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Nov 27, 2011 04:32

« prima parte


*

Daniele è piuttosto sicuro che Marco lo stia evitando, non nel senso classico dell’espressione, chiaramente, perché comunque dormono nella stessa camera d’albergo, nello stesso letto, e vanno in giro e mangiano e fanno tutto insieme perché, sostanzialmente, non conoscono nessun altro in città, a parte Claudio ma Claudio ha una vita, qui, e di certo non può stare a perdere tempo appresso a loro, ma comunque lo sta evitando, perché non gli parla più dello stretto necessario, lo tocca pochissimo - che trattandosi di Marco è più di quanto non sarebbe per chiunque altro nell’universo, d’accordo, ma è Marco, è strano non trovarsi addosso le sue mani ogni quaranta decimi di secondo, - e quelle poche volte che gli concede il grande privilegio di guardarlo ha sempre su un’espressione che Daniele non riesce ancora a capire se sia ferita, offesa, di superiorità o Dio solo sa cos’altro.
E sempre perché il mondo non è contento se non riempie l’immaginario zaino di vita Daniele di sfighe incommensurabili e delusioni insostenibili, dal momento che un po’ ci aveva messo speranza, nel fatto che magari sarebbero riusciti ad incappare per strada in Steven Gerrard, così molto a caso, e che lui li avrebbe riconosciuti e li avrebbe invitati a bere qualcosa e sarebbero diventati migliori amici per la pelle, ecco, naturalmente non succede niente di tutto questo, neppure quando Daniele trascina Marco fino a Melwood in autobus ad un orario veramente vergognoso e lo costringe a bazzicare attorno all’ingresso per mezza mattinata, finché uno dei custodi non è mosso a pietà e un po’ a gesti e un po’ a bocconi di francese - grazie, Philou, - gli spiega che non è giorno d’allenamenti, oggi.
Per cui Daniele è tutto sommato un po’ abbattuto, e devono passare ancora più di ventiquattro ore prima che possa prendere l’aereo per tornarsene a casa. Sono tornati in albergo, e Marco lo sta evitando. E Daniele si annoia, si annoia da morire, si annoia talmente che si è sistemato la barba, l’ha lavata, l’ha pareggiata e se l’è persino pettinata. Si annoia, si annoia da morire, si annoia talmente che rotola sul materasso sdraiandosi sulla pancia, e guarda Marco che legge - e lo evita - e sospira.
«Potemo parla’?» chiede, perché, veramente, si sta annoiando proprio tanto. Marco a malapena alza gli occhi dalla pagina - Daniele ha controllato, non ci sono porno infilati dentro, è proprio un libro, nel senso che ha le parole e tutto quanto, incredibile, davvero, ed è pure bello spesso e ha un titolo superfighetto, Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, sembra qualcosa che Gaia leggerebbe volentieri, santa bambina, - e dà uno sbuffo irritato.
«Di che dobbiamo parlare?»
Daniele sorride.
«Era la frase preferita de Tamara, negli ultimi tempi,» dice, e stranamente il pensiero non gli fa male, non come dovrebbe, comunque, ma nel modo opposto: si sente morire perché è Marco che glielo dice, non perché in una vita che non sembra la sua una donna che credeva di amare gli ha parlato così. Dio, il suo mondo era un posto bello e sensato, una volta. «Lo diceva con quello stesso identico tono.»
Marco fa finta di niente, ma Daniele si accorge che si è seduto un po’ più dritto e che flette nervosamente le dita attorno alla copertina del libro. Sospira, si annoda su se stesso finché non riesce a sedersi sul bordo del letto.
Marco finalmente lo guarda, lo scruta, dal basso in alto, le caviglie magre, le ginocchia lasciate scoperte dal pantaloncino che Daniele s’è infilato appena sono tornati, la pancia, le spalle, e infine gli pianta in viso quei due occhi verdi che un po’ gli danno il mal di mare.
«Che vuoi, Danie’? Che c’è?» chiede, quasi conciliante, e Daniele sorride, si stropiccia i capelli con una mano.
«Non lo so, dimmelo tu. Ci deve sta’ quarcosa de strano, perché nu’ me sei ancora zompato addosso.»
Chiaramente non era la cosa più giusta da dire, e Marco lo sottolinea sollevando le sopracciglia e guardandolo male. Daniele si sente in colpa come un ladro.
«Stavo leggendo,» puntualizza Marco, un po’ acido. «E mò ricomincio, se non hai niente di intelligente da dirmi.»
«No, Marco, no, scusami,» Daniele si alza, fidandosi ciecamente del proprio istinto gli si avvicina, gli prende il viso tra le mani, lo bacia e gli sembra di non averlo baciato per anni. «Scusami, non ti dovevo-- non dovevo. Però sei strano, te ne accorgi, sì?»
Marco ha chiuso gli occhi, quando l’ha visto chinarsi su di lui, e li tiene così. Dà uno sbuffo poco contento.
«Non so’ strano,» dice. «Tu sei coglione, io non so’ strano.»
«E vabbè, sì, il coglione so’ io,» concede Daniele, perché poi è vero, anche se Marco, Dio santo, Marco lo batte senza nemmeno doversi concentrare. Lo bacia di nuovo, comunque, mordicchiandogli con tutta calma le labbra finché Marco non si decide a schiuderle per lui. Lo bacia, e dopo un po’ Marco lascia cadere per terra il libro, che fa un tonfo che Daniele se lo ricorderà per tutta la vita, e solleva le braccia, allacciandogliele al collo e alzandosi per venir meglio incontro alla sua bocca. Daniele si allontana un pochino, assaggia il sapore della lingua di Marco sulle proprie labbra e gli piace da pazzi. «Posso zompa’ io addosso a te, mò?»
Marco ride, gli si preme contro e Daniele ha l’assurda impressione di vedere un po’ di tristezza raccoglierglisi sul fondo degli occhi, ma è soltanto un attimo, e lui si convince facilmente di esserselo immaginato, di aver voluto vedere cose che non esistono solo perché gli piacerebbe che fossero lì. Si dà del coglione, del mentecatto, dell’illuso, e stringe le braccia attorno ai fianchi di Marco.
«Non capisci mai un cazzo, te, eh?» gli mormora Marco sulle labbra, e Daniele lo sente sorridergli addosso.
«Senti, l’esperto a parla’ co’ gli uccelli qua sei te,» dice, senza neanche una punta di cattiveria, e Marco infatti ridacchia, quasi lusingato, e si lascia baciare. «Però mica me la cavo proprio di merda, io, no?» E gli si strofina un po’ addosso, per corrompere il suo giudizio, e Marco perde un battito e trattiene il fiato, magari perché sente chiaramente contro lo stomaco l’erezione di Daniele celata a stento dai pantaloncini leggeri, magari perché non è altro che possessivo da morire, il modo in cui Daniele rafforza la propria stretta sui suoi fianchi.
«Non proprio di merda, no,» riesce a bisbigliare, dopo un momento, e Daniele sorride, soddisfatto. «Già solo il fatto che sei infoiato come un regazzino è una gran vittoria, infatti,» continua, non appena ha riacquistato un po’ di controllo di sé, e Daniele scoppia a ridere, malgrado tutto, ma gli pizzica i fianchi perché, oi, non è che lo può insultare così, gratis, per di più imitando da schifo il suo accento. Nasconde il viso contro il suo collo, poi, gli fa il solletico con la barba e va tutto, tutto, tutto bene.

*

Uno squillo, due squilli, tre squilli e poi, finalmente, Alex risponde. Daniele è così distratto a giochicchiare con i capelli di Marco, addormentato di traverso sul letto, no, sui due letti con la testa sul suo grembo, che si perde quello che Alex ha detto, per cui annaspa, pregando di non fare una figura di merda eccessiva.
«Oi, Ale, sì, so’ Daniele, De Rossi,» ride appena, giusto un pochino pochino nervoso, e si volta un po’ di lato per non disturbare troppo Marco, che in genere ha il sonno pesante ma non si può mai sapere. «Come va?»
«Tutto apposto, grazie,» dice Alex, ed è evidente una punta di ansia nella sua voce. «Tu come stai? È successo qualcosa?»
«No, no, tranquillo, non è successo niente,» Daniele scuote pure la testa, convinto.
«Va bene, allora,» Alex è chiaramente più sereno, che gentile che è, e si concede una risata. «Considerando come stavi messo l’ultima volta che ci siamo incrociati, quando ho visto il numero mi sono preoccupato.»
«Cos-- ah, oh, sì, giusto, quella volta,» Daniele si morde le labbra, lascia un po’ perdere i capelli di Marco per stringersi la radice del naso tra due dita. «Scusami se non mi so’ fatto risentire, non... sto meglio, eh. Sto bene, in realtà.»
«Sì, ti ho visto giocare, me ne sono accorto.»
Daniele sospira, vorrebbe prendersi a calci. L’ultima volta che ha visto Alex è stato tardi quest’estate, quando sembrava che Marco fosse già mezzo infilato nelle tasche di De Laurentiis, pronto a mollare gli ormeggi per andarsene a Napoli, e Daniele, beh, Daniele non era esattamente dell’umore migliore, e Alex era lì con quel cipiglio preoccupato e quel mare immenso di gentilezza che solo lui nell’universo, e Daniele stava così di merda, in tutta onestà, che non ha neppure avuto bisogno di farsi pregare, ma ha levato subito il coperchio alla pentola e ha scodellato la pasta: ha tenuto Alex sveglio una notte intera a lagnarsi del mercato e dei soldi e dei prestiti di cartellino e dei trasferimenti e di tutto, e non era soltanto Marco, il problema, perché quella notte gli ha detto pure di Nicolás, di Philou, delle voci che volevano persino lui stesso, Daniele, Daniele, pronto a prendere la via di Madrid o Manchester o che cazzo ne sapeva, e insomma non è stato un bel momento della sua vita, e gli dispiace davvero che Alex abbia dovuto esserne testimone, pure se dovrà cascare il cielo prima che Alex possa anche solo lontanamente pensare che Daniele, oggettivamente, quella notte gli ha rotto le palle in maniera imbarazzante. Tanto più che neppure due settimane prima era stato annunciato il prestito di Claudio al Liverpool, oh, Dio, Daniele, Marco è il campione mondiale di stronzaggine e insensibilità ma pure tu quando ti ci metti mica scherzi, cazzo.
«Eh, senti, a proposito de quella sera...» e, no, non è proprio il migliore inizio di sempre. «Cioè, non proprio a proposito, per carità di Dio, non sia mai.»
Alex scoppia a ridere, e Daniele si sente un po’ arrossire. Marco, contro di lui, si tende e mugola qualcosa, si starà svegliando, merda.
«Stai tranquillo, Dani, e dimmi con calma.»
«Sì, ok,» Daniele respira profondamente una, due, tre, quattro volte, e alla fine pensa di potercela fare. Indossa la faccia di culo più di culo che ha, facendosi coraggio perché perlomeno è al telefono e non ha Alex davanti e non deve guardarlo davvero mentre gli parla, e pensa di potercela fare. «Volevo dirti che magari è una buona idea se chiami Claudio.» Ha un brivido. «Se non... se non l’hai già chiamato, cioè.»
D’improvviso, Daniele si rende conto della gigantesca falla nel suo piano geniale, che sta al momento affondando come un novello Titanic di quarta mano: e se Alex, appunto, l’ha già chiamato, Claudio? Se si sentono tipo ogni giorno, raccontandosi ogni cazzata e, boh, facendosi l’un l’altro le trecce a telefono? E se adesso Alex gli ride in faccia e perde ogni stima di lui? E se -
«Gli è successo qualcosa?» domanda Alex, subito allarmato, solo che Daniele quando è nel panico tende a pensare alla velocità della luce. «Dani, gli è successo qualcosa?»
«No, no, macchè! Sta benissimo, fresco come una rosa e felice come una pasqua,» s’inventa Daniele, perché gli sembra un po’ inopportuno condividere l’unica informazione realmente comprovata su Claudio che ha, e cioè che sicuramente il sesso non gli manca, grazie alla solerzia del tizio che gli sonnecchia - no, che pian pianino gli si sta svegliando addosso. «No, è solo che pensavo... che magari gli farebbe piacere sentirte.»
Alex rimane così a lungo in silenzio che Daniele comincia a sospettare che abbia mollato il cellulare da qualche parte e se ne sia andato, troppo educato per insultarlo come meriterebbe o semplicemente attaccargli il telefono sul muso. Poi lo sente sospirare.
«Sì, hai ragione,» mormora Alex, pianissimo, vagamente affranto, ma magari Daniele si sbaglia. «Dovrei chiamarlo, ogni tanto, ma-- Cristo, io mi trattengo ma se fosse per me lo chiamerei in continuazione, a ogni minuto del giorno e della notte.» Ride, amaramente, per un attimo. «E se lo chiamo anche solo una volta e poi non mi basta?»
«Alessa’--»
«No, no, seriamente. Non lo sai quante volte ho fatto il suo numero e poi l’ho cancellato un attimo prima di chiamarlo. Già così mi manca da impazzire, se lo sento peggioro solo le cose, no? Sarebbe come buttare sale su una ferita, Dani.»
«Proprio perché ti manca così tanto te dovresti fa’ il favore di chiamarlo,» ridacchia Daniele, e si distrae solo un attimo a guardare Marco che si sveglia del tutto, solleva la testa e lo mette a fuoco un po’ a fatica, accigliandosi quando si accorge che è al telefono. «Se poi le cose peggiorano, dopo, lasciale peggiora’.»
Alex brontola sottovoce qualcosa che Daniele non capisce, probabilmente è meglio così, e poi sta zitto un minuto, e quando parla di nuovo lo fa con una voce così piccola che quasi non sembra la sua.
«E se lui non mi vuole sentire?»
Che è un pensiero ridicolo a livelli ultraterreni, Claudio adora Alex da quando aveva qualcosa come tre anni, probabilmente pure da prima, perciò come diavolo fa Alex, che è un uomo fatto e pure intelligente ed esperto del mondo, a farsi venire un dubbio così? Daniele quasi si mette a ridere, e si trattiene solo perché l’incertezza cubitale che ha sentito nella voce di Alex gli ha annodato la gola perché, cazzo, è Alessandro Del Piero e sembra un ragazzino insicuro.
«Ale, io...» esita, cerca le parole adatte, guarda Marco per avere un po’ d’ispirazione e poi si manda a ’fanculo da solo per l’idea di merda. Si stropiccia la barba con la mano libera, sospira, pensa ancora un attimo e poi lascia perdere, va con la prima cosa che gli esce di bocca. «Alex, nun me di’ cazzate, quel ragazzo ti ama,» e se lo decida lui, come interpretarla. «So’ sicuro che passa il tempo a fissare il telefono e chiedersi perché cazzo il suo capitano non l’ha ancora chiamato.»
Marco lo guarda tutto sorpreso, con gli occhi un pochino sgranati, e Daniele ha questa voglia improvvisa di baciarlo che ormai s’è quasi abituato a sentirgli mordere lo stomaco, veramente. Alex intanto s’è ammutolito, e non è che lo si possa biasimare.
«Io... Dani, devo andare,» mormora piano, dopo un po’. S’intuisce che è scosso, che quando ha visto il nome di Daniele sul cellulare magari s’era già preparato a sentirlo sfogarsi e a fargli un bel discorsetto di conforto, e che di sicuro non s’aspettava di dover essere lui a farsi scodellare tra capo e collo una paternale su un argomento così, ma Daniele è certo che, perlomeno, non s’è offeso né s’è arrabbiato con lui, è soltanto un po’ sottosopra, ma si riprenderà presto, e appena si sarà ripreso prenderà quel maledetto telefono e chiamerà Claudio, una buona volta. «Ci sentiamo, va bene?»
«D’accordo, Alessa’. Mi ha fatto piacere sentitte, e scusami un po’,» dice Daniele, perché naturalmente il fatto che Alex non sia incazzato non significa automaticamente che lui abbia fatto bene a disturbarlo, mentre magari stava preparando la cena, solo perché Marco s’è fatto duemila chilometri per Claudio e a lui la cosa non va giù neanche per il cazzo. Alex questo passaggio non lo conosce, grazie a Dio, per cui ride e gli dice:
«Non ti scusare, Dani, ma dai, anzi, fai una cosa, richiamami tra un mesetto che magari ti ringrazio.»
Daniele sorride.
«Famo che ti richiamo tra due settimane, e si nun me ringrazi vengo a tirarti un ceffone sul naso,» dice. Alex ride di nuovo, dice che, d’accordo, vada per due settimane, farà questo sforzo, e poi si salutano, e quando Daniele attacca ha questo sorrisino scemo sulla faccia e deve per forza baciare un po’ Marco.
Marco gli accarezza una guancia, dopo, spettinandogli la barba perché gli piace di più quando è un casino disordinato, e ha gli occhi socchiusi, sta sdraiato sulla sua metà del letto e a Daniele manca un sacco avere addosso il suo peso.
«Hai chiamato Alex,» dice Marco, e magari se fosse stata una domanda sarebbe stato meglio, ma Daniele non riesce a preoccuparsene davvero, è troppo scioccamente contento. Si volta un po’, sistemando la schiena più comodamente contro la testiera del letto, e bacia brevemente il palmo della mano di Marco che ancora sta giocando con la sua barba e gli piacerebbe non smettesse mai. Dio, l’esposizione prolungata a Borriello prima o poi lo rovinerà.
«Ho chiamato Alex,» concorda, sottovoce, e c’è di nuovo quella cosa strana, nello sguardo di Marco, nella sua espressione, che magari adesso, Daniele, è il caso di guardare bene, e darle pure un nome, se non ti fa troppa fatica. «Tutto apposto?»
Marco si stringe nelle spalle, fa finta di niente. Daniele ormai lo conosce meglio del palmo della propria mano e sorride, si allunga a baciarlo.
«È tutto apposto, Danie’,» tenta di convincerlo Marco, ma neppure lui ci mette grande speranza, e intreccia una mano ai capelli corti sulla nuca di Daniele per tenerselo vicino - non è che ce ne sia bisogno davvero, Daniele glielo vorrebbe spiegare, ma, cazzo, l’ha seguito fin qui e lo seguirebbe ovunque e non sopporta il pensiero di lui con un altro e gli cade a pezzi il cuore quando Marco lo ignora, non dovrebbe avere bisogno di spiegarglielo, che fosse per lui non si muoverebbe dal suo fianco neppure se lo pagassero, neppure quando è al meglio della sua stronzaggine e della sua insensibilità, sì.
Gli piace pensare che sia per via dei versi che Marco fa durante il sesso, quando reclina la testa all’indietro sui cuscini e gli offre la gola ed è così perso che non si ricorderebbe neppure come si chiama, se Daniele non mormorasse il suo nome in una preghiera infinita, e gli piace pensare che non ci sia nient’altro a tenerlo lì, attorno a Marco, se non un accordo ormai vecchio quasi di un anno, ci vieni a Trigoria domani, se vengo a letto con te?, e un po’ l’abitudine, e gli piace pure pensare che potrebbe mangiare tremila maritozzi con la panna senza sentirsi male, ma questo non significa che sia automaticamente vero.
Lo bacia ancora, assaggiandolo piano, e poi gli sorride.
«Te sei geloso de Riccardo, io so’ geloso de Claudio,» mormora sulle sue labbra, con dolcezza. «Me pare che semo pari, no?»
Marco sgrana un po’ gli occhi, si allontana di mezzo respiro e poi ancora e ancora e ancora, finché non ha di nuovo la testa giù sul cuscino e un’espressione gelida sul viso.
«Non c’abbiamo motivo d’esse’ pari, Danie’,» dice, a muso duro. Daniele non riesce a smettere di sorridergli. «Non c’abbiamo manco motivo d’esse’ gelosi.»
«Come te pare,» scrolla le spalle, e si risistema seduto contro la testiera del letto. Marco rimane a guardare il soffitto ancora per un po’, s’incrocia le braccia sul petto e poi si mette le mani attorno al collo e tra i capelli e sui fianchi e insomma non trova pace, e alla fine sospira, si tira su.
«Andiamo a mangiare da qualche parte?» chiede, sottovoce. Daniele dà un’occhiata fuori dalla finestra e si accorge che è buio, ormai. Annuisce. «Allora me vado a lava’.»
«Vabbè.»
Marco esita un attimo, magari gli vuole chiedere se vuole venire anche lui ma decide di no, o forse è Daniele che sta ragionando troppo e Marco ha solo voluto prendere fiato prima di alzarsi. Lo guarda andarsene in bagno in mutande, camminando piano, e pensa che magari ci va lo stesso, sotto la doccia con lui, pure senza invito.
Come te pare, gli ha detto, per fargli capire che a lui sta bene, se Marco non vuole dare un nome preciso alla cosa che si stanno portando dietro da un anno e che hanno trascinato fin qui a Liverpool. A lui sta bene, se Marco è contento di poterselo portare a letto con una certa regolarità e poi sentirsi in diritto di provarci con la prima ragazza con addosso una minigonna a giropassera che gli capita sotto il naso. A lui sta bene, se Marco gli si presenta in casa a tutte le ore e quando c’è Gaia la vizia e la riempie di regali e si fa chiamare zio Marco e si è fatto fare una copia delle chiavi e neppure la voleva ma quando Daniele ha insistito l’ha presa e non ha smesso di sorridere per una settimana filata, ma poi appena può prende e va ad infilarsi tra le lenzuola di un ragazzino con gli occhi azzurri che s’è scopato la prima volta in uno sgabuzzino all’Olimpico. A lui sta bene, se Marco non gli fa scenate e inghiotte la gelosia come fosse sciroppo per la tosse. A lui sta bene, se Marco canta sotto la doccia e usa sempre l’asciugamano sbagliato quando si lava la faccia e puntualmente fa un disastro nel bagno ogni volta che ci mette piede, ma ogni tanto arriva a Trigoria la mattina presto con i capelli arruffati e la faccia di uno che ha fatto sesso fino a svenire e Daniele non era con lui, la notte prima.
A lui sta bene, solo che non è vero, Cristo, non gli sta bene niente, e a questo punto è ragionevolmente sicuro che non stia bene niente neppure a Marco, anche se ancora non osa metterci la speranza, perché se poi finisce con un altro Steven Gerrard mancato?
Come te pare sticazzi, allora, sticazzi sticazzi sticazzi sticazzi, Daniele butta le gambe per aria e si alza dal letto, si sistema il pantaloncino che gli si era arrotolato sulle cosce e a passo di marcia si dirige in bagno, spalanca la porta ed entra. Marco si sta già risciacquando e Daniele pensa, sticazzi, Tamara non è mai stata così bella, stonata, tremenda e fantastica.
«Mi tatuo un euro sul cazzo, così quando il mio cash cresce una mi succhia i soldi e non m’incazzo,» canticchia Marco, e Daniele fa una smorfia - per un attimo gli viene il dubbio che magari è meglio se rimane a crogiolarsi in quello che ha, che non è poi tanto male, se lo guardi da una certa prospettiva, ma scuote la testa con forza, scacciando il pensiero, perché non è il momento per essere deboli, non è il momento per essere vili e codardi, non è il momento e basta, anche se, cazzo, i gusti musicali di Marco sono una roba da manicomio. «Oh, ehi, Dani,» sobbalza appena, quando lo vede lì accanto alla porta, mezzo nudo e barbuto e con un’aria estremamente seria, ma sorride, si rigira ancora un attimo per farsi scorrere via di dosso le ultime bolle di schiuma e poi chiude l’acqua.
Allunga un braccio fuori dal box della doccia, recupera due asciugamani da uno sgabello lì accanto e uno se lo annoda in vita alla meno peggio, l’altro se lo butta in testa e lo usa per stropicciarsi i capelli. Viene fuori, finalmente, rabbrividendo appena, e con tre passi Daniele gli arriva ad un soffio dal naso, gli prende il viso tra le mani e lo bacia, umido e aperto e lento e tutto quello che così raramente trova il coraggio di fare.
Marco sorride, si lecca le labbra, deliziato.
«Per che cos’era, questo?» domanda, e Daniele sorride di rimando, gli sfila l’asciugamano dalla testa e lo usa per frizionargli gentilmente il collo, le spalle, il petto. Marco lo ferma, prendendogli i polsi tra le mani, prima che possa scendere ancora. «Daniele?»
Daniele lancia via l’asciugamano, si accarezza la nuca con una mano, vagamente in imbarazzo. Guarda Marco negli occhi, gli fa un sorriso sghembo perché, Dio, finché sta zitto è di una bellezza inspiegabile.
«Ti amo,» gli dice. «Marco, io ti amo.»
Marco sgrana gli occhi e Daniele deve soffocare a forza l’istinto di allungare le mani in avanti per raccoglierli in caso gli cadano. Sorride, poi, con l’imbarazzo che gli si gonfia ancora nel petto e si sente arrossire perché, uh, Marco continua a fissarlo come se fosse un alieno e non ha ancora detto niente. Cristo, cazzo, ti prego fa’ che non sia un altro Steven Gerrard mancato.
«Marco.»
«Tu mi... eh?» Marco sbatte le palpebre così in fretta che quasi non si vede, e Daniele ridacchia, china il capo, lo guarda da sotto in su.
«Ti amo,» ripete, appena un po’ esasperato, e la terza volta è quella buona, evidentemente, perché Marco deglutisce, apre la bocca, Daniele è convinto che stia per dire qualcosa ma poi ci ripensa e lo spintona via, uscendo dal bagno e pestando i piedi con tanta forza ad ogni passo che l’avranno sentito pure al piano di sotto. «...Marco?»
Daniele lo segue e Marco è lì, con le braccia tese e le mani appoggiate all’armadio. È un po’ una distrazione, il modo in cui l’asciugamano gli si arriccia dietro le cosce, per non parlare delle fossette là in basso alla base della sua schiena, dove Daniele vorrebbe volentieri premere la lingua, ma probabilmente non è il momento di pensarci perché Marco si volta a guardarlo con un’espressione praticamente omicida. Abbassa le braccia di scatto, marcia fino ad essere naso a naso con Daniele e il suo sguardo non si addolcisce per niente.
«Tu--» ci prova, a dire qualcosa, ma le parole gli muoiono in gola e Marco sbuffa un verso senza senso ed estremamente irritato, si volta e comincia ad andare su e giù per la stanza. Daniele è a dir poco esterrefatto.
«Non... non sto capendo. È... una reazione positiva, l’isteria?» domanda. Tamara non era una donna particolarmente equilibrata, ma la prima volta che Daniele le ha detto di amarla lei ha singhiozzato per un po’, commossa, e poi ha pigolato un debolissimo anch’io, e un minuto dopo stava messaggiando con tutte le sue amiche per annunciare la grande novità. Marco scatta di nuovo, lo guarda male ma perlomeno torna ad avvicinarglisi.
«Ma ti rendi conto di quello che hai fatto?» chiede, e ci manca tanto così perché si metta le mani nei capelli. Daniele, comunque, si rende conto.
«Ho detto che ti amo, Marco, nun c’hai bisogno de--»
«Non c’è bisogno di cosa, Daniele, esattamente?» Gli tira un cazzotto, per buona misura, contro la spalla, e Daniele vorrebbe dirgli che se magari lo lascia parlare lui glielo spiega pure, di cos’è che non c’è bisogno. «Palesemente tu non ti rendi conto, Dani. Non ti rendi conto! Guardami, Daniele, guardami, mi vedi?» Gli prende il viso tra le mani, alzandolo e abbassandolo senza gentilezza per essere sicuro che Daniele lo stia guardando, lo stia vedendo, e Daniele annuisce, sì, sì, sì che lo vede, cazzo, se Marco ha bisogno di conferme basta che gli metta una mano tra le gambe. «Che cosa vedi, Daniele? Dimmelo.»
«Vedo, uh... è una domanda a trabocchetto, Marco? Nun ce sto a capi’ niente,» si lagna un po’, sperando di fargli pietà, ed è abbastanza, perché Marco lo lascia andare, si preme le mani sugli occhi.
«Te lo dico io cosa c’è da capire,» dice, e, amen, pensa Daniele, spezzami il cuore e falla finita. «Hai detto che mi ami. Hai detto che-- e, guardami, Daniele, ho addosso un asciugamano. Un asciugamano. Sono appena uscito dalla doccia, siamo in una stracazzo di stanza d’albergo nella fottutissima Liverpool, io ho addosso un asciugamano e tu te ne esci così e dici che mi ami! E io ho addosso un asciugamano, Daniele, Cristo santo benedetto!»
«Uhm, lo vedo che c’hai addosso ’n asciugamano,» Daniele ride, sta cominciando a intuire un barlume di senso nella reazione di Marco e, davvero, non è mai esistito niente di più adorabile nella storia del mondo, neppure Gaia, magari. «Preferivi un momento diverso?»
«SÌ!» esclama Marco, perché è esattamente quello il punto della questione ed è così chiaro e oh, Dio, ma come fa Daniele ad essere sempre così tremendamente cieco e stupido e stronzo e insensibile? «Cazzo, Dani, non puoi prendere e dirlo così, ci vuole un minimo di-- non lo so, di atmosfera, di premeditazione,» dev’essere una delle parole che ha imparato leggendo quel suo libro fighetto, «un po’ di tensione, Cristo, ma come sei cresciuto male, non li hai mai visti i film della Disney?»
«Scusami, il cavallo bianco l’ho lasciato di sotto,» scherza Daniele, e gli mette le mani sui fianchi e se lo attira contro e lo bacia in un modo che in un film per bambini non lo ficcherebbero neppure nei fotogrammi fantasma. Gli sorride, poi, e appoggia la fronte contro la sua. «Se te basta, il prossimo gol lo dedico a te.»
«Ti odio,» mugola Marco, tirandogli la barba. «Cristo, sei romantico come una papera di gomma.»
«E daje co’ ’ste papere,» ride Daniele, e gli bacia la punta del naso. «I prossimi tre gol, allora.»
«Fottiti.»
«Cinque, è la mia ultima offerta.» Marco s’imbroncia ancora un po’ e va bene, va bene, Daniele la pianta di giocare, però era divertente, magari tra un po’ ricomincia. «Ti amo, Marcoli’. Alle tue amiche e ai nostri nipoti gliela puoi racconta’ come te pare, la storia della prima volta che te l’ho detto.»
Ed era tutto quello di cui Marco aveva bisogno - una conferma piccola e scema che, no, Daniele non lo sta prendendo in giro e, sì, lo intende davvero, anche se gliel’ha detto così male; è serio, contento e devastato, Cristo, lo ama, - palesemente, perché sgrana gli occhi, abbassa la guardia per un momento che dura un po’ più del normale, abbastanza perché Daniele possa vederlo ed essere sicuro di non averlo immaginato, prima di richiudersi dietro un broncio imbarazzato.
«Ma chi li vuole, dei nipoti da te,» brontola, ma quell’adorabile curva all’ingiù delle sue labbra si scioglie velocemente in un sorriso che è una specie di ringraziamento. Daniele lo bacia, lo assaggia, e gli piace tantissimo.

A/N.

- ...ovviamente quello che canticchia Daniele è ‘La solitudine’ della Pausini. #maddai
- Le mie trascrizioni dell’inglese sono tragicomiche, OMG. *ride*
- Il Derossolivo è sempre nel mio cuore, anche se quella donna *indica Brappu con una certa isteria* mi ha mostrato La Via. #DDRRLL! <333333
- E quello che canticchia Sborri (mi fa impressione chiamarlo Marco) (sì, anche nella fic, infatti ho dovuto usare Trova/Sostituisci per stare sicura di non aver sborrat-- di non aver scritto Sborri) (#problemiQUANTI) è ‘Giù il soffitto’ di Guè Pequeno. #PEQUORRIELLOFTW
- #ciao, non vi dico quanto di me ho messo nella conversazione di Alex con Daniele sul fatto di non voler chiamare Claudio perché sennò mi piglia a male, e legittimamente potreste prendermi a calci. (ok, lo dico. Tutto quello che dice Alex = Kya) (#ugh)
- A dimostrare il fatto che io le cose non me le invento da zero, Daniele e Alex si vogliono bene davvero.
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