Dec 22, 2008 15:28
Derek, sono preoccupato per te.
Mhm, sì, dovrebbe andare. In effetti, niente funziona meglio della pura verità, soprattutto quando hai a che fare con un uomo che può sondarti il cervello senza nemmeno alzare gli occhi dal libro che ha in mano, e c’entra poco, almeno nel mio caso, il fatto che sia un profiler. Voglio dire, Derek ed io abbiamo un’empatia così profonda che a volte penso che non ci sia davvero un confine tra me e lui.
A dire la verità, questa serie di congetture assurdamente romantiche sta andando gentilmente a farsi fottere, negli ultimi tempi.
Dopo l’ultimo caso, brillantemente risolto da noi, la squadra Hotchner&Morgan, uhm, cioè, dall’intero team di preziosi profiler ai miei ordini, Derek ha pensato bene di prendersi una settimana di riposo, godendo di una parte della sconfinata dispensa di ferie arretrate accumulate durante la sua carriera. L’indagine lo ha, effettivamente, un po’ scosso. Il serial killer, stavolta, era un pedofilo omosessuale, e immagino che questo abbia fatto riaffiorare ricordi che Derek - e chiunque altro, al suo posto - preferirebbe tenere ben chiusi, in un forziere, sul fondo del mare. Possibilmente, di un mare che neanche esiste in questo mondo.
Perciò, sono tre giorni che il promettente Agente Speciale Morgan non si presenta in ufficio, e non posso negare che la cosa mi secchi. La sua presenza è, non posso nasconderlo, corroborante, non solo per me, ma per tutto il team. E, ovviamente, da bravi sociopatici, ce ne siamo accorti solo nel momento in cui la sua luminosa energia è venuta a mancare. Oh, cielo, ho davvero definito Derek corroborante? Maledizione, sto cominciando a soffrire un po’ troppo la sua mancanza.
Tre giorni che non si presenta in ufficio.
Tre giorni che, praticamente, lo vedo solo a colazione e a cena e, di nuovo maledizione, ho un orribile deja-vu. È esattamente così che, con Haley, ho dato inizio alla fine. Derek deve spicciarsi a tornare al lavoro. Sto diventando paranoico, e potrei anche fare qualcosa di profondamente stupido, come presentarmi a casa con un mazzo di rose e domandargli di scappare a Las Vegas, sposarci e vivere a zonzo per il Paese. Non dico che mi dispiacerebbe, sposarlo, intendo, ma non sono mai stato un uomo incline al vagabondaggio, tuttavia, se abbandonassimo le proverbiali capre e i proverbiali cavoli, non avremmo altra scelta.
O Derek torna al lavoro, con me, o io divento matto.
E invece, lui se ne sta in casa, tranquillo e arzillo come una mogliettina felice. Fa la spesa, cucina, tenta (con risultati ovviamente disastrosi) di rassettare i letti e ieri l’ho visto armeggiare con la lavastoviglie. Mi fa orrore il solo pensiero che la vita casalinga possa risultargli più attraente del rischiare ogni secondo la vita sui marciapiedi, correndo dietro a pazzi criminali.
Derek, sono preoccupato per te, dovrei dirgli. Toccargli una spalla, quando torno dal lavoro, scuoterlo con queste sagge parole dal torpore in cui il buio lo getta e fare luce, una volta per tutte, su ciò che gli opprime l’animo.
Il Derek che al mattino canticchia, mentre spolvera i soprammobili assurdi che ha voluto portare con sé, quando è venuto ad abitare qui, viene sistematicamente seppellito, ogni giorno, presumibilmente dopo il tramonto. Non so molto: solo che, al mattino lo lascio felice, e quando torno, la sera, se ne sta immobile, davanti al computer, lo sguardo perso nel vuoto. Ho notato che assume la posizione in cui, di solito, fa gli esercizi di meditazione prima di andare alla BAU.
Non ho idea del perché di questo suo anormale comportamento, e lui non apre bocca. Si limita a coricarsi accanto a me, strusciarsi, quando gli va, e ricevere tutte le attenzioni di cui sono capace - almeno con questo, maledizione, sono ancora in grado di farlo stare bene.
Derek, sono preoccupato per te, gli dirò, tra un minuto, quando la maledetta serratura vorrà collaborare. Derek, sono preoccupato per te, dirò, e lui mi guarderà incerto, perché sono tornato presto, perché non si aspetta tanta veemenza da me e per un altro miliardo di motivi che scoprirò facendolo parlare.
Derek, sono preoccupato per te, e sono sicuro che i suoi occhi spenti e lievemente infossati (colpa mia, lo riconosco, per la smania che ho di farlo star bene gli ho concesso poco sonno, in questi tre giorni) diventeranno di colpo attenti, come quelli della preda che sa, sente di essere in trappola.
“Derek, sono pre- Derek?”
Va bene, sono un agente dell’FBI e il mio lavoro mi porta continuamente in contatto con situazioni inaspettate: sono, dunque, oggettivamente poche le cose che possano sorprendermi davvero, e in generale il panico non rientra nel mio stile, ma questo. Questo sarebbe troppo per chiunque.
La sedia della scrivania evidentemente gettata all’aria. Ai suoi piedi, un accappatoio, il mio, aggrovigliato su se stesso, a prender polvere sulla moquette. Il cestino della carta straccia a testa in giù, e la carta straccia sparsa variamente sulla medesima moquette. Tutto farebbe pensare ad un tentativo di stupro e alla colluttazione che ne è scaturita, perché certo Morgan non è tipo da farsi violentare senza dire nulla. Ma c’è un piccolo particolare che distrugge ogni scenario apocalittico. Derek. Il mio Derek nudo, davanti al computer, agita i fianchi e le braccia in un modo che sarebbe imbarazzante anche per un cantante di musica pop, ululando di gioia.
“Derek?” domando ancora, e non so davvero perché ho ancora voce per parlare.
Penso di aver appena avuto dodici infarti.
“Huh? Oè, Hotch, ciao!” saluta il mio uomo, sfoderando un sorriso smagliante, e con quel suo corpo insopportabilmente perfetto mi viene incontro, gioioso come una Pasqua. “Sei tornato presto, ehi. Mi sei mancato comunque, tra parentesi,” aggiunge, poi si dedica a deliziarsi con la mia bocca.
Ma io non posso smettere di pensare alla sua assurda euforia, così sorprendentemente inadeguata, se ripenso allo stato di profonda depressione in cui mi sono abituato a ritrovarlo.
“Che cosa… cosa è successo?”
“Hmmm, Hotch, non adesso, ok?”
“No, Derek, adesso. Dio, mi sono preoccupato a morte, negli ultimi giorni. Dimmi cosa… aww, Derek, piantala, dimmi cosa ti è capitato, il sesso dopo.”
Sbuffa, la sensuale e meschina creatura. Poi mi conduce alla scrivania, indicando il computer con un gesto teatrale.
“Colpa di questo aggeggio!” esclama, s’imbroncia e cerca di nuovo di assalirmi.
“Non capisco.”
Sbuffa di nuovo, e sporge il labbro inferiore nel più sensuale dei suo bronci.
“Vedi, Hotch? Questo è un gioco online,” mi spiega. Sì, lo avevo afferrato. Solo un gioco online può contemplare una schermata i cui colori predominanti sono il nero e il verde fluo. Ora che i miei occhi si sono abituati all’innaturale bagliore, distinguo una specie di scatola dai colori cangianti, con una palla viola e un sole in fondo. Oh, e una miriade di fuochi d’artificio fittizi spuntano da tutte le parti. “Hai presente quel gioco molto popolare nel Bronx… quello in cui lanci la palla al muro e ce la risbatti contro al volo?”
“Sì, l’ho visto su CSI New York.”
“Ecco. Questo è più o meno la stessa cosa. Vedi quella specie di ciotola di cibo per cani?” dice, indicandomi un insieme di linee ipersaturate che, sinceramente, pensavo fossero parte di una decorazione di cattivo gusto. “Quella è la racchetta, se così vogliamo chiamarla. Bene, lo scopo del gioco è riprendere la palla. Sembra facile, ma il tutto è in un 3D infinitamente scadente e… ok, non starò qui a spiegarti i dettagli. Sta di fatto che io, Derek Morgan, proprio due minuti prima che arrivassi tu, ho finalmente sconfitto il primo in classifica.”
Lo guardo. Sorride.
Torno a fissare il computer. Fuochi d’artificio di colori improbabili continuano ad agitarsi sullo schermo.
Guardo Derek, che ancora sorride. Sorride compiaciuto.
I fuochi d’artificio sul monitor si sono forse stancati? Ma certo che no.
E Derek sorride evidentemente compiaciuto.
“Cioè, Der, tu eri nella depressione più nera perché non riuscivi a battere un tizio su Internet a un gioco vecchio di vent’anni?”
Lui annuisce, un lampo d’imbarazzo gli accende le guance ma, Cristo, è talmente felice che tutto il rossore dura veramente un attimo.
“Nerd. E geek, pure.”
E sul suo sguardo di puro orrore si conclude il colloquio.
Ora, signor Derek Neeeerd Morgan, se volesse seguirmi in camera da letto…
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