si rese conto che era la voce di Cesare, e che il ragazzo era accanto a loro; si era liberato di quasi tutte le vesti, fatto salvo per una camicia di stoffa leggera, e li stava osservando compiaciuto. «È troppo presto per finire» disse, e tolse il ghigno dalle labbra rosse e gonfie di Miguel con un bacio profondo.
Angelo li guardò e quello che provò non fu invidia, non timore di essere escluso, solo un grande amore e il desiderio di poterlo condividere con i due uomini di fronte a lui. Si mise piano in ginocchio al fianco di Miguel e cauto, ma senza incertezze, si chinò a baciare la mano di Cesare sulla spalla di Miguel. Incoraggiato dal verso d’apprezzamento del suo signore divenne più sicuro, più audace, e si avvicinò ancora tanto da scostare la camicia dal corpo di Cesare e baciarlo nel modo in cui aveva fatto Miguel. Non aveva idea di cosa stesse facendo ma c’era una parte del suo corpo che sembrava estremamente sicura di sé, così seguì l’istinto e accarezzò le gambe di Cesare, le sue cosce, prima di prendere la sua virilità in mano e posare le labbra sulla punta.
Sapeva di pelle e sale, e qualcosa di così tremendamente Cesare, così prese a stuzzicarla con la lingua e tracciarne la lunghezza con le labbra. Sopra di sé sentì Cesare inalare bruscamente e subito una mano si posò sulla sua nuca, guidandolo con delicata fermezza. Angelo alzò lo sguardo e provò un brivido di piacere nel vedere le guance imporporate del suo signore, gli occhi lucidi di desiderio con cui ricambiava il suo sguardo, e poi sentì anche Miguel avvicinarsi e baciare la base della virilità tesa di Cesare, e in breve furono in due a godere della soddisfazione di far sospirare l’erede dei Borgia a causa delle loro bocche.
«Miguel, non è il momento» gracchiò con voce roca, e Miguel si tirò indietro ridendo.
«Per non farti sentire escluso» ridacchiò.
Mani gentili toccarono il mento di Angelo e lo scostarono. Angelo guardò Cesare senza capire, temendo di star sbagliando qualcosa, col desiderio di tornare e sentire ancora sulla sua lingua il peso della virilità del suo signore, ma Cesare gli diede un bacio profondo e lo lasciò andare con un sorriso. «Aspetta solo un momento, mio caro Angelo.»
Lo baciò ancora e Angelo si lasciò andare, lasciò che Cesare lo coricasse ancora sul materasso e che Miguel si stringesse al suo fianco, accarezzandolo sulle braccia e sul petto per poi scendere giù e toccarlo dove più ne aveva bisogno. Gemette mentre Cesare prendeva possesso della sua bocca con la lingua e Miguel si sistemava tra le sue gambe, senza smettere di accarezzarlo con una mano e allargandogli le ginocchia con l’altra. Quando poi sentì le dita bagnate di Miguel scivolare tra i propri glutei e penetrarlo con lentezza estenuante si limitò a gemere più forte e stringere le braccia al collo di Cesare, sopraffatto dalle sensazioni.
Era qualcosa che non aveva mai provato, qualcosa che sapeva essere sbagliato, ma in quel momento sembrava solo quello che andava fatto, la cosa giusta, quello che voleva. Le dita di Miguel che entravano e uscivano dal suo corpo gli donavano un piacere bruciante al limite del dolore, qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che dopo poco non era più abbastanza. Cercò Miguel con lo sguardo - senza sapere cosa dirgli, senza sapere cosa fare - e lo supplicò con un gemito incoerente, che fece sorridere Miguel. Nonostante tutto non continuò a torturarlo, sottrasse semplicemente le dita al calore del suo corpo, lo prese saldamente per i fianchi e con calma infinita si fece strada dentro di lui.
Angelo imprecò, incapace di trattenersi. Era troppo, il dolore, le sensazioni, si rese conto che non avrebbe mai resistito e avrebbe voluto dirlo a Cesare, a Miguel, ma quando il ragazzo dentro di lui cominciò a muoversi e affondò di nuovo nella sua carne fu accecato da una fitta di piacere indescrivibile.
«Te gusta, Angelo?» mormorò Cesare al suo orecchio. Voltò il capo e osservò Cesare da sotto palpebre pesanti, lo vide sorridere e salire sul letto alle spalle di Miguel, intrecciare le dita tra i suoi capelli e tirargli indietro la testa per un bacio. «Questo» disse, lasciando andare Miguel e facendogli scorrere le mani lungo la schiena. «Tutto questo - noi tre - siamo invincibili. Un cerchio, la perfezione.» E senza indugiare oltre entrò dentro Miguel, cingendogli il torace con un braccio e sorreggendolo mentre inarcava la schiena con una smorfia di piacere sul volto, andando a spingere ancora più forte dentro Angelo e mozzandogli il fiato.
Erano un cerchio, l’unione perfetta di tre corpi, ogni gesto era per tutti e il sospiro di ognuno faceva fremere gli altri due; le spinte di Cesare e Miguel si fondevano in un unico movimento fluido, le gambe di Angelo strette attorno alla vita di Miguel e la schiena di Cesare premuta contro quella del suo compagno mentre con una mano tra i loro corpi accarezzava pigramente la virilità di Angelo.
Era un cerchio, era ciò per cui erano nati, era il loro destino. Angelo baciò Miguel con una punta di disperazione e si strinse alle spalle di Cesare mentre il piacere lo sommergeva come un’onda, lasciandolo in balia di calore e rumore bianco.
«Perfetto» disse Cesare, marchiando Miguel col proprio seme mentre il ragazzo si accasciava, spento, sul torace di Angelo.
«Perfetto» ripeté, uscendo da lui e sdraiandosi accanto agli altri due ragazzi, stanchi e affannati, stringendoli entrambi tra le proprie braccia finché il sonno non scivolò su di loro come una coperta.

autore: p_will, cesare, fanfiction

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