[Diecielode] KAT-TUN - Hold me Kowareru Made 05

Nov 16, 2011 19:44

Tabella: wTunes Playlist
Claim: [KAT-TUN] Kamenashi Kazuya, Akanishi Jin, Taguchi Junnosuke, Tanaka Koki
Prompt: “Se c’è ancora tempo voglio tenerti ancora stretto, perché mi hai visto piangere” (One in a Million, Yamashita Tomohisa)

Titolo: Hold me Kowareru Made (Stringimi finché non mi spezzo)  - Why you don’t See my Eyes
Beta Reader: Simph
Personaggi/Pairing: Taguchi Junnosuke, Tanaka Koki, JunnoxKoki
Rating: PG-13
Warning: Malinconico
Word Count: 1.736
Introduzione: “L’unica cosa che gli impediva di andare oltre, in fondo, era la mancanza di un rifiuto netto.
Era quello di cui aveva bisogno, era quello che gli serviva”

Why you don’t See my Eyes

Era da una settimana che Koki non parlava a Junno.
E soffriva. Soffriva più di prima.
Sapeva di non aver nascosto nel migliore dei modi che ci fosse qualcosa che non andava fra loro due; quello che non si era aspettato, era una reazione così diretta da parte dell’altro.
Si odiava.
Si odiava per le preoccupazioni che gli dava, si odiava perché non riusciva ad essere onesto con lui. Si odiava per quel maledetto sentimento che lo stava consumando.
E se prima i suoi tentativi di non rimanere da solo con lui erano un po’ meno evidenti, negli ultimi giorni non aveva fatto nulla per nascondere di non volergli stare vicino più dello stretto necessario.
Gli altri l’avevano notato. Sentiva su di sé gli sguardi confusi, ma erano l’ultimo dei suoi problemi.
Junno, dal canto suo, aveva tentato degli approcci nei suoi confronti, fallendo miseramente.
Qualsiasi cosa avesse da dirgli, Koki non voleva ascoltarla.
Si era sentito troppo esposto, troppo privo di controllo su quella situazione, e la cosa in un certo senso gli aveva fatto paura.
Fino a quel momento, aveva vissuto nella totale convinzione di riuscire ad andare avanti per la sua strada, senza mai essere costretto a far vedere quella parte di sé che amava Junno, spingendola così in fondo alla sua mente da riuscire, forse, a dimenticarla.
Quella ragazza aveva rovinato i suoi piani.
Non si sarebbe aspettato di sentirsi così; era sempre stato consapevole del fatto che prima o poi Junno si sarebbe fatto una vita, avrebbe amato qualcuno, e che forse sarebbe stato persino per sempre.
Ma fra l’immaginarlo felice con qualcuno che non fosse lui e vedere quella felicità, c’era una differenza abissale.
Tutto quello che avrebbe voluto, era essere la ragione di ogni singolo sorriso dell’altro. E sapere che in quel momento era solo la causa di dolore, di preoccupazioni e di confusione per lui, non faceva che acuire il senso di colpa dettato da quell’amore che era sbagliato provare.
Si passò le mani davanti al viso, incerto sul da farsi.
Era tardi, anche se non troppo; avrebbe dovuto cercare di dormire, in qualche modo. Sul suo viso spiccavano chiari i segni del suo stato d’animo.
La situazione con Junno gli aveva tolto il sorriso, il sonno, la voglia di fare qualcosa per uscire da quell’inferno in cui si era chiuso.
L’unica cosa che gli impediva di andare oltre, in fondo, era la mancanza di un rifiuto netto.
Era quello di cui aveva bisogno, era quello che gli serviva.
Dire a Junno tutto quello che pensava, e poi rimanere vuoto, senza più quella sensazione opprimente che da anni lo faceva sentire... in sospeso, in un certo senso.
Guardò la porta più volte, e mai in vita sua gli era apparsa più invitante.
Passarono solo pochi minuti, prima di decidersi ad afferrare una giacca ed uscire, senza un’idea ben definita di quello che avrebbe fatto.

******

Era arrivato davanti alla porta di casa di Junno in poco meno di mezz’ora; improvvisamente sentì che era sbagliato trovarsi lì, che non aveva senso, che sarebbe dovuto tornare a casa, a crogiolarsi nei suoi pensieri e, forse, in qualche superalcolico.
Detestava quel pensiero, ma se avesse suonato, Junno avesse aperto e fosse stato con lei...
Non sapeva se sarebbe riuscito a sopportarlo.
Ma d’altro canto ormai era lì. Il coraggio che aveva sentito nel momento in cui era uscito di casa era scemato durante il tragitto, ma era ancora dentro di lui, seppur in minuscola parte.
E gli diceva che suonare quel campanello era l’unico modo di uscirne, così fu quello che fece.
Non dovette attendere molto.
Junno andò ad aprire, mostrando un’aria più che sorpresa nel trovarsi davanti l’amico.
Koki lanciò una veloce occhiata all’ingresso, e trattenne un sospiro di sollievo quando non vide scarpe femminili abbandonate accanto a quelle del ragazzo.
Alzò lo sguardo in sua direzione, improvvisamente imbarazzato.
Non sapeva ancora quello che avrebbe detto, sapeva solo che sentiva la necessità di dire qualsiasi cosa.
Ma Junno non gliene diede il tempo.
“Koki! Io... cosa ci fai qui? Cioè... sono felice di vederti. Dai, entra” gli disse, concitatamente, facendosi da parte per farlo entrare nell’appartamento.
Si spostarono nel salotto, piccolo e accogliente, e Taguchi gli fece cenno di sedersi, ma lui scosse la testa.
“No, grazie, io... sono venuto solo per parlarti” disse, titubante.
Junno lo fissò, penetrandolo con quegli occhi curiosi e attenti. Era chiaramente confuso, eppure in una sorta di attesa, come se fosse sollevato di poter finalmente chiarire le cose con lui.
E per Koki, quello sguardo speranzoso fu troppo.
Si protese verso di lui, mettendogli una mano dietro il collo e poggiando le proprie labbra sulle sue.
Fu come se tutto quello che gli stava intorno svanisse.
Lo stava baciando. E nonostante le migliaia di volte in cui si era figurato quell’immagine, non riusciva ancora a capacitarsi di come fosse vero.
In quel frangente, era come se le conseguenze non esistessero, come se dopo quel bacio non dovesse accadere più nulla di importante, nulla che potesse intaccare la felicità che stava provando in quell’istante.
Notò solo di sfuggita la mancanza di reazione dell’altro.
Non lo stava respingendo, rispondeva al bacio in modo quasi meccanico, come se fosse l’istinto a dirgli che in quella situazione, era così che si doveva comportare.
Si separarono, entrambi con il fiato corto, e Koki alzò immediatamente lo sguardo su di lui, per cogliere un qualsiasi segno: disgusto, rabbia, delusione, tristezza.
Ma sul volto di Junno non c’era niente.
“Ko-chan...” mormorò soltanto, e Koki dimenticò anche d’infastidirsi per quel diminutivo. Prese a parlare, come se non potesse farne a meno.
“Lo so. Mi dispiace, ma non sono riuscito a trattenermi. Ho provato a ignorare quello che provo per te, sono anni che ci provo. Ma non è cambiato niente, ogni mattina mi sveglio sperando che sia finita e invece non è mai cambiato niente. Ti amo Junnosuke, ti ho sempre amato” disse, le parole che uscivano dalla sua bocca come un fiume in piena sul quale lui sentiva di non avere il controllo. Erano parole che quasi gli facevano male, perché racchiudevano in sé tutto il dolore di quegli anni passati in un silenzio che finalmente era spezzato; parole che avrebbero potuto portarlo ovunque, dai luoghi migliori a quelli che la sua immaginazione si rifiutava persino di elaborare.
Tutto era nelle mani del ragazzo che gli stava di fronte, la cui espressione si era fatta corrucciata.
Non aveva risposto.
Koki non aveva saputo interpretare quel silenzio, o forse non aveva le forze per farlo. Aveva gli occhi lucidi, senza nemmeno sapere il perché.
Si sentiva vuoto, aveva bisogno che Junno dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.
Ma non ottenne parole da lui.
Questi si avvicinò, tentennando. Mise una mano sulla spalla del più grande, chinandosi per essere nuovamente all’altezza del suo viso. Poi lentamente, troppo lentamente, posò di nuovo le proprie labbra su quelle dell’altro.
E fu in quell’esatto momento che Koki smise di avere gli occhi lucidi, e cominciò a piangere.
Non sapeva esattamente il perché; sapeva solo che era stato investito da emozioni troppo forti e troppo indefinite, e quelle lacrime erano la prova di quello che sentiva in quel momento.
Era troppo sopraffatto per rendersi conto del fatto che quello era solo un bacio, non una risposta.
Un bacio che continuava, più irruento del primo. Aveva fatto presa sui capelli dell’altro, per attirarlo ancora più verso di sé, mentre con l’altra mano cercava di insinuarsi sotto la sua maglietta; le mani dell’altro nel frattempo lo stringevano, facendogli provare una sensazione strana, piacevole, alla quale sentiva che si sarebbe potuto abituare facilmente.
Procedettero a tentoni vero il divano, fin quando non vi caddero sopra, distesi l’uno sopra l’altro. Fu solo a quel punto che smisero di baciarsi, e Koki fu in grado di guardarlo in viso, di nuovo, sentendo che non si sarebbe mai stancato di farlo.
Gli passò una mano sotto la schiena, poggiando la fronte nell’incavo del suo collo.
“So... so che è improvviso. Non voglio fare niente di fretta. Ma... se c’è ancora tempo, voglio tenerti stretto, così; perché mi hai visto piangere, me lo devi. Non hai idea di come mi faccia sentire tutto questo” si asciugò gli occhi con la mano libera, ridacchiando leggermente.
Lo sentì respirare, a fondo. Poi quel respiro si fece troppo veloce, e lui si alzò, preoccupato, rimettendosi a sedere.
Junno lo imitò; Koki lo vide poggiare i gomiti sulle ginocchia e prendersi il viso tra le mani.
Trattenne il respiro, non osando toccarlo.
Quando il più piccolo alzò lo sguardo, Koki lesse nei suoi occhi la risposta che aspettava.
Non gli piacque. Nemmeno un po’.
“Mi... mi dispiace. Non ci riesco” fu solo in grado di dire Junno, mentre velocemente perdeva il contatto visivo con l’altro.
Tanaka comprese cosa significasse sentirsi aprire la terra sotto i piedi.
Indietreggiò, istintivamente, scuotendo la testa.
“No. No, ti prego. Tu... tu hai lasciato che ti baciassi. Mi hai baciato. Hai permesso che ti tenessi stretto, tu...” le parole che aveva pronunciato pochi minuti prima, in quel momento assumevano delle sfumature grottesche “Mi hai visto piangere” mormorò, aggrottando le sopracciglia.
E poi, fece quello in cui era ormai diventato maestro: scappò, perché di nuovo si sentiva incapace di rimanere nella stessa stanza con lui, sensazione che aveva sperato di poter dimenticare.
Uscì da quell’appartamento, di nuovo senza essere seguito, né aspettandoselo.
Scese in strada, come un automa; sentiva che ogni movimento che faceva era meccanico, come se non fosse realmente lui a compierlo.
Camminava da pochi minuti, quando improvvisamente si fermò, realizzando quanto era appena accaduto.
Si sentiva così stupido, adesso.
Ripercorse una per una tutte le frasi che aveva detto, maledisse ogni singolo vacillamento, ogni manifestazione della sua felicità, ogni singolo gesto.
Maledisse l’aver pianto più di ogni altra cosa, perché nessuno l’aveva mai visto piangere, perché era una cosa che lo rendeva debole.
E lui odiava sentirsi debole.
Ma in quel momento, era quello che era.
Indifeso, nudo, privo di barriere.
E Junno l’aveva illuso per quei pochi minuti, per poi rigettarlo in quello schifoso baratro da cui veniva.
Non gli era rimasto più niente in cui credere o in cui sperare.
Aveva avuto quello che voleva, aveva il suo rifiuto.
Ma sapeva che nemmeno quello ormai gli sarebbe servito a molto.
Perché ora sapeva cosa voleva dire tenere Junno stretto, e Junno sapeva cosa significava vedere Koki piangere.
Non ne sarebbe uscito.

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