Fic: And I can't breathe (without you with me)

Feb 07, 2010 14:15

Titolo: And I can't breathe (without you with me)
Autore: el_defe
Beta: no XD
Fandom: RPF - AC Fiorentina
Personaggi/Pairing: Alberto Gilardino/Stevan Jovetić (Gilatić), Adrian Mutu
Rating: VM18
Warning: slash, fluff, what if?
Word count: 1.349 (Word)
Note: Terzo P0rn Fest @ fanfic_italia: RPF Calcio (AC Fiorentina), Alberto Gilardino/Stevan Jovetić, tradimento. Titolo da Can't breathe di Leona Lewis. Aprile 2010.
Disclaimer: Non sono miei, non fanno queste cose, scrivo gratis e quindi non mi prostituisco intellettualmente, tiè XD

Tutta per chia25 perché me l'ha chiesta con argomenti inoppugnabili cui non potevo non cedere. E no, non sto parlando di promesse di M2. ♥



And I can't breathe (without you with me)

La periferia di Londra si adagia mollemente nella bruma scura e freddina, ancora più silenziosa di quanto non lo sia il resto dell’anno; l’aria oscura e indefinita avvolge i contorni illuminati qua e là da luci infiacchite nella nebbia, rotta soltanto dal respiro un po’ affannato di Stevan, appoggiato al davanzale della finestra della stanza che in Champions non può dividere con Adem: inclina la testa all’indietro ed è come se non fosse cambiato niente, è come se Adi non avesse mai fatto cazzate e Alberto non si sia mai sentito in obbligo di stargli vicino, “perché è debole e fragile e ora come ora può fare solo casini”. E per quanti sforzi abbia fatto Stevan per cercare di stargli vicino anche lui non è mai stata la stessa cosa, perché lui non è mai stato Alberto, e una parte neanche tanto piccola del suo animo era perfino assurdamente felice che Adi stesse meglio. Anche se Alberto improvvisamente non aveva più tempo per lui.
Avere Adem per casa lo aveva aiutato, un po’: ambientarsi tra Firenze e dintorni non è neanche lontanamente facile come vagare per Belgrado, Stevan l’ha imparato a sue spese ritrovandosi ben più di un paio di volte in posti dimenticati da Dio e dall’uomo senza capire neanche come ci fosse arrivato - e tutte le volte aveva chiamato Alberto per farsi salvare, neanche fosse stato una principessa chiusa in cima alla sua torre; appurato che la sua macchina era decisamente comoda per viaggiare ma altrettanto decisamente scomoda per fare qualsiasi altra cosa, perdersi più o meno regolarmente in luoghi così meravigliosamente sperduti era, forse, più una benedizione che qualcosa di cui lamentarsi in tre lingue diverse.
«Mi era mancato troppo tutto questo» sussurra Alberto al suo orecchio, grattando contro la guancia con la propria resa ispida dalla barba di due giorni per riscuoterlo dai suoi pensieri. «Mi eri mancato tu.»
«Io non mi sono mai mosso» borbotta Stevan, spingendo appena il bacino fino a trovare il suo corpo, in un invito un po’ offeso ma dettato dall’urgenza che l’altro non vuole assecondare. Alberto gli impedisce di sbottonarsi i pantaloni, serrando le dita intorno ai suoi polsi sottili fino a quando Stevan non si arrende e si abbandona completamente a lui: sente mancare il fiato quando Alberto lo accarezza al di sotto della maglia, insistendo sui fianchi e sugli addominali, e invece lo lascia andare tutto in una volta in un sospiro pesante che ha come unico effetto quello di ritrovarsi ancora più schiacciato al suo corpo.
«Mi dispiace tanto, Jo-Jo» gli dice all’orecchio, stringendone il lobo tra le labbra e sorridendo lievemente quando lo sente tremare al contatto tra la propria lingua e la sua pelle. «Sono stati mesi difficili.»
Stevan annuisce, incerto sulla possibilità di fargli quella domanda che gli brucia la gola dall’attimo stesso in cui ha visto Adi a bordo campo, gli occhi sbarrati e il colore fuggito all’improvviso dal suo viso - quel grigio dell’assenza di tutto quello che riesce a tenere in vita una persona - e le gambe che corrono rapide, lontano da tutti, e Alberto che fa due passi verso lo staff prima di chinare il capo e tornare ad allenarsi; è troppo difficile ottenere risposta per quel dubbio, indipendentemente da ciò che già sa o sospetta e indipendentemente dalle labbra di Alberto che percorrono le linee della mandibola e del collo in una scia di baci piccolissimi, perché è una domanda che pesa e può distruggere e la tiene per sé, stretta tra i denti che trattengono richieste e gemiti con la forza della disperazione anche quando Alberto spinge la mano oltre l’orlo dei jeans e lo sfiora.
«Sì, Jo-Jo» bisbiglia triste Alberto. «Non sono riuscito a dirgli di no. Non sono riuscito a dirgli di noi.»
Stevan chiude gli occhi, stupendosi del fatto che ciò che temeva non fa neanche lontanamente male come pensava fino a quando Alberto ha letto la sua tensione e ne ha colto il motivo con tanta facilità. «Non importa» pigola, e subito sente la stretta delle sue braccia intorno a lui farsi più forte, il tocco gentile trasformarsi in una presa decisa, quasi volesse inglobarlo dentro di lui.
«Importa a me, Jo-Jo. Mi sono sentito una merda.»
«È Adi. Siamo stati male tutti e-»
«Non ci sei andato a letto. Nessun altro c’è andato a letto. E se l’hanno fatto non hanno fatto una schifezza del genere.»
«Albi.» La voce di Stevan è più ferma e decisa di quanto non sia mai stata, ma la venatura che permea quell’Albi è così comprensiva che Alberto apre ancora una volta la bocca e poi la richiude, sconfitto. «Non mi importa. Sapevo che sarebbe successo e se mi fosse importato ti avrei cacciato a calci.» Alberto fa risalire la sua mano fino alle spalle, chiudendolo in un abbraccio stranissimo e caldo in cui Stevan vorrebbe sciogliersi di colpo.
«Mi dispiace tanto» ripete Alberto, baciandogli il collo, e Stevan si rigira nella sua stretta fino a trovarsi di fronte al suo viso contrito.
«Dovresti dispiacerti di più per tua moglie.»
«È diverso.»
«Albi.» Stevan lo dice ancora una volta, prima di baciarlo sulla bocca e ritrovare il sapore salato delle sue labbra, i muscoli tesi della sua schiena sotto le dita, gli angoli netti del suo bacino schiacciato al proprio; Stevan ripercorre il suo dorso mentre gli toglie la maglia, tirando a sé la nuca di Alberto e baciandolo così a lungo da dimenticare ogni cosa e ritrovarsi in un luogo dove Adi non esiste, Alice non esiste, Adem non esiste - no, Adem, non mi interessi, mi dispiace; e la semifinale di Champions è qualcosa che resta domani, mentre la pelle accaldata di Alberto sotto la sua lingua è oggi, ed è oggi il sesso di Alberto che guizza quando le sue labbra si chiudono su di esso, è oggi il suo gemito profondo che Stevan non gli ha mai sentito fare, come se soltanto oggi abbia avuto il coraggio di lasciarsi andare senza più freni, rimettendo a lui la sua anima, oltre che il suo corpo. E più Stevan si spinge contro di lui più quei respiri così deliziosamente sonori si insinuano nel suo cuore, incitandolo a fare di più, a fare meglio, a ignorare la pressione decisa di Alberto che vorrebbe allontanarlo da lui e ad accogliere il suo orgasmo con un mugolio soddisfatto che non può sovrastare il grido di Alberto, appena soffocato contro il suo stesso braccio. Stevan lo lascia andare, perdendosi a guardare il suo petto che si alza e si abbassa spasmodico e gli ansiti che sfuggono ancora dalle sue labbra, e geme di una sorpresa che non dovrebbe neppure provare quando Alberto lo ribalta sul letto e si accinge a rendergli altrettanto piacere.

*

«Sei nervoso per domani?»
Stevan scuote la testa, solleticando senza volerlo la pelle di Alberto che trattiene una risatina. «Siamo andati così tanto avanti che nessuno se lo sarebbe aspettato.»
«Io sì. Voglio andare a Madrid.»
«Anch’io. In fondo nessuno se lo aspetterebbe davvero, no?» Stevan lo abbraccia, barcamenandosi un po’ per non cadere da quel letto davvero troppo stretto per due persone - e maledicendo i proprietari dell’albergo per aver strutturato i letti con la testiera in modo da non poterli unire neanche volendo.
«Ci divertiremo un sacco a farli impazzire.»
«Se battiamo l’Arsenal mi fai un regalo?»
Alberto lo guarda perplesso, e poi mormora un “sì” contro la sua guancia, intrecciando il suo ginocchio tra le gambe di Stevan.
«Voglio sapere di Adi. Voglio qualcosa che mi faccia compagnia quando non ci sei e ho voglia.»
«Ma sei un maiale!» ribatte piccato, prima di scoppiare a ridere. «Ti masturbi pensando a me e Adi a letto insieme?»
«A volte anche te e basta.»
«Sei un maiale» ripete, genuinamente sconcertato.
«Me lo prometti?»
Alberto ci pensa su. «Se battiamo l’Arsenal...» comincia a dire solennemente, premendo una mano sul cuore, «chiedo ad Adi se vuole fare una cosa a tre.»
Stevan ammutolisce e smette di sorridere malizioso. «Sei tu, il maiale» ha la forza di dire, prima di ridere con Alberto fino a sentirsi male e benissimo insieme.

FINE

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