Titolo: Coming home, coming home, coming home right away (Help is around the corner of your headache)
Fandom: RPF American Rap
Personaggi/Pairing: 50Cent/Eminem
Rating: PG16
Conteggio Parole: 3069 (W)
Avvertimenti: slash, tematiche delicate, angst, cenni di h/c
Note: Hmm. Mi erano mancati.
; La seconda metà del titolo è un mezzo disastro che ho combinato con una canzone dei Coldplay (~ Help is around the corner) e un verso della stessa (Oh, my head won't stop aching).
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.
~ Coming home, coming home, coming home right away.
{ Help is around the corner of your headache }
Torno dagli studios e lo trovo addormentato sul divano, davanti alla tv accesa; spengo tutto e lo porto di sopra, lo metto a letto. Probabilmente è l'ultima cosa che la gente si aspetta da me, vedermi prendere in braccio il mio capo come una cavolo di principessa e portarlo così su per le scale, fino in camera. Cristo, probabilmente persino mia madre si stupirebbe, se scoprisse che ogni sera gli rimbocco le coperte, e non dico che non sia strano anche per me, voglio dire, prendermi cura di qualcuno così, ma non posso certo lasciarlo lì. Il divano è comodissimo e tutto, d'accordo, ma non è come il letto, e tutti quanti, ecco, chiunque nel fottuto mondo merita di dormire in un dannatissimo letto con almeno un cuscino e uno straccio di coperta.
Non è giusto che la gente dorma per terra, in mezzo alla strada, sulla moquette consumata di un albergo a ore, Cristo, a New York ho visto persone addormentarsi in piedi contro i pali della luce e star lì nottate intere, come dei maledetti cavalli senza padrone. Non è giusto, non vale, fa parte dell'essere uomini avere un cazzo di letto in cui sdraiarsi e non dico dormire tranquilli, perché quello è un privilegio per bambini e verginelle, ma almeno un cazzo di letto in cui sdraiarsi e basta, a guardare il soffitto o le stelle o la rete del materasso del tuo compagno di cella o quel che cazzo è.
Tutti hanno diritto a un letto, fosse anche un pisciatoio di letto scomodissimo come quegli affari giapponesi, quei due centimetri di plastica e cotone che butti per terra e ti spaccano la schiena, i futon, ecco, scomodi come morire appeso per i piedi, ma se tanta gente li usa allora avranno pure qualcosa di buono.
Dai ad un uomo un letto, un cuscino e una coperta non eccessivamente tarlata, e lo renderai almeno un po' più felice. Perciò non esiste che io lasci Em a dormire sul divano, incriccato con le ginocchia sotto il mento e la testa incastrata contro il bracciolo. Non esiste. Già riposa un quarto di quanto dovrebbe, col cazzo che lo mollo così, Cristo solo sa quanto deve stare scomodo. E, vabbè, la maggior parte del tempo deve imbottirsi di pillole per riuscire a farsi una dormita come si deve, perciò immagino che a quel punto riuscirebbe ad addormentarsi anche in mezzo ad una sparatoria, ma non c'entra niente. Non esiste che lo lasci così, non esiste e basta.
E comunque, portarlo su per le scale è un esercizio niente male.
Che poi, Em si sveglia sempre fottutamente prima di me, prima di chiunque altro in città, penso. Io mi alzo tardi, è vero, quando Hailie e Alaina sono già a scuola da un pezzo, ma, cazzo, Em è mattiniero da far paura. Per colpa della sua insonnia, naturalmente, il che rende le sue levatacce terribilmente poco salutari, e questa è solo una delle duemila cose di lui che mi mandano in uno stato di ansia perpetua.
Si alza e prepara la colazione. Ogni mattina, ogni Dio di mattina mi faccio la doccia con il profumo della sua colazione: pancake, waffle, merendine di natura incerta che ha scaldato al microonde fino a trasformale in capolavori di pasticceria, e poi litri e litri di caffè. La casa intera si riempie di questi odori buonissimi e pure lui sembra quasi felice quando arrivo di sotto e lo trovo tutto concentrato su una tazza enorme di latte e cornflakes. Non ha mai detto niente sul fatto che lo metto a letto ogni sera.
Lo so che lo sa, è ovvio che lo sappia, non credo ritenga di teletrasportarsi autonomamente a letto ogni volta che s'addormenta sul divano. Però non ha mai detto niente. Saranno due mesi che va avanti così, con io che torno dagli studios o dalla sala registrazioni o da qualsiasi cazzo di posto del mondo e lo trovo addormentato sul divano, davanti alla tv accesa, spengo tutto e lo porto di sopra, e lui non ha mai detto niente. La mattina, semplicemente, mi guarda, le guance gonfie di cereali, e sorride come un fottuto bambino di cinque anni che non ha assolutamente nessun problema nella vita se non il fatto che non sa cosa fare nella mezz'ora che lo separa dall'inizio dei cartoni. E mi fa sentire anche una merda quando lo guardo e ha quell'espressione lì e a me viene voglia di sbatterlo contro un muro e fargli di tutto, voglio dire, mi sento un porco, ma che devo fare?
E comunque non mi dispiace che non dica niente, ma sorrida e basta. È una gran cosa, vederlo sorridere; diciamo che è il motivo principale per cui mi prendo cura di lui come se fosse poco più di un gatto. E fanculo se è una cosa da finocchi, essere contento quando sorride e basta, magrissimo nelle sue magliette sempre troppo grandi. Sarò anche il sindaco di Finocchiolandia, ma almeno io provo qualcosa. Per esempio mi preoccupo per lui. Per esempio vado in ansia perché se appena sveglio è così contento e tranquillo da cucinare, verso mezzogiorno puntualmente comincia a spegnersi. E non ha senso, non ha nessunissimo fottutissimo senso, ma come un girasole al contrario Em si affloscia a ora di pranzo, appassisce e diventa muto e non c'è verso di tirarlo su, Cristo ho perso il conto delle volte in cui mi sono incazzato, in cui gli ho anche urlato addosso per tentare di strappargli una reazione qualsiasi, anche un vaffanculo, anche solo uno sguardo ferito, e niente, non esiste che lo si possa cavar via da quella catalessi, e l'unica cosa che posso fare è prenderlo in braccio e portarlo di sopra, metterlo a letto, guardarlo mentre guarda il soffitto con niente negli occhi.
È roba da psicopatici, roba da manicomio. Certe volte mi domando per quanti giorni ancora riuscirà ad andare avanti prima di ficcarsi una pistola in bocca e premere il grilletto. Che è un pensiero devastante, voglio dire, fa un male cane la sola idea che possa ammazzarsi, ma Cristo. Lo vedo così e non so che pensare. Non so che fare. Lo strizzacervelli non sa che fare. L'avrà visitato duecento volte, e non sa che fare. Dice che è depressione. Depressione cronica, ciclica, depressione irrecuperabile. No, irrecuperabile non l'ha mai detto, ma ogni volta che viene e se ne va lasciando la ricetta per una pillola nuova io la vedo, quella parola che non osa pronunciare.
Gli ha dato pasticche rosse, gialle, bianche, verdi, abbiamo fatto tutto l'arcobaleno e non è servito a un cazzo. Qualsiasi cosa, legale e non, al massimo lo tira su tre ore. E io lo so che pure se trovassimo il farmaco giusto per scacciargli via tutte le nuvole che ha in testa, comunque non sarebbe servito a un cazzo, perché Cristo, non sono cose che devi affrontare impasticcandoti, ne devi uscire e basta, con le maledette gambe che Dio ti ha dato espressamente per farti saltar fossi. Ma vaglielo a spiegare a gente che campa vendendoti questa merda esaltante. Felicità in pillole. Devo ancora capire la differenza che passa tra un flacone di antidepressivi e un cestino di funghi.
E intanto, mentre io sto qua a spippettarmi sulle truffe delle case farmaceutiche, Em col cazzo che migliora. E più che metterlo a letto non so che fare, più che baciarlo appena, non so che fare. Penso che forse dovrei farla finita io. Un colpo alla tempia e basta problemi. Faccio il check-out e addio. Perché no? Perché continuare a correre su e giù in questa valle di lacrime, più stupido di un cane che tenta di mordersi la coda?
Suppongo che questi stessi ragionamenti frullino anche nella testa di Em.
Suppongo che questi stessi ragionamenti frullassero anche nella testa di Em, quando s'è ficcato l'arcobaleno in pancia, quella volta che s'è preso ogni singola pasticca che avevamo in casa, dall'aspirina allo Xanax a quella merda sperimentale, Zeta-qualcosa, che teneva nascosta dietro un libro in camera.
E non lo so che risposta si è dato, è questo il problema. Non parliamo mai di questo, del fatto che a mezzogiorno stacca la spina e diventa più morto di un morto, perché lo so che non gli va e non ho il coraggio di sollevare l'argomento. Cioè, non ho il coraggio di sollevare l'argomento da persona civile, ma so solo urlargli addosso quanto sia fottutamente stupido questo suo atteggiamento passivo, e che dovrebbe reagire - questo glielo dico più o meno tutti i giorni, più o meno tre volte al giorno, e certe volte quando è anche in grado di capirmi. Non risponde mai, e a quel punto non ho più il coraggio di continuare a dargli addosso perché mi sento troppo in colpa. Dio, mi sento in colpa anche solo a ripensarci adesso.
Non lo so perché non la prenda, la decisione di farla finita. Non lo so se è perché non ha il coraggio in generale, o perché non si è dato veramente per vinto. Lo so che non è solo disperato, lo so che è pieno d'amore per le bambine e di rancore per Kim e sua madre, il che è già positivo. Però non lo so perché non si tira fuori, in un modo o nell'altro, dal loop senza senso dello svegliarsi ogni giorno contento, spegnersi a mezzogiorno, ripartire al tramonto, addormentarsi sul divano con la tv accesa e risvegliarsi a letto, l'alba successiva, perché io ce l'ho portato in braccio. Non lo so. Non so niente, non so nemmeno cos'è la cosa che ha con me. Non so come chiamarlo, il fatto che viviamo insieme e me lo porto a letto solo nel senso non finocchio dell'espressione. Non lo so, non so niente. So che sono contento quando sorride, so che ogni volta che prepara qualcosa di nuovo per colazione riesco ad illudermi che sia passata, che sia finalmente passato tutto, e so che ogni giorno, quando lo vedo afflosciarsi intorno alla mezza, un po' di me muore, s'ingrigisce con lui, ma non riesco a chiudere la porta che mi ha spalancato nella testa.
Non lo so, non ci riesco.
Voglio solo stargli vicino e metterlo a letto quando torno a casa e lo trovo addormentato davanti alla tv accesa, con addosso una delle mie felpe e il flacone di sonniferi sul bracciolo del divano. Voglio controllare che le bambine facciano i compiti mentre lui, al piano di sopra, fissa il soffitto e pian piano riacquista colore, man mano che il sole si abbassa sull'orizzonte. Voglio continuare a mentire ad Hailie, dicendole che papà sta facendo il suo solito pisolino pomeridiano quando lei mi chiede se possono guardare assieme i cartoni prima di cena. Voglio potergli sorridere quando arriva di sotto, l'aria stropicciata di chi ha effettivamente dormito per ore. Voglio guardarlo abbracciare le bambine e scherzare con loro come se nulla fosse.
Le sue crisi cicliche, come le chiama lo strizzacervelli, vorrei saperle affrontare, ma è un privilegio che non ho. È un privilegio che Em non mi concede. Posso solamente supporre e da egoista sperare che sia perché neppure lui sa come averci a che fare.
Sto tornando dagli studios. Ora che stiamo girando e ho dovuto veramente perderli, quei venticinque chili di muscoli, tirar su Eminem per le scale è un po' più difficile ogni giorno. Non che importi qualcosa, comunque, perché non lo lascio a dormire una notte intera su quel divano, a costo di doverlo portare a letto in carriola e svegliare tutto il vicinato.
La casa è completamente buia, naturalmente, e mi accoglie la risata di Craig Ferguson, sarà una replica di una replica di una replica. Potrei entrare di diritto nei Marines, visto quanto silenziosamente metto via chiavi e cellulare, giacca e portafogli, prima di dirigermi in salotto: il riverbero tenue del televisore illumina, come sempre, la sagoma accartocciata sul divano di Em. È una routine piacevole, tutto sommato, se evitiamo di considerare il particolare della depressione cronica.
"...ehi."
Oh, Cristo, è sveglio.
"Ehi," mormoro di rimando, e sono un po' congelato, qui tra il televisore ed il divano, un po' chino su di Em che mi guarda, nascosto fino agli occhi sotto la mia felpa. Si agita un po', spostandola, e sta sorridendo. "Tutto ok?"
Ride piano. Dio, ride.
"Sto bene," mormora, si stiracchia pigramente sul divano, si mette a sedere. Che cazzo succede? "Ehi. Ti va di sederti un momento? Per favore."
Sono seduto accanto a lui prima ancora che finisca di chiederlo. Sorride ancora, rovista in mezzo ai cuscini per trovare il telcomando, abbassa ancora un po' il volume della televisione. Ferguson sta intervistando l'attore che ha fatto quel tipo che è crepato su Grey's anatomy duemila episodi fa. Restiamo a guardarli parlare di Dio solo sa cosa, nessuno di noi due sta veramente ascoltando; a un certo punto, Em si volta verso di me e io quindi mi volto verso di lui.
"Fif," comincia, così piano che sembra quasi un rumore di fondo del programma. "Mi dispiace. No, non fiatare, se mi interrompi non arriverò mai in fondo a questo discorso. Cristo, non so se arrivo fino alla fine neppure se mi lasci parlare e basta," sbotta, e si sistema meglio la felpa sulle spalle. La mia felpa. Dio, voglio baciarlo. "Mi dispiace. Per tutto quanto. Per essere... un figlio di puttana disturbato come pochi. Per averti incasinato l'esistenza con i miei casini. Mi dispiace, non avevo il diritto di... lo sai." No, non lo so. "Trascinarti in tutto questo. Tenerti in questa casa che potrebbe tranquillamente essere la farmacia di un manicomio. Mi dispiace, non ti dovevo... coinvolgere così. È da stronzi egoisti, 'fanculo, non c'è nessuna fottuta differenza tra me e Kim in questo momento." No, non è vero. "Sì, no, cioè, no, io almeno chiedo scusa. 'Fanculo, cazzo, Fif, mi dispiace. Mi dispiace. È tutto un grande casino, nella mia testa, intendo dire, ho questa enorme cosa che non so come affrontare ed è un problema più grande di Kim, non è solo lei, capisci," no, non capisco, "e sto andando completamente fuori di testa e mi piace dirmi che sia per via di lei e di mia madre e della morte di Proof e tutto il resto, ma la verità è che ho solo una paura fottuta che non sia colpa di nessuno. Ho solo una paura fottuta che sia la mia testa a funzionare male di suo. Merda, lo sto facendo di nuovo. Ti sto di nuovo... Fif, mi dispiace. Mi dispiace veramente. Non doveva... non doveva andare così. Io non dovevo andare così. Noi non dovevamo andare così, niente doveva andare così, cazzo, va bene, il senso di tutto era: mi dispiace. Se puoi, per favore non odiarmi per averti costretto a fare da baby-sitter a questo pazzo codardo che non è nemmeno capace di farla finita. Mi dispiace veramente. Io-" si morde le labbra e penso di aver perso il filo del suo discorso più o meno quando ci si è perso pure lui, ma diciamo che ho colto il senso generale. "Io voglio, lo sai, cambiare. Voltare pagina, quel genere di stronzate. Non lo so, sono stanco pure io di campare così. Seriamente. Voglio... non lo so, provarci seriamente. E... comincio così, va bene? Chiedendoti scusa. Mi dispiace. Io... ho proprio fatto un casino, eh? Cristo, sono assolutamente pazzo."
Il senso generale, giuro che l'avevo colto, ma adesso l'ho decisamente perso. Gli dispiace?
"Ti dispiace... di cosa?"
"Di averti... Dio, Fif, di averti fatto passare l'Inferno per settimane, di averti fatto preoccupare, di averti costretto a urlarmi addosso, di averti, non lo so, di averti rovinato l'esistenza soltanto perché sei troppo buono per mandarmi a 'fanculo, vecchio mio. Mi dispiace."
Oh, per quello.
"Em. Sei seriamente coglione come sembri."
"Lo so, Fif, lo so, mi dispiace. Io probabilmente non dovrei neppure mai essere stato concepito, intendo intellettualmente, sono un guaio esagerato e---"
"No, deficiente. Zitto, non interrompermi, altrimenti non arriverò mai in fondo a questo dicorso," ritorco, e sorrido, e sorride anche lui. "Em, sei un coglione, io ti amo."
Dai, non ci credo che non se l'aspettava, eppure la sua espressione - occhi pallati, sopracciglia che scattano all'insù e bocca un po' spalancta - dice esattamente questo, che non se l'aspettava, che non ha mai sospettato, immaginato, supposto... Dio, è seriamente un coglione.
"Tu..."
"Ti amo, coglione. Con tutti i problemi mentali con cui mi hai assillato da che ti conosco." Rido un po', perché mi è venuta un'idea molto malvagia. "Cristo, probabilmente senza tutta la psicopatia farei una cazzo di fatica a riconoscerti."
"Tu..."
"Ti amo. E sono tre. Ma tranquillo, non devi rispondermi adesso," e se c'è una punta di sarcasmo nelle mie parole, lui non dà segno di essersene accorto. Però arrossisce, si guarda le mani.
"Woah," soffia, mi guardicchia, Gesù, l'ho imbarazzato. Ma seriamente non aveva capito niente? Sul serio pensava che continuassi a portarlo a letto ogni santa notte semplicemente in virtù di una qualche mia distorta, masochistica interpretazione dell'amicizia? Il che ci potrebbe anche stare, eh, per un fratello darei via un braccio, ma, andiamo, davvero non aveva capito niente? Pensavo che i pazzi fossero tutti estremamente intelligenti! "Woah. Io... woah. Scusa," ridacchia, "mi si è incantato il disco." Sorride, si sposta un po', il divano cigola piano, Em allunga il collo e mi bacia l'angolo della bocca, così vicino che se solo respirassi potrei baciarlo io, sul serio. Mi congelo di nuovo, però, e lo guardo soltanto - questo mi rende eleggibile per un cazzo di Oscar dell'Autocontrollo o cazzate del genere. Praticamente è fosforescente, per quanto intensamente è arrossito. Si lecca le labbra e tra un po' mi diventa viola; mi si butta addosso, naturalmente, nascondendosi come meglio può contro la mia spalla, e finisco lungo sdraiato sul divano, con lui annodato alla meno peggio alle mie gambe.
Voltare pagina, hm?
Lo stringo un po', lui borbotta cazzate imbarazzate contro il mio orecchio e penso di non aver mai sentito niente di più bello nella mia intera esistenza. Rido. Ride. Il divano è fottutamente stretto e Em è spigoloso contro il mio stomaco e non abbiamo neppure l'ombra di una coperta, ma penso che per stanotte faremo a meno del nostro più basilare diritto ad un letto sotto la schiena, e non sarà una tragedia.