Titolo: Crumbling down
Fandom: Final Fantasy XII
Claim: Ashelia B'nargin Dalmasca
Personaggi: Ashelia B'nargin Dalmasca, Vossler York Azelas
Prompt: 01. Black
Rating: PG13
Conteggio Parole: 2542 (MSWord dixit)
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fanfic_italia Crumbling down
[
12_teas]
01. Black
«Mio padre?»
La sabbia entrava sciamando dalle finestre aperte delle sue stanze, mentre una
corolla di dame tremanti la spingeva giù dalle coperte damascate del
letto. Il vento raggelò l’esile stoffa della sottana mentre correva
insieme a loro, spintonata a viva forza lungo le lussuose file di tappeti.
Davanti a sé aveva una ragazzina che non doveva avere più di undici
anni. Scarmigliati capelli biondi cadevano su un paio di spalle che fremevano
di freddo e di orrore. Al petto, notò, stringeva i suoi abiti da lutto,
quelli a cui Ashe non si era ancora del tutto abituata.
Mio padre, scandì rapidamente nella sua testa. Aveva afferrato
solo alcune delle parole spezzate della governante, ma ciò che aveva
udito le era stato più che sufficiente per capire che il loro filo logico
non le sarebbe affatto piaciuto. La sua dama di compagnia la spogliò
senza le cerimonie con cui l’aveva asfissiata per anni, lasciando che
le ragazzine le allacciassero le vesti sul corpo.
«Correte, Altezza, e non guardatevi indietro!» la supplicò
con voce querula, infilandola nel passaggio segreto nascosto dietro a un arazzo.
La investì il freddo antico del cunicolo.
Si sentì come una madre impotente nel mezzo dei pigolii indifesi delle
sue bambine, ma la sensazione durò un istante - Ashelia B’nargin
Dalmasca non conosceva sconforto, non più - e, un secondo dopo,
già reggeva una torcia fra le mani.
«Non di là, Altezza!» strillarono le ancelle, tirandola verso
una curva di ripidi gradini «Abbiamo delle direttive dal Marchese Ondore!»
Il nome di suo zio le fece gelare il sangue nelle vene - non perché
lo meritasse effettivamente. Semplicemente, quando il capo di uno Stato interveniva
deliberatamente negli affari di un altro, significava che la guerra era iniziata
senza dubbio alcuno, e lei…
E lei?
La notte, a Dalmasca, era calda e secca, ma i cunicoli le sembravano gelidi
come una tomba, mentre le ragazze la scortavano lungo la discesa. Del mondo
esterno, fatto di fuoco e sabbia calda, di sangue e di guerra, arrivava solo
un cupo, confuso rimbombo, un vago ululato presago di morte e di sventura. La
pelle d’oca le salì lungo le braccia, e le ragazze, incuranti,
continuavano a tirarla per i veli, per le mani, mentre dal piano superiore giungevano
strilli e pianti di donne, segno che gli archadiani erano penetrati a palazzo.
Tutto questo, mentre la loro principessa stava scappando come una vigliacca.
Il pensiero la inseguiva come uno sciacallo affamato, mentre avanzava lungo
quelle strettoie. Non aveva tempo per pensare, però - farlo equivaleva
a fermarsi, fermarsi a morire: con orrore, Ashe si rese conto di averne un folle
terrore, nonostante gli invasori stessero appiccando il fuoco a Rabanastre,
là fuori, massacrando il popolo di quella Dalmasca per cui lei avrebbe
dato - o dovuto dare - la vita.
Perse una delle babbucce e preferì ignorarla, lasciando che la pianta
del piede si graffiasse sulla pietra viva, e così fece quando l’altra
ne imitò la sorte, pochi secondi dopo.
«Non temete, Altezza, ci siamo quasi!» cinguettò una delle
sue donne, nel tentativo di rassicurarla, mentre la spingeva contro il rettangolo
di una grata dorata.
Ashe non rispose. Spinse quella barriera d’ottone con forza perché
capitolasse al suolo e, quando lei e il suo sèguito rotolarono dietro
di essa, Ashe si ritrovò premuta, con sua sorpresa, contro un petto bardato
di un acciaio familiare.
«Vossler» riuscì appena a sussurrare, ma il capitano la fissò
con un barlume di tristezza che si impegnò subito a reprimere.
«Non vi fermate, Lady Ashe» le intimò, afferrandole una mano
e trascinandola lungo il corridoio rivestito di marmo. Con le ancelle dietro
di sé, la principessa obbedì senza discutere.
Riconosceva quel luogo: li avrebbe condotti al deposito collegato ai Canali
di Garamsythe, ma, ora come ora, si trattava di un campo di battaglia a tutti
gli effetti.
Cadaveri di soldati imperiali ed alleati giacevano accatastati l’uno sull’altro
lungo le pareti chiazzate di sangue, e Ashe osservò quei volti lividi
e butterati senza abbassare lo sguardo, squarciata da una fitta di dolore.
«Per gli dèi, Vossler, cosa sta succedendo?» chiese, sovrastando
gli strilli spaventati delle ragazze. In realtà, temeva che la sua risposta
desse conferma a tutti i suoi timori.
«Siamo stati traditi, milady. Nalbina è caduta… e Sua Maestà
assieme ad essa.»
Ashe tacque.
Vossler si voltò verso di lei per un istante, senza rallentare la loro
corsa. Strinse con più forza la sua mano quando vide la principessa cambiare
colore.
Improvvisamente, Ashe si rese conto di quanto camminare su quei piedi disseminati
di tagli fosse faticoso, di quanto quel correre l’avesse stremata.
«Gli archadiani sono arrivati a questo punto… Come…»
Non riusciva a immaginare il cadavere di suo padre: si sentiva sospesa in una
bolla di nausea e di rifiuto, e l’immagine di Rasler immerso nel mortuario
letto di fiori della sua bara si sovrapponeva a quello che non riusciva a figurarsi,
come se i suoi pensieri fossero sovraccarichi. Solo la voce di Vossler la riportò
al presente, per rispondere alla sua domanda spezzata. Proprio mentre si chiudevano
alle spalle il pesante ingresso del deposito, Ashe tese l’orecchio per
cogliere un suo profondo sospiro. Stordita e indebolita dall’entità
delle rivelazioni - contro ogni sua intenzione - non si accorse
nemmeno di fremere in previsione di un’altra sventura.
Calmata l’urgenza di trascinarla lontano dal tumulto dei piani alti del
palazzo, Vossler si fermò per volgersi verso di lei e guardarla fissa
negli occhi.
«È stato il capitano Von Rosenburg, Vostra Maestà»
sussurrò, osservandola con la desolata, raddolcita tristezza di chi compativa
profondamente la sua situazione.
Stavolta, le labbra di Ashe tremarono davvero.
«Basch?» esalò, con un filo di voce, con le lacrime che scintillavano
sull’orlo delle ciglia: non c’era stato momento in cui, nella sua
infanzia, non avesse alzato il suo sguardo ammirato di ragazzina sulla figura
solida e raggiante di quel giovane che per lei aveva sempre in serbo una parola
saggia o gentile, che accendesse la sua fiducia e guidasse i suoi passi. I suoi
sorrisi gentili e la limpidezza dei suoi occhi svanirono in uno sbuffo di cenere.
Il suolo compatto su cui Basch aveva costruito una Lady Ashe sicura dell’amore
e della fiducia di chi le era intorno franò sotto i suoi piedi e la lasciò
precipitare senza alcun appiglio. In un solo istante realizzò che nulla
di quel che l’aveva sostenuta era ancora al suo fianco: di Rasler rimaneva
solo il rimpianto, e di Basch e suo padre neanche l’ombra.
Su cosa aveva gettato le basi di se stessa fino a quel momento? Su quali promesse,
su quali bugie? Il dispiacere si trasformò subito in un fuoco di collera.
Lottò contro il velo di lacrime che si inspessiva davanti agli occhi.
Non parlò: inghiottì con testardaggine e, tirando la mano di Vossler
intrecciata alla sua, lo incitò a proseguire. Sgusciarono rapidamente
sconfinando nei Canali di Garamsythe, fra lo squittio molesto dei ratti mannari,
l’umidità e il tanfo.
Ashe lasciò rimbalzare ovunque lo sguardo, con lo stomaco annodato e
la gola che le doleva: adagiati su mucchi di stracci, assistiti da donne dai
volti smunti, gemevano uomini e ragazzi feriti dalla furia dell’esercito
di Archadia.
«La Resistenza» spiegò Vossler con aria sgomenta, portando
la principessa al suo fianco e cingendole la vita con un braccio, come per evitare
di farle appoggiare troppo peso sui piedi sanguinanti. Schiacciata contro di
lui, con le ancelle che camminavano come a farle da ombra, si accorse che le
dita ruvide e callose del capitano stavano tentando di dispiegare il velo da
lutto ai lati del suo viso per impedirle di vedere la disperazione che li circondava.
In uno scatto iroso, Ashe allontanò quelle due dita con uno strattone
e si liberò bruscamente di quell’inutile drappo.
«L’unica cosa di cui ho bisogno ora è chiudere gli occhi!»
ruggì, avvolgendo l’ampio ricamo attorno alle spalle pallide.
«Perdonatemi» si scusò Vossler, accennando un inchino. A
testa bassa, Ashe non rispose, e si lasciò sospingere in uno sgabuzzino
lì vicino.
La porta si chiuse con un rimbombo, e il capitano si sentì libero di
lanciarle una lunga occhiata.
Vide una ragazza ammantata in un colore troppo scuro per la bianchezza del suo
viso, i veli degli abiti che si erano strappati e impolverati nel tragitto lungo
i cunicoli, i piedi laceri, gonfi, luridi. Le sue piccole donne, senza sapere
cosa fare, la guardavano spaurite, disorientate quanto lei. Ashe scivolò
lungo la parete con un singhiozzo e, raggomitolandosi con le ginocchia contro
al petto, cominciò a piangere, scossa da singulti che la facevano sobbalzare
come colpi di proiettile, tanto che le sue lacrime scivolavano rapide lungo
le guance e cadevano ai suoi piedi in grosse gocce.
Vossler si precipitò ad appoggiarle una mano sulla spalla e, senza parlare,
aspettò che si calmasse.
«Avrei dovuto esserci anch’io, fra quei morti! Quale dannato senso
ha tutto questo?» gli giunse alle orecchie in un gemito soffocato. Con
pazienza, lui le porse il braccio per guidarla fino alla branda che aveva piazzato
all’angolo della stanza prima di procedere al suo salvataggio, nel tentativo
di rendere più sostenibile il suo rifugio. Adesso che assisteva alla
sua disperazione, capiva di poter fare ben poco.
«Voi siete l’unica in grado di restituirlo, quel senso» le
assicurò sommessamente.
Senza alzare gli occhi, Ashe si sollevò a cingere le braccia attorno
al collo del capitano, aggrappandosi a lui come a un monolite, come all’ultimo
perno rimastole. Vossler, sorridendo mestamente, le accarezzò appena
la testa in un gesto paterno, per poi fare in modo che si sedesse sulle coperte
ingrigite.
Completamente esausta, la principessa si gettò distesa sul materasso,
un piede dolorante che sporgeva ciondoloni. La stanchezza la investì
in pieno come un fiume d’olio bollente, cosa che convinse le ancelle e
Vossler a fare il più piano possibile per non disturbarla.
La principessa, tuttavia, non dormiva: girata su un fianco, fissava il vuoto
della parete senza espressione alcuna, accennando di tanto in tanto qualche
respiro più profondo.
Il capitano rimase in silenzio ad armeggiare con lo scaldino di terracotta che
aveva provveduto a portare, sperando di poter far fronte al freddo e all’umidità
di quell’alloggio di fortuna, per il breve tempo in cui sarebbe loro servito.
«Vossler… cosa ne è stato di Basch?»
Lui si girò verso di lei in un movimento improvviso, ma Ashe non lo stava
guardando: preferiva continuare ad osservare le crepe del muro di fronte.
«È stato riconosciuto colpevole di alto tradimento dagli archadiani
e immediatamente giustiziato.»
Capisco, avrebbe voluto assentire lei, ma l’amarezza e l’impotenza
le chiudevano la gola con minuscole maglie: anche a volersi adirare, il colpevole
- che aveva smembrato come un volgare traditore le uniche cose da cui Ashe avrebbe
potuto ancora trarre speranza, che aveva voltato le spalle alla sua patria e
alla sua stima - era stato cancellato senza alcuna possibilità di appello.
Aveva condiviso la morte di quel padre che lei aveva tanto amato, e nulla avrebbe
più potuto rinverdire la terra bruciata intorno a sé.
«Bevete questo, Maestà,» la esortò Vossler, avvicinandole
alle labbra una tazza ricolma di un fumante infuso scuro «vi aiuterà
a non pensare.»
Ashe obbedì, bevendo a piccoli sorsi. L’infuso era amaro, con un
vago retrogusto dolciastro, uno di quelli che le somministravano da bambina
durante gli accessi di febbre troppo alta.
Quando l’ultima goccia le bagnò le labbra, la principessa chiuse
gli occhi per abbandonarsi a un sonno buio e senza sogni.
*
Vossler si svegliò d’improvviso. Nulla gli indicava
che l’alba stesse per sorgere, ma il suo orologio biologico non era mai
stato suscettibile di alcun margine d’errore.
Lady Ashe era ancora profondamente addormentata, là sulla branda, ma
non era purtroppo possibile lasciare il suo sonno indisturbato - un drappello
della Resistenza sarebbe arrivato a scortarli a breve in un posto più
sicuro, e non potevano arrischiarsi a ritardare in un luogo così esposto
e eventuali perlustrazioni archadiane.
Si liberò dell’involto di coperte in cui si era sistemato a dormire
e provvide a svegliare le piccole ancelle, per poi rivolgersi alla sua protetta.
La smosse leggermente.
«Dobbiamo andare, Vostra Maestà. Rischiamo di non poter incontrare
la Resistenza, se indugiamo ulteriormente.»
Ashe aveva aperto gli occhi a fatica, appesantita dagli effetti del filtro della
sera precedente, ma la realtà orribile e incombente che li incalzava
aveva presto dissipato anche il sonno più inamovibile.
Con fare efficiente, l’uomo le offrì fichi dolci e pane nero per
colazione.
«Tenete, questi sono da parte del Marchese Ondore» aggiunse poi,
tendendole alcuni indumenti e una brocca per lavarsi.
Ancora intontita, la principessa osservò con aria critica gli abiti succinti
al suo cospetto, a suo parere degni di alcune delle peggiori compagnie femminili
di Bhujerba.
«Per chi mi ha presa mio zio?» domandò con acrimonia, lanciando
sguardi ostili alla minuscola gonna di pelle che avrebbe dovuto indossare.
«Certamente nessuno verrà mai a dare la caccia a una principessa
con un simile abbigliamento. Non in una città grande e affollata.»
azzardò il capitano, lasciando la stanza alla sua protetta e al suo giovane
sèguito.
«No» si oppose la principessa, quando le bambine le si avvicinarono
per sciogliere i nastri e le chiusure dei suoi abiti rovinati. Rovistando sotto
gli strati sottili delle gonne, estrasse uno stiletto e cominciò a strappare
i lacci, per poi ammucchiare i brandelli in un angolo. Si lavò con perizia
facendosi innaffiare dall’acqua gelida e si infilò nei pochi triangoli
di vestiario messi a sua disposizione, assicurando al suo fianco la spada scintillante
di cui erano stati corredati. Vossler rientrò per raccogliere i loro
effetti più indispensabili e per fornirle un drappo che coprisse le sue
fattezze. I due salutarono con mesto calore le ancelle piangenti, pronte a disperdersi
fra le viuzze di Rabanastre, così come era stato loro ordinato. Il capitano
e la principessa le videro trottare rapide a confondersi nella folla di derelitti
che stava stipata all’interno dei Canali di Garamsythe.
Senza ulteriori commenti, Vossler lanciò una brace su quelli che erano
stati gli abiti da vedova della sua signora, e con lui la principessa si avviò
verso la luce del sole, mentre, per un istante, il barbaglio di quelle fiamme
allungava la loro ombra sul suo corpo di ragazza.
*
Spuntando fuori dalle fogne, videro gente in ogni dove, una
moltitudine impegnata in un fitto viavai di sussurri, che si scambiava occhiate
preoccupate. Ashe alzò gli occhi sul palazzo di Rabanastre, la sua casa,
che svettava alta nella luce del giorno, come se nulla fosse accaduto. Strinse
forte la stoffa che la copriva quando distinse il Marchese intento a parlare
alla finestra, a dire che-
Che “La nobile Lady Ashe, distrutta dal dolore per la sconfitta del suo
popolo, si è tolta la vita”.
Di certo zio Halim sapeva come risolvere i problemi.
«Se c’è una persona che può dare a Dalmasca la speranza
che aspetta e merita, Vostra Maestà,» Vossler si intromise nei
suoi pensieri come se il loro filo si stesse dipanando fra le sue dita «vi
assicuro che si tratta di una principessa defunta.»
Ashe scrutò la sua espressione da sotto il cappuccio del mantello e annuì,
concedendosi - nonostante la sconfitta, nonostante la rabbia e il dolore,
nonostante in un quadro esterno sembrassero una prostituta e un cliente, più
che un soldato e la sua regina - un piccolo sorriso, senza troppo entusiasmo.
Poi, evitando di aggiungere altro, seguì Vossler fra la folla.
~
A/N 18 novembre 2008, ore 17:00.
Aww. Il mio claim su 12_teas ha più o meno l’obiettivo di essere
il più variegato possibile, e di collegare Ashe a quanti più personaggi
posso *cuori*. Ora, nonostante tutto, io amo Vossler, e questa cosina -
che magari è venuta un po’ noiosa - sul rapporto che lo lega
ad Ashe volevo scriverla già da un po’… come ignorare l’annuncio
del falso suicidio nella nostra principessa? Che poi, potrei anche aver stuprato
brutalmente il canon, chi può dirlo XD. Eppure, io penso che Ashe possa
essere crollata, in un momento del genere. Poi, ci sono due cose a cui non ho
potuto resistere… Uno, l’hint Basch/Ashe XD. La fangirl in me non
sa proprio quando è il momento di ritrarsi, per fortuna <3. Due, le
origini dello scandaloso vestiario della Nostra - che è uno dei
deplorevoli motivi per cui ho scritto questa storia, dato che non mi piace pensare
che questo sia l’abituale del guardaroba reale dalmasco… Roba da
far diventare scemi i valletti! XD Ridiamo un po’ di dignità a
Sua Maestà! E, cosa ancora più fantastica, buona parte l’ho
scritta a scuola, di getto, per tutta la giornata *___*. Consiglio di ascoltare
Nothing Else Matters, Metallica, che mi ha accompagnata durante la stesura della
seconda parte.
Spero che vi piaccia, in attesa del Basch/Ashe!
Juuhachi
Go.
01.
Black
02. White
03. Green
04. Chamomile
05. Country Peach Passion
06. Lady Grey
07. Lemon and Ginger
08. Pure Peppermint
09.
Winter
Ease
10. Chocolate Caramel Enchantment
11. Cinnamon Apple Spice
12. Forest Fruits