[Supernatural] Brittle, precious (John/Dean)

Jan 01, 2010 22:45

titolo Brittle, precious
betareader shariaruna (che è di una bellezza epica *_*)
fandom Supernatural
personaggi John, Dean Winchester, nominée Mary
pairing John/Dean
rating NC17
warning incesto, violenza, slash, angst, linguaggio
conteggio parole 3780+ (OpenOffice)
prompt Supernatural, Dean/John, gli occhi di Mary @ fanfic_italia [ Italian p0rn fest #3]
; 42 - Luna Park @ Criticombola [ Criticartella]
note La cosa più assurda è che anche il primo post del 2009 è stata una fic papacest per il p0rn fest! XD
; Il titolo è (parzialmente) colpa dei Depeche Mode, e di Precious.
; No, ma amate Shari ancora un po', okay?
disclaimer Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo. Puro fangirling.
~ I commenti sono l'amore. I lurker sono il male.



~ Brittle, precious.

Un colpo violento e pesante come piombo tra le scapole e Dean crolla in ginocchio, senza fiato e senza neppure capire cosa l'abbia aggredito. John, tre passi avanti a lui, lo sente mordere un gemito - sente lo schiocco secco del fango quando le mani del suo primogenito vi precipitano dentro, e poi un fruscio di foglie secche e vento e, indubbiamente, Wendigo, - e allora si volta: scruta il buio, cercando Dean, cercando la creatura a cui stanno dando la caccia.
La notte è quella arrogante e nera come pece del solstizio d'inverno: la più lunga dell'anno, la più buia di tutte, e John non riesce a vedere neppure la punta del proprio naso. Il cuore prende a martellargli nel petto ad un ritmo infinitamente più nervoso e, in una scarica di adrenalina, John arma il fucile e lo punta prima al buio, di fronte a lui, e poi in alto, verso i rami degli alberi, svuotando mezzo caricatore e riempiendo l'aria dell'odore acre del sale. Una mossa inutile, perché i Wendigo temono il fuoco e nient'altro, ma il fracasso è celestiale e John immagina di aver guadagnato qualche secondo di vantaggio sulla sua preda.
"Dean," sibila, mettendo via il fucile e sfoderando uno, due, tre coltelli d'argento, e poi un paletto di legno nodoso, spesso tre dita, cui dà fuoco con un accendino a benzina. "Dean!"
Dean sta bene, è solo immerso fino alle ginocchia in una specie di palude in miniatura, e sembra non riuscire proprio a venirne fuori. John borbotta una bestemmia e aggira la pozza di fango, cercando un punto dal quale poter raggiungere il ragazzo.
Il Wendigo balza giù dal ramo su cui si era rifugiato, intontito dagli spari e poi dalla fiaccola di John, e, pieno di coraggio, è sulla schiena del cacciatore: John rovina completamente per terra, ma tiene ben stretta la torcia e la agita, liberandosi del mostro. Quello, allora, salta su Dean, che però non è rimasto con le mani in mano, e gli pianta un coltello in mezzo al petto, urlandogli dietro un esorcismo.
Il Wendigo rotola via - non mangia da una settimana, perché questi due cacciatori bastardi lo hanno tenuto confinato in questo luna park diroccato, facendogli patire la fame, prima di decidersi ad attaccarlo, e persino così lui è più forte di loro, - quasi uggiolando, e scappa, lontano dalla piccola foresta.
Dean, adesso un po' più tranquillo di prima, riesce ad uscire dal pantano, e cerca suo padre: John bestemmia, sputa e poi si risolleva, appoggiandosi al fucile come ad una stampella.
"E' scappato verso la ruota panoramica," gracchia, e Dean, nella luce guizzante della fiaccola, abbandonata a terra poco più in là, annuisce. Prima di rimettersi in marcia, il ragazzo si assicura che John non sia ferito - non in maniera vistosa, comunque, - e, sotto la carezza lieve di quegli occhi, John si sente tremare, perché gli occhi di Dean sono - da sempre - gli occhi di Mary.
Lo stesso colore incerto tra verde e castano, lo stesso modo di scrutarlo e sondargli l'anima, la stessa capacità, che scalda il cuore di John in un modo a dir poco nauseante, di trovarlo in un istante, anche in mezzo a tremila altri cacciatori. E non sono soltanto gli occhi: in Dean c'è tremendamente tanto di Mary, forse troppo. Lo stesso sorriso, che in Dean è caldo e idiota esattamente come in Mary era furbo e sarcastico; la stessa gentilezza, che Mary custodiva per chi ne fosse stato degno davvero, così come Dean si ostina a nasconderla, quasi con timidezza; lo stesso modo di amare senza riserve, senza respiro, senza fine, dal fondo del fondo del fondo del cuore.
E poi gli occhi.
Gli occhi di Dean sono gli occhi di Mary, e Dean è Mary, agli occhi di John, ed è tutto così doloroso da far vomitare, e in certi momenti - per esempio quando incontra quegli occhi, che sono gli occhi di Dean, ma sono gli occhi di Mary, - John vorrebbe soltanto mettersi a urlare e lanciarsi giù da un balcone, e sprofondare, finalmente, in quell'Inferno maledetto che aspetta solo lui, perché è un uomo, Dio, è un uomo e non riuscirà mai a sopportare tutto questo.

Il Wendigo scappa tra le giostre arruginite e Dean fatica a tenergli dietro. John sta montando una trappola, là in fondo - tra il castello degli specchi e il tunnel dell'amore, - e lui deve soltanto portarci il mostro, ma si sta rivelando un'impresa più complicata del previsto, soprattutto perché Dean, da quando ha i jeans inzaccherati di fango fino alle ginocchia, non riesce a liberarsi della spiacevole sensazione di aver smesso da un pezzo di essere il cacciatore.
Crivella di proiettili il fianco sfasciato di una macchinina dell'autoscontro del secolo scorso e il Wendigo svolta nella direzione giusta: superato lo stretto corridoio tra due gazebo muffiti si spalanca lo spiazzo principale del luna park, illuminato di giallo e di rosso da una manciata di piccoli falò che John ha acceso in giro, dando fuoco a tutto ciò che d'infiammabile ha reperito.
Nel momento in cui il Wendigo si porta spavaldamente al centro della piazza, però, non esplode nulla, e allora Dean sente una goccia di sudore ghiacciato corrergli rapidamente giù giù giù lungo la schiena. Dov'è finito John?
Quando il mostro comincia a ridere - un suono rivoltante e lugubre, che rimbomba in mezzo alla ferraglia arruginita del luna park e pare voler demolire il cielo, - e due paia di occhi enormi e bianchi compaiono nel buio alle sue spalle - altri due Wendigo, Dio Cristo, ma che sta succedendo?, - Dean, oltre ad un improvvisa necessità di vomitar via anche l'anima, ammesso che un po' gliene sia rimasta, si sente attanagliare lo stomaco anche da una paura che non ha assolutamente niente di umano.
Uno dei tre mostri scaglia qualcosa in avanti - un masso, no, un fagotto, no, una persona, oddio, è papà, - sibila qualcosa e gli altri due ridacchiano. Dean distingue appena il viso pesto di John, i vestiti inzuppati di sangue, il gomito piegato in un angolo stortissimo; la testa gli si svuota completamente, come se gli avessero scoperchiato il cranio e i pensieri fossero volati via. Raccoglie da terra un ramo enorme, miracolosamente comparso lì, accanto ai suoi piedi; corre ad immergerlo in uno dei fuochi alle sue spalle e poi si getta in avanti, contro i tre mostri, la bocca spalancata in un grido che non ne vuole sapere di venir fuori.

*

Quando John riprende conoscenza, all'alba, sotto la sua testa c'è un cuscino relativamente morbido, e un piacevole refolo di aria calda gli accarezza il viso. Non fosse per i dolorosi postumi della caccia e per la presenza di una sorta di muro che gli impedisce di stendere completamente le gambe, costringendolo a starsene accoccolato come un dannato moccioso, potrebbe anche fingere di essere un uomo assolutamente normale che si sveglia in un letto assolutamente normale, pronto ad affrontare una giornata assolutamente normale, con un lavoro assolutamente normale e una famiglia assolutame- oddio, il Wendigo, no, i Wendigo.
John spalanca gli occhi, mentre il suo cervello riprende a carburare normalmente, processando tutti i fatti della caccia. Stava sistemando la trappola per far fuori quel mostro maledetto al quale erano stati col fiato sul collo per una settimana intera, quando è stato assalito alle spalle: lì per lì aveva pensato che Dean non fosse riuscito a tenere a bada la creatura - un'eventualità insostenibile e disgustosa, e allora aveva perso il controllo e tentato di far fuori il Wendigo da solo. La furia cieca, peraltro, gli aveva quasi fatto avere la meglio, quando un altro di quei mostri era spuntato dal nulla, e lo avevano giustamente pestato morso sbatacchiato torturato, insomma, un trattamento di lusso. E poi aveva perso conoscenza, incapace di accettare l'idea che Dean fosse morto, e che ci fossero due Wendigo nello stesso stramaledetto luna park in culo al mondo, e che lo avessero fregato così, come un maledetto idiota alle prime armi.
Porca miseria, si è davvero fatto mettere nel sacco - imbrogliato, fottuto, gabbato, preso per il culo - da due mostri di merda, lasciandosi cogliere alle spalle in un modo che nemmeno durante la sua prima caccia, nemmeno quando non era altro che un novellino. Porca miseria. Improvvisamente, John si sente vecchio di mille anni: incapace, raggrinzito, pazzo e inutile, e pensa che, probabilmente, se i due, tre, quarantasette Wendigo di quel luna park lo avessero fatto a pezzi, beh, dato il modo a dir poco patetico con cui ha condotto questa caccia, allora sarebbe stata una fine fottutamente meritata.
E adesso eccolo, perfettamente vivo e decisamente acciaccato, sdraiato alla bell'e meglio sul sedile posteriore dell'Impala. Perciò Dean sta bene, e ha fatto fuori da solo due Wendigo, forse tre. Dio, quel ragazzo - e John si sente trentamila volte più stupido, perché lo ha sempre saputo che Dean è un cacciatore con le palle, però immaginava di aver ancora molto da insegnargli. Panico.
"Dean," gracchia, allora, John, contorcendosi un pochino per riuscire a sdraiarsi sulla schiena, e sollevarsi perlomeno sui gomiti; le sospensioni dell'Impala gemono piano quando Dean, sul sedile davanti, scatta diritto e si affaccia al di sopra dello schienale, gli occhi enormi e la faccia completamente sporca di sangue.
"Papà," soffia, e poi si preme le mani sugli occhi, esausto rincuorato stropicciato e soprattutto felice di avere ancora un padre.
"I… i Wendigo?"
Dean sgrana di nuovo gli occhi - gli occhi di Mary, e John ha una vertigine e allora sposta lo sguardo un po' più giù, sulle sue labbra, piene peste morbide e no, non è stata una buona idea - e poi, quasi timidamente, si accarezza il mento.
"Sistemati. Bruciati, e tutto. Tutti e tre. Anche le loro tane," aggiunge, con un timido pizzico di spavalderia che fa sorridere John. Ci vorrebbe un discorso di apprezzamento, ora. John dovrebbe parlare per le prossime due ore, intessendo le lodi del suo primogenito che è stato capace di far fuori tre Wendigo da solo - un'impresa talmente assurda che potrebbe essere vera, - e chiedergli come abbia fatto, ed inchinarsi alla sua superiore potenza di cacciatore, e un'infinità ancora di stronzate. Cristo, ci sarebbe anche modo di scherzare un po', di essere simpatico, di far ridere Dean, che gli pare passata una vita dall'ultima volta in cui ha sentito la sua risata - la risata di Mary.
John, però, non è mai stato bravo in questo genere di cose - ha una specie di gatto bloccato in gola che gli impedisce di dire quello che dovrebbe, davvero, - perciò non parla, si limita a guardare Dean con quella che spera essere un'espressione un po' meno severa del solito, un po' più orgogliosa del solito. Un po' più affettuosa, magari. Si sistema seduto e solleva una mano per stringerli una spalla: per dirgli bravo, figliolo. Sono fiero di te, e tu non hai idea di quanto lo sia. E, forse, anche Cristo, Dean, mi dispiace.
Dean, evidentemente, capisce, perché John ha la netta impressione di vederlo arrossire, sotto tutto quel sangue.
"Sì, beh. Eri messo male," borbotta allora il ragazzo, stringendo nervosamente il sedile tant'è che la pelle scricchiola, sotto la presa ferrea delle sue dita. "Hai perso un sacco di sangue, eri praticamente morto. Ti hanno quasi ammazzato di botte, abbiamo finito le bende e dovrei davvero portarti in ospedale - però non ti ci ho portato, tranquillo, ho pensato io a tutto. Dovresti fare attenzione al gomito, te l'hanno quasi rotto, l'ho sistemato, penso, però davvero non dovresti sforzarlo, e probabilmente hai qualche costola incrinata, non lo so, io-"
"Dean, va bene così," lo interrompe John, quasi con gentilezza, quasi con un sorriso. Dean si zittisce all'istante, le labbra arricciate in un broncio impercettibile e per il quale John sbuffa, divertito. "Grazie," aggiunge, stringendogli un po' di più la spalla. Dean annuisce. John lo guarda, prendendo nota di tutti i graffi e i lividi che ha sul volto, e del modo in cui il sangue - tanto, ma non troppo, e per fortuna colato giù per la maggior parte solo da una ferita sulla fronte, già medicata alla bell'e meglio con un cerotto - lo imbratta tutto. Solleva la mano che aveva ancorato alla sua spalla, e vorrebbe stropicciargli i capelli, ma cambia idea a metà strada - gli tocca una guancia. Una scarica di brividi gli scuote la schiena e quasi gli tremano le dita, come la prima volta in cui ha sfiorato i fianchi di Mary, ed è una cosa alla quale, adesso, non vuole veramente pensare.
Dean quasi sussulta, sgrana gli occhi e li pianta sul viso di John, che è immobile, irraggiungibile, quasi, mentre, con una delicatezza che normalmente è riservata a quando maneggia armi e ferite, non certamente a suo figlio maggiore, e che, comunque, non è completamente sua, perché lo lascia infinitamente imbarazzato, gli accarezza le guance spolverate appena da un velo di barba ispida.
Non è più un bambino da un pezzo, Dean, e John se ne accorge mentre con i polpastrelli lo ripulisce dal sangue, scoprendo la pelle bianchissima - per la paura e l'ansia e lo sforzo e soprattutto lo stupore di sentirsi toccare così, senza un motivo logico apparente, - le minuscole pieghe della pelle attorno alle labbra - meglio ignorarle, le labbra di Dean, - e attorno agli occhi, e poi le lentiggini, sparse sul naso e gli zigomi e dappertutto.
Guardando Dean - toccandolo così, nel silenzio torrido e spiazzato dell'Impala, John trova, quasi naturalmente, il coraggio di ammettere che Dean non è affatto identico a Mary, che questa loro presunta somiglianza gli serve a sentirsi meno male - meno terribile, meno tremendo, meno schifoso, meno meno meno e soprattutto meglio - quando guarda Dean e si accorge di amarlo come non dovrebbe, di amarlo come dovrebbe, invece, amare ancora il ricordo di Mary. Per illudersi di non essere veramente il padre più impossibile della storia del mondo, quando guarda Dean - quegli occhi e quelle labbra e quelle lentiggini e quel sorriso e quelle mani e questo ragazzo, quest'uomo bellissimo, questo Dean Winchester, questo cacciatore straordinario cresciuto in mezzo al dolore, alla solitudine, in mezzo ai mostri, e che brilla con un'insistenza tale da essere fastidioso per il cuore - ecco, quando guarda Dean e si sente mancare il respiro per il bisogno che ha di stringerselo contro e proteggerlo proteggerlo proteggerlo e tutto, tutto, tutto - annullarsi in lui, pretenderlo, strapparlo dal mondo e tenerlo per sé.
Somiglia tantissimo a Mary, perciò lo amo: è un alibi, una cazzata, una bugia e pure una pessima bugia e John, Dio, John è così dannatamente esausto che non ce la fa più a mentire neppure a se stesso. Probabilmente è il momento meno adatto per abbassare le difese - è quasi morto, ancora una volta, e ancora una volta s'è salvato, e ancora una volta la paura ha quasi ucciso la persona più importante della sua esistenza, e Dean lo guarda come se non lo riconoscesse, come se avesse paura di riconoscerlo - ma, probabilmente, un momento veramente adatto non esiste affatto, perciò semplicemente John se ne infischia, per una volta, della prudenza, e, basta, chiude gli occhi, si riempie i polmoni dell'odore di pelle e sangue e sudore, che è anche l''unico odore che possa associare all'idea di casa, si sporge un po' in avanti e la sua bocca è su quella di Dean. È una picchiata giù fino all'Inferno: John sente le fiamme azzannargli i lombi e la lava riempirgli già il petto.
E poi Dean, pianissimo, tremando, risponde al bacio. Si ritrae subito, scatta all'indietro e sbatte la nuca contro il parabrezza. John è veloce a riagguantarlo, appoggiandogli una mano sul collo e attirandolo di nuovo a sé. Dean, gli occhi - che non sono più affatto gli occhi di Mary, ma solo gli occhi di Dean, bellissimi e dolorosi e John si sente malissimo, ma trabocca d'amore per quegli occhi - ancora una volta sgranati, non oppone resistenza. Un po' esita, poi si getta in avanti - al di sopra del sedile, le braccia che si allacciano dietro il collo di John, - e lo bacia, adesso sì, con tutto quello che ha - amore, paura, tristezza e soprattutto terrore, nero e genuino.
John non rifiuta niente: assale la bocca di Dean con lo stesso bisogno, con la stessa fame, incatenando via la razionalità, il senno, la voglia di vomitare per il pensiero che si tratta di suo figlio, Dio, e che lui è un padre assolutamente malato, pazzo, impossibile.
Dean è morbidissimo, sotto le sue mani. Il suo bacio sa di sangue ed è salato e John, senza neppure pensarci, scaccia con i pollici le lacrime dalle sue guance. Dean tira su col naso, brevemente e con forza, poi lo guarda, gli occhi liquidi di pianto e timore e voglia, un po' trema, ma piega le labbra nel suo ghigno migliore, un po' triste, ma comunque da Dean, e per niente da Mary, dopodiché si china sul suo collo, un po' esitante, e non ci vuole nulla perché John si perda sotto la sua bocca.
I maglioni volano sui sedili anteriori in men che non si dica, e se Dean rabbrividisce di piacere, quando John gli solleva la t-shirt per toccargli la schiena, questi trema un po' per una fitta al fianco, e poi gli gira la testa, ma risolve tutto - risolve il mondo, l'universo e l'Inferno, - seppellendosi contro la spalla di Dean e sbottonandosi la camicia.
Le dita di Dean corrono, sicure ma un po' timide, se questo ha un senso, su e giù per la schiena larga di John, disegnandone le cicatrici - molte delle quali è stato lui stesso a ripulire, disinfettare, ricucire, - percorrendo i muscoli sodi e rincorrendo i brividi. John non vuole chiedersi se Dean si renda conto della portata, in termini di moralità - o, meglio, di immoralità, - di quanto sta succedendo, perciò cerca subito l'orlo dei pantaloni del suo primogenito, e prende ad armeggiare con la cintura, accarezzando quasi distrattamente l'erezione già tesa attraverso i jeans. Dean mugola direttamente contro il suo orecchio, strofinandoglisi addosso e sbottonandogli i pantaloni. In men che non si dica, il ragazzo si ritrova schienato sul sedile dell'Impala, la bocca di John che è dappertutto su di lui a pretendere che il suo corpo reagisca nel più dolce dei modi.
Dean, dal canto suo, non sta affatto pensando, perché ha da tempo smesso - e forse non ha mai neppure cominciato - di chiedersi se sia giusto o meno, se sia morale o meno lo strano calore che gli sbatacchia il cuore contro le costole ogni volta che John lo guarda, lo tocca, gli parla. Adesso sa di essere terribilmente entusiasta del fatto che la barba di suo padre lo solletichi sulla pancia, sul collo e poi giù, nell'interno coscia, e ne geme, le labbra umide e gli occhi chiusi e il collo reclinato, la gola in mostra, le gambe spalancate attorno ai fianchi spigolosi di John.
Un gemito e Dean ha i pantaloni alle caviglie; un altro gemito e i boxer calano fino alle ginocchia, mentre ancora Dean solleva le braccia per aiutare John a liberarlo della maglietta. Ancora un gemito, adesso più decisamente vocale, e l'erezione di John preme su quella di Dean, appena un po' invadente.
Un bacio - la lingua di John sulle labbra di Dean e le mani di Dean tra i capelli di John, a spingerlo giù, e i fianchi di Dean che si sollevano a cercare un maggiore contatto, e John che lo culla pianissimo, accarezzandolo ovunque e baciandolo ancora.
"Dean," chiama, la voce arrochita dal fatto che Dean continua ad essere perfetto contro di lui e ad ubriacarlo di piacere, e Dean risponde gemendo, agitandosi, inventando un ritmo più frenetico per le spinte del suo bacino e infine viene, mugolando, inarcando la schiena e abbandonandosi a John in un ennesimo bacio meraviglioso, tant'è che anche questi, dopo un attimo, cede alla valanga di piacere e calore e si lascia andare all'orgasmo - caldo, profumato di Dean, - seppellendo il viso, subito dopo, contro il collo di Dean.
Il ragazzo sospira, sistemandosi più comodamente sotto il corpo del padre, e distrattamente gli accarezza i capelli, gli occhi chiusi, il petto ancora un disastro di sudore e seme. John si risolleva, e la sua espressione è funerea abbastanza da rendere chiaro, agli occhi di Dean, che papà si è decisamente di nuovo trincerato dietro i suoi cari, vecchi muri.
John prende un respiro profondo, probabilmente vuole dire qualcosa - qualcosa di inopportuno, di ingiusto, di moralmente corretto, e Dean probabilmente non riuscirebbe a sopportarlo: perciò si solleva sui gomiti e lo bacia, pianissimo, spingendosi quasi impercettibilmente contro di lui, in un invito decisamente inequivocabile.
John sbarra gli occhi, ma Dean è serio. Serissimo. Convinto.
Una ruga profonda un dito solca la fronte di John, e Dean fa quella sua smorfia irritante che sembra urlare a questo punto è piuttosto inutile tentare di darci una parvenza di perbenismo, non trovi? John si domanda dov'è che suo figlio abbia pescato tutta questa impertinenza - ce l'ha sempre avuta, si risponde, con un sospiro rassegnato; Dean non è mai stato Mary. Strozza, quindi, quella voce che, dal fondo del cervello, continua a dirgli che è immorale, malato, sbagliato, finirà all'Inferno, bla, bla, bla, bla, e si china a baciare ancora Dean.
Un bacio, e percorre - "Hmm" - il solco già un po' umido tra le sue natiche; un altro bacio e lo penetra - "Faccio piano, tranquillo" - con un dito, due dita - "Ancora?" "Ancora", - tre dita. Un altro bacio e Dean sibila, geme, s'inarca e arrossisce. Un altro bacio e John - "Va bene così?" "Va bene" - si spinge pianissimo dentro di lui, che è terribilmente caldo - più dell'Impala, più del deserto, più della superficie del Sole, più di quegli occhi che hanno lo stesso colore degli occhi di Mary e lo guardano con lo stesso, maledetto sguardo innamorato.
E John pensava di essere l'adulto, tra i due, quello che nella vita ne ha viste tante e si è sbucciato le nocche, le ginocchia e si è scorticato il cuore; pensava di dover essere lui a raccogliere Dean, a proteggerlo e a tenerlo con sé, e invece mentre lo prende e si sente esplodere di un'ebbrezza mai conosciuta prima, diversa da quella del vino, diversa da quella della morte, diversa da quella della caccia e diversa da tutto, un'ebbrezza che è solo Dean, mentre gira tutto e lui si spinge un po' più a fondo nel corpo bollente del suo primogenito (con un gemito, un sospiro spezzato e un intero sistema solare che gli esplode nel petto), John si accorge che è Dean ad aver accolto tutto di lui, a tenere insieme i suoi cocci, a dare un senso all'idea di essere vivo, all'universo e al mondo e a tutto. C'è soltanto Dean, là dove prima c'è stata Mary; Dean e quegli occhi che, se li guardi bene, sono soltanto i suoi, e non hanno niente a che vedere con quelli di nessun altro al mondo.

note finali. No, non voglio scusarmi di nulla, solo ribadire il fatto che Shari è l'Amore, e si meriterebbe molto più Sam/Jess, perciò andate e scrivete, miei prodi! XD *lancia brillantini e offre in giro coperte calde*

} 2010, » challenge: p0rn fest #3, supernatural, supernatural: dean winchester, › ita, » challenge: criticombola, supernatural: john winchester

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