Titolo: Se ami qualcuno, lascialo libero
Fandom: Free! Iwatobi Swim Club/Eternal Summer
Rating: verde
Personaggi: più o meno tutti
Pairings: Rin/Haruka, Rei/Nagisa
Riassunto: "Come a conferma delle sue peggiori ipotesi, vide Rin scavalcare il parapetto della barca e balzare a bordo con un arpione stretto in pugno. Kisumi scosse la testa, trovando assolutamente inconcepibile quello che vedeva.
«Forse è il caso che esci a dare un’occhiata qui fuori. » suggerì a Sousuke in tono preoccupato. «Il timone posso tenerlo io, ma Rin con un arpione in mano è più un affare di tua competenza. »"
Disclaimer: Free! e tutti i suoi personaggi appartengono a Kouji Ouji e alla Kyoto Animation.
Note: Mermaid!AU perchè sì, Haru sirenetto è l'amore.
Beta:
mystofthestarsWord count: 2810 (fdp)
Il cielo si era fatto sempre più scuro mentre lasciavano il porto, grossi nuvoloni si erano addensati sopra l’isola di Iwatobi e il vento aveva preso a soffiare più del previsto, gonfiando le vele e spingendo in avanti la barca. Rin non si preoccupava troppo del tempo, anzi al momento l’idea di sfruttare quell’inizio di temporale per raggiungere più velocemente l’imbarcazione di Samezuka davanti a loro era tutto ciò a cui pensava. Aveva ordinato a Rei di spiegare le vele, nonostante potesse essere pericoloso un simile aumento di velocità improvviso, e raccomandato a Nitori di controllare l’attrezzatura. In quel momento aveva in mente solo Haru e il fatto di raggiungerlo per liberarlo, poi ne avrebbe dette quattro a Sousuke: anche se era un suo vecchio amico, non gli avrebbe perdonato il fatto di essersi introdotto in casa sua, terrorizzando sua sorella e il giovane mozzo, per sottrargli qualcosa che gli aveva precedentemente negato.
«Ryugazaki! » esclamò mentre stringeva il timone per mantenere l’imbarcazione in rotta. «Controlla che gli arpioni siano affilati e ben funzionanti. »
Non aveva ancora studiato esattamente un piano per abbordare la barca di Samezuka, né come affrontare un eventuale scontro, ma quelle erano le uniche armi di cui disponeva, oltre ad un coltello a serramanico che portava sempre in tasca per ogni evenienza.
Rei gli lanciò un’occhiata allarmata, ma non ribatté, affrettandosi ad eseguire.
Più avanzavano in mare aperto più peggioravano le condizione meteorologiche, iniziò anche a piovere trasformando ben presto le prime semplici gocce in un acquazzone scrosciante. La barca di Samezuka era sempre più vicina ma, a dispetto della minore velocità, sembrava parecchio più stabile. Rin stava ancora ragionando sul modo migliore per avvicinarsi, evitando uno scontro che le avrebbe danneggiate entrambe, quando scorse con la coda dell’occhio Rei sporgersi oltre il parapetto ed agitare un braccio in direzione dell’acqua. Un istante dopo gli giunse chiaramente la voce di Nagisa.
«Rei-chan! Cosa sta succedendo? Dov’è Haru-chan? » chiese il tritone, chiaramente spaventato, sia dalla tempesta che si stava scatenando attorno a loro che dalla piega imprevista presa dalla situazione.
Anche Rin si sporse oltre la cabina dove si trovava il timone e anticipò la risposta, nella speranza di ottenere un qualche aiuto dai due amici di Haruka.
«Haru è stato rapito da quei tipacci! » esclamò indicando la barca davanti a loro. «Se riuscissero nel loro intento farebbe davvero una bruttissima fine. Stiamo andando a liberarlo ma ci serve tutto l’aiuto possibile. Se riusciste a rallentare un po’ la barca, io potrei…»
Non aveva idea di cosa avrebbe potuto fare, sapeva solo che non avrebbe lasciato nulla d’intentato, anche se gli uomini a bordo gli sarebbero stati addosso in un attimo.
«… Potrei spingerlo in acqua non appena ci affiancheremo. Poi voi portatelo via e scappate il più lontano possibile, al resto ci penseremo noi. »
Si rendeva conto che, messa in quel modo, suonava orribilmente come una mossa suicida, ma voleva lasciare gli arpioni come ultima risorsa.
«Nagisa! Makoto! » intervenne Rei. «Bloccate il timone! É una specie di coda che si muove sulla parte posteriore della barca. Se non potrà più farlo, perderanno il controllo. E fate attenzione!»
I due tritoni sembravano un po’ confusi da quella rapida spiegazione, ma guizzarono via ugualmente e Rin si augurò che non avessero problemi.
Il mare si era ingrossato, tenere la barca in rotta era sempre più difficile, ma almeno stavano guadagnando terreno e di lì a poco li avrebbero raggiunti.
Fino a poco prima Makoto e Nagisa erano rimasti sulla spiaggia in attesa che gli umani, che si erano precedentemente allontanati, onorassero la promessa fatta e tornassero con Haruka. Se il tritone dorato provava fiducia nei confronti del ragazzo con gli occhiali, Makoto era invece fuori di sé dalla preoccupazione: non vedeva l’amico da un giorno e una notte, e in quel lasso di tempo poteva essergli successo di tutto. Le rassicurazioni dell’umano dai capelli rossi significavano poco o nulla alle sue orecchie, tutto quello che voleva era constatare di persona che Haruka stesse bene e scusarsi per l’ennesima volta con lui per essere stato la causa, anche se indiretta, di quella brutta avventura.
Tuttavia gli umani non avevano fatto ritorno per un lasso di tempo decisamente troppo lungo e questo gli suggeriva che qualcosa doveva essere andato storto. Quando poi Nagisa scorse una barca in lontananza, che stava prendendo il largo nonostante fosse chiaramente in arrivo una tempesta, e guizzò via per controllare di chi si trattasse, ebbe la netta sensazione che la situazione fosse precipitata.
Dopo le spiegazioni affrettate di Rei, si ritrovarono entrambi spiazzati dal nuovo compito che li aspettava: nessuno dei due aveva idea di come funzionasse una barca degli umani, né di cosa fosse il fantomatico “timone”, definito come una coda dal loro amico, ma se si trattava di salvare Haruka avrebbero fatto tutto il possibile. Muovendosi rapidamente ad una profondità sufficiente da non essere intralciati dalle onde sempre più alte, si avvicinarono allo scafo dell’imbarcazione e ne scrutarono la composizione. In effetti vi era, verso la base, una parte che si muoveva ritmicamente, oscillando come se fosse dotata di vita propria. Se era quella la “coda” di cui parlava Rei, allora dovevano trovare in fretta il modo in cui bloccarla. Avvicinarsi sembrava pericoloso, quindi Makoto pensò di allontanare Nagisa mandandolo in cerca di una pietra abbastanza grande che potesse fermarne il movimento. Il tritone dorato guizzò via annuendo e Makoto rimase per un attimo in contemplazione del marchingegno: faceva davvero paura, si disse, ma di certo in quel momento Haruka era più in pericolo e spaventato di loro, quindi dovevano farsi coraggio. Senza il loro intervento, gli umani non sarebbero mai riusciti a salvarlo.
Quando vide Nagisa nuotare verso di lui con una pietra dall’aspetto pesante tra le braccia, si affrettò a raggiungerlo e ad aiutarlo, e insieme studiarono il modo per utilizzarla. Dovettero fare diversi tentativi per riuscire ad avvicinarsi senza rischiare di venire colpiti dal timone, ma alla fine riuscirono ad incastrare in modo stabile la pietra tra la barra di metallo e lo scafo. In quel modo la barca dei rapitori non si sarebbe più potuta muovere agevolmente e il salvataggio di Haruka sarebbe stato più semplice. Ora tutto era nelle mani degli umani.
Se lo scossone che colpì la barca di Samezuka passò inosservato ai due che si affannavano sul ponte per mettere al riparo dal temporale le attrezzature, non così fu per il ragazzo che si trovava nella cabina del timoniere assieme a Sousuke.
Kisumi Shigino, braccio destro del boss dell’isola, aveva ricevuto come incarico quello di supervisionare le operazioni, ma non era certo per quello che aveva atteso a bordo che gli altri tornassero con il tritone, né il motivo per cui aveva deciso di affrontare quel viaggio. In effetti, se avesse conosciuto i disagi a cui sarebbe andato incontro, primo tra tutti il temporale che imperversava su quel tratto di mare rendendo quasi impossibile la navigazione, avrebbe di certo trovato il modo di svicolare. Dopotutto, affascinante com’era, con quel perenne sorrisetto da seduttore e quello sguardo da gatto, era il punto debole del boss, che gliele concedeva tutte lasciandogli fare praticamente quello che voleva. Il vero motivo per cui ora si trovava lì era la sua curiosità. Voleva vedere che aspetto avesse una sirena da viva, poiché era certo che, una volta giunti a destinazione non lo sarebbe rimasta per molto, ma soprattutto il suo interesse era un altro. Kisumi era a sua volta cresciuto a Iwatobi, aveva conosciuto Rin e Sousuke da bambini e aveva avuto la possibilità di assistere con i suoi occhi all’attaccamento che quest’ultimo aveva sviluppato nei confronti dell’amico. Da quando si erano separati, aveva sempre avuto l’impressione che il suo sottoposto guardasse a Iwatobi con nostalgia, di conseguenza, quando aveva saputo che era stato proprio Rin a proporre l’affare della sirena e che il capo aveva deciso di mandare Sousuke a concluderlo, non aveva potuto fare a meno di mettersi in mezzo. Voleva vedere la reazione di Sousuke, sempre freddo e distaccato, a questo nuovo incontro, voleva vedere di nuovo quella luce accendersi nei suoi occhi, e constatare come Rin si sarebbe comportato a sua volta. Certo, se avesse immaginato di ritrovarsi su una barca nel bel mezzo di una tempesta, ci avrebbe pensato due volte e sarebbe giunto alla conclusione che, forse, tra i drammi sentimentali dei suoi amici e la sua incolumità, la priorità andava a quest’ultima. Ma ormai il danno era fatto.
«Che diavolo sta succedendo? » esclamò mentre una forte oscillazione rischiava di fargli perdere l’equilibrio.
Sousuke, che stringeva il timone, rispose con un ringhio incomprensibile prima di aggiungere: «Non lo so, non si muove. Forse qualcosa si è incastrato. Spero non sia rotto o saremmo nei guai fino al collo. »
In effetti, con il timone danneggiato e la barca in balia del vento, non sarebbero mai stati in grado di raggiungere Samezuka.
«Di’ ai ragazzi di scendere sottocoperta a controllare. » aggiunse Sousuke, ma proprio mentre stava per uscire, Kisumi scorse l’imbarcazione che li seguiva farsi sempre più vicina.
«Qualcuno ci sta seguendo. » constatò con un certo stupore. Dopotutto era folle anche solo uscire in mare con quel tempaccio. «Non dirmi che…»
«Già, è Rin. Cosa diavolo gli dice il cervello?! »
Kisumi ricordava bene quanto l’amico fosse ostinato nelle sue decisioni, ma non si aspettava che arrivasse a mettersi in pericolo per recuperare quella creatura. Inoltre Sousuke ora sembrava decisamente infuriato, oltre che preoccupato.
«Dannazione! Stupido pesce! » lo sentì imprecare mentre picchiava un pugno sul timone, prima di uscire a dare agli altri gli ordini stabiliti.
Doveva ammettere che quella situazione non l’aveva prevista e vedere Sousuke così infuriato lo metteva in allarme. Non si trattava più della nostalgia provata verso l’isola natale, né dell’affetto per il vecchio compagno di giochi: quello che Kisumi vedeva era un senso di frustrazione e una rabbia malcelata verso la creatura che trasportavano, un astio difficilmente spiegabile senza coinvolgere sentimenti personali, e i sentimenti personali, si sapeva, in situazioni come quelle portavano sempre guai.
Purtroppo non ebbe nemmeno il tempo di raggiungere la metà del ponte, che un altro scossone fece tremare lo scafo della barca, rischiando di mandarlo a gambe all’aria sulle assi fradice. Alzando la testa, si trovò di fronte uno spettacolo che lo lasciò incredulo.
«Quei pazzi ci sono venuti addosso! » esclamò reggendosi a stento ad una delle pareti della cabina. «Sono fuori di testa, cosa vogliono fare?! »
Kisumi davvero non riusciva a capire: quella creatura era così importante per Rin da rischiare la vita in mare? Che fosse vera la diceria secondo la quale le sirene incantavano le loro prede? In ogni caso non sarebbe riuscito a riprendersela, i ragazzi avrebbero avuto ragione di lui prima che potesse fare qualunque cosa.
Come a conferma delle sue peggiori ipotesi, vide Rin scavalcare il parapetto della barca e balzare a bordo con un arpione stretto in pugno. Kisumi scosse la testa, trovando assolutamente inconcepibile quello che vedeva e, mentre i due compagni uscivano da sottocoperta per andare incontro al rosso, infilò di nuovo la testa nella cabina.
«Forse è il caso che esci a dare un’occhiata qui fuori. » suggerì a Sousuke in tono preoccupato. «Il timone posso tenerlo io, ma Rin con un arpione in mano è più un affare di tua competenza. »
Quando vide la barca di Samezuka rallentare e sbandare di lato, Rin non poté trattenere un’esclamazione d’entusiasmo: Nagisa e Makoto ce l’avevano fatta, ora raggiungerli sarebbe stato un gioco da ragazzi. In venti forti, uniti alla pioggia battente, rendevano complicato il mantenimento della rotta, ma in pochi minuti riuscirono quasi ad affiancarli e fu allora che ordinò a Rei di ammainare le vele principali. Sarebbe stato un problema se delle raffiche incontrollate avessero spinto lontano la loro imbarcazione.
«Nitori! Vieni a tenere il timone! » esclamò e, mentre usciva dalla cabina, i due scafi finirono per collidere, con un brusco tonfo e un inquietante rumore di metallo e legno raschiato.
Rin si afferrò al parapetto per non perdere l’equilibrio sul ponte scivoloso, si scostò dagli occhi a frangia fradicia e lanciò la fune con il rampino che aveva preparato poco prima. Se la situazione fosse stata meno drammatica, avrebbe riso di quell’approccio piratesco che gli riportava alla memoria i giochi infantili fatti proprio con Sousuke. Ora invece di divertente non c’era proprio niente, anzi la situazione non era mai stata così pericolosa. Per questo, nonostante fosse consapevole che andare da solo non fosse una buona idea, non si azzardò a chiedere esplicitamente a Rei di seguirlo. Si limitò ad afferrare un arpione e a scavalcare entrambi i parapetti.
Quando atterrò sul ponte della barca di Samezuka, subito si guardò intorno freneticamente e non gli fu difficile individuare la grossa cassa fissata al pavimento con alcune funi.
«Haru! » esclamò, precipitandosi in quella direzione, mentre con la coda dell’occhio vedeva due figure minacciose avvicinarsi. «Haru, sono io! Non avere paura, ora ti libero! »
Era certo che il tritone si trovasse rinchiuso lì dentro e, nella fretta, per poco non scivolò sul pavimento inondato dall’acqua, rischiando di finire lungo disteso sulla cassa stessa.
L’arpione che stringeva in mano non era di grande aiuto se si trattava di tagliare le corde, quindi mise mano al coltello che aveva in tasca, tentando di reciderle prima che i ceffi di Samezuka lo raggiungessero.
«Non temere, Haru, non permetterò che ti facciano del male! » ripeté, per convincere sia sé stesso che il tritone e ricevendo in risposta un debole richiamo che confermò le sue ipotesi: Haruka era lì dentro.
Aveva appena reciso la prima fine che una voce fin troppo nota lo interruppe.
«Che stai facendo, Rin? » esclamò Sousuke, appena giunto sul ponte, mentre allargava le braccia per mostrare la situazione inopportuna in cui si trovavano. «Ti sembra il momento? Andiamo, metti via quell’arnese prima che qualcuno si faccia male. »
Quelle parole, pronunciate con un tono che assomigliava troppo alla condiscendenza, indispettirono il rosso che finalmente alzò la testa per dedicargli l’attenzione che agli altri non aveva minimamente prestato. Sapeva benissimo che la situazione in cui si trovavano era pericolosa per tutti ed anche la meno adatta a fare gli eroi, ma il motivo per cui si trovava lì non era uno stupido colpo di testa, né un capriccio, e il fatto che Sousuke si ostinasse a non capire lo innervosiva ancora di più.
La fune che stava tagliando venne recisa con un colpo secco del coltello e Rin ne afferrò un’altra mentre rispondeva infuriato.
«Dovresti essere tu a smetterla! Se non ti fossi introdotto in casa mia come un ladro, rapendo il mio amico, ora non saremmo in questa situazione! »
Nel sentire quelle parole arroganti, dettate più che altro dalla rabbia, i due di Samezuka che Sousuke aveva bloccato, tornarono ad avvicinarsi minacciosi. Rin sapeva che non era il caso di fare lo spaccone e provocare chi già puntava delle armi contro di lui, ma la tensione era troppo alta per essere controllata da chi certo non era la persona più pacata e ragionevole del mondo.
Improvvisamente una figura si parò tra lui e gli assalitori e la voce di Rei sovrastò l’ululare del vento e le raffiche di pioggia.
«Non ce ne andremo finché non avremo liberato Haruka! »
Rin provò un improvviso moto di gratitudine nei suoi confronti: non solo lo aveva seguito, ma stava addirittura prendendo le sue difese e quelle di Haruka, permettendogli di guadagnare tempo per tagliare le altre funi. Quando tutta quella storia si fosse conclusa, avrebbe dovuto ringraziarlo a dovere.
L’effetto su Sousuke invece fu completamente opposto e ne scatenò le ire, portandolo ad alzare la voce mentre il ponte rollava pericolosamente sotto i loro piedi.
«Liberare la sirena? Non se ne parla nemmeno! Piuttosto, levati di torno, tu non c’entri nulla con tutto questo!»
Rin si augurava di avere ancora qualche secondo di tempo prima che i tre piombassero loro addosso e, mentre sentiva la seconda fune spezzarsi sotto le sue mani, rivolse ancora un tentativo d’incoraggiamento al tritone prigioniero.
«Manca poco, Haru. Ce l’abbiamo quasi fatta. Quando sarai in acqua, nuota più velocemente che puoi. Nagisa e Makoto ti stanno aspettando, vai via subito con loro! »
La cassa ondeggiò, non più fissata su tutti i lati, e scivolò leggermente sulle assi bagnate, mentre dall’interno giungeva quello che Rin interpretò come un debole assenso. Stava per intaccare la terza corda, quando un’onda improvvisa, più alta delle altre, si rovesciò sulla barca inclinandola più di quanto credesse possibile. Il peso della cassa spezzò la terza fune e questa iniziò a scivolare verso il parapetto. Rin, già instabile a causa dei precedenti scossoni, perse definitivamente l’equilibrio e allungò istintivamente una mano in un ultima disperata ricerca di un appiglio. Le sue dita si chiusero sul braccio di Rei ma l’unico risultato che ottenne fu quello di trascinarlo con sé.
Nel caos del ponte invaso dall’acqua, sentì solo vagamente la voce di Sousuke che lo chiamava, prima che il colpo contro il parapetto lo lasciasse stordito per la sorpresa e la violenza dell’impatto. Un attimo dopo, senza nemmeno capire come fosse possibile, sentì il vuoto sotto di sé.