Titolo: Di clichè natalizi e regali impegnativi
Fandom: Free! Iwatobi Swim Club/Eternal Summer
Rating: verde
Personaggi: Rin Matsuoka, Haruka Nanase, comparse Sousuke Yamazaki, Makoto Tachibana, Umi.
Pairings: Rin/Haruka, hint Sousuke/Makoto
Riassunto: "Sospirando, si diede mentalmente dell’idiota: aveva rovinato la sera di Natale ad entrambi ed ora l’avrebbero trascorsa da soli e arrabbiati con l’altro per motivi stupidi e indipendenti dalla loro volontà.
[...]
«Lo amo così tanto, e ho combinato l’ennesimo casino. Non so cosa fare, micio, tu sai dirmelo? »"
Disclaimer: Free! e tutti i suoi personaggi appartengono a Kouji Ouji e alla Kyoto Animation.
Note: Future Fish!AU
Regalino di Natale per la mia pazientissima beta, sperando che non ci siano troppi Orrori visto che non è passata dalle sue abili manine prima di essere postata. XD
Beta:
Word count: 4100 (fdp)
Rin aveva sempre detestato i turni serali. Non perché si protraessero fino a tardi o perché fossero di fatto più pericolosi di quelli diurni, ma semplicemente perché stravolgevano la sua routine impedendogli alcuni momenti della giornata per lui fondamentali, costringendolo in situazioni fastidiose o imbarazzanti. Durante le feste poi, era anche peggio. Era risaputo che in serate come quella le forze dell’ordine dovessero prestare più attenzione del solito ma, in tutta sincerità, questa volta aveva sperato di scamparla. Aveva già programmato tutto: sveglia presto, jogging, colazione al suo ristorante preferito, doccia, corsa al lavoro, pausa pranzo sempre al suddetto ristorante, fine del turno e serata piacevole in compagnia della sua dolce metà a cui avrebbe consegnato un regalo speciale. E invece niente, tutto alle ortiche perché il suo capo, il giorno prima, se n’era uscito con un: «Non è un problema per te, vero, Matsuoka? Tanto tu non hai una moglie che ti brontola dietro se non rientri per la cena coi parenti. »
Già, Rin non aveva una moglie, ma aveva un ragazzo che preparava delle torte strepitose e con cui desiderava trascorrere quella serata da settimane. Non era stato bello spiegare ad uno già stressato Haruka, che la vigilia di Natale non sarebbe potuto andare a prenderlo all’uscita dal ristorante e che non avrebbero potuto gustare in pace il dolce preparato con le sue mani, godendosi il tepore del kotatsu. Rin amava il suo lavoro di poliziotto, ma in queste occasioni passava dall’amore all’odio in mezzo secondo netto.
In ogni caso non aveva potuto protestare più di tanto se non voleva rischiare di rivelare a tutti la sua relazione con il giovane chef, non che per lui fosse un vero problema, ma poi la gente avrebbe cominciato a fare domande e quello sarebbe stato fastidioso. Si era dunque trovato a bighellonare per la maggior parte del pomeriggio, nervoso per il tempo sprecato che avrebbe potuto trascorrere con Haruka, se non fosse stato che il ristorante era strapieno e il suo ragazzo troppo indaffarato per badare a lui. Era già piuttosto tardi quando aveva iniziato il turno e per tutto il tempo era stato scontroso e di cattivo umore: vedere in giro tutte quelle coppiette che passeggiavano sotto le luci natalizie e si facevano foto di fronte al grande albero addobbato in piazza, gli faceva saltare i nervi. Neanche Sousuke, il suo partner, era riuscito a risollevargli il morale e dopo un po’ aveva lasciato perdere per lanciare sempre più frequenti occhiate al cellulare e scrivere saltuariamente qualche messaggio. Potevano essere i consueti auguri di Natale alla famiglia, ma Rin sospettava che si trattasse di ben altro. Da tempo ormai si era convinto che anche l’amico avesse trovato l’amore e che in qualche modo fosse coinvolta la caserma dei vigili del fuoco, visto che ogni volta che c’era un principio d’incendio, un allagamento o simili, il suo sguardo s’illuminava in modo decisamente poco consono alla situazione. Chissà, magari si era preso una cotta per la segretaria, visto che si offriva sempre di scrivere i rapporti congiunti e di occuparsi dei documenti e delle telefonate tra i due dipartimenti.
Tutto questo però lasciava il tempo che trovava di fronte all’immenso spreco che era ai suoi occhi quella serata di ronda. Il primo giro lo fecero in macchina per le vie del centro, illuminate praticamente a giorno da strisce e strisce di cavi costellati di piccole lampadine splendenti. Le vetrine dei negozi brillavano di decorazioni rosse e oro e i ritardatari si affrettavano a compiere gli ultimi acquisti in vista della serata con i loro cari. Rin grugniva ogni volta che passavano davanti alla vetrina di una pasticceria, con pile e pile di torte esposte a beneficio dei potenziali clienti. Per quanto lo riguardava, non era un amante dei dolci, ma Haruka era un maestro nel miscelare gli ingredienti in modo da celare il gusto eccessivamente zuccherino e Rin adorava quando cucinava in quel modo appositamente per lui.
Ogni pensiero tornava inevitabilmente a quel punto e, quando lasciarono la macchina per proseguire il giro a piedi, fu anche peggio: ad ogni coppietta che incrociavano, Rin sbuffava e brontolava, guardando ripetutamente l’orologio.
«Stai diventando intrattabile. » lo ammonì ad un certo punto Sousuke, evidentemente stanco di subire in silenzio i suoi umori.
«Vorrei vedere te se avessi dovuto rinunciare ad un appuntamento importante per questa stupida ronda. É la vigilia di Natale, cosa mai dovrebbe succedere? »
«Avresti potuto dire che non potevi cambiare turno. »
«E trovarmi tutto il dipartimento al ristorante di Haru. No, grazie. »
Sousuke era uno dei pochi a conoscenza della situazione e Rin si fidava al punto da sfogarsi spesso con lui. A volte però esagerava e l’altro non mancava di farglielo notare.
«Sei troppo paranoico, io scommetto invece che non importerebbe niente a nessuno, men che meno a Nanase.»
«Parli così perché non ti rendi conto della realtà e vedi solo la tua sexy segretaria. »
Sousuke sgranò gli occhi, confuso.
«Sexy segretaria? Di che diavolo stai parlan…? »
Le sue parole vennero però interrotte da un fracasso proveniente dalla piazza adiacente quella con il grande albero di Natale. I due si mossero in contemporanea, perfettamente sincronizzati, ed un attimo dopo erano sul posto. Videro alcune persone allontanarsi velocemente, mentre un gruppetto di ragazzini rideva sguaiatamente dello scoppio di alcuni petardi, lanciandoli sul marciapiede e spaventando i passanti.
Rin sbuffò seccato: era tardi, tremendamente tardi, mancava davvero poco alla fine del turno e se avessero perso tempo con quei mocciosetti, non sarebbe mai arrivato in orario all’appuntamento con Haruka. Non aveva la minima intenzione di permettere loro di rovinargli la serata. Eppure le sue gambe e il suo senso di giustizia si erano già mossi e prima di rendersene conto ne stava afferrando uno per il cappuccio della giacca.
«Ehi, teppistelli! » esclamò con un tono intimidatorio che avrebbe potuto tranquillamente abbassare lui stesso al livello di teppista di strada. «Come vi salta in mente di creare disordine nel mio territorio?»
Il ragazzino fissò prima lui poi i compagni che si erano prontamente dati alla macchia e sbiancò.
Sousuke invece camuffò una risatina divertita in uno sbuffo.
«Quando sei diventato uno yakuza? »
«Non c’è niente da scherzare, è per colpa di gentaglia del genere che le strade non sono sicure! » rincarò Rin irritato. «Ed è sempre per colpa loro che farò tardi all’appuntamento con Haru. Sai che facciamo? Lo portiamo in centrale così, con una notte al fresco, magari si schiarisce le idee!»
«No, per favore! » esclamò il ragazzino, spaventato, al che Sousuke si sentì di nuovo in dovere di intervenire.
«Lascia perdere, Rin, è praticamente un bambino ed era solo una bravata. Non si è fatto male nessuno. Se poi lo portiamo in centrale, passeranno ore prima che arrivino i suoi genitori e si risolva tutto, non potresti vedere Nanase almeno fino a domani. »
Era seccante da ammettere, ma Sousuke aveva ragione: da un lato avrebbe voluto dargli una bella lezione, che servisse da esempio ai teppisti di quartiere che spaventavano i passanti, ma dall’altra sapeva che per una cosa del genere ci voleva tempo e lui aveva al massimo dieci minuti prima della fine del turno. Per questo guardò in cagnesco il ragazzino, dissimulando il fastidio che gli arrecava dare ragione al collega, e gli ringhiò contro: «Dammi le tue generalità e non pensare nemmeno di raccontare balle, saprei scovarti comunque! »
In ogni caso una bella multa non gliel’avrebbe levata nessuno.
Risolta anche quella formalità, si decise infine a lasciarlo andare, abbastanza certo che non avrebbe combinato altri guai, e s’incamminò di nuovo verso la macchina.
«Andiamo a fare rapporto e facciamola finita. » borbottò.
«Hai terrorizzato un bambino la sera di Natale. » gli fece notare Sousuke affiancandolo, ma tutto quello che ottenne fu un sospiro nervoso.
«E lui stava terrorizzando i cittadini. Diamoci una mossa. »
Quando c’era di mezzo Haruka diventava arduo far ragionare Rin lucidamente.
La stesura del rapporto aveva richiesto più tempo del normale e, invece dei previsti dieci minuti, Rin aveva finito per passare in caserma quasi tre quarti d’ora. Sousuke, che all’inizio si era offerto di redigerlo al suo posto in modo da lasciarlo libero di andare al tanto sospirato appuntamento, alla fine si era trovato incastrato in una richiesta d’intervento al fianco dei vigili del fuoco dall’altra parte della citta, ed era schizzato fuori senza nemmeno dire “ciao”. Rin arrivò a chiedersi seriamente se quella fantomatica segretaria non lavorasse anche sul campo.
Quando finalmente riuscì a liberarsi delle scartoffie e della divisa mancavano poco meno di venti minuti a mezzanotte: era in ritardo mostruoso e sperava che Haruka lo stesse ancora aspettando. Probabilmente non sarebbero più riusciti a trovare un locale aperto, ma potevano sempre andare a casa dell’uno o dell’altro per mangiare la Christmas Cake, e quella sarebbe stata un’ottima occasione per dargli il suo regalo. L’aveva portato in tasca tutto il pomeriggio e la cosa lo metteva un po’ in imbarazzo, ma in fondo era così che funzionava tra fidanzati, no?
Arrivato al ristorante, però, lo trovò chiuso e il marciapiede di fronte deserto. Il locale era completamente buio, il che significava che i dipendenti dovevano essersene andati tutti e nessuno lo stava aspettando davanti all’ingresso. Rin non poteva crederci, Haruka se n’era davvero andato: questo significava che doveva essere davvero su tutte le furie per il suo ritardo, sentimento comprensibile considerando che gli aveva spergiurato che sarebbe stato sul posto almeno un’ora prima. Come ultima spiaggia, Rin prese il cellulare e richiamò dalla rubrica il numero del giovane chef, ma dopo una decina di squilli capì che non avrebbe ottenuto nessuna risposta. Del resto era risaputo che Haruka trattasse il suo telefono come il più inutile degli accessori, era più che possibile che non l’avesse nemmeno con sé. Sospirando, si diede mentalmente dell’idiota: aveva rovinato la sera di Natale ad entrambi ed ora l’avrebbero trascorsa da soli e arrabbiati con l’altro per motivi stupidi e indipendenti dalla loro volontà.
Demoralizzato e senza nessuna voglia di rientrare nel proprio appartamento vuoto, si sedette sul gradino d’ingresso del ristorante e tolse dalla tasca la piccola scatola che si era portato dietro tutto il giorno: probabilmente, se l’avesse consegnata ora ad Haruka, l’avrebbe lanciata da primo ponte. Di solito era un ragazzo tranquillo, ma quando perdeva le staffe poteva diventare spaventoso. Rin l’aveva sperimentato solo una volta tempo prima e non aveva la minima intenzione di ripetere l’esperienza.
Si passò una mano tra i capelli per allontanare i lunghi ciuffi rossi dagli occhi e rimise in tasca la scatola: per quanto il valore economico di quel regalo fosse esiguo, il significato era enorme, quindi l’idea di aver mandato tutto a monte lo faceva impazzire.
Era ormai sul punto di alzarsi e andarsene, quando sentì qualcosa strusciare contro la sua gamba, abbassò lo sguardo e incontrò quello di due occhioni color del mare che lo fissavano imploranti.
Se la giornata di Rin era stata impegnativa, specialmente in serata, per Haruka era stata estenuante. Essendo la vigilia di Natale, il ristorante era stato pieno sia a pranzo che a cena, con tavolate di decine di persone e ordinazioni su ordinazioni che si accumulavano. Il personale era numeroso e aveva parecchi colleghi a dargli una mano in cucina, ma questo non alleviava minimamente lo stress che puntualmente lo affliggeva sotto le feste. Aveva l’impressione che il suo operato venisse costantemente messo alla prova e questo lo rendeva nervoso al limite dell’intrattabile. Haruka era il tipo di persona che si muoveva secondo i propri tempi, quindi il fatto che qualcuno gli mettesse fretta o in qualche modo avesse delle pretese, lo destabilizzava. Tutto quello che desiderava era che quella tremenda giornata finisse, che Rin lo venisse a prendere e che passasse con lui una serata tranquilla. Invece all’uscita del ristorante non c’era nessuno ad aspettarlo. I suoi colleghi lo avevano invitato a bere da qualche parte, ma Haruka non era dell’umore, era stanco e anche piuttosto deluso dall’essersi trovato da solo sul marciapiede semideserto. Sapeva che il lavoro di Rin poteva avere degli imprevisti, ma si aspettava almeno una telefonata, tranne poi rendersi conto di non avere il cellulare con sé.
Sospirando e dandosi dello sciocco, salutò i colleghi e si diresse al distributore dietro l’angolo, per prendersi una lattina di caffè che, almeno, lo avrebbe riscaldato.
Non potendo fare altro, avrebbe aspettato Rin davanti al locale per un po’, in fondo il suo ragazzo non aveva mai mancato alla parola data. Inoltre aveva con sé la Christmas Cake che aveva preparato con le sue mani e il regalo da dargli, sarebbe stato un vero peccato sprecarli dopo che si era tanto impegnato e aveva anche risolto il problema che avrebbe potuto causare l’imbarazzo del consegnarglielo. In realtà era stato Makoto a suggerirglielo ed era anche abbastanza cliché, ma Haruka non si era mai considerato un esperto in materia e aveva voluto fidarsi dell’amico.
Mentre inseriva le monete nel distributore, si ritrovò a dispiacersi per Makoto, anche lui avrebbe trascorso una vigilia solitaria, per lo più all’insegna del lavoro. Faceva parte del corpo dei vigili del fuoco e, mentre era seduto al ristorante a chiacchierare con Haruka in attesa che gli ultimi clienti se ne andassero, aveva ricevuto una chiamata d’emergenza: alcune luminarie erano andate in cortocircuito, quindi dovevano accorrere prima che l’incendio si propagasse. Ovviamente sarebbe stata presente anche la polizia per tenere lontano i curiosi. Makoto era corso via ma, contrariamente a quanto Haruka si aspettava, la sua espressione era piuttosto entusiasta. Era davvero dedito al lavoro e alla cura degli altri, il giovane chef lo ammirava per questo.
Recuperata la lattina di caffè, stava già svoltando l’angolo per tornare verso l’entrata del ristorante, quando riconobbe una voce nota e, affacciandosi, vide Rin seduto sul gradino d’ingresso. Parlottava tra sé, o meglio, si rivolgeva ad un gattino nero che si strusciava contro le sue caviglie. Il primo istinto fu quello di raggiungerlo, in fondo era già parecchio tardi, ma poi la curiosità e uno strano senso di tenerezza prevalsero e Haruka rimase a sbirciarlo da dietro il muro.
«É triste passare la notte di Natale da soli, eh? » stava dicendo Rin, accarezzando il gatto. «Ma del resto non posso davvero biasimare nessuno se non me stesso. Se avessi avuto il coraggio di dire di no al mio capo, ora sarei a casa con Haru. Invece lui se n’è andato, starà pensando che sono un idiota e avrebbe anche ragione. »
Un sospiro gli uscì dalle labbra condensandosi in una nuvoletta bianca e il ragazzo sollevò il gattino fino a portarselo sulle ginocchia.
«I tuoi occhi assomigliano ai suoi, sai? Chiari come l’acqua. »
Il gattino miagolò e Rin sorrise, un sorriso triste che raramente Haruka aveva visto sul suo volto: sembrava davvero abbattuto e dispiaciuto per quello che era successo, come se se ne facesse sul serio una colpa. Non era così, il giovane chef lo sapeva, quando si trattava di lavoro, specialmente di un lavoro come il suo, i desideri personali spesso finivano nel gradino più basso della graduatoria, e non l’aveva mai accusato per questo. Rin invece si tormentava in continuazione.
«Se Haru fosse qui gli chiederei scusa mille volte e gli giurerei che non succederà mai più! Dirò al capo che ho un fidanzato e che ho il diritto di passare le feste con lui. Chi se ne frega se faranno domande! »
Dietro l’angolo, Haruka sentì le labbra piegarsi leggermente verso l’alto: Rin era sempre stato così, o tutto o niente, non conosceva le mezze misure e di certo anche questa volta, se lasciato allo sbando, avrebbe finito per combinare qualche disastro e mettersi nei guai con i suoi superiori.
Nel frattempo l’altro continuava a parlare con il gattino, che sembrava averlo preso in simpatia e gli stava facendo le fusa.
«Sai, micio, ammiro così tanto Haru! Sembra sempre così tranquillo e riesce bene in tutto quello che fa. Certo, se sorridesse un po’ di più… Ma non ha importanza, a me piace così com’è, credo mi sia sempre piaciuto. Anzi, piacere è riduttivo, forse è più giusto dire che l’ho sempre amato. »
Crollò con la testa sulle ginocchia, mentre le zampette del gatto affondavano tra i suoi capelli rossi.
«Lo amo così tanto, e ho combinato l’ennesimo casino. Non so cosa fare, micio, tu sai dirmelo? »
A quelle parole Haruka non riuscì più a resistere e sbucò dal suo nascondiglio, sforzandosi di non mostrare un’espressione troppo compiaciuta per quello che aveva appena sentito.
«Potresti iniziare col venire a casa mia invece di stare qui a piangerti addosso e tormentare il povero Umi. » disse scrutandolo dall’alto in basso, vagamente consapevole di essere arrossito sugli zigomi.
Rin balzò in piedi, lasciando cadere il gatto che atterrò sul marciapiede con un miagolio di protesta.
«Haru! Dove…? Come…? Chi diavolo è Umi? »
Haruka si limitò a prendere in braccio il gattino e a fargli qualche piccola carezza di conforto, mentre allungava a Rin la scatola con la Christmas Cake.
«Girava attorno al ristorante da qualche giorno, così l’abbiamo adottato e gli ho dato un nome. » spiegò.
Rin sorrise sollevato e gli si affiancò mentre s’incamminava in direzione del suo appartamento.
«Già, avrei dovuto immaginarlo che un nome del genere potevi averglielo dato solo tu. »
La casa di Haruka era più distante dal ristorante rispetto a quella di Rin, ma quest’ultimo non si azzardò a dire una parola di protesta, troppo felice che il suo ragazzo non fosse arrabbiato e che, non solo non l’avesse piantato in asso ma addirittura l’avesse invitato. Quando arrivarono la mezzanotte era già passata da un pezzo, ma decisero di comune accordo che non aveva importanza, dopotutto era sufficiente essere riusciti in qualche modo a vedersi e passare del tempo insieme.
L’appartamento era piuttosto piccolo e arredato in modo molto essenziale, anzi, la si poteva considerare tranquillamente una casa poco vissuta. Vi erano ancora, sparsi qua e là, gli scatoloni del trasloco e, nonostante Rin gli dicesse spesso che se avesse sistemato le sue cose si sarebbe sentito più a suo agio, Haruka liquidava sempre quelle considerazioni con un gesto annoiato. Si augurava, anche per questo, che il suo regalo fosse gradito e che il giovane chef non lo rifiutasse ritenendolo inutile.
Quando finalmente il tè fu pronto e fumante nelle tazze, l’ideale per riscaldarli in quella notte fredda, si sedettero entrambi al kotatsu e Haruka tolse dalla confezione la torta che aveva preparato.
Rin non amava i dolci, men che meno quelli ricchi di creme e ripieni, ma quelli che preparava il suo ragazzo erano insuperabili: aveva una ricetta segreta, diceva, metteva meno zucchero nella panna e utilizzava cioccolato fondente nella farcitura per rendergliela più gradevole. E aveva successo su tutta la linea.
Per questo, quando Rin si vide posare davanti una fetta di quella bellissima torta decorata con i frutti di bosco, sentì subito l’acquolina in bocca. Prima di gustarla, però, c’era qualcosa di molto importante che doveva fare. Prese un profondo respiro, tolse di tasca la scatolina che si era portato dietro tutto il giorno e la posò sul tavolo, tra loro.
«Buon Natale, Haru. » disse sforzandosi di mostrare un sorriso sincero e non un’espressione che mostrasse tutto il nervosismo che provava.
Per tutta risposta vide Haruka impallidire leggermente e questo lo gettò nel panico. Cosa significava? L’aveva spaventato? Haru non voleva regali da lui? Non voleva quel tipo di regali da lui? Aveva fatto l’ennesima gaffe immaginando di fare cosa gradita?
«N-non prenderla male, era solo un’idea. » tentò di giustificarsi, allungando una mano per riprendere la scatolina. «Non devi sentirti in obbligo. Voglio dire, sono io, quando mai ti sei sentito in obbligo con me? »
Non aveva la più pallida idea di cosa stesse dicendo, sperava solo che Haruka gli lasciasse mettere via quello stupido regalo, nato da un’idea ancora più stupida, e che smettesse di fare quella faccia preoccupata. Rin diventava ansioso quando assumeva quell’espressione, non riusciva a capire cosa gli passasse per la testa e questo lo faceva impazzire.
Il giovane però fu più rapido di lui e sottrasse il piccolo contenitore da sotto le sue dita, aprendolo.
L’espressione che assunse un istante dopo si sarebbe potuta definire confusa, come se quello che si trovava di fronte fosse davvero inaspettato.
«Cos’è? » si trovò a chiedere, sinceramente stupito.
«Non è niente. Fai finta di non averla vista. Davvero, non è niente d’importante. »
«Rin. Che cos’è? »
Il tono di voce di Haruka era fermo, senza la minima incertezza, poteva solo rispondere la verità.
«É la chiave del mio appartamento. Voleva essere un invito a… ehm… a venire a vivere con me. »
La casa di Rin era più grande e fino a poco tempo prima l’aveva divisa con la sorella, ma da alcuni mesi Gou era andata a convivere con il fidanzato e lui era rimasto solo. Ci aveva rimuginato per settimane, senza mai trovare il coraggio di chiedere a Haruka di fare quel passo. C’era spazio in abbondanza ed era anche più vicina al ristorante, a livello pratico sarebbe stata l’ideale, ma evidentemente anche questa volta aveva fatto tutto da solo, costruendosi castelli in aria sull’immaginaria vita insieme, quando in realtà l’altro non ne aveva la minima intenzione. Forse era troppo presto, forse stava precipitando le cose, ma, anche se non poteva negare di esserci rimasto male, ora si sentiva in colpa per aver messo Haruka in quella situazione.
«Haru, di’ qualcosa, per favore. » lo pregò.
Il moro si riscosse e alzò gli occhi dalla chiave, che aveva continuato a fissare.
«Rin, mangia la torta. »
«Cosa? »
«Mangia la torta. Voglio sapere come ti sembra. »
Rin non capiva il senso di quella richiesta in quel momento.
«Sarà ottima come al solito. Piuttosto, non potresti dirmi…»
«No. Voglio che mangi quella fetta di torta adesso. »
Sospirando e reprimendo l’esasperazione, fece come gli era stato chiesto, affondando la forchettina nel dolce e gustando un boccone alla volta. Era davvero eccezionale, la crema si scioglieva in bocca, il pan di spagna era morbido e gustoso, eppure per nulla dolce.
«É buonissima, complim… Mh? » iniziò, salvo poi interrompersi perché qualcosa di duro aveva incontrato i suoi denti.
Perplesso, lo sputò in un tovagliolo, sempre sotto lo sguardo indagatore di Haruka, convinto che si trattasse di un qualche guscio di frutta secca o simili. Per questo, quando si trovò davanti una fedina d’argento, sgranò gli occhi e rimase a fissarla senza riuscire a dire una parola. Sentiva la mente completamente vuota mentre la ripuliva lentamente dalla panna, con dita leggermente tremanti, e scopriva che all’interno erano incise le lettere “H&R”. Solo dopo alcuni istanti trovò la forza di alzare lo sguardo su Haruka, rendendosi conto che lo stava fissando con un’intensità rara per uno solitamente impassibile come lui e sentendo lo stomaco annodarsi.
«Sei ancora preoccupato di aver fatto un regalo troppo impegnativo? » si sentì chiedere.
A volte Haruka riusciva a sfoderare un’ironia che lo spiazzava, ma in quel momento gli riempì il cuore di un sentimento che non sarebbe mai riuscito ad esprimere a parole. Quindi si alzò, fece il giro del kotatsu e si sedette di nuovo accanto a lui, sporgendosi in avanti per cercare le sue labbra.
Haruka lo accolse con trasporto, ricambiando il bacio con un calore inusuale, e solo quando si staccarono, gli asciugò le guance con un dito.
«Non piangere, Rin. » mormorò, e c’era profondo affetto in quel tono morbido.
«Non sto piangendo. » borbottò il rosso, appoggiandosi ad Haruka solo per il gusto di prolungare quel contatto fisico il più possibile. «Haru…»
«Mh? »
«Ti amo. »
«Lo so. »
«Ehi! » protestò Rin sollevandosi e fissandolo di traverso. «Di solito a queste dichiarazioni si risponde “anch’io”!»
Haruka sviò lo sguardo e giocherellò con una catenina che fino a quel momento era rimasta nascosta sotto i vestiti. Alla sua estremità era appesa una fedina identica a quella che Rin aveva ancora in mano.
«Non ho bisogno di ripeterlo, anche tu lo sai. » disse, ostentando il consueto distacco, ma a Rin non sfuggì il leggero rossore delle sue guance.
Con Haruka era sempre così, sembrava che non gl’importasse di nulla, ma poi era capace di queste piccole tenerezze che mandavano l’altro in cortocircuito emotivo. Senza contare che Rin ancora faticava a realizzare di aver regalato una chiave e di aver ricevuto un anello: in pochi minuti il loro rapporto aveva fatto un salto in avanti impensabile.
«Già, lo so. » concluse infine, alzando il volto per baciarlo di nuovo, ma venendo interrotto da un miagolio insistente.
Haruka si alzò, ignorandolo, e subito si affaccendò attorno ad Umi, preparandogli una ciotola con del latte e qualcosa da mangiare. Rin mugugnò qualcosa in protesta, lamentandosi del fatto che il gatto venisse preferito a lui, e Haruka sospirò.
«Basta brontolare, faremmo meglio ad andare a dormire, domani ci aspetta una giornata impegnativa. E ringrazia che ho deciso di aspettare a sballare tutti gli scatoloni. »
Rin gli lanciò un’occhiata di sottecchi aggrottando le sopracciglia.
«Non dirmi che stavi aspettando che io…»
E il sorriso di Haruka lo fulminò sul posto mentre l’altro rispondeva un enigmatico: «Chissà... »
(C)