Titolo: Bitter Taste
Fandom: Harry Potter
Beta:
iosonosaraPostata il: 14/09/2007
Challenge: caffé amaro, aspettando il tuo ritorno @
italianslashersPersonaggi: Remus Lupin, Sirius Black
Pairing: Sirius/Remus
Rating: Pg13
Conteggio Parole: 1.218 (W)
Avvertimenti: Slash
Disclaimer: I personaggi della storia appartengono ai rispettivi proprietari e creatori, che ne detengono i diritti. Nulla di ciò è scritto a scopo di lucro.
Note: Ambientata la notte dell’omicidio dei Potter. Remus-centrica, come al solito.
Bitter Taste
31 Ottobre 1981
Sera
Sirius non aspetta. Non ne è capace, non gli riesce, semplicemente non lo fa. È più il genere di persona insistente, irruente, che, di fronte ad una qualsiasi questione, preferisce sbatterci contro e forzarla, modificarla, tentare tutto ciò che gli è possibile perché si smuova - soprattutto, si smuova nella direzione da lui desiderata. Sirius è così, non potrebbe per nulla al mondo restare fermo, limitarsi ad osservare gli eventi; lui è parte attiva del mondo, quasi fosse uno di quei meccanismi che lo aiutano a girare e proprio no, no, no, non riuscirebbe mai ad immobilizzarsi ed aspettare.
Non accadeva ad Hogwarts e non accade adesso che sono - beh, dovrebbero essere - cresciuti; e così, ogni volta che lui e Remus litigano, schizza via da casa e va da qualche parte a sbollire la rabbia - ovviamente, facendo qualcosa per calmarsi. In genere, sfonda la porta di casa di James e si sfoga, oppure prende la moto per un giro, o, ancora, invita Frank a bere una Burrobirra ai Tre Manici di Scopa. Agisce, insomma, si muove e, non può certo negarlo, Remus ha davvero paura che, un giorno o l’altro, possa lasciarsi altro alle spalle insieme alla rabbia e non tornare più.
Remus è diverso da Sirius. Si potrebbe facilmente collocare quasi all’estremo opposto, nella scala della Pazienza; ne ha a sufficienza per entrambi, di pazienza, e l’attesa è decisamente parte del suo modo di vivere. È intrinseca al suo carattere, alla placidità che solitamente lo caratterizza e proprio non può liberarsene.
E, tale caratteristica, non si è certo persa negli anni.
Quindi, anche dopo la lite furibonda avvenuta poco prima, Remus non fa nulla. Qualcuno con una maggiore presenza di spirito, maggiore intraprendenza, forse, avrebbe pensato a rincorrere Sirius, lo avrebbe costretto a chiarire, si sarebbe impegnato per sistemare le cose. Ma non Remus; lui si limita a preparare un caffé e a sedersi al tavolo della cucina, in attesa.
Aspetta che Sirius si calmi e ritorni. Aspetta, Remus, stringendo le dita attorno alla tazza calda della bevanda, il cui vapore gli scalda il naso tutte le volte che avvicina la ceramica alle labbra.
Avrebbero dovuto festeggiare Halloween. Sirius aveva programmato un piano nei minimi dettagli e Remus lo aveva, stranamente, accettato senza obiezioni, perché pensava che qualcosa di allegro sarebbe stato un bene per tutti loro, risollevando, per quanto possibile, la grigia atmosfera che li aveva avvolti da qualche mese.
Poi, però-
Poi, però, qualcosa è andato storto, la situazione è peggiorata e riunire l’Ordine per una sciocchezza come una festa non è stato consigliabile. Sirius è tornato a casa più nervoso e irascibile del solito; troppe, troppe pressioni sulle sue spalle, troppe tensioni accumulate, troppe domande mai poste. E infine l’esplosione, la lite. Furibonda, delle peggiori - “Perché non provi a dirmi la verità, Remus?”, “Perché non ti fidi più di me, Sirius?”.
È normale, pensa Remus, è la guerra. Sì, la guerra rende tutti più nervosi, sospettosi, pronti a scattare alla minima diffidenza - e ce n’è così tanta, di diffidenza…
Allora si costringe a non preoccuparsi, a comportarsi come al solito, anche se, questa volta, nulla sembra come al solito. Se fosse pienamente onesto con se stesso, ammetterebbe che la lite di quella sera è stata solo il risultato di un lento processo che li ha mangiati dall’interno, contaminandoli cellula per cellula ed esplodendo attraverso le loro bocche. Un processo di cui Remus ha perso l’inizio e di cui non sa indicare nemmeno le tappe fondamentali - si muoveva discreto e silenzioso come un serpente -, ma che non ha dubbi su dove li abbia condotti: al nulla.
Ma non vuole pensarci, Remus, non vuole affrontare la possibilità che il nulla li divori davvero - divori Sirius, fuori da casa, così che non possa più tornare. Quindi, si siede in cucina con la sua tazza di caffé, ad aspettare - la cosa che sa fare meglio.
Le lancette dell’orologio si muovono tanto lentamente che sembra che sia stato lanciato un Impedimenta su di esse. Non è un problema, però, Remus sa aspettare, ha la Pazienza dalla sua parte.
31 Ottobre 1981 - 1 Novembre 1981
Notte
Le lancette dell’orologio continuano a muoversi, ma la porta d’ingresso ancora non si è aperta. Remus appoggia sul tavolo la quarta tazza di caffé e, per un misero attimo, lo sfregare della ceramica sul tavolo rompe l’assoluto silenzio della casa.
È diventato progressivamente più amaro, quel caffé; il barattolo dello zucchero è rimasto chiuso dalla terza tazza in poi. Lo preferisce così, perché quel sapore forte giustifica la nausea che ha cominciato a provare con lo scorrere dei minuti - e delle ore.
Adesso, fingersi calmo non funziona; le dita tremano senza che possa controllarle, si limita a stringere la presa intorno alla tazza bollente e rischia di bruciarsi la lingua nella foga di buttare giù il liquido, per lasciar scivolare la sgradevole presenza della delusione, della paura, del dolore, in fondo alla gola.
Serra le dita, si morde le labbra e deglutisce l’ultimo sorso della quarta tazza di caffé. È questo il sapore del nulla?, si chiede.
Guarda l’orologio, le lancette si muovono e la porta non si apre. Nella casa regna il tipico silenzio notturno; Remus si alza per prepararsi la quinta tazza e, per qualche minuto, quel silenzio si rompe di nuovo.
1 Novembre 1981
Mattina
La luce dell’alba che comincia a filtrare dalla finestra lo riscuote dal torpore nervoso in cui è scivolato. L’ottava tazza di caffé amaro giace vuota a poca distanza dalla sua mano sinistra - otto intere tazze che hanno scandito le ore notturne, di attesa, accompagnandolo fino al sorgere del sole, minacciando i suoi nervi e avvicinando il crollo.
Remus guarda l’orologio. La Pazienza non l’ha ancora definitivamente abbandonato - è testarda, con lui, pare non volerlo mai lasciare, come un’amante -; i dubbi, però, sono aumentati e l’istinto continua a suggerirgli di mandare al diavolo tutto - se stesso, se stesso, se stesso - e andarsene a dormire.
Sirius non è tornato, non gli ha dato notizie e Remus avverte la sgradevole e debilitante sensazione che non lo farà più. E sarebbe la cosa più sensata, ora che è l’alba, raggiungere il letto e crollare nel sonno; lo aiuterebbe, persino, a sopportare l’attesa. Ma la Pazienza è testarda e Remus con lei.
Se la finisse di prendersi in giro, però, se avesse il coraggio di staccare gli occhi dall’orologio e posarli sul nulla che l’ha già circondato, Remus si renderebbe conto che ormai è tutto inutile. È inutile la pazienza, è inutile dormire, è inutile persino quella briciola di speranza che, ogni tanto, riemerge dall’amaro. È tutto inutile, perché, anche se Remus ancora lo ignora, stanotte è tutto finito. Tutto finito.
Per capirlo, però, Remus deve aspettare ancora un paio d’ore, quando un gufo grigio dall’aspetto anonimo batterà il becco sulla finestra della sua cucina, portando una lettera da parte di Silente. Solo allora Remus perderà, per la prima volta nella sua vita, il bisogno di aspettare - saprà che non c’è più nulla o nessuno, da aspettare - e desidererà solo urlare. E urlerà, aggrappato al Dolore, che sarà tutto ciò che gli resterà insieme ai Ricordi, urlerà.
Per il momento, però, ha ancora qualcosa da attendere.