Titolo: The Empty Room - La stanza vuota
Autore:
germanjjGenere: RPS, Angst (tanto, tantissimo angst), Drama, hurt/comfort
Pairing e personaggi: Jensen/Jared (J2), un po' tutti i soliti.
Rating: NC17
Warning: slash, angst (sì dai, ancora un pochino) un Jensen so perfect it hurts.
Note: Siamo arrivati alla fine. Beh, quasi, manca solo l'epilogo. Ma oggi arrivano le risposte. Per voi e per Jared. La nota sdolcinata la lascio per l'epilogo XD
precedente Era strano per Jared; sedersi nell’ufficio della Dottoressa Moira, parlare dei suoi sentimenti, cercare di stare meglio, quando sapeva che la verità era molto più incredibile di quanto avrebbe mai potuto spiegare.
«Jared, non sei completamente con me oggi, vero?» gli chiese la dottoressa, un sorriso nella voce.
«Già, mi dispiace, dottoressa. È che…sono un po’…»
«Distratto?» lo aiutò lei con un sorriso.
«Già.» Jared si sentì arrossire, ma non importava.
La Dottoressa Moira stava guardando i suoi appunti, accigliata. «Quindi Jared, come è andato il nostro piano?Hai provato quello che ti ho detto? Sei stato capace di muoverti nei tuoi sogni?»
Jared annuì lentamente. «Sì. Io…io riuscivo a ricordare che stavo sognando.» Soppresse per breve tempo la voglia di suonare arrabbiato, di dirle che lei era responsabile del fatto che aveva perso Jensen.
«Quindi, cosa hai scoperto?»
‘Che lui è reale. Che fa parte della mia vita. Che qualcuno l’ha preso e farò di tutto per riportarlo indietro.’ Ma Jared non disse niente di tutto ciò.
«Io..» iniziò ma si bloccò di nuovo. Cosa doveva dire?
«Jared, ho bisogno della verità da te, o non posso aiutarti.»
Jared annuì e si alzò. Era troppo nervoso per rimanere seduto, camminò verso il mobile e cominciò a giocare assente con una delle foto. Una mostrava tre ragazzine di età diverse, tutte apparivano vagamente familiari ma la mente di Jared era lontana anni luce.
«Cosa ho scoperto?» ripetè la sua domanda. «Che non posso vivere senza di lui. Che non riesco a respirare quando mi sveglio perché fa male fisicamente quando vengo strappato via da lui. Che non riesco a sentire niente perché i miei sensi sono spezzati a metà e tentano di rimanere con lui. Va bene come verità?»
Si voltò verso la dottoressa, affrontandola con un’occhiataccia.
Lei si limitò ad annuire, non arrabbiata, non delusa come lui si aspettava, ma sembrando contenta della sua risposta.
«È la verità. Ti ho detto qual’era il prezzo per la tua onestà, no?»
«Sì.» Prendendo un respiro profondo si voltò di nuovo.
E poi si bloccò.
«Non l’ha fatto.» sussurrò.
«Scusami?»
«Non me l’ha detto.» Jared si voltò, gli occhi spalancati, la consapevolezza che lentamente arrivava a lui.
«Sono abbastanza sicura di sì.» obiettò lei.
«No!» urlò lui all’improvviso. «Non qui! Non nella realtà!» Fece un paio di passi verso di lei, la sua rabbia che cresceva e cresceva mentre capiva finalmente. «Me lo ha detto nei miei sogni! E come può saperlo se non è…»
Il suo sorriso si trasformò in un ghigno. «Hai ragione.» sussurrò.
«Ridammelo.» disse, a malapena mantenendo il controllo.
«Oh, tesoro, non posso. Ma tu conosci qualcuno che potrebbe aiutare, no?»
E con quello sparì. Proprio davanti ai suoi occhi e se Jared non avesse sofferto le settimane passate, se non avesse saputo la verità, nel profondo, avrebbe finalmente pensato di essere diventato pazzo.
Jared si diresse come una furia alla sua macchina, armeggiando con le chiavi e il cellulare, cercando di fare tutto nello stesso tempo.
Il suo cuore batteva all’impazzata. La risposta che cercava finalmente davanti a lui.
Al volante, prese il cellulare e digitò il numero di Steve, attendendo impaziente che rispondesse.
«Steve? So chi è stato.» disse nel telefono non appena ricevette risposta. «So chi è resposabile. So chi l’ha preso.»
«Jared? Cosa? Dove sei?» La voce di Steve arrivò allarmata e confusa.
«Sto andando da quella medium. Forse lei saprà cosa fare.» informò il suo amico, tenendo un occhio sulla strada mentre guidava la macchina ignorando ogni limite di velocità.
«Rallenta Jared, cosa mi stai dicendo?»
«È stata la dottoressa!» urlò, incapace di tenere la voce bassa con l’adrenalina che gli scorreva nel sangue. «Quella cazzo di dottoressa tutto il tempo! Lei lo ha preso. In qualche modo l’ha preso e…l’ha fatto svanire dalle nostre vite.»
«No, Jared.» lo avvertì Steve. «Vieni prima a casa. Dobbiamo parlarne, okay?»
«Steve, no! Devo riprenderlo! Ho bisogno di riaverlo, adesso!»
L’uomo all’altro capo del telefono piagnucolò frustrato. «È troppo pericoloso amico, cazzo. Torna qui e andremo insieme!»
«Non capisci Steve.» sussurrò Jared, la voce tremante. «Devo farlo ora! Devo riportarlo indietro ora! Non posso aspettare un fottuto secondo di più.»
«Non fare niente di stupido, Jared!» urlò Steve attraverso il telefono.
«Troppo tardi.» Jared terminò la chiamata, gettò il cellulare sull’altro seggiolino e continuò a guidare.
Non dovette nemmeno bussare. Volò su per le scale della veranda e la portà si aprì, la signora Morta in piedi dietro di essa; la donna lo guardò con un’espressione indecifrabile sul volto.
«So chi è stato!» gli disse, senza preoccuparsi di essere gentile e aspettare che gli dicesse di entrare. Si limitò a infilarsi fra la donna e la porta e ad entrare in casa.
«Può riportarlo indietro? So che ha detto che riguardava me, ma per piacere? Lei può portarlo indietro, giusto? La prego!» chiese senza fiato, il petto che si alzava e le mani che si agitavano, gli occhi che la imploravano.
Lei lasciò solo cadere la testa da un lato e gli regalò un sorriso.
«Prima entra, giovanotto, e parliamone.» Lo passò e lo condusse al soggiorno, camminando lentamente, al contrario del comportamento nervoso di Jared.
«La prego, deve aiutarmi!»
A Jared non importava quanto disperato suonava. Era disperato.
«Non preoccuparti. Sta tornando da te, figliolo.»
Jared non vide la sua faccia, la seguì soltanto mentre camminava verso di lui, chiedendosi come poteva suonare così…allegra.
La signora Morta si girò e scosse la testa, sollevando Jared con un lieve sorriso.
«I rami di realtà si uniranno di nuovo, proprio come voi due. Ma devi calmarti ora. Tutto andrà per il verso giusto.»
Jared rimase fermo, sussultando alle sue parole. Come poteva apparire così calma? Come poteva apparire come se sapesse tutto?
«Come fa a sapere tutto questo?» chiese, guardandola confuso.
«Oh, tesoro.» disse con un tono divertito.
«Sono io quella che l’ha preso.»
I secondi passarono mentre Jared cercava di capire le sue parole. «Cosa?»
«Sono io quella che l’ha preso.» ripeté lei semplicemente, come se niente fosse. Come se non gli avesse appena detto che aveva causato tutto.
«No, in realtà, noi l’abbiamo preso.» un’latra voce arrivò e Jared sussultò, si voltò, per trovare la dottoressa Moira in piedi vicino alla scrivania…e Nona appoggiata ad essa.
«Cos’è tutto questo?» indicò Jared fra loro, il cuore martellante nel petto. «E chi diavolo siete voi?»
«Jared» iniziò Nona, che con la sua voce cercava di calmarlo. «Devi capire.»
«Cosa?!» urlò lui. «Cosa diavolo c’è qui da capire? Avete portato via Jensen da questo mondo! Questo mondo! E avete distrutto così tante vite facendolo! Avete distrutto me!»
«No, Jared! Non riguarda questo!» Non sembrava triste, i suoi occhi lo imploravano di capire.
«Loro non ricorderanno, Jared.» gli disse la signora Morta, «Una volta che sarà tornato, nessuno ricorderà tranne te.»
«Ma…perché?» suonava debole ora, esausto, e le parole rimasero nell’aria mentre lui le guardava una ad una.
«Perché era importante.» disse seria la dottoressa Moira. «Perché doveva essere fatto. Perché il tuo destino era in pericolo e doveva essere adempiuto.»
«State parlando di…di Jensen?»
Tutte e tre annuirono.
Jared rise, vicino all’isterismo. «Quindi, cosa? Così mi sarei innamorato di lui? Così avremmo potuto stare insieme?»
Morta scosse la testa, un ghigno sulle labbra. «No dolcezza. Te la sei cavata benissimo in quella parte. Infatti, in qualsiasi modo guardassimo alle vostre vite, qualsiasi ostacolo avessimo calcolato, non c’è mai stao il rischio che vi sareste innamorati.»
«Cosa diavolo importa a voi?» Jared voleva sapere, la sua voce al limite.
Le donne si scambiarono un’occhiata, comunicando in silenzio.
Fu Nona a parlare per prima. «Non è così poco importante come potrebbe sembrarti. Il Destino non lo è mai. Ascolta, quando ho filato il tessuto delle vostre vite, potevo sentirlo scivolare fra le mie dita, entrambi i tessuti così freschi e nuovi, così pieni di promesse. È stato un piacere guardarvi crescere, guardarvi diventare gli uomini che dovevate essere.»
Jared la fissò shockato, ancora senza capire, ancora inconsapevole di cosa significasse tutto questo.
«Chi siete?» chiese di nuovo.
«Io sono Nona, sono una Parca. E queste sono le mie sorelle, Decima e Morta. Potresti aver sentito parlare di me nelle favole o nelle lezioni di storia. Ma magari non hai mai creduto in me. Beh, per la cronaca, io ho sempre creduto in te.»
Jared continuò a fissarla, ogni istinto gli diceva di non crederle, di non fidarsi, che era pazza. Ma con un’improvviso scossone realizzò che sapeva.
«Jared-» Decima attirò l’attenzione su di lei. «Io ho legato i vostri destini insieme, il tuo e quello di Jensen. Le vostre vite sono inseparabili. Ma se tu non segui quello che è scritto per te può distruggere l’ordine cosmico.»
Jared impallidì. «Questo significa che non avevo scelta? Che non avevo scelta se non innamorarmi di lui?»
La signora….no, Morta rise. «Oh, tesoro, da quando l’amore è una scelta?»
Ma le altre sorella la guardarono male e Decima parlò ancora. «Hai sempre una scleta. Io posso solo legare i vostri destini insieme, sta a te scegliere come vivere quella vita. Potevate finire come nemici, come cognati, come amici, come qualsiasi cosa puoi immaginare. Ma le vostre vite sono destinate ad essere passate insieme.»
«Sei stato tu ad esserti innamorato di lui.» aggiunse Nona, sentendosi come se dovesse davvero fargli capire. «Nessun’altro ha fatto questo. È stato tutto opera tua.»
«Possiamo cambiare la realtà, Jared.» continuò la dottoressa Moira. «Possiamo dividerla. Possiamo cambiare le apparenze e la struttura. Possiamo cambiare il corso del tempo e il percorso della luna, se dobbiamo. Possiamo cambiare tutto ciò che riguarda la tua vita in un battito di ciglia. Ma non possiamo cambiare te, Jared. Quella è l’unica cosa su cui non abbiamo potere.»
Jared rimase silenzioso per molto.
Con le mani tremanti seppellite nei capelli, finalmente alzò lo sguardo. «Ancora non mi avete dato un motivo. Ancora non so perché l’avete fatto.»
«Lascia che ti mostriamo qualcosa.» La dottoressa Moira fece un passo avanti, toccando gentilmente la spalla di Jared, facendolo voltare a guardare la porta della cucina di Morta.
Quella non era più di Morta.
Jared sussultò quando gli occhi gli caddero sull’immagine di fronte a lui, vedendo le forme e i colori così familiari della propria cucina.
Guardando Jensen, seduto al tavolo, la testa abbassata, gli occhi sul copione davanti a lui.
Guardando se stesso, in piedi vicino al frigo, la schiena voltata verso di lui, che pelava patate.
Gli occhi di Jared si spostarono appena, capendo che si trovava ancora in casa di Morta, che le tre donne erano ancora dietro di lui, prima di fissarsi di nuovo sulla scena di fronte a lui.
«Mi ricordo questa scena.» sussurrò Jared e non si rese nemmeno conto di averlo detto ad alta voce.
«È successo, mesi fa. Un paio di giorni prima che lo portassimo via.» sussurrò la dottoressa Moira.
Poi il Jared davanti a lui parlò.
«Sai, Jensen, ho pensato, amico.»
Jared poteva sentire quanto esitante suonava, poteva ricordare quanto nervoso si era sentito in quel momento.
«Okay, cosa?» Jensen rispose casualmente, ma non alzò lo sguardo.
«Io…non pensi che…Pensavo solo che…forse dovresti trasferirti.»
Jared si ritrasse quando vide la reazione di Jensen. Gli occhi di Jensen si spalancarono e si tese, la schiena chiaramente irrigidita.
Il Jared del passato però rimase all’oscuro di quello che stava avvenendo dietro di lui.
«Okay. Posso chiedere perché?» rispose Jensen e Jared poté solo sentire lo sforzo nella sua voce, perché non lo stava guardando in faccia.
«Io…dio, non so come dirtelo senza sembrare…sdolcinato.»
Jared poteva leggere la confusione che cresceva sul viso di Jensen.
«Jay.»
Il Jared del passato si girò a quello, lasciando cadere il coltello nel lavandino della cucina.
«Non pensi che siamo diventati un po’…troppo intimi?» chiese l’altro Jared. «Voglio dire, non riesco nemmeno a pensare di lasciare questa casa e…te. Dio, sembro sdolcinato. Seppellì la faccia nelle mani e rise.
«Intendo solo che mi sono attaccato così tanto a te amico, che non riesco più ad immaginare la mia vita senza di te ed è tipo…brutto? Perché, come possiamo sposarci e avere una famiglia da soli quando non riesco ad immaginare di vivere senza di te?»
Jared si guardò ridere e guardò le sopracciglia di Jensen alzarsi.
«Che diavolo stai cercando di dire, Jared?»
L’altro Jared si stava mordicchiando il labbro inferiore, il viso che stava diventando serio. «Sto solo cercando di dire che se vuoi sposare Danneel un giorno, non puoi continuare a vivere a casa mia, amico. Ho solo pensato che dovremmo iniziare ora. Sai, prima che diventi troppo difficile.» Le ultime parole erano a malapena un sussurro e poi il Jared del passato scosse le spalle, borbottò un “Forse dovremmo pensarci, sai?” e lasciò la stanza dalla porta che dava sul retro.
Gli occhi di Jared erano incollati al dolore che traspariva dal volto di Jensen, ora che pensava di essere solo.
«Io…» Jared si voltò verso le donne dietro di lui e con la coda dell’occhio potè vedere che la scena si era trasformata di nuovo nella cucina di Morta.
«Io stavo solo cercando di aiutarlo.» si difese Jared.
Era vero. Jared ricordava quel momento e come aveva provato a trovare le parole giuste. Allora aveva davvero pensato che quello che stava facendo era la cosa giusta. Sapeva che Danneel aveva cominciato a sentirsi messa da parte, da quando Jared aveva rotto con Sandy e Jensen si era trasferito da lui.
Non voleva che Jensen dovesse scegliere fra lui e Danneel. Aveva provato a dargli un’uscita. Aveva provato a vederla come una cosa sua, un suo problema, e non una cosa di Jensen e Danneel.
Non sapeva che aveva ferito Jensen così profondamente con le sue parole.
Ma come poteva importare adesso? Proprio dopo quella scena in cucina, Jensen l’aveva seguito in soggiorno e gli aveva detto che si era lasciato con Danneel. Non c’era stato un singolo pensiero sul lasciar trasferire Jensen dopo quello.
«Sappiamo cosa hai provato, Jared.» Nona lo distolse dai suoi pensieri. «Sappiamo che stavi solo provando ad aiutarlo.»
«Ma i semi erano stati piantati.» concluse Morta.
«Cosa intendi?» chiese Jared senza fiato, la paura nel petto.
«Abbiamo bisogno che tu sia forte, Jared. Che tu sia sicuro.» gli disse la dottoressa Moira. «Perché un giorno i dubbi arriveranno e Jensen penserà che questo non è ciò che vuoi. Che lui non è ciò che vuoi. E noi avevamo bisogno che tu fossi capace di guardarlo negli occhi e dirgli esattamente quello che vuoi. Farlo credere in te.»
Un sorriso crebbe sul suo volto. «Non eri pronto prima. Ora lo sei.»
Jared annuì. Deglutì per scacciare il groppo in gola e sbattè le palpebre per mandare via le lacrime negli occhi.
Avevano ragione. Avevano ragione.
Jared era stato spaventato e confuso. Incerto su cosa e chi voleva. Così tanti anni di convinzioni, sognando di sposare la moglie perfetta e vivere nella loro casa perfetta, avere i loro bambini perfetti; aveva dovuto vivere senza la persona più importante della sua vita per capire che poteva comunque averlo. Avere tutte quelle cose. Con Jensen.
Jared prese un respiro scosso. Non avrebbe capito tutto questo, forse neanche in un milione di anni. Ma non importava. L’unica cosa che importava era che potevano riportarlo indietro.
«Quindi voi…lo riportate indietro, giusto? Portate tutto alla normalità e nessuno ricorderà nulla?»
Le tre sorelle annuirono. «È già tornato. Nello stesso secondo in cui hai attraversato quella porta lui era tornato.» gli disse Decima, con un sorriso caldo sul volto.
Jared stette lì, pietrificato per un momento, prima di voltarsi senza un’altra parola e lasciare la casa.
Doveva tornare a casa.
Il suo cuore stava battendo all’impazzata nel petto e i suoi palmi sudavano quando raggiunse casa sua. Parcheggiò nel vialetto, spense il motore, ma esitò ad uscire dall’auto. Se fosse entrato e Steve e Mike fossero stati gli unici a salutarlo, allora niente sarebbe cambiato.
Ma se non c’erano…Jensen sarebbe potuto essere a casa.
Le sue gambe erano deboli mentre percorreva il corto percorso che portava alla porta. Armeggiò con le chiavi, le mani che tremavano così forte da essere quasi inutili.
La porta si aprì con un click debole, aprendogli la vista sulla sua entrata.
Era silenzioso.
Non c’era Steve che arrivava correndo verso di lui, arrabbiato per la telefonata appena finita.
Non c’era Mike.
Nessuno.
Il sangue stava scorrendo nelle sue vene così veloce, facendogli girare la testa, e Jared incatenò lo sguardo sulla porta che conduceva in camera di Jensen.
Era stata lasciata socchiusa e a Jared ci volle un po’ di tempo prima di fare un passo avanti e aprirla del tutto.
Un singhiozzo gli uscì dalla gola quando vide il letto familiare, la cassettiera, la sedia sotto la finestra.
Cose di Jensen.
Il letto era fatto, la stanza pulita e ordinata, ma non troppo da non sentirsi a casa. Così diversa dall’appartamento a Los Angeles.
Jared stava afferrando il telaio della porta così forte che le sue nocche diventarono bianche, lanciando piccole scariche di dolore attraverso la sua mano.
«Oh, dio.» esalò un respiro, il sollievo così forte che lottava per un po’ d’aria.
Non riusciva a muoversi mentre tentava di sovrastare quelle emozioni. Ridendo e singhiozzando nello stesso momento, Jared si sentì come se potesse svenire in ogni secondo, come se potesse rompersi sotto il peso di quelle emozioni.
«Jensen» sussurrò, e poi più forte, perché non c’era ancora segno di lui «Jensen!»
Il panico crebbe in Jared, il cuore che batteva all’impazzata nel petto.
E se fosse stato un altro trucchetto? Un altro sogno?
Jared sentì i polmoni stringersi di nuovo, si prese la gola con la mano e si obbligò a rilassarsi, a respirare semplicemente.
«Sono qua.»
La voce arrivò dalla cucina e Jared si girò, senza poter credere alle proprie orecchie, ai propri occhi, non voleva ancora crederci.
«Jensen?» chiese senza muoversi. Aveva paura che Jensen sarebbe scomparso non appena si fosse mosso.
«Sono qui, Jared» rispose accigliato e Jared notò Harley e Sadie vicino ai piedi di Jensen che agitavano la coda.
Jensen era più bello di come Jared l’avesse mai visto.
Era vero, solido, vivo. Era lì.
«Jensen.» disse Jared di nuovo, solo per la sensazione di quel nome pronunciato dalla sua voce.
«Jay? Che c’è?» Jensen fece un movimento verso di lui, ma Jared lo bloccò con una mano alzata.
«Tu..Tu sei reale, giusto?» chiese, sopprimendo la risata isterica che stava nascendo dentro di lui. «Rimarrai, giusto?» L’ultima parola era poco più di un respiro rotto.
«È tornato? Devo chiamare la Dottoressa Moira?» la preoccupazione oscurò gli occhi di Jensen.
Jared poté solo fissarlo. Ma poi notò le piccole differenze in casa. Le foto sul muro. La coperta nel salotto. La pila di dvd.
Era tutto di nuovo al suo posto.
Lo sguardo di Jared si spostò a Jensen che lo stava ancora guardando, aspettando una risposta.
Jared non riusciva a credere che fosse tornato.
Era in piedi proprio davanti a lui come se fosse appena tornato da buttare la spazzatura.
Come se gli ultimi mesi senza di lui non fossero mai successi.
«No.» sussurrò Jared a se stesso, facendo accigliare Jensen anche di più. Ma il significato di tutto stava lentamente e finalmente arrivandogli. Gli ultimi mesi non erano mai successi. Non a nessuno se non lui. Sarebbe stato l’unico a ricordare, l’unico ad avere due ricordi della solita situazione.
Uno da solo. E uno con lui. Con Jensen.
«Devo chiamare la dottoressa? Jared?»
Jared scosse la testa, un lento sorriso gli si stava aprendo in volto che cresceva di più e più felice ogni secondo.
E poi finalmente si mosse, fece tre lunghi passi fino a poter abbracciare l’altro uomo, stringerlo forte.
«Jared, stai bene?» chiese Jensen, ma ricambiò forte l’abbraccio.
«Sì, si sto bene ora.» mormorò Jared sul collo di Jensen, inalando il suo profumo, il suo sapore, morendo dal bisogno.
«Sono qui, Jared.» gli disse Jensen, stringendosi a lui. «Sono proprio qui.»
E finalmente, Jared poté dire «Sì. Lo so.»
Un paio di giorni dopo.
«Jay, prov…uhm…proviamo almeno ad entrare, okay?» ansimò Jensen contro le labbra di Jared, combattendo l’urgenza di strusciarsi contro Jared, che era in piedi dietro di lui, vicino abbastanza che Jensen poteva sentirlo duro dentro i jeans.
Jared sorrise e lasciò andare la testa di Jensen abbastanza a lungo da lasciarlo voltare e trovare la serratura.
Un non così silenzioso gemito di vittoria scappò alle labbra di Jensen quando la porta si aprì ed entrambi entrarono.
Il secondo successivo, Jensen attaccò Jared alla porta chiusa, divorandogli la bocca come se baciare Jared fosse l’unica cosa che avrebbe potuto tenerlo in vita, entrambi ignorando i cani che saltavano per salutarli.
«Dio, tu…sei molto meglio di quanto avessi sognato.» gemette Jared, gli occhi già chiusi, la pelle arrossata, i capelli umidi. «Il tuo sapore è meglio. Sai di…dio, sai di te.»
A Jensen non importava nemmeno cosa stesse dicendo, lasciò solo che la voce piena di desiderio gli scivolasse addosso, lasciò che l’eccitazione crescesse con ogni parola sussurrata.
«Camera da letto.» ruggì Jared e spostò entrambi, voltandosi senza lasciare andare un centimetro della pelle di Jensen.
«Aspetta.» mugugnò Jensen, quando passarono il telefono nel corridoio, una luce rossa che lampeggiava.
Jensen raggiunse alla cieca il pulsante che avrebbe avviato la segreteria e lo spinse.
‘Hai tre nuovi messaggi.’
«Bello, sei serio?» Jared rise e gemette allo stesso tempo. «C’è un motivo se abbiamo spento i telefoni, amico.»
«Forse, guh…forse è qualcosa di importante.» spiegò Jensen, strattonando il labbro inferiore di Jared e la sua cintura nello stesso istante.
Jared fece un suono debole, qualcosa a metà fra fusa e gemito, quando Jensen gli afferrò l’erezione con la mano.
«Qualcosa…qualcosa di più importante di questo?» chiese, spostando le braccia intorno a Jensen, afferrandogli il fondoschiena con entrambe le mani e spingendolo contro di se.
Entrambi gemettero al contatto.
«Okay» ammise Jensen, già tirando Jared dietro di lui, dirigendosi alla camera da letto. «Penso che tu abbia ragione.»
Inciampando dentro camera di Jensen, sbattendo la porta dietro di loro con un piede riuscendo a tenere i cani fuori, non sentirono i tre messaggi nella segreteria.
Il primo fu Mike.
«Ragazzi, non crederete mai a cosa ho appena sognato! Ho sognato che uscivate insieme! Quanto è incredibile tutto questo?! Con tutti i baci e quella roba lì! Dio, credo di stare troppo intorno alle vostre fan. Oh, e accendete i vostri dannati telefoni, okay?»
La voce di Chad uscì dalla segreteria.
«Jared? Cosa succede al tuo dannato telefono? Accendilo, amico! Così non devo chiamare questa stupida segreteria dove probabilmente labbra-infuori mi sentirà. Oh, a proposito, ho appena fatto il sogno più strano del mondo amico. Ti facevi Ackles. Voglio dire, non che abbia visto niente o cosa, perché ugh, sarei stato segnato a vita. Ma ho sognato di vuoi due che stavate insieme e roba simile. Strano, eh? Okay, J.T., fammi una cazzo di telefonata qualche volta, va bene? E di’ ciao a labbra-infuori per me.»
E l’ultima arrivò da Mackenzie.
«Jensen?Hey, non sono riuscita a trovarti al cellulare, così provo qui. Volevo solo parlarti. Niente di speciale, solo sentire mio fratello una volta tanto. Okay? Quindi, chiamami quando hai tempo. E, uhm, di’ ciao a Jared per me. E dagli un abbraccio da parte mia. E digli…digli grazie. Non so nemmeno perché, solo…grazie. Per prendersi cura di te, suppongo. Ciao.»
epilogo