[RPF] And twelve is ten more than, more than, more than

Dec 31, 2011 14:23

Titolo: And twelve is ten more than, more than, more than
Fandom: RPF Calcio
Personaggi/Pairing: Alex Del Piero/Claudio Marchisio, Alessandro Matri, Seba Giovinco, Domenico Criscito
Rating: R
Conteggio Parole: 8944 (fidipu) (wtf)
Avvertimenti: AU, slash, fluff, lemon, underage
Prompt: Alessandro Del Piero/Claudio Marchisio, Alex cucina per Claudio, al p0rn fest #5 di fanfic_italia.
- Jolly (highschool!AU) @ auverse. [tabella]
- Come ti trombo il prof @ maridichallenge.
- 6. Qualcosa su un tuo OTP @ Kyalendario (♥
el_defe)
Note: Sì, ciao. Sempre perché sono noiosa e prevedibile, pure quando scrivo AU underage devo dire sempre le stesse cose, perciò se vi pare familiare, questa storia, non è un'impressione solo vostra - oggettivamente, mi sono autoplagiata Take some courage. Ci vuole talento, dai (no).
- Cose molto più belle da cui ho svergognatamente tratto ispirazione sono, in ordine cronologico: You don't belong here di perlinha, E l'amore ha l'amore come solo argomento di brahurricane, After a hurricane comes a rainbow di el_defe.
- Riccardo Maniero ora gioca nel Pescara, ma ha fatto le giovanili nella Juve (anche se è di Napoli asdfkjfdhjdhgfdafd #why) e l’hanno buttato in Primavera nel 2006, se non sbaglio. Insomma, non è un nome a caso X’D
- Per la cosa dell’albero fatto di scatoloni non guardate me, è tutta colpa di Marc Gasol (che è uno di quelli che non ha cambiato squadra, dopo il lockout, perciò boh, ha chiaramente una fantasia malata, amore mio).
Disclaimer: Non mi appartiene nulla; è tutta fantasia; nessuno mi paga un centesimo.

~ And twelve is ten more than,
more than, more than.

Il professore di matematica, stamattina, è in ritardo.
Sebastian, in piedi accanto alla porta, si mordicchia nervoso l’unghia del pollice, e continua ad allungare il collo di fuori, spiando il corridoio da un lato e dell’altro.
«Non arriva nessuno,» dice, ogni quarantasette secondi, e picchietta il piede per terra. «Non ci ha dato buca, vero? Non ci può dare buca l’ultimo anno, vero?»
Ma è l’unico che sia davvero preoccupato preoccupato; tutti gli altri, - a parte Alessandro, naturalmente, che non s’è accorto che l’estate è finita e ha giocato a Call of Duty fino all’alba e ora sonnecchia, placido, con la testa sul banco, - sono solo curiosi di sapere quale catastrofe naturale sia riuscita a mettersi tra Conte e il suo primato di onnipresenza, considerando che quel fanatico è stato capace di presentarsi a scuola in perfetto orario, tre anni fa, quando fece quella bufera tremenda e c’era mezzo metro di neve su tutte le strade.
«Non arriva nessuno,» avvisa Sebastian, ancora; Domenico, dal suo banco in terza fila, sbuffa e gli tira una pallina di carta.
«Che palle sei, Sebba,» dice, tutto contento, e il resto della classe concorda con lui. Sebastian s’imbroncia, gonfia le guance e sta per rimproverarlo con una delle sue filippiche infinite da secchione patentato, glielo si legge in faccia, solo che qualcosa, fuori dall’aula, attira la sua attenzione, e un attimo dopo lo vedi che sbianca e scappa gambe in spalla verso il suo banco, il primo della fila centrale, proprio davanti alla cattedra.
«Arriva qualcuno!» strillacchia, e, grazie tante, non s’era mica capito. Una mandria di bufali su una distesa di croccanti foglie autunnali sarebbe meno rumorosa di ventitrè ragazzi che tornano a posto e raddrizzano sedie e banchi e sistemano zaini e portapenne, ma dura solo un momento, e quando il preside varca la soglia, accompagnato da un bell’uomo, notevolmente più basso di lui, nell’aula, magicamente, è stato ristabilito l’ordine divino, e regna il più assoluto silenzio.
Claudio, dal suo banco in ultima fila sotto la finestra, praticamente invisibile dalla cattedra, si premura di tirare una gomitata ad Alessandro, seduto accanto a lui, per svegliarlo; guarda meglio il nuovo arrivato, poi, e quasi cade dalla sedia quando si accorge che, oddio, dentro quella giacca elegante e perfettamente stirata, dietro quella cravatta, sotto quel taglio di capelli quasi serio c’è una faccia che lui conosce fin troppo bene.
Oddio.
Oddio, quello è Alex.

*

Claudio ha otto anni, la prima volta che incontra Alex. È al mare con i suoi, sempre lo stesso campeggio, sempre lo stesso angolo di spiaggia, sempre lo stesso biliardino, sempre gli stessi amichetti e persino sempre le stesse conchiglie sul bagnasciuga, ma è ancora abbastanza piccolo perché non gli dia fastidio; sta costruendo un castello di sabbia, il più grande e bello che si sia mai visto, e poi sul suo capolavoro plana, senza il minimo riguardo, un disco volante giallo e rosa fosforescente, che si porta via quattro piani della torre principale.
Claudio non è che stia per piangere, perché ormai è un ometto e gli ometti non piangono, ma comunque arriccia il naso e sporge il labbro inferiore e non ci vede più tanto bene, come se fosse sott’acqua.
Alex ha diciannove anni, venti il prossimo novembre, e vuole solo riprendersi il suo frisbee, ma questo bambino bellissimo, con un enorme cappello di paglia sulla testa, lo guarda con due occhioni azzurri pieni di lacrime, come se gli avesse appena rapito il gatto da sotto il naso, - e forse abbattere mezzo castello è un crimine pure peggiore, - e lui proprio non ce la fa a non sedersi accanto a lui, sotto il sole, per aiutarlo a ricostruire la torre, e poi a definire le mura e i merli su tutte le terrazze, e i camminamenti, e alla fine li raggiunge pure Gigi, che poi è stato lui a tirare il frisbee, e finisce che la madre di Claudio li invita tutti e due a pranzo.
L’anno successivo, Alex è di nuovo lì in vacanza, ma Claudio no; quello dopo ancora, invece, ci sono entrambi, e poi di nuovo e di nuovo e di nuovo, e di punto in bianco Claudio ha sedici anni ed è decisissimo a confessare ad Alex - che di anni ne ha già fatti ventisette, - che lo ama da morire, proprio tanto tantissimo, però Alex quell’estate sta prendendo la sua seconda laurea, e ad andare al mare non ci pensa neppure.

*

Alex non si ricorda di lui e Claudio, onestamente, ci rimane un po’ male, quando il suo nuovo professore di matematica - perché sì, ehi, Alex è il suo nuovo professore di matematica! Magnifico, no? Conte ha fatto il concorso a preside, quest’estate, senza dir nulla a nessuno, e ora Alex è il suo professore di matematica, - fa ordinatamente l’appello e, arrivato a Marchisio, Claudio, non esita né più e né meno di quanto abbia fatto per Giovinco, Sebastian.
Ci pensa su seriamente, mentre Sebastian tempesta Alex di domande sulla maturità e Alex, si vede, fa del proprio meglio per rimanere gentile e non mandarlo a cagare seduta stante, e dopo un po’ di arrovellamenti vari ed eventuali giunge alla disarmante conclusione che, d’accordo, è stato stupido il suo stupido cuore a mettersi a martellargli nel petto non appena si è reso conto di tohguardachic’è.
Che poi non è neanche certo di averglielo mai detto, ad Alex, il suo cognome.
«Oh,» brontola Alessandro, sottovoce, appoggiando un po’ la fronte alla sua spalla. «Ma Seba perché non l’abbiamo ancora ammazzato?»
Claudio, suo malgrado, ridacchia un po’. Alex sta spiegando forse per la dodicesima volta cos’è e come funziona la terza prova, ed è ammirevole, davvero, come riesca a mantenere un’espressione incrollabilmente pacata.
«Non ci voglio finire, in galera,» mormora di rimando, e Alessandro mugola, poco convinto. Dall’altra parte dell’aula, Domenico tira su la mano e Alex lo guarda, visibilmente sollevato che qualcun altro abbia voglia di chiedergli qualcosa.
«Prego, uh,» Alex abbassa gli occhi sul registro, fa una smorfia. «Criscito, è così?»
Domenico sorride, ed è strano vederlo sorridere ad un professore, davvero, ma Claudio non si stupisce più di tanto perché si tratta di Alex, chi è che non sorriderebbe al suo - sì, d’accordo, non suo, - Alex?
«Giusto,» dice Domenico, ad ogni modo, e poi sospira. «Prof, se non le dispiace, non è che ci spiegherebbe i logaritmi?»
Alex ride - Claudio sente il cuore tremare, - e no, no, naturalmente no che non gli dispiace.

*

Alex si aspettava di tutto, dal suo nuovo incarico al Galileo Ferraris, meno che di vedere, in fondo alla fila di banchi sotto la finestra della Quinta B, due occhi azzurrissimi sgranarsi su un viso pallido non appena lui ha messo piede in aula.
Poi il preside s’è messo a blaterare, trascinandolo accanto alla cattedra, e da lì non è riuscito a vedere più in là dei capelli della ragazza al terzo banco, ma gli è bastata un’occhiata all’appello per perdere uno, due, dieci battiti tutti insieme.
Marchisio, Claudio, proprio lì, nero su bianco, tra Maniero, Riccardo e Matri, Alessandro, la costante di un’infinità di sue estati al mare, quel bambino adorabile che poi è diventato un adolescente bello con un taglio di capelli tremendo e poi, ancora, un ragazzino pienamente meraviglioso al quale Alex, con dodici anni più di lui, cominciava a far fatica a resistere.
E adesso siede lì in fondo, Claudio, e Alex ha difficoltà a concentrarsi sulle domande agitatissime del mezzelfo in prima fila; si calma un po’ solamente quando comincia a parlare dei logaritmi, e alla fine delle due ore di lezione è abbastanza distratto che se ne va senza pensare, salutando la classe e ricordando loro il test d’ingresso - «No, non è di valutazione, no, giuro, davvero, mi serve per attestare le vostre conoscenze, lo facciamo anonimo, se volete,» - che faranno dopodomani, ed è solo quando si ritrova in corridoio che gli torna in mente che, maledizione, voleva rubare un’altra occhiata.

*

Claudio ha studiato come un pazzo per il test d’ingresso di matematica, probabilmente pure più di Sebastian, perché nella sua testa le cose vanno così: Alex passa per i banchi per consegnare i fogli con le domande, lo vede, lo riconosce - magari non proprio all’istante, magari lì per lì gli resta solo l’impressione pruriginosa di averlo già incontrato prima, - e poi, alla fine delle due ore, Claudio va a riconsegnare il suo compito perfettissimo e, bam, stregato dal suo genio, improvvisamente Alex ricorda ogni singola pista per le biglie che ha tracciato sulla spiaggia tirando Claudio per le caviglie, e scopre, già che c’è, di essere perdutamente innamorato di lui.
Quello che davvero succede è che Alex - il professor Del Piero, d’accordo, - affida una risma di fotocopie ai primi banchi e fa cenno che le distribuiscano anche all’indietro; poi, quando il tempo a disposizione finisce, è Sebastian che fa il giro di tutta la classe per prendere i fogli e posarli, poi, sulla cattedra. Claudio è così deluso che rimane imbambolato a fissare il vuoto, e Sebastian è costretto a dargli una manata sulla nuca per riportarlo sulla terra.
«Me lo dai o no, il compito?» dice, imbronciato perché Claudio rischia di fargli fare una pessima figura col professore. Claudio si riscuote, abbassa gli occhi sul foglio pieno dei suoi numeri scheletrici e fitti, e osserva il riquadro vuoto in cui avrebbe dovuto scrivere il proprio nome. Si sono giurati tutti che l’avrebbero lasciato anonimo, perché Del Piero ha promesso che non ne terrà conto ma coi professori non si può mai sapere, però lui ha studiato, e l’ha trovato così semplice - beh, no, non proprio semplice; affrontabile, ecco, - che quasi quasi lo firma.
«Non fare il coglione,» bisbiglia Alessandro al suo orecchio, e Claudio sospira; se ha bisogno che Alessandro, tra tutti, sia la voce della sua coscienza, è veramente messo male.
«Vabbè,» sbuffa, quindi, e piazza il compito in cima alla pila che Sebastian tiene tra le mani. «Ecco, contento?»
«Contentissimo,» replica lui, gelido, perché non gli fa piacere vedere che Claudio non ha lasciato neppure una risposta in bianco.

*

I compiti della Quinta B, come Alex si aspettava, gli arrivano tutti anonimi; lui neanche s’incazza, davvero, e li corregge uno per uno, preciso e pignolo, e, d’accordo, magari è in ansia, e sta più che altro tentando d’indovinare quale sarà quello di Claudio. È assolutamente normale che sia un po’ curioso, no?
Solo che come diamine farà a riconoscerlo? Avrebbe dovuto raccogliere dei campioni di grafia, magari non troppo platealmente perché sennò qual è il senso di lasciare i compiti anonimi - stupido Alex, avrebbe dovuto pensarci.
Si arrende un po’, quindi, e si rassegna a tenersi quella curiosità insoddisfatta perlomeno fino al primo compito in classe ufficiale - potrebbero volerci mesi, accidenti. Pesca l’ultimo compito, finalmente, e dopo un po’ si rende conto che, ehi, è di gran lunga il migliore di tutti.
Gli torna un po’ il sorriso, allora, mentre lo valuta con un bell’otto e mezzo, - avrebbe potuto allargarsi e concedere facilmente anche il nove, in realtà, ma ad un test d’ingresso preferisce non rischiare di far montare la testa a qualcuno che poi magari se la fracassa molto male contro il primo ostacolo, - e poi si accorge del piccolo castello di sabbia disegnato in un angolo della terza pagina.

*

Giovedì i compiti tornano già corretti, il che batte qualsiasi record di velocità, probabilmente, e Alex li porta in classe prima dell’intervallo, lasciandoli sulla cattedra perché, dice, davvero non ha nessunissimo interesse a scoprire chi ha combinato cosa.
La sua onestà li lascia un po’ tutti senza parole, e ancor più attonito è il silenzio in cui pare sprofondi l’intera scuola, mezzo minuto dopo, quando viene fuori che Claudio, bontà del cielo, ha preso mezzo voto in più di Sebastian.

*

Alex ha le ultime due ore in Quinta B, quel giorno, e quando arriva si accorge subito che c’è qualcosa che non va.
«Non vi siete spaventati per i voti, vero?» domanda, con un mezzo sorriso; d’accordo, non ha esattamente seminato dieci e lode come fossero caramelle - né nove, né otto, se è per questo, - ma più di mezza classe ha lasciato in bianco tutti i quesiti sulle disequazioni e palesemente improvvisato tutte le risposte di fisica, perciò non è che si potessero aspettare chissà che trionfo, no?
Ma no, non gli pare che siano chissà quanto stravolti e abbattuti dalla propria latente ignoranza; più che altro, tira una generale aria di divertita ammirazione, tranne che per Giovinco che, dal primo banco, lo guarda come se Alex avesse venduto sua madre al mercato nero.
Alla fine, come al solito, è Criscito che prende la parola.
«No, prof,» dice, sogghignando come un pazzo. «Va tutto benissimo.»
Alex lo guarda, sospettoso, ma ha già perso abbastanza tempo a chiacchierare col preside davanti alle macchinette, per cui sospira, tira fuori i gessetti e il libro di fisica e si prepara a spiegare ai ragazzi il motivo per cui, quando tirano un uovo fuori dalla finestra, quello, inevitabilmente, non è che può finire ad orbitare attorno alla Terra, ma si spiaccicherà in un’allegra frittata sul marciapiede di sotto.

*

Alla fine della lezione, la borsa di Alex decide di non volerne sapere di chiudersi, perciò lui rimane per un momento a cincinschiare con le fibbie, tentando di convincerle a collaborare. Tre quarti della classe sono schizzati via appena la campanella ha cominciato a trillare, ma tra quelli che si attardano c’è ancora Claudio, e con le prime file vuote Alex riesce, finalmente, dopo due giorni, a vederlo per bene.
Dio, come è cresciuto.
Sta scherzando con il suo compagno di banco, Matri Alessandro, - Alex, peraltro senza nessuna ragione valida, sospetta sia uno dei tre che hanno consegnato in bianco, - che sta tentando di annodarsi attorno al collo una sciarpa, o di impiccarcisi, non è che si capisca poi molto. E Claudio ride, contento, e quando era bambino non sorrideva poi tanto, ma avrebbe dovuto, perché, Dio, guardalo, è splendido, forse un po’ troppo magro, forse un po’ troppo sottile, ma ha ancora quegli occhi e quelle orecchie senza il minimo senso e, a quanto pare, ha trovato un barbiere in grado di domargli i capelli.
Alex sorride, raccoglie la borsa finalmente chiusa e il registro e sta per andarsene quando Claudio, di punto in bianco, si volta, e si accorge che lui lo stava guardando. Arrossisce, e subito abbassa gli occhi, ma Alex è grandiosamente fottuto, no?
Il cellulare di Matri si mette a squillare, per colmo di sfortuna, e lui fa un cenno a Claudio, fa un cenno ed un sorriso di scuse ad Alex e se ne va, attaccando a sbraitare nell’altoparlante con un distinto accento lombardo; la classe s’è svuotata, e Claudio deve proprio avviarsi verso la porta, non è molto intelligente che rimanga lì imbambolato a fissarsi i piedi.
«Marchisio, aspetta un momento,» dice Alex, esitando appena, perché l’ha visto crescere e non avrebbe mai, mai pensato di doverlo chiamare, un giorno, per cognome. Claudio si ferma a meno di un metro da lui, oltre la cattedra, e lo sogguarda tra le ciglia, impacciato. Alex si stropiccia i capelli con una mano, sorride. «Ciao, Claudio.»
La reazione di Claudio è forse la cosa più adorabile che Alex abbia mai visto in tutta la propria esistenza, sì, pure meglio di quel fagottino pelle e ossa che lo scrutava, attraverso le lacrime, da sotto la falda sfilacciata di un cappello di paglia troppo grande per lui. Tira su la testa di scatto, gli occhi sgranati, e ha le guance rossissime, le labbra schiuse, le orecchie incendiate.
«Ti... ti ricordi,» pigola, sorpreso, contento; il sorriso di Alex si ammorbidisce, si fa più sicuro, e anche Claudio rilassa il viso in una specie di smorfia allegra e imbarazzata e maldestra. Sta fissando il pavimento proprio accanto ai piedi di Alex, già da qualche momento, e dev’esserci qualcosa di davvero molto interessante, laggiù. «Ciao. Pensavo che... che ti fossi dimenticato.»
«Avevo già i miei sospetti,» dice Alex, spostando incerto il proprio peso da una gamba all’altra, e sorride di più, incoraggiante, non appena Claudio azzarda un’occhiatina all’insù verso il suo viso. È il ragazzo più bello che abbia mai visto, ecco tutto. «Poi il compito mi ha dato la certezza.»
Le guance di Claudio si colorano di una tonalità ancora un po’ più intensa di porpora, e lui biascica qualcosa d’incomprensibile, sottovoce. Alex ride un po’, si azzarda a fare mezzo passo in avanti e dargli una pacca gentile sul gomito.
«Sono contento di rivederti,» dice, perché è vero; è proprio il minimo, ed è molto riduttivo e stupido e talmente vago da essere quasi una bugia, ma comunque è vero.
Claudio gli fa un sorriso piccolissimo e timido, annuisce.
«Anche io,» dice.

*

Quindi, Claudio adesso è il più bravo di tutti in matematica. Per le prime due settimane Alex tenta di contenersi, e sgonfia un po’ i voti che vorrebbe mettergli perché non è sicuro che il suo giudizio sia proprio proprio proprio obiettivo; Claudio non si lamenta, si mette sotto e lavora il triplo, e migliora pure il suo rendimento in inglese, perché le pagine di fisica sulla Wiki in italiano lasciano parecchio a desiderare.
Alex, quindi, si trova tra le mani una verifica che se la riguarda tre volte e non ci trova davvero niente da correggere, per cui, ’fanculo, il ragazzo è intelligente, s’impegna e riesce, gli può tranquillamente tirare appresso tutti i mezzi voti in più di questo mondo.
Interrogarlo, poi, è un piacere, perché è sempre bello quando i ragazzi non sparano cazzate a raffica, ma hanno l’aria di sapere esattamente di cos’è che stanno parlando; e poi Claudio ha quest’abitudine, quando è nervoso e quando riflette, di pizzicarsi la punta della lingua tra i denti, certe volte il labbro inferiore, e Alex è un uomo terribile, e un professore ancora peggiore, ma non riesce a fare a meno d’incantarsi un po’ a guardarlo, ogni volta.

*

Una mattina di fine ottobre, Claudio piomba in sala professori perché si sono persi Ferrara e hanno il compito di latino e chissà dove sarà andato a schiacciare un pisolino, quel pazzo, stavolta.
Alex è seduto al tavolo e sta scrivendo qualcosa al portatile, probabilmente il verbale dei consigli di classe dell’altra sera, e quando sente la porta spalancarsi alza gli occhi - ha gli occhiali, e si è tolto la giacca, ha allentato il nodo della cravatta e Claudio si congela sulla soglia, si morde le labbra. Alex gli fa un sorriso, piccolo e gentile, e inclina un po’ la testa di lato.
«Cercavi qualcuno?» chiede, dopo essersi concesso un momento per guardare Claudio, che dal canto suo annaspa, e disperatamente pensa che, beh, sì, veramente sono dieci anni che cerca lui.
Si guarda un po’ attorno, alla fine, e si stringe nelle spalle. Prima che possa aprire bocca, però, dalla portafinestra in fondo alla stanza emerge il professore Ferrara, coi capelli scompigliati e una distinta puzza di sigaretta ad aleggiargli attorno, e Claudio sospira.
«Prof,» dice, senza riuscire a tenersi una punta di esasperazione. «Abbiamo la versione, è già tardissimo.»
Ferrara lo guarda, inarcando le sopracciglia, e Claudio è sicuro che stia cercando di ricordarsi chi è, come si chiama, cosa è venuto a fare fin qui. Il professore sbuffa, alla fine; ritrova la giacca, la palpeggia distrattamente e poi, dal taschino interno, tira fuori un foglietto stropicciato e lo sventola, vittorioso.
«Vado a fare le fotocopie,» annuncia, e Claudio si fa da parte per lasciarlo passare; dovrebbe precipitarglisi dietro, poi, perché se riesce a leggere il primo rigo del compito mentre Ferrara tenta di far funzionare la fotocopiatrice siamo a cavallo, ma perde tempo per dare un’ultima occhiatina ad Alex, e fargli un sorrisino.
«In bocca al lupo,» dice lui, e si spinge gli occhiali su per il naso, e Claudio vorrebbe poter morire adesso, perché è troppo emozionato e contento e cretino.

*

Il nove novembre è mercoledì, e il mercoledì è il giorno libero di Alex, che come ogni settimana lo trascorre tentando di disfare le scatole del trasloco e, puntualmente, incantandosi a rileggere ogni libro che tira fuori.
Claudio è nervoso per tutta la mattinata, e poi per tutto il pomeriggio, e poi per tutta la sera, e poi per tutta la notte, e giovedì si alza alle sei, con una faccia talmente brutta che sua madre addirittura gli chiede se non voglia per caso restarsene a letto. Claudio no che non vuole; va a scuola a piedi, perché non è proprio sicuro di riuscire a governare la bicicletta, e resta sei ore a farsi piccolo piccolo nel banco e mordersi le labbra, aspettando che le lezioni finiscano, ma poi non ce la fa ad andare da Alex e dirgli, ehi, auguri per ieri, guarda, ti ho preso un regalo.
I gianduiotti li smezza, tornando a casa, con Alessandro, che è un Ale anche lui, in fin dei conti, no?

*

No, d’accordo, no.

*

Fa freddissimo, mancano tre giorni alla Vigilia e Claudio sta accompagnando sua madre a comprare gli ultimi regali; le Luci d’Artista, naturalmente, hanno trascinato fuori di casa una quantità spropositata di gente, e i negozi e i bar e i locali sono stipatissimi di persone. Claudio si stringe nel cappotto, si sistema la sciarpa di lana fin sopra il naso e segue sua madre verso l’ennesima erboristeria. Mentre stanno attraversando la strada, però, vede sventolare, due attraversamenti pedonali più giù, quindi a qualcosa come cinquanta metri, un’inconfondibile sciarpa verde pallido.
Quasi si fa tirare giù da un autobus, per quanto improvvisamente s’immobilizza nel mezzo della carreggiata, e sua madre deve trascinarlo via praticamente di peso - che non è poi tanto, eh, - fino al marciapiede.
«Ma si può sapere che hai visto?» domanda, arricciando il naso e pettinandogli nervosamente i capelli. Claudio ancora tiene gli occhi incollati nella direzione in cui ha visto camminare Alex, e strizzando un po’ le palpebre vede un tabaccaio, un negozio di scarpe, una libreria.
«Ma’, ce la fai a finire da sola, sì?» dice, facendo quella faccia alla quale lei non ha mai saputo resistere. Sua madre sospira, scrolla le spalle.
«Basta che non ti fai investire, Cla’, Gesù santo,» sbotta, e Claudio sorride.
«Promesso,» dice, e le dà un bacio rapidissimo in cima alla testa. «Ci vediamo a casa!» aggiunge, prima di scappare via veloce come un fulmine - Alex è andato in libreria, no? Dev’essere per forza andato in libreria.
Claudio ci arriva col fiatone, davanti al negozio, col cuore che gli batte fortissimo e non è per niente sicuro che sia colpa della corsa. Fa un po’ avanti e indietro sul marciapiede, indeciso, sbirciando tra gli espositori in vetrina e le decorazioni natalizie e, oh, ok, eccolo là, Alex, l’ha visto, bene, fantastico, perfetto, forse è il caso di entrare.
Raddrizza la schiena, Claudio, tossisce educatamente e si sistema il nodo della sciarpa; le gambe gli si rifiutano di muoversi per un altro minuto ancora, ma alla fine s’arrendono, grazie al cielo prima che qualche commesso della libreria chiami la polizia perché, duh, c’è un tipo magrolino con una faccia spiritata che non si schioda dalla soglia del negozio.
Un refolo di aria calda gli accarezza il viso, non appena oltrepassa le porte scorrevoli, e Claudio espira, nervoso. Un lampo di verde in fondo al corridoio gli suggerisce che Alex è andato ad infrattarsi nella sezione di libri storici. Potrebbe corrergli dietro, potrebbe fare il giro e ritrovarglisi proprio di fronte e fingere di essere capitato qui per caso, potrebbe fare un milione di cose - per esempio anche tornarsene a casa, oh, Dio, ma che sta facendo? - e alla fine decide di piazzarsi strategicamente vicino alle casse, arraffando il primo libro che trova.
Sta studiando con meticolosa attenzione un manuale per la cura dei vigneti - no, sul serio, è una roba fottutamente interessante, non è solo che è isterico, - quando gli si ferma accanto qualcuno, senza che lui se ne accorga, perché, cavolo, chi avrebbe mai pensato che fare un innesto fosse un’operazione così delicata.
«Pensi di trasferirti in campagna?» domanda Alex, e Claudio, bontà di Dio, sobbalza, spaventato.
«Alex, mi hai spaventato,» fiata, sgranando gli occhi, premendosi una mano sul petto per tentare di tenere a posto il cuore che gli vuole schizzare via dal costato. Arrossisce, poi, quando il sorriso di Alex si fa un po’ più divertito, perché si rende conto di quello che ha detto. «Scusa. Cioè, uh, scusi. Volevo dire-- non-- non l’avevo vista. Professore,» balbetta, e si sente un coglione rincretinito e giochicchia con un angolo della copertina del suo libro.
Alex ridacchia, scuote la testa.
«Va bene darmi del tu,» dice, e Claudio si calma un pochino. «Siamo in vacanza.»
«Ok,» mugugna, alza gli occhi, fa la cosa più simile ad un sorriso che gli riesca di mettere insieme. «Ciao, Ale. Non ti avevo visto.»
«Colpa mia, eri molto assorto nella lettura,» dice Alex, compito, e lo sta prendendo in giro, Claudio se ne rende conto e il suo stupido cuore ingrana la quinta tutto da capo.
«Sì, uhm, stavo-- dovrei fare un regalo,» biascica, agitando il libro nervosamente. «A mio nonno, sai. Per Natale. Sono negato. Tu, invece?»
Alex gli mostra i due volumi che ha in mano - un mattone sul Rinascimento in Lombardia e l’ultimo cofanetto di Geronimo Stilton, completo di pupazzo morbidoso del piccolo Benjamin. Claudio solleva le sopracciglia, poco convinto dall’insolito accoppiamento.
«Regali anch’io,» spiega Alex, con un sorriso asimmetrico. «Mio fratello,» e tira su il saggio, «e mio nipote,» e stavolta accenna a Stilton, e poi si acciglia. «O tutto il contrario, non saprei dirti.»
Claudio ride, allora, e pensa, oddio, voglio baciarti. Alex, per fortuna, negli ultimi due anni non è diventato un telepate; gli fa elegantemente segno di precederlo verso la cassa, e Claudio arrossisce, e contemporaneamente mette via il suo libro sui vigneti e poi si ficca le mani nelle tasche del cappotto.
«Ti accompagno,» biascica, impacciato, e poi aggrotta le sopracciglia. «Se vuoi, cioè.»
Alex ride, deliziato.
«Mi fa molto piacere,» dice. «Il libro non lo prendi?»
Claudio osserva un po’ la distesa di verde in copertina, lo sfondo morbido di colline semitrasparenti, lontane, confuse col cielo, e si stringe nelle spalle.
«No, dai, magari gli prendo dei calzini.»

*

Non si salutano, fuori dalla libreria, come Claudio aveva temuto, e un po’ anche sperato, in realtà, perché se non si decide a tranquillizzarsi rischia che gli scoppi un’arteria, e poi chi glielo va a dire, a sua madre?
Non si salutano, comunque, e, infarto o non infarto, Claudio è contento di passeggiare per le strade affollate con Alex al suo fianco che gli racconta cose - aneddoti dalla scuola in cui insegnava prima, per la maggior parte, e Claudio sta morendo dalla voglia di chiedergli se è fidanzato, se ha dei figli, se ha un cane, ma si rende conto che potrebbe essere un pochino inopportuno. È talmente felice, comunque, che non lo sfiora neanche lontanamente l’idea di andare in paranoia perché oddio, oddio, oddio, e se qualcuno li vede?
Torino è grande e affollata abbastanza da nasconderli, si dice, e non ci pensa che, giusto mezz’ora fa, Torino non è stata grande né affollata abbastanza da impedirgli di incontrare per caso Alex, a tre giorni da Natale.
«Ci sei più andato, poi, in vacanza al nostro campeggio?» domanda Alex, a un certo punto, e dice proprio così, al nostro campeggio, e Claudio per un attimo boccheggia, a corto di fiato, di parole, di tutto.
«Sì, veramente sì,» pigola, alla fine, le mani talmente seppellite nelle tasche del cappotto che tra un po’ strapperà la fodera. «Tutti gli anni, come al solito. È sempre uguale.»
«La signora Antonella è sempre lì?» ride Alex, e Claudio annuisce, guardandolo con la coda dell’occhio. «Ah, è un sacco di tempo che ci manco.»
«Due anni,» mormora, abbastanza piano da non farsi sentire, ma Alex, figuriamoci, è talmente concentrato su di lui che si accorge pure del ritmo un po’ irregolare del suo respiro.
«Sì, sono due anni,» dice, meditabondo. «L’estate scorsa mi stavo laureando,» spiega, e sa che non ce n’è motivo, in realtà, perché non è che Claudio lo stia accusando di niente - di cosa, poi? - ma vuole dirglielo comunque, ha bisogno di fargli capire.
«Di nuovo,» lo interrompe Claudio, divertito; Alex ridacchia, un po’ imbarazzato, e agita per aria la mano libera dalla busta della libreria.
«Sì, di nuovo,» ammette. «E, beh, tra una cosa e l’altra, l’estate mi è passata sotto il naso e non me ne sono accorto. Quest’anno, sinceramente, pensavo di riuscire a venire,» e arriccia il naso, scontento. «Ma poi mi è arrivata a metà luglio l’avviso di trasferimento, e mi credi che ci ho messo un mese per trovare un appartamento?»
Claudio ridacchia, gli crede.
«Dov’è che stavi, prima?» domanda, tanto per dire qualcosa.
«A Vinovo. Non è proprio lontanissimo, ma non è una bella strada.»
«Sì, sarebbe stato scomodo,» conviene Claudio, che a Vinovo non c’è mai stato ma, ora come ora, potrebbe giurare che il cielo è giallo e i gianduiotti sanno di limone, se Alex glielo chiedesse.
«E poi mia madre ha voluto far arredare l’appartamento dal suo falegname di fiducia,» continua Alex, ora in tono più lamentoso, e alza gli occhi al cielo e Claudio non riesce a smettere di sorridere e, soprattutto, di guardarlo, anche se rischia di andare addosso agli altri passanti e il freddo gli brucia la punta del naso che sbuca dalla sciarpa. «Perciò ho dovuto far venir giù i mobili da Conegliano, ti lascio immaginare, e il risultato è che ho ancora tutto inscatolato.»
«Oddio, Ale, ma è dicembre.»
«Eh, lo so,» Alex ridacchia, si gratta una guancia. «Ma ho messo tutto sotto l’albero - che è fatto di scatole pure lui, in effetti, - così sembra che ho un miliardo di regali di Natale.»
Claudio, a quel punto, ha proprio bisogno di fermarsi e mettersi a ridere di cuore; Alex si guarda un po’ attorno, imbarazzato e felice come se l’avessero sgamato a fare pupazzi di neve nel cortile sotto casa in piena notte, e si accorge che c’è un bar, sul marciapiede di fronte, un po’ meno stipato di gente degli altri.
«Facciamo merenda?» propone, e Claudio chissà come fa a non esplodere, quando capisce cos’è che intende.

*

Claudio quasi non ce la fa a stare seduto; stiamo facendo merenda, pensa, elettrizzato, mentre un cameriere incravattato gli sistema sotto il naso una tazza, no, una vasca di cioccolata calda alla nocciola, - fondente con panna, per Alex, - e poi provvede ad ammassare, sul tavolino stretto, una quantità di biscotti sufficiente a sfamare un piccolo villaggio dell’Africa.
Stanno facendo merenda, lui e Alex, e le loro ginocchia si sfiorano un po’ e Claudio si sente spaventosamente accaldato. Alex rigira il cucchiaino lungo i bordi della sua tazza, atteno a non guastare il ricciolone di panna montata, e poi pizzica un biscottino ricoperto di una densa marmellata rossastra. Claudio lo fissa, ma è solo perché non è che può mettersi a guardare gli altri clienti del bar, no?
«Allora, dicevamo,» sorride Alex, quando del biscotto non c’è più traccia, e si lecca via una briciola dal pollice; Claudio si agita sulla sedia e, se potesse, ficcherebbe gli occhi nella cioccolata, proprio fisicamente. «La letterina a Babbo Natale.»
Claudio ride, un po’ nervoso.
«Scritta e spedita,» dice. Quando raccoglie un cucchiaino di cioccolata, il profumo che sale dalla frattura sulla superficie più densa è sufficiente a fargli girare la testa. «Anche se il regalo mi è arrivato in anticipo.»
«Ah sì?» sorride Alex, e usando un biscotto secco - un Abbraccio, bianco e nero, - tira su uno sbuffo di panna.
Claudio annuisce, non lo guarda.
«L’abbonamento allo stadio,» dice, e, ehi, che carino il Babbo Natale che hanno ficcato in vetrina! Alex scoppia a ridere, gli dà un colpetto col ginocchio.
«Juuuuve, storia di un grande amooooore,» canticchia, contento, e Claudio ha i brividi - non per l’orrore, per una volta, ma per qualcosa di terribilmente simile ad una disperazione sana, sincera e innamoratissima. Chissà se se lo ricorda, Alex, che Claudio ha visto la sua prima partita della Juve seduto sulle sue ginocchia, dallo striminzito televisore portatile che lui e Gigi si portavano in campeggio.
«Tu ci vieni mai, allo stadio?» domanda, e Alex gli sorride, furbo, prima di buttar giù l’ultimo biscotto pannoso.
«Ho comprato l’abbonamento appena ho saputo che mi trasferivano al Ferraris, Cla’,» dice, e, fantastico, Claudio adesso comincerà ad avere visioni di se stesso ed Alex sugli spalti insieme a cantare l’inno - l’inno vecchio, grazie tante, - e, oddio, potrebbe persino abbracciarlo, no? Non sarebbe strano, abbracciarlo dopo un gol o una bella azione - allo stadio non è strano niente, no?
No?
No, d’accordo, quali fantasie di stadi e gradinate cariche di tifosi, metti via tutto - Alex ha appena bevuto il primo sorso della sua cioccolata e, quando mette giù la tazza, Claudio si accorge che gli è rimasto uno sbuffo di panna sulla guancia.
Alex si accorge della sua espressione imbambolata, lo osserva da sopra l’orlo di ceramica e inclina la testa di lato, curioso, offrendo magnificamente la guancia sporca. Tanto basta perché Claudio torni ad avere poco più di dodici anni, - era tutto molto più semplice e bello e colorato, allora, - e ad essere molto privo di istinto di sopravvivenza; si sporge un po’ dalla sedia, Alex è abbastanza vicino perché non debba sbilanciarsi neanche tanto, e raccoglie la traccia di panna montata con il labbro inferiore, con la punta della lingua. Poi il cervello gli si riaccende, chiaramente, e lui s’immobilizza a un millimetro dal viso di Alex perché cazzo, cazzo, cazzo, cos’è che ha appena fatto?
Oh, Dio santo. No, d’accordo, è stato probabilmente fantastico, e ancor più probabilmente l’atto finale della sua giovane vita, e non è affatto male, come ultimo ricordo da portarsi nella tomba. Ogni tanto, a quanto pare, vale la pena di buttarsi giù dal precipizio senza paracadute; è una figata mai vista, dai, la caduta libera.
Claudio indietreggia pianissimo, si morde le labbra - la panna è buonissima, comunque, - e, pur terrorizzato com’è, non riesce a schiodare gli occhi dal viso di Alex. Si aspetta, da un momento all’altro, uno schiaffo, o un cazzotto, o uno sbuffo schifato e il grattare sordo della sedia sul pavimento. Si aspetta di essere fulminato sul posto dal santo protettore degli insegnanti, si aspetta un sacco di cose, si aspetta anche che Alex gli chieda spiegazioni, lo costringa a parlare, aspetta e non succede niente, proprio zero.
Poi Alex chiude gli occhi, lascia andare un respiro che è quasi tremante e s’intravede, in quella frazione di secondo, la sua vera espressione - la sua confusione, l’incertezza, la paura, persino, - ben celata sotto la maschera di solida serenità che si ostina a tenere su.
Quando solleva una mano a toccare una guancia di Claudio, incorniciandogli il viso magro tra le dita, il suo sorriso s’incrina ancora un po’.
Claudio, sotto il tavolo, ficca una caviglia tra le sue.
«Claudio,» mormora Alex, e forse voleva rimproverarlo, ma la voce gli esce stanca, rassegnata. La carezza con cui continua a fargli bruciare la pelle, però, è decisa e gentile, e Claudio non ha la minima idea di quello che sta facendo quando, di nuovo, si sporge sul tavolo e stavolta è la sua bocca che cerca, per un bacio timido, asciutto, ma comunque un bacio, le sue labbra su quelle di Alex - del suo professore di matematica, oh Gesù, - a sfiorarle con soggezione.
Si tira indietro ancora più lentamente, ora, perché Alex ha spinto più in là la mano sul suo viso e ora gli accarezza i capelli quasi sulla nuca, come se volesse tenerlo lì.
«Ale,» dice, la voce rotta, emozionata, terrorizzata e contenta. Li capisce, tutti i dubbi che vede accumularsi negli occhi nocciola - screziati di verde e dorato; è vicino abbastanza che quasi si mette a contare le pagliuzze, - di Alex, e lo sa che sono più che ragionevoli, che è tutto più che giusto, ma non riesce ad impedirsi di baciarlo ancora, e poi mordersi le labbra. «Siamo in vacanza,» bisbiglia.
Se può dargli del tu, può anche baciarlo.
Davvero, ha perfettamente senso.

*

Non è che possono vagare per Torino mano nella mano - Claudio va a fuoco al solo pensiero, - perciò Alex lo invita a cena, il ventitrè dicembre. Nel frattempo si sentono per messaggio, ed è un po’ assurdo, ok, ma anche paurosamente piacevole, e Claudio potrebbe - magari, forse, probabilmente no, - essere rimasto dieci minuti buoni a fissare quell’Ale nuovo di zecca nella rubrica del suo cellulare, con un sorriso idiotissimo sulla faccia.
Alex gli scrive roba tipo Volevo comprare la Stampa, ma Gutenberg non c’era; perciò ho preso il Carlino, ma ho dimenticato il resto in edicola, senza faccine perché suppone che Claudio riconosca una battuta anche se non l’accompagnano segni assurdi, ed è adorabile che usi tutte le maiuscole e la punteggiatura e Claudio ride a tutto, davvero, peraltro sinceramente.
che mi cucini, domani?, gli scrive, la sera del ventidue, perché è davvero molto curioso. Alex gli risponde due minuti più tardi.
Pensavo un risotto, ficcanaso. Che fai?
Claudio ridacchia, innamorato come il ragazzino che è.
mi annoio, più che altro. il risotto mi piace un sacco
La risposta di Alex arriva più in fretta di prima.
Lo so.
Claudio è piuttosto sicuro di non averglielo detto, per cui dev’essere qualcosa che Alex ricorda da quell’altra vita lì, quella che avevano al mare. Sorride così tanto che gli fanno un po’ male le guance, dopo, e sta pensando a cosa replicare quando, inaspettatamente, il cellulare vibra di nuovo. È un altro messaggio di Alex, e Claudio lo apre, curioso.
:), dice, semplicemente, e semel in anno licet insanire, perciò Claudio si stringe il telefono al petto e per un po’ si rotola su e giù sul materasso, ridicolo e scemo e contento.
E poi arriva domani sera, e Claudio dice ai suoi che va a cena da Ale, perché non vuole mentire, e non è un problema suo, poi, se loro sono pieni di pregiudizi e capiscono automaticamente Alessandro, e lo lasciano andare senza altre domande - cioè, no, sua madre una domanda gliela fa: Claudio è già sulle scale quando lei s’affaccia dalla porta di casa e gli urla, «Cla’, ma non gli porti niente, ad Alessandro? È Natale!»
Claudio non è tipo da mettersi a strillare dal pianerottolo, per cui la chiama.
«Che faccio, compro un panettone per strada?» dice, accigliandosi; sua madre sta pensando a che opinione potrebbero farsi di lui i genitori di Alessandro, se si presentasse a casa loro a mani vuote la sera della vigilia della Vigilia, ma lui sta pensando ad Alex - molto più importante, palesemente.
«Ma piglia una bottiglia di vino!» lo rimprovera sua madre, e, oh, geniale, ottimo, perfetto.
Perfetto.

*

Il commesso dell’enoteca è convinto che Claudio abbia quindici anni e una carta d’identità falsificata - e pure male, perché, fai due conti, ragazzino, gli dice: a diciott’anni ci arrivi il prossimo gennaio, tra un mese.
Niente vino, quindi. Che palle.

*

«Pensavo ti fossi perso,» sorride Alex, facendosi da parte per lasciarlo entrare. Claudio avvampa, si sfila la sciarpa. È arrivato sotto casa di Alex in perfetto orario, solo che poi ha pensato che, ehi, non è che dà l’impressione di essere disperatissimo, se si presenta alle sette e mezza spaccate? Perciò ha fatto il giro dell’isolato, - sei volte, - tentando di calmarsi, e adesso eccolo qui, accaldato e nervosissimo e, fantastico, ora ha voglia di farsi abbracciare da Alex. Meraviglioso.
«Mi sono, uh, perso solo un pochino,» mugola, appendendo il cappotto e la sciarpa, e ne approfitta per dare un’occhiata tutt’intorno. D’accordo, Alex non ha esagerato quando ha detto di non aver ancora tirato fuori dalle scatole neppure un quarto della sua roba. «Bei, uh... bei mobili.»
Alex ridacchia, gli accarezza un braccio e Claudio fa del proprio meglio per evitare di rendersi ridicolo, davvero, e ci riesce abbastanza bene, almeno finché non si rende conto che Alex profuma di buono - di cucina, di casa, e vagamente di patate al forno col rosmarino, - e ha addosso un maglione di lana grezza, largo, verde scuro, e dei jeans stinti, consumati. Dio santo.
Deve essere cambiato qualcosa, sulla sua faccia, perché Alex fa un’espressione curiosa, divertita, e gli accarezza una guancia.
«Ciao,» dice, e Claudio si accorge che, duh, che maleducato che è, non ha neppure salutato perbene. Sorride un po’, vorrebbe baciarlo ma non è sicuro che sia il momento giusto, per cui si limita a chinare la testa, imbarazzato.
«Ciao,» mormora; Alex è così pieno di tenerezza che, per quanto lo riguarda, si possono tranquillamente abolire dal mondo la cioccolata, i peluches e le commedie romantiche. Si solleva un po’ in punta di piedi - tentando di ignorare il ricordo di quando Claudio era piccolo abbastanza che lui lo prendeva sulle spalle, grazie tante, - e lo bacia, con calma, lasciandogli tutto il tempo di scappare, se vuole, perché Alex fa ancora fatica a credere che Claudio sia interessato a lui in quel senso, che voglia, Dio, stare con lui. Non vuole neanche smettere di baciarlo, per paura di non avere capito niente.
Claudio, comunque, a scanso di equivoci si preme più che può contro la sua bocca, aprendo le labbra alla minima pressione della sua lingua e rispondendo ad ogni carezza, entusiasta e inesperto. Si sente immensamente adulto, poi, quando Alex gli fa un sorriso piccolissimo e lo porta con sé in cucina; è imbarazzante, certo, ma è soprattutto fantastico, e comunque si sente la bocca gonfia e saporita, ora, per il bacio di Alex, ed è molto contento così.
La televisione mormora in un angolo, sintonizzata su una telenovela e col volume al minimo, giusto per speziare il silenzio; sulla tavola è stesa una bella tovaglia natalizia, rosso scuro, ricamata con un’elegante fantasia di agrifogli, e ci sono due bicchieri, due piatti piani e uno scatolone con su scarabocchiato, a lettere spesse, piatti posate e boh (servizio Natale). Claudio ride tra sé, mentre Alex controlla il soffritto, e spia nello scatolo.
«Finisco di apparecchiare?» domanda, e tira fuori un tovagliolo coordinato alla tovaglia. Alex lo guarda da sopra la spalla, esita un momento e alla fine s’arrende.
«Se non ti dispiace,» dice, con una smorfia contrita, e Claudio si stringe nelle spalle, contento.
«Mi fa piacere,» sorride, e apparecchia, e quando ha finito si siede ad osservare Alex cucinare. Si sente scemo, e piccino, ma gli piace tantissimo guardarlo affaccendarsi tra i fornelli, e quindi lo fissa.
Alex un po’ è imbarazzato da tutta questa attenzione, ma più tenta di non farci caso e più finisce a pensarci; Claudio è quieto e carinissimo ed è come se avesse davanti il suo cantante preferito, non un triste professore di matematica che può riassumere la propria vita in una dozzina di scatole e, per di più, è pure juventino, e Alex non si abituerà mai a quell’espressione che ha, alla sincerità della sua adorazione - Dio, la può chiamare adorazione o è esageratamente immodesto? E cretino? E ridicolo?
Alla fine, s’arrende e gli fa cenno di avvicinarsi. Claudio ci mette un momento ad elaborare il suo gesto, ma scatta in piedi, quando finalmente capisce, e gli va incontro tutto rigido, impacciato. Alex ride, e gli è sempre piaciuta da morire, la timidezza.
«Dimmi se è giusto di sale, vuoi?» dice, porgendogli, sul cucchiaio di legno con cui sta rigirando il risotto, un poco di brodo e zucchine. Claudio si accende di un bel rosso semaforo, e soffia timidamente sull’assaggio, prima di lasciarsi imboccare. D’accordo, è più imbarazzante di quanto Alex avesse immaginato, ma Claudio gli sta vicinissimo, ora, e Alex mette via il cucchiaio, gli stringe un braccio attorno alla vita e lo bacia con più forza di quanto sarebbe strettamente necessario; è giusto di sale, il brodo, e l’ortolano non spergiurava cazzate, le zucchine sono davvero deliziose, ma è tutto ridicolmente poco importante in confronto al suono dolcissimo che fa Claudio, proprio nella bocca di Alex, che non è un gemito e non è un singhiozzo ma una via di mezzo tra le due, disperato ed eccitato, e poi sta dondolando i fianchi, probabilmente senza neanche rendersene conto, e Alex fa fatica ad allontanarsi da lui.
Lo bacia ancora, contro l’angolo delle labbra, e Claudio non osa riaprire gli occhi, ma gli accarezza i capelli quasi istericamente e cerca ancora, d’istinto, la sua bocca. Alex non sa come rifiutarglisi, e si prende giusto un attimo per spegnere il fuoco, poi è di nuovo lì che lo stringe e lo bacia, affondando tanto nella sua bocca che ha paura di spaventarlo.
Claudio si aggrappa alle sue spalle, e non gli basta - no, no, in realtà gli basta eccome; gli basta tutto quello che Alex decide di dargli, che sia un bacio o un sette o un otto o un sorriso per sms, perché è sicuro che sia quello che merita, quello che si è guadagnato. Non gli impedisce, questo, di volere di più, di credere di poter fare di meglio, e allora, come si è consumato gli occhi sulle formule più astruse di geometria che non ne volevano sapere d’infilarglisi in testa, così adesso risponde carezza per carezza alla lingua di Alex, e gli si preme addosso, e se avesse il coraggio, le parole per farlo, gli domanderebbe di portarlo in camera da letto, di tenerlo lì per sempre.
«Vieni con me,» bisbiglia Alex sulla sua bocca, e le parole precipitano come brividi lungo la spina dorsale di Claudio.
Lo segue, ma non riesce a non fermarlo ogni due passi per baciarlo, perché teme di dimenticare il sapore, la sensazione della sua bocca. Quella paura lì, Alex la cancella non appena sono sdraiati a letto e Claudio ha l’impressione di non essere altro che labbra contro di lui - è sicuro che potrebbe perdersi, nel bacio lentissimo e profondo di Alex, sul tocco gentile della sua lingua, delle sue dita sul proprio collo.
Claudio, però, ha paura anche che Alex cambi idea, che rinsavisca, che si accorga del suo cuore di ragazzino, che non gli piaccia quello che veda; ha paura che si renda conto di essere troppo - troppo bello, troppo perfetto, troppo Alex, - per lui che è troppo piccolo, troppo semplice, troppo sbagliato. Questa paura si amplifica, quando Alex gli sfila il maglione; si gonfia, quando gli sbottona la camicia; si sazia di un altro bacio e diventa enorme, pesantissima, non appena la bocca di Alex si sposta ad assaggiare la pelle tenera della sua gola.
«A-Ale,» mormora Claudio, e sussulta quando una carezza inaspettata gli sfiora la pancia, l’ombelico. Alex subito risale da lui, lo bacia, lo osserva; Claudio si morde le labbra, respira dalla bocca e non sa come spiegarglielo, che non vuole deluderlo.
Alex sta pensando la medesima cosa, ma è più grande di lui, è più insicuro e più disperato, per cui gli sposta un ciuffo di capelli dalla fronte, si fa coraggio.
«Non ha senso, per me, se non lo vuoi anche tu,» dice, pianissimo, perché c’è bisogno che lo dica - perché è un professore, perché è un adulto, e Claudio, con tutta la fiducia del mondo, sta praticamente tremando sotto di lui. Claudio sbatte le palpebre, arrossisce così tanto che si vede anche nella penombra della stanza.
Boccheggia per un attimo, e alla fine decide che è meglio se risponde con un bacio, che è come dire tutto e niente insieme, e poi che Alex ci veda quello che vuole - e glielo spieghi, magari, così Claudio può sperare di capirci qualcosa.
Alex non smette di baciarlo, spostando lentissimamente la bocca giù sul suo collo, sulle clavicole sporgenti, sulla linea dritta dello sterno. Claudio s’inarca, rabbrividisce contro di lui, si morde le labbra. Alex gli sbottona i jeans, mentre segue con la lingua l’angolo di un fianco, e sfiora, quasi distrattamente, la stoffa tesa dei suoi boxer. Claudio lo riattira su, allora, prendendogli il viso tra le mani e poi baciandolo - non è che ci stia ripensando, non è che non voglia; è solo che così riesce a raggiungere l’orlo del maglione di Alex, e a sfilarglielo. È solo che così riesce ad accarezzargli le spalle, a toccarlo ed assicurarsi che è vero, che, se proprio non è suo, perlomeno è lì per lui.
Alex gli solleva i fianchi per liberarlo dai jeans, e poi tira via il proprio maglione, la t-shirt bianca che indossa al di sotto. Claudio sgrana gli occhi, e prima di poterci pensare meglio lo tocca - oh, Dio, non vuole toccare nient’altro al mondo che non sia la pelle morbida tra le spalle di Alex.
Gli ci vuole un niente per trovare il punto più sensibile sulla sua schiena, in basso verso i fianchi; lo accarezza distrattamente e Alex all’istante si blocca, si morde le labbra. Claudio arrossisce come un pazzo, e poi le sue dita, spontaneamente, prendono a tracciare cerchi impalpabili sulla pelle di Alex, strappandogli un sospiro.
Poi niente, Claudio non è sicuro di come succeda - si distrae forse un po’ troppo, quando Alex tempesta di baci il suo bassoventre, - ma si ritrova nudo sotto Alex nudo, e le sue mani sono ovunque, ovunque e basta, non c’è altro al mondo che non sia il suo corpo e il materasso morbido sotto la sua schiena e a Claudio gira la testa quando Alex appena lo sfiora tra le gambe.
«Ale,» chiama, ed è familiare, il fatto di gemere il suo nome nella penombra, la voce tesa di piacere, il pensiero di lui a corrergli in brividi sulla pelle, ma è nuova, la sensazione del bacio che Alex delicatamente posa alla base del suo sesso, prima di risalire piano, pianissimo, accarezzandolo con la lingua, con le dita, finché Claudio vede la spirale di Fibonacci anche nelle ombre che si rincorrono sulle pareti e decide che non sta capendo più niente, che non ha più importanza niente.
Claudio si arrende al calore della bocca di Alex, alla sua lingua che lo vizia gentilmente e, se pure si accorge delle dita che piano piano si spostano in giù e all’indietro, archivia la sensazione e pensa a tentare di controllare gli scatti già frenetici dei propri fianchi; poi Alex si allontana, senza preavviso, ma per quando Claudio è riuscito ad aprire gli occhi lui è già di nuovo là tra le sue gambe, e sta risalendo pianissimo, baciandolo ovunque - Claudio pensa distrattamente che gli sta lasciando addosso il segno dei suoi denti, della sua bocca, del suo odore, e deve mordersi le nocche di una mano per soffocare il gemito lunghissimo che vuole sfuggirgli; Alex sorride sulle sue labbra, un attimo dopo, e lo bacia e Claudio, all’inizio, non si accorge del primo dito che lo penetra, umido e un po’ freddo. Sente il secondo, però, e il terzo, e stringe le braccia attorno al collo di Alex e tenta di respirare e di rilassarsi, perché lo sa che è così che si fa, che è così che deve fare, ma Dio, Dio, Dio.
Alex gli tempesta il viso e il collo di baci, per distrarlo, e funziona abbastanza - funziona benissimo, d’accordo. Ci sono cose, poi, che vorrebbe chiedergli - che dovrebbe chiedergli, - ma il fatto è che non vuole saperlo, se Claudio è vergine; non vuole immaginarlo con nessun altro che non se stesso, non vuole immaginarlo in nessun’altra stanza da letto che non sia la sua, non vuole pensare che qualcun altro abbia visto il suo viso così, accaldato e vulnerabile e bello, Cristo. Non è giusto che stia lì a pensare cose del genere, non è giusto che stia lì a volerle, perché Claudio è un ragazzo e lui è un uomo e no, non è giusto, ma è perfetto il modo in cui Claudio schiude e solleva le gambe per fargli spazio, e come lo accoglie dentro di sé anche se si morde le labbra e trattiene il respiro per il dolore, per il fastidio.
«Ehi,» bisbiglia Alex, senza fiato, e gli sfiora una guancia e i fianchi per costringersi a prenderlo piano, a non forzarglisi contro, anche se Claudio è così stretto e bollente che sembra implorarlo di affondare più forte, più in fretta, più a fondo. «Ehi. Se vuoi che smetta--»
«No,» mugola Claudio, sgranando gli occhi e aggrappandosi al piumone. «No, io-- Ale,» deglutisce, e Alex spinge ancora un po’, strappandogli un sospiro a metà tra piacere e dolore. «Ale, di più,» pigola, arrossendo ancora, e Alex invece rimane fermo, perché se si muovesse ora - se osasse muoversi ora - se anche solo respirasse, ora, - è sicuro che sarebbe la fine.
È Claudio, allora, che si sposta, dondolando i fianchi con un po’ di timore, spingendo in giù e a caso, e trasale, sorpreso, quando una scarica di piacere caldo gli si arrampica dal bassoventre alla gola, togliendogli il fiato. Alex allora asseconda le sue spinte, asseconda la voglia che gli brucia qualsiasi pensiero di responsabilità e morale; Claudio geme sempre più forte, togliendogli il fiato per quanto è bello, per quanto lo vuole, e poi gli basta sentire il proprio nome, ancora, in mezzo ai suoi sospiri, per non riuscire più a resistere alla deliziosa stretta del suo corpo, delle sue mani attorno ai propri polsi.
Alex gli crolla addosso, poi, esausto, più vecchio di cent’anni. Claudio fa fatica a ritrovare il senso giusto da cui guardarsi attorno, ma gli accarezza la schiena e si accorge presto che, a dispetto del riscaldamento e dell’intossicante vicinanza dei loro corpi, comincia a sentire freddo.
«Ale,» mormora, e non è proprio sicuro di dove sia riuscito a trovare la voce. «Ci dovremmo coprire, penso.»
Alex mugola contro il suo collo, distratto da lui e dalla sua presenza, ma, dopo un momento, gli sfila il copriletto e le lenzuola da sotto la schiena; un po’ tirando e un po’ rotolando e poi decisamente ridendo, riescono a ficcarsi sotto le coperte entrambi, e Claudio esita ad avvicinarglisi ancora, perché adesso è strano essere nudo e un po’ appiccicoso e comunque non ha smesso di arrossire, però Alex gli preme una mano contro la base della schiena, se lo attira addosso, gli bacia la fronte e poi la punta del naso e, più lentamente, le labbra.
Claudio sospira, poi, e si accoccola contro di lui, infinitamente soddisfatto e imbarazzato e spaventato e felice. Alex gioca un po’ con i suoi capelli, e poi scoppia a ridere, sorpreso, quando lo stomaco di Claudio si mette a brontolare scontento.

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