Titolo: Dopo la caduta degli dei
Personaggi: Reard
Coppia: Selim/Reard (implicito)
Prompt: [Lista uno: Pasqua] 08. Perdono del
Meme di Aprile di
michiru_kaiou7Raiting: PG
Avvertimenti: one-shot; slash.
Riassunto: Gli era bastato vedere il luccichio dell’anello e tutto gli era stato chiaro.
Note: il titolo è da riferirsi al fatto che il sultano, la prima volta che vede Reard, lo paragona a Ganimede, il fanciullo amato da Zeus e portato sull'Olimpo per servire gli dei come coppiere; considerando questo, ho semplicemente continuato la metafora e la caduta degli dei si riferisce al momento in cui Reard scappa da Selim, ovvero al momento in cui perde tutto ciò che aveva prima, tutti i privilegi che aveva 'sull'Olimpo'.
La donna si era avvicinata a lui, dicendogli a stento qualche parola; poi, senza aggiungere altro, gli aveva consegnato un sacchetto e se n’era andata. I ragazzini a cui insegnava lo avevano guardato con curiosità e lui, dopo un attimo di incertezza, aveva sciolto il laccio.
Gli era bastato vedere il luccichio dell’anello e tutto gli era stato chiaro; gli era bastato guardare la gemma incastonata nell’oro per venire assalito dai ricordi della sua vita precedente, da tutto il dolore insopportabile che il suo animo aveva penato, da tutte le sofferenze che gli avevano torturato il cuore, lacerandolo, rendendolo quasi insensibile a nient’altro che non fosse angoscia.
Con le mani che tremavano, stringendo l’anello nel palmo della destra, spiegò la lettera che il sultano - Selim - gli aveva scritto. Era breve e sintetica, priva di giri di parole: gli chiedeva perdono, per tutto ciò che gli aveva fatto. Gli chiedeva perdono per essere stato accecato dalla gelosia, dal timore che qualcosa o qualcuno avesse potuto portarlo via da lui; per avergli mentito, per essere stato così possessivo, così ossessionato da lui. Per avergli impedito di vivere serenamente come meritava, e per avergli negato il diritto di conoscere il suo passato, chi era, da dove veniva.
Le ginocchia non lo reggevano, tremavano e Reard le sentiva molli. Si accasciò a terra, stringendo la lettera al petto, come se in quel modo potesse trattenere la piccola parte di Selim che su quel foglio si era riversata, prendendo la forma di parole d’inchiostro.
Avrebbe voluto averlo davanti per potergli dire tante cose, parole sulle quali aveva riflettuto a lungo, per tutto quel tempo; ma sapeva che, anche se gli fosse stato possibile incontrarlo, non sarebbe riuscito a dirgli niente di tutto ciò che si era preparato. In quel momento, poi, nella sua mente, confusa dal dolore e dalla nostalgia, l’unica cosa che Reard riusciva a pensare erano i ricordi felici: ricordava la gentilezza che Selim gli aveva sempre riservato, fin dall’inizio; il modo in cui le sue mani e le sue dita gli sfioravano il viso, gli carezzavano i capelli, con delicatezza e cura, come se fosse stato il più prezioso fra i tesori; il modo in cui i suoi occhi lo guardavano, infiammati di passione.
In fondo il problema era sempre stato unicamente quello: Selim era solo un uomo estremamente passionale e possessivo e lui, forse, non era stato in grado di capirlo, di gestire quell’amore impetuoso. Accecato dalla sua voglia di scoprire le sue origini, come forse aveva diritto di fare, non aveva compreso i timori e le paure del sultano che diceva d’amare e al quale aveva giurato fedeltà. Lo aveva ferito e, di rimando, Selim aveva ferito lui, in un macabro gioco di pesi da equilibrare, come se loro due fossero piatti di bilance.
Ma in quel momento avrebbe solo voluto dirgli che lo perdonava, lo aveva già perdonato da tempo; le colpe stavano da entrambe le parti ed entrambi avevano pagato e stavano pagando ciò che avevano fatto l’uno all’altro.
Reard aprì gli occhi, inconsapevole d’averli chiusi, accorgendosi solo allora che stava piangendo; si asciugò le lacrime, mentre ripiegava con cura la lettera e metteva l’anello al dito, come Selim avrebbe voluto. Sospirando, si pentì d’aver continuato a fingersi morto per tutto quel tempo, per aver permesso che il suo sultano soffrisse nel modo in cui lui ora stava soffrendo. Sperava, timorosamente, come se non meritasse di serbare una tale speranza, che Selim lo perdonasse anche per quello.
Si alzò da terra, finalmente, voltandosi verso i suoi alunni, che per tutto il tempo erano rimasti in silenzio ad osservarlo; sorrise, sedendosi nuovamente in mezzo a loro, e riprendendo a parlar, con la voce che tremava leggermente per l’emozione. In fondo dentro di sé Reard sapeva che tutto era perdonato e che l’amore di Selim per lui non era mai svanito, come il suo per il sultano non era mai diminuito.